LA RIMONTA DEL BITCOIN

È strano: nessuno ne parla, ma la valuta “crypto” per eccellenza ha recuperato in pochi mesi tutte le sue perdite per avvicinarsi ai massimi storici: cosa sta succedendo? E perché? Proviamo a scoprirlo insieme.

 

In parte la spiegazione è relativamente semplice: se questo è il momento del “de-basing” delle valute (il loro svuotamento di valore dovuto all’importante incremento di facilitazioni monetarie da parte delle banche centrali) allora in teoria tutti i beni rifugio, nessuno escluso, stanno tornando in cima alle preferenze degli investitori in questo momento di grandissima incertezza.

Chiaro, no? Ebbene la risposta invece è molto più articolata e complessa, perché se fosse stato così fin dall’inizio allora già dal 2013 in poi il Bitcoin avrebbe polverizzato ogni record. Per comprendere meglio però di cosa stiamo parlando occorre fare due parole sulla natura della criptovaluta e sulla sua storia recente.

Con il BitCoin innanzitutto è stata rilasciata gratuitamente al mondo intero la tecnologia di certificazione delle transazioni più diffusa al mondo: la Blockchain. Il fatto che nessuno abbia la possibilità di manomettere o manovrare la circolazione e la certificazione della valuta ne ha proiettato un’aura idealistica e libertaria, ma il pericolo che ingenti somme di denaro possano muoversi con il Bitcoin in forma anonima e senza alcun controllo ne ha provocato rigetto da parte di varie autorità monetarie nelle principali economie del mondo. Poi la Banca Centrale del Giappone (2017) ha fatto la prima mossa, accettandola come mezzo alternativo di pagamento e decretandone l’impennata delle quotazioni.

All’epoca tuttavia era soprattutto in Cina che il Bitcoin aveva trovato la sua massima attrattiva perché in quel paese i movimenti di capitale sono sempre stati rigidamente controllati. Il Bitcoin era divenuto la modalità legalizzata di esportare capitali ed è per questo motivo che a un certo punto è stato di fatto impedito al sistema bancario di convertire capitali cinesi in Bitcoin. Cosa che ha comportato un’inevitabile discesa delle sue quotazioni fino al minimo della fine del 2018 (un anno dopo il massimo storico).

Poi è intervenuta una ripresa delle quotazioni intorno ai 10mila dollari e lunga fase “laterale” di galleggiamento fino ai nuovi minimi all’epoca del “sell-off” dovuto alla prima ondata della pandemia, a primavera. Da quel momento in poi le quotazioni hanno vissuto una costante ripresa fino alla scorsa settimana, quando il Bitcoin ha superato i 16mila dollari.

Oggi sembra proprio il continente asiatico e in particolare la Cina dove la domanda di Bitcoin è tornata ad essere più forte e addirittura oggi la China Construction Bank (la seconda al mondo per dimensioni) sta lanciando un programma di emissioni di titoli obbligazionari per 3 miliardi di dollari che può essere sottoscritto anche in Bitcoin! Un episodio che potrebbe non restare isolato e che potrebbe fare spazio ad un maggior investimento in Bitcoin da parte degl’investitori istituzionali.

Tutto sommato quindi stavolta il rialzo impetuoso del Bitcoin appare meno speculativo e più fondato su fattori reali, i quali farebbero perciò pensare che la sua corsa possa non fermarsi ancora una volta.

Stefano di Tommaso




COSA ASPETTARSI DAL 2021

Manca poco più di un mese lavorativo alla fine di uno degli anni più sfortunati dell’ultimo secolo e gli imprenditori stanno ragionando attivamente su come approcciare il nuovo anno: quanto scommettere sulla ripresa che (prima o o poi) dovrebbe seguire l’attuale recessione? come mettersi in sicurezza nel frattempo? e quali nuove tendenze andrebbero cavalcate? Proviamo a esaminare dunque quali prospettive ci mostra il 2021 ricordando però che è sempre difficile fare previsioni, specialmente quando riguardano il futuro (frase attribuita al danese Niels Bohr, premio Nobel per la Fisica nel 1922)

 

LA RECESSIONE FARÀ MOLTE ALTRE VITTIME

Sono già molte le imprese danneggiate dai lockdown e ce ne saranno ancor più dopo la fine dell’anno e queste avranno una grande priorità: come far fronte alle perdite accumulate, al calo del fatturato? Se infatti è probabile che il 2020 si chiuderà con un calo del prodotto interno lordo italiano tra l’11% e il 13% rispetto al 2019, si può prevedere in media un calo di pari misura nel fatturato delle imprese italiane, ma con l’aggravante che il dato medio sarà in realtà “edulcorato” dall’andamento positivo di quei settori che sono andati controcorrente. Gli altri settori industriali -quelli che invece risulteranno più colpiti dalla recessione- si può agevolmente prevedere che chiuderanno l’anno con una riduzione quasi doppia, dunque dal 20% al 30% circa.


Perciò le imprese che risulteranno più colpite dalla crisi da virus dovranno mettersi a pensare per tempo come fronteggiare l’aumento del debito e la necessità (non sempre solo teorica) di nuovi investimenti.

CAPITALI E FINANZIAMENTI: NE SERVIRANNO A IOSA

Cerved il mese scorso ha previsto esigenze impellenti di capitali e finanziamenti da parte delle imprese per quasi 50 nuovi miliardi di euro, con l’evidenza che molte di esse non li troveranno e finiranno per chiudere, ristrutturare il debito o fallire addirittura, dunque essere liquidate, vendute o accorpate per l’impossibilità di farvi fronte.

Tecnicamente già solo i fondi di private equity in Italia dispongono sui loro conti di quei 50 miliardi. Ma gli investitori che glieli hanno messi a disposizione cercano esclusivamente i settori più promettenti, le imprese più sane o con il miglior potenziale, la possibilità di sostenere le rate della leva finanziaria (per moltiplicare i guadagni dell’investimento).

Non investono nelle imprese che devono tappare i buchi precedentemente accumulati, che devono ristrutturarsi, che devono ancora cominciare a scommettere sull’espansione internazionale, che devono ancora iniziare a digitalizzare il loro business, o che in generale devono ancora comprendere dove investire per migliorare la marginalità.

Dunque con la crisi molte piccole e medie imprese cercheranno capitali per farvi fronte ma poche saranno davvero preparate a farlo, e ancor meno tra esse avranno già chiarito quale sia il corretto impiego di quei capitali.

LA RIPRESA NON ARRIVERÀ PRIMA DI UN ALTRO ANNO

Tra queste ultime, come sembra ovvio, molte imprese non ce la faranno o addirittura non ci proveranno nemmeno, sperando magari in un mero “galleggiamento” in attesa di tempi migliori, o ricorrendo a ipotesi “estreme” quali la richiesta ai creditori di ristrutturare i debiti (cosa che non sempre riuscirà), ovvero la cessione/l’aggregazione con altri operatori del settore per tentare un rafforzamento derivante dalla maggior dimensione.

Ma ogni strategìa aziendale deve necessariamente fare i conti con l’ambiente esterno, con la situazione contestuale. E se questa recessione sarà quello che sembra (e cioè tutt’altro che breve) persino le imprese più solide rischieranno di non ottenere dal mondo finanziario sufficienti nuove risorse se non si troveranno ad operare in uno dei pochi mercati di sbocco che tirano (sanità, tecnologia e qualche comparto dell’alimentare) o se non hanno già raggiunto elevatissime dimensioni.

GRANDE ROTAZIONE O GRANDE DELUSIONE ?

Qualcuno prevede, in coincidenza con l’arrivo dei vaccini anti-Covid, una grande rotazione dei portafogli azionari gestiti, passando dalle attuali superstar (i costosissimi titoli tecnologici e biomedicali) a quelli che sin’ora sono stati negletti, cioè i cosiddetti titoli “value”: petrolio e energia, immobiliari, banche e “old economy “ in genere. Personalmente sono un po’ scettico: la grande rotazione (dai titoli “growth” a quelli “value“) ci sarà quando l’economia globale riprenderà a correre. Ma siamo sicuri che sia sul punto di farlo? Le statistiche suggeriscono l’esatto opposto: che non si tratti di una breve crisi ma di una recessione a tutti gli effetti, suppur localizzata a macchia di leopardo. E in tal caso sarà difficile una rotazione vera e propria mentre è più probabile uno “sgonfiamento” dei valori di aziende che non si mostreranno capaci di generare tanta cassa.

LA DISOCCUPAZIONE MONTA E IL “WELFARE” SCRICCHIOLA

Ancora una volta possiamo e dobbiamo ricordare cosa significa la pandemia in corso: è un implacabile acceleratore degli eventi! Laddove l’ambiente si fa ostile per il piccolo business, le imprese che non sono in equilibrio o che non si aggregheranno ad altre per crescere e tagliare costi, per efficientarsi e ridurre i posti di lavoro meno produttivi, è probabile che finiranno per prosciugare la loro cassa disponibile e che non troveranno facilmente nuove fonti di credito, a causa della regolamentazione che impone alle banche di svalutare quei finanziamenti erogati a imprese ove non vi è evidenza di “buona salute” aziendale e di mercato.

E anche laddove gli imprenditori saranno stati oculati e si saranno mossi in fretta per far fronte alla crisi e al calo del fatturato, buona parte dei modelli di business del passato (cioè l’assetto strategico e la conseguente struttura organizzativa delle imprese) saranno da rivedere radicalmente, provocando una corsa ai pre-pensionamenti, ai licenziamenti, alle richieste di prosecuzione della cassa integrazione guadagni nonché ai de-mansionamenti di fatto e alle conseguenti riduzioni dei compensi.

Dunque non soltanto l’occupazione complessiva è probabile che scenderà notevolmente, ma anche che i conti della previdenza pubblica saranno di nuovo sotto tensione perché i cuscinetti ammortizzatori delle tensioni sociali risulteranno sostanzialmente insufficienti a garantire quel “welfare”che i politici continuano a promettere invocando nuovi aiuti dal resto d’Europa e dalla banca centrale europea.

 

 

LA DEFLAZIONE E IL DE-BASING DELLE VALUTE

Una delle conseguenze più decise che discendono dalla prospettiva di un anno drammaticamente povero (come si prospetta il 2021) sarà probabilmente la forte contrazione dei consumi e la conseguente deflazione che potrebbe manifestarsi a causa della probabile contrazione anche degli investimenti e della ulteriore discesa della velo di circolazione della moneta.

Ma se anche andrà tutto (male) come sembra, questo non equivarrà ad un calo generalizzato dei prezzi, dal momento che altri due fattori (contrapposti) appaiono pesantemente in gioco: il crescente costo di produzione dei generi alimentari, dei presidi sanitari di base e di altri generi di prima necessità, e la prosecuzione indiscriminata dell’immissione di liquidità da parte delle banche centrali.

Con la conseguenza che, nonostante la deflazione (che si misura soltanto su un determinato paniere di beni) il potere d’acquisto del denaro finirà inevitabile per scendere ancora, lasciando spazio alla risalita delle valutazioni di molti beni-rifugio, a partire dai preziosi, dagli immobili di maggior prestigio e sino forse anche alle materie prime ( o quantomeno a quelle più rare). Sarà la conseguenza diretta della prosecuzione di stampa indiscriminata di denaro fresco e la premessa per un futuro riaccendersi dell’inflazione, sebbene -come già detto- non in forma lineare bensì su base estremamente diversificata.

NULLA CAMBI…PERCHÉ TUTTO CAMBI !

Il medesimo meccanismo probabilmente porterà a preservare l’intero occidente da nuove pesanti cadute delle quotazioni azionarie, ma lo status quo ante apparirà invece tutt’altro che preservato: le valutazioni aziendali risentiranno fortemente della maggior necessità per le imprese di generare cassa.

E quelle poche che se ne mostreranno davvero capaci (soprattutto le più internazionali e le più grandi) potranno sperare in ancor più generosi multipli di valore, anche perché i tassi di interesse dovranno ancora una volta tornare pesantemente sotto lo zero.

Ma il discrimine tra imprese “appetibili” e quelle che appariranno a rischio (tra le quali molte di quelle piccole) in questo contesto è destinato inevitabilmente ad accrescersi, lasciando a queste ultime poco spazio per le generose valutazioni che potranno riguardare quelle più grandi, più solide e più geograficamente diversificate.

L’ECONOMIA CORRE AD ORIENTE…


Ci saranno cioè zone del mondo che “gireranno” economicamente molto meglio di altre, provvedendo ad accrescere la “de-correlazione” tra gli andamenti economici delle diverse aree del pianeta: il sud-est asiatico sembra favorito in questa giostra, e punterà ad incrementare la propria influenza sulle economie occidentali. Le imprese che riusciranno nella sfida ad accrescere i propri fatturati in quelle aree non potranno che profittarne, accrescendo il loro vantaggio nei confronti di quelle che non possono.

Per gli stessi motivi è ragionevole attendersi una maggior ricerca di partnership internazionali, una maggiore attività di “networking” e un maggior uso della leva digitale per accedervi.

…E VERSO TALUNI PAESI EMERGENTI

La forte crisi di identità dell’Occidente (e in particolare del vecchio continente) potrà talvolta portare beneficio a taluni paesi emergenti, soprattutto quelli che si troveranno in testa agli altri con le prospettive di crescita del reddito e di demografia. Molti imprenditori provenienti da Paesi in crisi penseranno di trasferirvisi, o quantomeno di incrementare colà la loro presenza, alimentando un circuito costruttivo di creazione di valore.

Un’altra tendenza di lungo termine si consoliderà infine con la pandemia: l’inevitabile trasferimento di ricchezza dai paesi più deboli a quelli più forti, politicamente ed economicamente. Ciò avverrà selvaggiamente nell’ambito dell’unione europea, ma anche tra occidente e oriente (a favore di quest’ultimo), non soltanto perché la ricchezza correrà laddove i capitali vengono trasferiti, ma anche perché in quei luoghi i profitti attesi risulteranno migliori, e così anche le valutazioni d’azienda.

Apparentemente ci sarà poca euforia dunque, per l’anno che verrà, ma in compenso -come si può vedere- anche una montagna di opportunità per coloro che sapranno vederle e avranno voglia di coglierle! Vietato restare fermi, insomma, adesso più che mai.

Stefano di Tommaso




ARRIVANO I VACCINI MA NON IL BUON SENSO

I mercati azionari di tutto il mondo ieri, Lunedì 9 Novembre, hanno esultato come non si vedeva dai tempi dell’annuncio del Viagra: i nuovi vaccini funzionano e gettano un velo di speranza sopra le devastazioni operate dal virus cinese: presto (cioè non prima di due-tre mesi) saranno disponibili al grande pubblico dal momento che le sperimentazioni hanno avuto esito positivo nel 90% dei casi. Ancora molte verifiche andranno completate ma sembra proprio che ci siamo. Dunque la gente potrà tornare ad andare in giro, consumare, viaggiare, incontrarsi e abbracciarsi. Le aziende potranno riprendere a fatturare e a investire nel loro futuro.

L’economia mondiale può dunque confermare la speranza di tornare a crescere nel 2021 e gli uomini di tutto il mondo potranno presto tornare ad abbracciarsi. Ovviamente parliamo di speranza, dal momento che non conosciamo quali altre sorprese possano riservarci eventuali nuove mutazioni del virus o altre possibili disgrazie, sanitarie o ambientali (in America ci fanno sapere che la stagione degli uragani nel 2020 ha toccato nuovi record, causando più allarmi che nell’ultimo secolo , probabilmente a causa della tropicalizzazione del clima dovuta a sua volta ai disastri ecologici provocati dall’industria).

Né possiamo escludere eventuali disgrazie di natura cosmologica (si sa che la nostra capacità di prevenire eventuali disastri causati dall’impatto con asteroidi, per lo stadio cui è giunta ad oggi la nostra tecnologia, tende allo zero assoluto). “Shit happens” dicono gli americani! La certezza insomma non è di questo mondo, ma se tutto andrà un pochino meglio dovremmo finalmente tornare a vedere presto una nuova stagione di espansione economica. È quello sarà allora un grande momento di verifica.

Certo le borse valori appaiono agli occhi dell’uomo della strada in totale controtendenza rispetto all’andamento dell’economia reale: nel momento di massima disgrazia (speriamo) di quest’ultima con il moltiplicarsi di fallimenti, perdite del posto di lavoro, della casa di proprietà e dello stile di vita cui molti si erano abituati (se non addirittura con la fame e la mancanza di cure mediche per i più poveri), le borse valori toccano invece nuovi massimi e creano nuove fantastiche ricchezze a coloro che ci sono investiti.

Si può cercare di spiegarlo con il fatto che le banche centrali non potevano non pompare nuova liquidità nel sistema finanziario, con il fatto che questo a sua volta è dovuto al fatto che le deboli democrazie occidentali stanno andando anch’esse alla deriva verso l’autoritarismo a causa della mole di debiti che hanno accumulato cercando di colmare l’incolmabile con il cosiddetto “welfare”: il crescente divario sociale tra poveri e ricchi che il capitalismo inevitabilmente tende a creare per sua stessa natura.


Qualsiasi spiegazione vogliamo addurre tuttavia, appare evidente che l’umanità si trova ancora una volta davanti a un bivio: tentare (faticosamente) di proseguire sulla strada attuale che tuttavia provoca tali gigantesche storture, incompatibili con il sogno di democrazia e parità dei diritti che ci hanno insegnato da piccoli, oppure cambiare modello di sviluppo, probabilmente adottare quello eurasiatico che sembra funzionare relativamente bene in Cina e in India, dove la democrazia appare come un concetto perlopiù svuotato di ogni significato pratico, ma dove forse la grande massa della popolazione (quella della strada, per intenderci) vive relativamente meglio di come vive in occidente, e con minori incertezze e angosce.

Certo i mercati finanziari non possono essere fini a sé stessi. Non possono risultare completamente autoreferenziali, anche perché la storia mostra che nessun sistema di potere regge in eterno: a un certo punto la popolazione insorge e si cambia modulo. Ma quando succede la cosa non è mai indolore e poi, come direbbero Gino e Michele: “quando gli elefanti litigano sono le formiche quelle che si fanno male”!


Insomma, sarebbe molto meglio trovare il modo di evitare le radicalizzazioni della storia, e chiedersi se la corsa tecnologica che ci porta a vedere nuovi massimi della finanza e nuovi minimi nella povertà di un terzo mondo che cerca di affrancarsene, si possono trovare altre soluzioni e nuove possibilità di far prosperare l’umanità nel suo complesso.

Probabilmente perché ciò accada è necessario che la politica torni a fare il suo corso, che i grandi leaders del mondo facciano la loro parte che gli intellettuali progettino una società migliore. Altrimenti anche i mercati finanziari, alla fine della vicenda, andranno sottosopra, perché nessuno può sperare di guadagnare all’infinito sulle disgrazie altrui!

Stefano di Tommaso




VALUTARE LE AZIENDE IN TEMPO DI COVID

Le rarefatte transazioni tra acquirenti e venditori d’azienda di questi ultimi mesi incontrano l’ultimo e più aspro degli ostacoli quando, superata finalmente ogni perplessità relativa ai danni che può provocare la recessione in corso a chi resta “aperto” o addirittura a chi scommette sulla ripresa, accantonata ogni perplessità circa le aspettative di durata e gravità della recessione, saltati a pié pari i timori circa le conseguenze in termini di calo dei consumi derivanti dell’aumento della disoccupazione e delle spese sanitarie, essi si imbattono inevitabilmente nel dilemma della determinazione del valore d’azienda e delle condizioni accessorie alla sua compravendita.

 

Il ragionamento più frequentemente ascoltato nelle ultime settimane poggia i suoi fondamenti sull’eccezionalità (è difficile ripetibilità) della situazione contingente: in dottrina le ipotesi di valore debbono prescindere da fattori giudicati eccezionali o difficilmente ripetibili, per asserire che esse si basano sui flussi di reddito “normali” attesi in futuro, sul valore “normale” dei cespiti e degli avviamenti commerciali, sulle transazioni simili e comparabili nel resto del mondo e sui multipli di valore espressi dai mercati finanziari. Ecco un piccolo esempio di fattori “eccezionali” che possono aver influito sul bilancio dell’anno in corso e dai quali bisognerebbe teoricamente prescindere:

FATTORI CORRETTIVI A CAUSA COVID

  • Problemi e ritardi dei fornitori costi legati alle possibili dispute
  • Ordini dei clienti cancellati e opportunità perdute con i medesimi
  • Chiusura o ridotta attività degli stabilimenti produttivi, dei punti vendita e dei servizi generali
  • Problemi con il personale derivanti dalla ridotta sicurezza, o da assenze per contagi
  • Costi aggiuntivi per i responsabili sicurezza, la sanificazione degli ambienti, le barriere sui luoghi di lavoro, i disinfettanti e i termometri obbligatori
  • Costi relativi alla transizione dei dipendenti al lavoro da remoto
  • Perdite economiche o riduzione dei margini derivanti dalla riduzione delle vendite
  • Aumento dell’indebitamento per coprire le esigenze di cassa che ne conseguono
  • Sbilancio patrimoniale derivante dalla minor copertura degli oneri finanziari

Come dire cioè che bisognerebbe prescindere dall’intera sequenza di disgrazie, ostacoli e costi derivanti dalla situazione che viviamo. Ma poi bisognerebbe anche prescindere dalla scarsissima “profondità” e liquidità del mercato delle compravendite aziendali che incide sulla quasi assente offerta di capitali, dal fatto che noi Italiani ci troviamo geograficamente posizionati in uno dei paesi più colpiti al mondo dalla recessione e dalla crisi delle finanze pubbliche. Poi dovremmo prescindere dal fatto che ne conseguono aspettative per il prossimo futuro tutt’altro che rosee, anche laddove la pandemia dovesse scomparire in fretta.


Bisognerebbe forse, ma nessuno può farlo. Innanzitutto perché quasi nessuna azienda è una multinazionale globale con mercati totalmente diversificati, con finanze sempre in ordine e con numerosissimi managers di grande livello che lottano per assicurare le performances. E, non essendolo, quasi ogni impresa dipende moltissimo dalla qualità delle (poche) persone che la conducono: se queste hanno sbagliato in precedenza, è possibile che sbaglieranno ancora. E poi nel 2020 molte tendenze di fondo hanno mostrato una notevole accelerazione, sbaragliando settori economici già in difficoltà e favorendone altri. Dunque alcuni settori mostrano valutazioni basate su multipli migliorati e altri viceversa.

IL 2021 NON SARÀ COME IL 2019

Ma il 2021 non sarà come il 2019 anche perché gli eventi eccezionali lasciano sempre solchi profondi, dei quali bisogna riuscire ad accorgersi e tenerne conto, soprattutto lavorando su quell’unico vero strumento che permette di asserire con un minimo di scientificità il valore prospettico: il piano industriale! E un vero piano industriale tiene conto di quello che -realisticamente- il management è in grado di realizzare, tenendo conto della statistica, delle analisi di mercato, delle tendenze dei costi e delle reazioni della concorrenza.

Per molte imprese italiane il 2021 ad esempio si prospetta assai più povero del 2019, come la crisi del 2009 ha lasciato uno strascico anche per gli anni successivi, ed è altrettanto possibile che problematico sarà anche il 2022: dunque adottare piani e valutazioni d’azienda con previsioni di un andamento aziendale per l’anno prossimo simile a quello del 2019 sembra letteralmente inappropriato, quantomeno nei settori industriali tradizionali e laddove le vendite dipendono di più dall’andamento dei consumi.

Ecco che ne emergono numerose conseguenze in termini di valore d’impresa: quelle più internazionali e che esportano maggiormente possono probabilmente vantare prospettive più solide di quelle che lavorano soltanto sul mercato interno. E dunque migliori valutazioni. Lo stesso vale per le più grandi e per quelle che possono beneficiare di maggior capitalizzazione.

Le perdite in conto economico subìte in molti casi nel 2020 hanno infatti ridotto drasticamente in taluni casi le dotazioni patrimoniali, aumentando la quota di debito e dunque i rischi di default. Dunque la capacità di generazione di cassa sarà la favorita tra tutte le variabili-chiave nella determinazione dei moltiplicatori del reddito e così pure il metodo dei flussi di cassa attesi sarà da privilegiare rispetto ad altri criteri.

MA BISOGNA TENER CONTO DEL CALO DEI TASSI DI INTERESSE

Ma l’anno in corso ha visto accentuata la discesa dei tassi di interesse nominali e il crollo letterale di quelli reali (se, come sembra, un po’ d’inflazione è destinata a risvegliarsi). Questo fa sì che i moltiplicatori del valore (che sono l’inverso dei tassi d’interesse ai quali si scontano i flussi futuri attesi) dovranno tenerne conto e crescere per questo motivo. Ovviamente soprattutto per le imprese di maggiori dimensioni, mentre questo fattore sarà meno importante per le imprese più piccole, dove i fattori di rischio sono prevalenti.

Quindi un’altra cosa che sta cambiando è l’accentuarsi della differenza di valori tra imprese di dimensioni diverse: le maggiori sembrano destinate a guadagnare terreno rispetto alle minori e quelle quotate in borsa rispetto a quelle non quotate, perché beneficeranno maggiormente delle scarse alternative fornite dal reddito fisso all’investimento del risparmio gestito.

“Come si può dedurre dal grafico qui riportato, la quotazione in borsa assicura più elevati moltiplicatori di valore, oltre che visibilità e “liquidità” all’investimento azionario…” chi rileva il controllo di un’impresa quotata (soprattutto se non è costretto a lanciare un’Offerta Pubblica di Acquisto) può contare su una pluralità di alternative qualora dovesse ripensarci e rivenderla. La rarefazione delle compravendite aziendali dovuta alla pandemia genera invece la richiesta di un maggior “premio per l’illiquidità” dell’investimento, e un accresciuto divario tra imprese quotate e non quotate.


Infine una ulteriore nota sull’indebitamento : la pioggia di aiuti e garanzie derivata alle imprese di ogni dimensione dalla pandemia ha reso disponibile negli ultimi mesi della liquidità aggiuntiva anche a quelle che viceversa non avrebbero facilmente ottenuto del credito.

E SE LE FONTI DI FINANZIAMENTO SI INARIDISSERO A CAUSA DELLA RECESSIONE?

Ma le stagioni -anche quelle del credito- si alternano e la “bonanza” non durerà in eterno. Anzi: non è difficile pronosticare nuove difficoltà per il sistema creditizio derivante da una nuova ondata di insolvenze dopo la recessione. Così come non è difficile prevedere che le risorse a titolo di debito che saranno necessarie alle imprese che vogliono tornare a crescere e investire potranno essere più scarse dopo l’attuale congiuntura.


Di queste e di altre “diversità” rispetto al 2019 bisognerà tenere conto nei piani industriali e nelle prospettive che questi delineano: le imprese più capaci di generare cassa o anche soltanto di attingere risorse dal mercato dei capitali incontreranno minori limitazioni al riespandersi del capitale circolante netto, all’esigenza di rinnovo degli investimenti produttivi e alla necessità di espansione internazionale. E le loro valutazioni dovranno rispecchiare tali caratteristiche.

Un interessante rapporto del Cerved calcola che con la crisi pandemica le imprese italiane potrebbero perdere 47 miliardi di euro di capitale, di cui 10 miliardi a causa dei default e altri 37 miliardi a causa della riduzione dei ricavi. Anzi. In uno scenario macroeconomico di previsione severo, questo valore potrebbe crescere fino a 68 miliardi (di cui 19 miliardi a causa di default e 50 miliardi a causa della riduzione di scala).


In definitiva con gli eventi eccezionali dell’anno in corso e con le variate prospettive che ne discendono è divenuto assai più arduo, più complesso, più delicato e meno verificabile il giudizio di valore che un esperto può attestare.

OGNI IMPRESA DEVE PIANIFICARE ATTIVAMENTE IL SUO FUTURO, E ANCOR PIÙ IL SUO VALORE

Ma le stesse considerazioni devono soprattutto orientare gli imprenditori, dal momento che -se vogliono chiamarsi tali e non bottegai, giocatori di poker o commercianti improvvisati- essi devono lavorare al loro piano industriale e alla gestione attiva del valore d’azienda che ne può conseguire onde cercare di costruire tutti i giorni (o almeno evitare di erodere) il valore dell’impresa in cui credono e hanno riversato risorse ed impegno.


L’indeterminatezza degli scenari economici impone di non abbassare la guardia, anzi! Di iniziare ad utilizzare strumenti e metodologie che in passato si adattavano soltanto alle grandi multinazionali, perché la caduta delle barriere geografiche, informative e tecnologiche ha portato la globalizzazione a livelli esasperati. E ha innalzato conseguentemente tanto le opportunità quanto le minacce.

Stefano di Tommaso