SELL IN MAY AND SAIL AWAY ?

Statisticamente ha (quasi) sempre funzionato. Esiste un’innegabile stagionalità nell’andamento mese per mese dei corsi di borsa. Basta guardare il grafico qui sotto riportato per rendersene conto: il rendimento di giardinetti di azioni corrispondenti all’indice della borsa di New York che sono state comperate a Maggio e tenute fino a Ottobre è stato in media (a seconda degli anni in cui il mercato è stato “toro” o “orso”) molto inferiore al rendimento del medesimo giardinetto di azioni comperate viceversa a Novembre e tenute fino ad Aprile.
COSA SUCCEDE DOPO IL RECUPERO DEL DIVARIO CHE SI ERA CREATO?
Se quindi da un lato c’è stato un deciso recupero rispetto all’ondata di vendite che avevano investito le borse di tutto il mondo dopo il cosiddetto “liberation day” (2 Aprile), dall’altro lato c’è anche un’altra questione sulla quale occorre riflettere: dopo che con la settimana scorsa il recupero delle borse si è completato (qui sotto il grafico dell’indice MIB della borsa di Milano) è lecito attendersi una prosecuzione della crescita dei corsi altrettanto impetuosa?
Addirittura l’indice della borsa di Francoforte ha superato i livelli precedenti (oltre a sopravanzare decisamente la performance dell’indice principale della borsa di Wall Street):
Dunque siamo di fronte all’ennesimo bivio: continueranno le quotazioni delle borse a crescere come hanno fatto fino ad oggi dopo il crollo iniziato lo scorso 2 Aprile? È probabile che la risposta sia positiva, ma non necessariamente subito.
E, come si sa, la tempistica in borsa conta più delle previsioni azzeccate. La stagionalità delle quotazioni suggerisce, al momento, una possibile pausa di riflessione, anche se non esiste un criterio “serio” al riguardo. Qui sotto ad esempio la media mensile dei rendimenti degli investimenti azionari della borsa americana negli ultimi 30 anni:
LE RAGIONI DELL’OTTIMISMO…
Il punto è che al momento esistono numerose ragioni per essere rialzisti sui mercati, quali ad esempio l’ottima stagione dei profitti del primo trimestre dell’anno, ai massimi di sempre come si può vedere dalla tabella riportata. Cosa che farebbe pensare ad un falso allarme circa il rischio di contrazione dei risultati aziendali.
E QUELLE DEL PESSIMISMO…
Ovviamente le preoccupazioni al riguardo si concentrano sul possibile futuro, sul quale al momento nessuno è in grado di fare buone previsioni. Ad esempio la “guidance” (qui sotto il grafico relativo) che le principali società dell’indice S&P500 hanno, per prudenza, rivisto al ribasso le loro previsioni circa gli utili dei prossimi trimestri. Una mossa che non significa necessariamente che gli utili fletteranno, ma soltanto che riflette l’incertezza.
TASSI E PETROLIO
Senza contare il fatto che le valutazioni aziendali dipenderanno anche dal livello dei tassi d’interesse a lungo termine, sul quale al momento v’è altrettanta incertezza, come si può vedere dall’andamento (incerto anch’esso) del rendimento implicito espresso dai titoli di stato americani a 10 anni (che per il momento non è calato come ci si sarebbe atteso), in funzione anche della riduzione percepita negli States del rischio di recessione. Nello stesso grafico qui sotto riportato si può leggere l’andamento del prezzo del petrolio (il Brent in questo caso), che ha sempre avuto un andamento simile a quello dei rendimenti a lungo termine americani e che stavolta, invece, se ne dissocia non poco:
INFLAZIONE E DEBITO PUBBLICO
L’andamento al ribasso del prezzo del petrolio farebbe pensare ad un calo prospettico dell’inflazione (che addirittura in Cina è scesa sotto lo zero), mentre un andamento incerto del rendimento percentuale espresso dai titoli di stato americani a 10 anni potrebbe suggerire una dinamica dei tassi che riflette i dubbi degli investitori professionali circa la sostenibilità del debito pubblico americano. Al quale l’amministrazione Trump sta prestando la massima attenzione (qui sotto l’andamento del debito pubblico americano negli ultimi mesi).
Difficile dunque mettere a segno delle previsioni in un contesto di totale imprevedibilità come quello attuale, dove ad esempio anche il regime dei cambi valute viene sottoposto ai medesimi scossoni della guerra che si sta consumando negli Stati Uniti d’America tra la politica e la grande finanza. Come è noto Donald Trump punta a rivitalizzare l’export a stelle e strisce e di conseguenza vede relativamente bene una certa svalutazione “competitiva” del Dollaro.
Cosa che è fino ad oggi sostanzialmente riuscita nei confronti di quasi tutte le altre valute (in particolare quelle europee) e che ha spuntato le unghie all’intenzione della Cina di recuperare il terreno perduto sul fronte delle esportazioni verso gli USA (a causa delle tariffe doganali) con la svalutazione del Renminbi, come si può vedere dal grafico sotto riportato:
Prevedere cosa succederà perciò da qui alla fine dell’anno è arte divinatoria. Ad esempio circa l’inflazione ci sono notizie che possono essere considerate positive. Ad esempio, come si può vedere dal grafico qui sotto riportato, la Cina è già in deflazione e, per uscirne, è probabile ne utilizzerà la leva delle facilitazioni monetarie, cioè dell’espansione del credito e della svalutazione competitiva. Se i colloqui di Ginevra iniziati lo scorso fine settimana dovessero portare ad un sostanziale accordo con gli USA, ecco che la liquidità che il Paese più popoloso del mondo metterà in circolazione aiuterà di fatto l’intera economia globale e, al tempo stesso, aiuterà l’America a ridurre il proprio tasso d’inflazione, togliendo un ulteriore tassello dí apprensione agli investitori che ancora temono la stagflazione americana.
Restiamo al riguardo relativamente ottimisti perché restano fino ad oggi invariate le ragioni fondamentali che avevano spinto al rialzo le borse di tutto il mondo fino al momento dell’installazione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Al momento tuttavia regna ancora grande incertezza circa l’evoluzione del commercio internazionale dopo lo scossone impresso dal Presidente americano e circa le possibili conseguenze per lo sviluppo dell’economia globale.
Ovviamente ciò non incentiva gli investitori a buttarsi di nuovo a capofitto nell’investimento azionario e costituisce motivo di timore per le sorti dei debiti pubblici occidentali, anche se, come si può leggere dal grafico sopra riportato, l’indice del “sentiment” degli investitori che oscilla tra paura e avidità ha avuto, nelle ultime settimane una nuova impennata. Dovuta però più all’opportunità di investire dopo un cospicuo calo del mercato che ad aspettative di lungo termine.
Dunque c’è da attendersi ancora una certa volatilità nel prossimo futuro e una possibile ulteriore propensione a rimanere almeno parzialmente liquidi (cioè fuori dal mercato azionario) da parte degli investitori professionali, in attesa di vedere effettivamente cosa succederà al commercio internazionale, ai consumi e all’inflazione.
Stefano di Tommaso