SI RIVEDE L’INFLAZIONE?

La decisione della nuova amministrazione Biden negli Stati Uniti d’America di sparare immediatamente quasi tutte le proprie munizioni in termini di stimolo ai consumi: 750 miliardi di dollari erogati non a rate bensì tutti insieme alla popolazione dovrebbe, nell’intenzione di chi guida Biden sul fronte dell’economia, rilanciare il prodotto interno lordo e la fiducia dei cittadini. Il punto però è che adesso i mercati finanziari temono un’inflazione al 3% entro la fine dell’anno e, di conseguenza, i tassi d’interesse stanno tornando a salire. E se con i tassi salirà anche il costo del debito pubblico, la frittata sarà servita.

 

I MERCATI INIZIANO A TEMERE IL PEGGIO

Nel grafico di copertina si vede infatti la decisa correlazione, nei decenni, tra l’offerta di moneta (linea più scura) in America e l’andamento conseguente dell’inflazione, che ha seguito sempre di qualche tempo la prima, salvo che nell’ultimo quadriennio, anche grazie ad un limitato dosaggio degli stimoli monetari e al coordinamento di questi ultimi con le altre politiche economiche.

L’amministrazione di matrice repubblicana era insomma riuscita a limitare l’impatto in termini di inflazione degli stimoli fiscali all’economia, abbassando la tassazione più che incrementando la spesa pubblica. Il programma del nuovo titolare della Casa Bianca tende a rovesciare tale equazione, incrementando fortemente (e molto improvvisamente) tanto la spesa pubblica quanto l’offerta di moneta.

Ma la manovra rischia di essere maldestra -soprattutto per l’avventatezza- non soltanto poiché di norma, se i tassi salgono, i corsi dei titoli scendono, dal momento che si suppone che il loro rendimento diventi inadeguato all’accresciuta esigenza del mercato di remunerare il denaro (le quotazioni Wall Street nelle ultime sedute sono scese e gli uffici studi sono adesso all’opera per riuscire a prefigurare come cambieranno di conseguenza gli scenari economici), ma anche perché la misura di tale intervento è stata giudicata eccessiva dagli analisti.

IL CONTRASTO CON LE POLITICHE MONETARIE

Per di più la banca centrale americana aveva appena ripetuto fino alla noia la sua volontà di non far crescere la parte dei tassi d’interesse che essa può controllare meglio (cioè quelli a breve termine) ottenendo come risultato una forte crescita delle quotazioni di borsa. Ora farà molta fatica a fare marcia indietro generando un’aspettativa diffusa di tassi d’interesse reali (cioè al netto dell’inflazione) negativi: un elemento assai poco attraente per gli investitori.

Ma soprattutto si è generata una circostanza in grado di far crescere il costo del denaro per il tesoro americano, dal momento che le emissioni programmate di titoli di quest’ultimo erano in prevalenza a lungo termine. Per tenere fede alla propria “forward guidance” la Federal Reserve sperava di centellinare l’immissione di nuova liquidità scaglionandola nel tempo senza risvegliare l’inflazione. Adesso, per assecondare le esigenze dell’amministrazione Biden, dovrà rivedere la sua posizione.

Insomma se l’idillio tra il nuovo presidente degli Stati Uniti d’america e i mercati si vede dai suoi primi passi, allora non ci siamo proprio! E non è detto che la minore attrattiva degli investimenti in Dollari comporti necessariamente una discesa del cambio del biglietto verde (cosa che farebbe comodo alle esportazioni americane).

LA CATENA DI TRASMISSIONE ALL’ESTERO

Perchè non è detto che il Dollaro si svaluti? Intanto i tassi americani -seppur nominali- sono cresciuti più rapidamente di quelli asiatici ed europei e questo ha temporaneamente rafforzato le quotazioni del biglietto verde. Poi non è escluso che il movimento al rialzo dei tassi d’interesse non riguardi anche gli altri mercati finanziari, con il risultato che -almeno l’Europa- potrebbe cadere in una trappola perfetta chiamata “stagflazione”: si troverebbe cioè con un’economia ancora in recessione e al contempo con il problema di una fiammata inflazionistica che nasce oltreoceano ma che può propagarsi molto in fretta a causa del fatto che i prezzi di buona parte di commodities, materie prime, derrate alimentari e idrocarburi sono denominati sempre in dollari.

Se ci aggiungiamo che anche altrove nel mondo le banche centrali stanno programmando nuovi e più corposi interventi monetari, quantomeno per supportare le emissioni dei debiti pubblici dei rispettivi governi, ecco che lo sgradevole olezzo della svalutazione monetaria prende sempre più corpo nell’intero pianeta e che -del pari- tornano a volare le quotazioni dei beni rifugio, a partire da quelle monete elettroniche che non è possibile inflazionare, come il Bitcoin.

E DI WELFARE CI SARÀ ANCORA BISOGNO

La forte crescita dei debiti pubblici e il conseguente rialzo del costo del denaro rischia di essere un bel problema da gestire, tenendo conto del fatto che i nuovi lockdown provocati in giro per il pianeta dalla terza ondata pandemica stanno lasciando sul tappeto molti milioni di posti di lavoro e che dunque c’è una rinnovata esigenza di politiche di “welfare” (sussidi pubblici) per le vittime. Se (come è probabile) i consumi non torneranno a correre, dovranno essere effettuati forti investimenti pubblici per poter evitare una nuova e più pesante recessione. I nuovi interventi pubblici saranno peraltro tutti rigorosamente in deficit, e per alimentare il debito che li finanzia la giostra delle banche centrali non potrà certo fermarsi.

Ecco che la rosea prospettiva di “monetizzare” i debiti pubblici con un lungo periodo di tassi bassi e inflazione sotto controllo rischia oggi di svanire così rapidamente che nessuno, al momento, è in grado di individuare efficaci correttivi che non passino da importantissimi interventi pubblici e investimenti infrastrutturali. Una leva quest’ultima che sino ad oggi, e per motivi incomprensibili ai più, i governi occidentali si sono rifiutati di azionare. Una leva che non è così importante nemmeno nel programma economico dei democratici americani.

LE BORSE POTREBBERO TEMERE IL PEGGIO

La nuova amministrazione americana a trazione democratica sperava quindi sì in una ripresa dei consumi, ma non si era preoccupata troppo del possibile caos che deriverebbe dal dover tenere a bada i nuovi focolai d’inflazione attraverso la forzosa riduzione degli interventi monetari e fiscali. Se tale scenario dovesse materializzarsi le borse andrebbero a picco e sarebbe difficile dare la colpa a qualcun altro.

Negli USA (ma in misura crescente anche altrove nel mondo oramai) i risparmi della gente -anche quando sono poca cosa- sono investiti prevalentemente in azioni e obbligazioni quotate in borsa e dunque il tenore di vita di chi li detiene o di chi ha programmato su quella base il proprio ritiro dalla vita lavorativa, risente delle loro oscillazioni di prezzo. Una feroce decurtazione dei valori dei titoli non verrebbe vissuta affatto bene da buona parte del ceto medio, che ha aiutato non poco a far eleggere il presidente in carica ma ne sarebbe la prima vittima.

LE POSSIBILI CONSEGUENZE A CASA NOSTRA

Per assurdo chi potrebbe sortire dalla svalutazione monetaria meno danni potrebbero essere proprio quelle economie meno forti e meno sviluppate finanziariamente come la nostra, dal momento che potrebbero cogliere l’occasione per recuperare competitività nelle esportazioni. Per un ventennio sino ad oggi l’Italia ha sofferto ferocemente dell’austerità monetaria di fatto imposta dall’Unione Europea. Se dunque l’inflazione arrivasse a lambire anche le nostre sponde teoricamente l’Italia ne sarebbe anche l’economia meno danneggiata.

Ma ricordiamoci anche che abbiamo giurato fedeltà alla moneta unica. Dunque la conseguenza per noi di uno scenario inflattivo rischia di essere quella di una nuova fuga dei capitali verso l’estero, e l’effetto netto di impoverimento del Paese con ulteriori tagli agli investimenti sarebbe di fatto devastante. La morale è purtroppo sempre la stessa: quando gli elefanti litigano sono le formiche quelle che rischiano di dolersene!

Stefano di Tommaso




INCUBI PER LE IMPRESE

Molti analisti, operatori economici ed economisti si sono sperticati in previsioni economiche assai roseee per il 2021, innanzitutto perché si prevede un rimbalzo rispetto alla pesante recessione di origine pandemica del 2020, e poi per effetto degli incentivi a pioggia che dovrebbero arrivare tanto dalle prime erogazioni del Recovery Fund, quanto dalla disponibilità di liquidi ne le banche centrali hanno messo a disposizione del sistema bancario. Ma ci sono anche molti motivi di preoccupazione per l’anno appena iniziato, che potrebbero guastare la festa, soprattutto alle imprese italiane.

 

La mancanza di chiara politica industriale e fiscale infatti, nonché l’assenza di strategie e di azioni concrete del governo (ancora) in carica vengono a coincidere con una serie di accadimenti e congiunture negative per le imprese del Bel Paese, che fanno temere tempeste finanziarie e tributarie nel corso dell’anno appena iniziato. Il 2021 potrebbe addirittura venire ricordato in futuro come l’anno delle persecuzioni e ai danni delle imprese italiane! Vediamone i motivi.

INNANZITUTTO LE PERDITE ECONOMICHE

Molte imprese che nel corso dell’ultimo anno non hanno potuto operare regolarmente per blocchi operativi, restrizioni ministeriali e limitazioni imposte al personale e ai collaboratori hanno indubbiamente segnato una perdita economica o una forte riduzione dei margini operativi. Nel primo caso essa non può che riverberarsi nel livello di patrimonializzazione e dunque di solidità delle imprese colpite, riducendone tanto la solidità quanto il merito creditizio. La mancanza infatti di provvedimenti normativi che limitano gli obblighi previsti dal codice civile per le imprese e gli imprenditori in caso di riduzione della propria capitalizzazione può generare un circolo vizioso tale da ridurre al tappeto le numerosissime piccole e medie imprese nazionali. Ma nel secondo caso anche solo la riduzione dei margini può comportare quasi automaticamente una pericolosa riduzione della capacità di credito, che cancella per molte imprese le agevolazioni previste nel Decreto Liquidità.

MA LA TEMPISTICA È DETTATA DALLE MORATORIE

Non appena saranno scadute le moratorie creditizie introdotte nel 2020 per evitare l’insolvenza di molte aziende, per i malcapitati imprenditori, artigiani e commercianti che hanno subìto i danni del Lockdown rischia di aprirsi un tunnel dell’orrore. Essi dovranno tornare ad adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni di pagamento delle rate e degli interessi proprio quando avranno più bisogno di quel denaro per ripartire.

E non potranno che rispondere con il proprio patrimonio personale una volta esaurito quello aziendale proprio mentre entra in vigore una normativa molto più stringente circa la puntualità degli adempimenti di pagamento, con il rischio di venire classificati in massa come soggetti a rischio, dunque non meritevoli di nuovo credito. Per quanto perciò nel 2020 le rate bancarie siano state riscadenziate, bisogna tener conto del fatto che l’orizzonte temporale concesso (metà 2021 nella maggioranza dei casi) non è tale da permettere di programmare significativi correttivi ai danni subìti dall’obbligo di chiusura o da quello di restrizioni agli orari e agli spostamenti di personale e clientela.

Insomma ai problemi patrimoniali e a quelli derivanti dal mancato pagamento delle ingenti imposte (insieme a tasse, tributi, contributi, addizionali e sanzioni di ogni sorta) si sommeranno quelli finanziari, derivanti non tanto da una situazione generale di sotto-capitalizzazione e scarsa disponibilità di credito già conclamata dal 2019, bensì da una precisa normativa europea, che va a tutela degli intermediari del credito con una maggiormrigidità nella lettura delle anomalie bancarie, entrata in vigore con l’inizio del nuovo anno.

ED È SIGNIFICATIVO L’APPROCCIO ALLE CARTELLE ESATTORIALI

Ma un problema ben più importante di quello degli obblighi di legge civile imposti agli imprenditori che hanno subìto perdite e decurtazioni patrimoniali, è il possibile contenzioso erariale che si svilupperà nel corso dell’anno, circa il quale a tutt’oggi non solo non sono state previste agevolazioni o ulteriori moratorie, ma si è addirittura lasciato che partano con il nuovo anno alcune decine di milioni di cartelle esattoriali, ognuna di esse maggiorata di pesanti sanzioni, penali e oneri di notifica.

Sebbene sia molto probabile che, in assenza di interventi dell’ultima ora, ben poche di esse verranno onorate, il solo fatto dell’iscrizione a ruolo dei relativi debiti costituirà un danno sicuro alla capacità economica e patrimoniale di decine di milioni di imprenditori e “partite iva” che ne risulteranno vittime. Insomma un fiasco per chiunque: creditori e debitori.

L’ONDA LUNGA DELLA DISOCCUPAZIONE

Per chi volesse tuttavia indignarsi davvero bisogna tenere presente che per gli l’intera economia nazionale non si limita a tutto questo. L’incubo del nuovo anno infatti prosegue con l’avvio verso la conclusione del periodo di Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) che era stata decretata contemporaneamente al blocco dei licenziamenti, anch’esso in scadenza nel corso del nuovo anno.

Se l’intervento combinato appena citato è apparso assai opportuno nel 2020, non sarà però affatto semplice per nessuno gestire la transizione di quei disoccupati di fatto verso una nuova occupazione. Assisteremo piuttosto all’arrivo di una “nuova normalità”, nella quale è assolutamente evidente che molti dei licenziamenti rinviati d’ufficio nell’anno precedente verranno effettuati, a fronte dei quali l’intero Paese dovrebbe preoccuparsi di fornire risposte e contromisure adeguate a salvaguardare il sostegno ai ceti sociali più deboli e per contrastare i quali non sembra sia ancora chiaro alcunché.

Si può inoltre prevedere facilmente tanto un conseguente ulteriore calo dei consumi quanto un notevole strascico di contenziosi che seguirà ai licenziamenti, anche perché la valutazione dell’effettiva necessità degli stessi sarà tutt’altro che semplice, con il rischio di ulteriori ingolfamenti della macchina giudiziaria.

LA MANCATA PROGRAMMAZIONE

L’anno appena iniziato sembra insomma non soltanto l’anno della possibile ripresa, ma anche un anno assai denso di difficoltà pratiche per chiunque. Difficoltà che derivano dall’aver allegramente rinviato una parte dei problemi dell’economia nazionale, per buona parte basata su settori come il turismo, la ristorazione, il commercio al piccolo,dettaglio, l’artigianato ed i beni voluttuari, tutti pesantemente colpiti dalla pandemia.

Se il governo avesse voluto prevedere adeguate contromisure ai danni della pandemia avrebbe dovuto prevedere anche numerose politiche attive di sviluppo dell’occupazione e degli investimenti infrastrutturali, onde aiutare l’economia di mezza Italia ad orientarsi a nuove e diverse attività. E avrebbe già dovuto farlo, prima di arrivare a “rovinare la festa” di un possibile rimbalzo economico che peraltro si inizia a comprendere che arriverà quantomeno in ritardo, a causa della terza ondata che spaventa di nuovo tutti e riduce fortemente le aspettative di chi avrebbe potuto tornare a investire e creare nuova occupazione.

Stefano di Tommaso




L’INEVITABILE CORSA DELLE MATERIE PRIME

Lo si è già visto con il petrolio, arrivato oggi ai massimi dall’ultimo anno, tanto a causa della ripresa della domanda asiatica quanto per una serie di altri fattori macroeconomici (dal dollaro debole all’eccesso di liquidità che ha investito i mercati e che rinforza il timore di una perdita del potere acquisto del Dollaro e delle altre altre grandi divise monetarie). Ma il fenomeno è appena iniziato ed è comunque più generale: tutte le materie prime e le principali derrate alimentari sembrano soltanto all’esordio di un processo di progressivo rincaro. Perché?

 

PETROLIO E GAS


Se guardiamo soltanto il petrolio e il gas (cioè le materie prime storicamente più importanti per produrre energia e calore) uno “strappo al rialzo” c’è già stato e il motivo principale sembra essere quello della riduzione dell’offerta sul mercato: i grandi estrattori hanno da un lato imposto a sé stessi degli importanti contenimenti delle quote di produzione e dall’altro ridotto pesantemente gli investimenti di estrazione ed efficientamento degli impianti esistenti, riuscendo finalmente alla fine a far crescere il prezzo dell’oro nero oltre la soglia psicologica dei 50 dollari al barile.

Più che i cartelli oligopolistici (è comunque importante la recente notizia dell’inaspettata riduzione dell’estrazione i petrolio pari a un milione di barili al giorno nella sola Arabia Saudita) hanno potuto però probabilmente le aspettative: tutti sanno oggi che l’offerta di petrolio e gas non potrà espandersi molto quando la domanda globale dovesse tornare alla “normalità”, sebbene non sia chiaro esattamente come definirla, dal momento che -grazie a Dio- resta in atto la transizione globale verso l’utilizzo di energie da fonti rinnovabili e la necessità di contenere le emissioni di gas-serra.

Un fenomeno che limita anche la domanda di energia “sporca” e che in passato si era tuttavia bilanciato con la crescita costante delle necessità energetiche globali, mentre poi, con la recessione economica seguita al diffondersi della pandemia, ha prevalso, portando il prezzo del petrolio ai minimi di sempre.

Il bando ai nuovi investimenti in impianti petroliferi però non potrà durare in eterno, perché buona parte degli ammodernamenti delle strutture di estrazione e raffinazione devono ugualmente essere effettuati per loro naturale consunzione, e a nessuno conviene farlo utilizzando tecnologie vecchie che non migliorano l’efficienza (mentre quelle nuove non fanno che abbassarne inevitabilmente il costo di produzione).

Il risultato del rallentamento (sebbene non del blocco) degli investimenti di rinnovo nel comparto energetico è dunque soltanto temporale: se la ripresa dei trasporti e dei consumi energetici tardasse a svilupparsi più di quanto si possano ritardare gli investimenti, allora le quotazioni di petrolio e gas resterebbero ugualmente basse. Anche perché prosegue la scoperta di nuovi giacimenti nel mondo e dunque l’offerta di idrocarburi rischia -nel tempo- di espandersi ugualmente più della domanda.

I FATTORI MACROECONOMICI

A dare una mano santa alle quotazioni però dicevamo che congiurano soprattutto le variabili macroeconomiche :

  • innanzitutto le aspettative di una ripresa economica imminente, conseguente al contrasto alla pandemia operato dai vaccini,
  • anche l’incremento degli investimenti infrastrutturali (visti anch’essi come stimolo alle economia occidentali depresse), cosa comporta un’inevitabile domanda aggiuntiva di materie prime ed energia,
  • anche i tassi di interesse che tutti si aspettano che resteranno ancora a lungo a zero rendono conveniente lo stoccaggio di petrolio e gas (mentre in passato ciò aveva un costo non banale),
  • c’è poi la consapevolezza della perdita di terreno progressiva nel tempo futuro del potere d’acquisto delle riserve di liquidità a causa dell’eccesso di base monetaria in circolo. Quest’ultima viene creata artificialmente dalle banche centrali per sostenere l’ulteriore indebitamento dei loro governi e, sebbene ancora non si sviluppi in un rincaro dei prezzi al consumo (che sono contenuti dall’ampliamento e dall’efficienza della produzione), porta gli investitori a drizzare le antenne;
  • Infine la denominazione dei prezzi di tutte le principali materie prime in dollari americani aiuta a vederci un rincaro anche quando quest’ultimo è fittizio: il dollaro infatti si sta svalutando anche nei confronti delle altre principali divise di conto monetario, e l’attesa degli analisti è che continuerà a farlo.

IL CONTRIBUTO DELLA SPECULAZIONE


Tutti questi elementi stanno rendendo comunque interessante per chi deve investire (il quale molto spesso ragiona in dollari americani) l’acquisto speculativo delle materie prime per detenerne abbondanti riserve, in attesa di una crescita dei loro prezzi. La popolazione mondiale è comunque in espansione e dunque -pandemia o meno- l’economia globale tornerà inevitabilmente a crescere già solo per motivi demografici. Questa popolazione aggiuntiva dovrà inevitabilmente mangiare e muoversi, contribuendo così all’allargamento della domanda di materie prime ed energia. E la produzione di beni di prima necessità, ortaggi, frutta, carne e derrate alimentari in genere non può crescere altrettanto.

Ovviamente, quando si parla di acquisti speculativi, una domanda sorge d’obbligo: quanto durerà il fenomeno? Nessuna speculazione può proseguire in eterno! La risposta ovviamente non è semplice. Vediamone i fattori che possono aiutare a fornirla:

COSA SPINGE DOMANDA E OFFERTA

  • la velocità di ripresa dell’economia globale, dei viaggi e dei trasporti, nonché dei consumi inciderà ovviamente non poco, anche se al momento è difficile fare previsioni chiare in proposito. Taluni consumi potrebbero non tornare mai più ai livelli del passato,
  • La transizione “verde” e salutistica ovviamente aiuta a contenere la domanda di gas e petrolio, ma non soltanto: essa spinge anche la riduzione dei consumi di carne animale (gli allevamenti sono fortemente energivori) e addirittura di talune derrate alimentari, motivo per cui in presenza di tali fattori difficilmente i prezzi potranno subire forti impennate,
  • l’incremento del riciclo dei rifiuti nel mondo comporta inevitabilmente una riduzione progressiva della domanda di materie prime “vergini” e dunque un fattore strutturale di calmieramento della domanda,
  • i cartelli che limitano l’offerta di petrolio e gas trovano terreno solido in occidente a causa della contrazione della popolazione del vecchio continente, ma alimentano il traffico parallelo di forniture energetiche “sottobanco” ai paesi emergenti, e comunque hanno anch’essi una valenza limitata nel tempo, dunque il loro ruolo è più orientato alla stabilizzazione dei prezzi che non all’effettivo incremento,
  • l’utilizzo di petrolio e gas per finalità differenti dalla loro combustione (che spesso riguardano la chimica industriale) è oggi assai limitato e non sembra destinato a crescere fortemente, mentre la necessità di ridurre le emissioni nocive e quella di utilizzare minori componenti di origine chimica comporta inevitabili riduzioni della domanda.

Morale: per quanto i prezzi delle materie prime siano in crescita, i fattori di calmieramento sopra indicati ci raccontano che non potranno esserlo per sempre e che non ci si aspetta che possano “strappare” troppo al rialzo.

Ma ovviamente queste sono aspettative razionali, non sempre sufficienti a prevedere il futuro con ragionevole certezza! Guerre, carestie, altre pandemie e disastri naturali di ogni tipo potrebbero congiurare a favore di ulteriori rincari, mentre ben pochi fattori sembrano destinati a far crollare nel tempo i prezzi di energia, materie prime e derrate alimentari.

Ragione per cui, seppur con la necessaria moderazione, gli operatori del settore restano piuttosto ottimisti al riguardo. Il pianeta continua a girare e la vita va avanti: le risorse naturali restano un bene primario che nessuno potrà ignorare e che pertanto è probabile che si rivaluteranno man mano che scende il valore intrinseco delle divise di conto in cui sono denominati i loro prezzi.

Stefano di Tommaso




LA BOLLA

SP500, I.P.O., SPACs, REITS (fondi immobiliari), Bitcoin… Nei primi giorni dell’anno 2021 tutti i principali indici finanziari sembrano essere gonfiati da una gigantesca bolla speculativa ! È davvero così? (e quindi la bolla scoppierà presto travolgendo i mercati)? O ci sono motivi validi per sostenere l’attuale folle corsa dei valori finanziari?

 

L’ANNUS HORRIBILIS

Il 2021 è l’anno che segue a quello bisesto e “horribilis” in cui sono morti molti milioni di anziani e soggetti malandati, un anno in cui i fallimenti delle piccole e medie imprese si sono decuplicati, i debiti pubblici sono schizzati verso il cielo e la disoccupazione è cresciuta a dismisura, pur temporaneamente soffocata sotto una coltre di rinvii con i quali i nostri governi sperano di attutire l’impatto devastante della maggiore recessione economica dal dopoguerra (cioè 3/4 di secolo fa) ad oggi. E’ anche l’anno in cui le banche centrali si sono sbracciate a inondare i mercati di liquidità e quello in cui sono arrivati alla velocità della luce i primi vaccini che, come si sa, costituiscono un grosso business per tutto il settore farmaceutico e medicale.

Ciò nonostante nel 2020 non sono stati soltanto i listini delle principali borse del mondo a crescere oltre misura. I veri campanelli d’allarme di una possibile bolla speculativa sono soprattutto il boom dei contratti derivati (come le opzioni), l’eccessiva valutazione delle matricole di borsa, il fiorire di strumenti finanziari speculativi, la nuova moda delle “special purpose acquisition companies” (o SPAC) e l’ascesa a nuovi massimi dell’Aethereum e del Bitcoin (le cosiddette “criptovalute”.


È STATO L’ANNO DEGLI STIMOLI MONETARI…

È vero, si dirà, ci sono stati gli stimoli monetari delle banche centrali a farla da padroni e a far piovere sui mercati finanziari così tanta liquidità da non sapere più dove impiegare (si veda il grafico qui sotto). Ma la scarsa velocità della circolazione della moneta, il de-moltiplicatore del credito e l’accresciuta propensione al risparmio dei cittadini (preoccupati e disorientati) hanno però fatto sì che la nuova liquidità non abbia -per il momento- fatto crescere l’inflazione.


…E QUELLO DELLA (RI)CRESCITA DEI MERCATI FINANZIARI

E ciò indubbiamente -insieme alla necessità dei gestori di patrimoni di fare “vetrina” con le performances di fine anno- ha favorito la levitazione dei mercati, ma siamo sicuri che l’immissione di liquidità delle banche centrali sia stata di per sé sufficiente a far toccare alle borse ogni possibile nuovo record?

Probabilmente no, non basta come unico motivo dei rialzi generalizzati (si veda il grafico qui sotto riportato riguardante l’indice mondiale delle azioni MSCI WORLD) altrimenti il primo prezzo ad andare alle stelle sarebbe stato quello dell’oro, la riserva di valore per eccellenza!


L’oro è indubbiamente salito di prezzo, ma soprattutto nella prima parte del 2020, e durante questa fine anno che ha battuto ogni record per i listini di borsa e gli altri strumenti nessuno è corso ad accaparrarselo svuotando il proprio conto corrente bancario! (si veda il grafico qui sotto riportato). Nelle ultime ore l’oro ha ripreso un po’ di slancio ma sembra più un rimbalzo dopo la caduta. Così come è lecito attendersi che l’attuale corsa delle quotazioni subisca nella sua strada qualche battuta d’arresto per motivi “tecnici”. È probabile altresì che una svalutazione delle principali divise di conto (a partire da Dollaro americano) ci sarà, ma nessuno sembra davvero preoccupato di ciò.

Dunque la radice della bolla speculativa non è soltanto quella dell’immissione di nuova liquidità: ci dev’essere necessariamente dell’altro, nonostante la crisi economica in corso, tra le più buie che la storia ricordi.

LA POLARIZZAZIONE DELLA RICCHEZZA

E questo altro motivo si chiama probabilmente ineguaglianza sociale o, meglio, “polarizzazione della ricchezza”: se i poveri sono più poveri allora i ricchi non soltanto beneficiano della liquidità in arrivo, ma diventano anche più ricchi a prescindere, e per due grandi motivi.

Il primo è la limitatezza della tassazione dei guadagni in conto capitale insieme a tutto quell’insieme di paradisi fiscali, bassissimi costi delle transazioni online e possibilità di circolazione globale della ricchezza senza più alcun confine, cosa che permette a chi ha molte disponibilità di cogliere il meglio che offrono i mercati finanziari di tutto il mondo senza dover sottostare ad alcuna barriera nazionale (che invece esiste eccome per l’industria e il commercio).

IL RILANCIO DELLE CRIPTOVALUTE


Campione di questo fenomeno è il Bitcoin la moneta digitale per eccellenza che (come altre criptovalute) assicura ai suoi detentori totale riservatezza e dunque opacità delle transazioni denominate in quella valuta. Forse anche per questo motivo è ascesa ai vertici delle categorie di investimento che si sono rivalutate maggiormente (si veda il grafico qui sotto riportato).

Il secondo ulteriore motivo per cui i ricchi sono diventati più ricchi e i mercati finanziari di conseguenza salgono e moltiplicano i loro volumi di compravendite è stata la creazione di valore che deriva dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Di questa stanno purtroppo però beneficiando quasi solo coloro che hanno grandi risorse, e hanno potuto investirci sopra in tempi non sospetti con strumenti come il private equity e il venture capital. Dal momento che il pianeta è sempre più fortemente dipendente dalle tecnologie, le società che le esprimono accrescono il loro valore intrinseco.

IL SUCCESSO DELLE TECNOLOGIE

Rientrano in quelle tecnologie non soltanto i nuovi software di intelligenza artificiale, la “nuvola” informatica (è noto ad esempio che Amazon guadagna soprattutto dalla sua AWS: amazon web service), l’intrattenimento domestico, i veicoli elettrici e a guida autonoma e la robotizzazione dell’industria, ma anche altri tipi di tecnologie, come i vaccini, i nuovi farmaci e sinanco gli agrifarmaci, senza i quali non potremmo sfamare il crescente numero di miliardi di esseri umani e di animali al loro servizio.

Ad esempio sono stati quasi solo i super-ricchi (e non soltanto Bill Gates) a investire nei vaccini e nell’industria farmaceutica. E ovviamente saranno quasi soltanto loro a beneficiare della vendita di miliardi di dosi in tutto il mondo. Come sono soprattutto gli investitori dei fondi di private equity e di venture capital (due segmenti ai quali i piccoli risparmiatori non accedono) a beneficiare degli apprezzamenti di valore delle aziende, le cui valutazioni sono ascese oltre ogni ragionevole prudenza (si veda il grafico qui riportato).


Dunque se i mercati sono saliti così tanto a fine 2020 non si deve soltanto a una bolla speculativa, sebbene tracce diffuse di quest’ultima sono assai evidenti: moltissimo “trading online” (il “fai da te” degli speculatori casalinghi che passano intere giornate davanti al computer a comperare e vendere) e la crescita fuori misura delle quotazioni di titoli estremamente speculativi come Tesla, NVIDIA o PayPal! È stato calcolato che al 30 Novembre scorso l’ammontare dei prestiti alla clientela che banche e intermediari americani hanno concesso per l’acquisto di titoli sul mercato (il cosiddetto “margin trading”) abbia toccato la cifra record di 722 miliardi di Dollari! Rivalutazioni di oltre il 700% in un anno di titoli come Tesla rivelano ben più che ottime prospettive per la più grande fabbrica di veicoli elettrici: indicano una “febbre” speculativa molto pericolosa!

Se infatti le società quotate a Wall Street hanno quasi raggiunto una valutazione media di quasi 30 volte gli utili attesi e di quasi tre volte il loro fatturato (si veda il grafico di Bloomberg qui sotto riportato che compara le valutazioni medie dell’indice americano per eccellenza al,fatturato medio e agli utili medi attesi) sono soprattutto gli investitori professionali coloro che ne hanno massimamente tratto beneficio.


Ma ovviamente sono proprio le valutazioni eccessive ciò che ci ricorda che la componente speculativa rischia oggi di prevalere sulle altre componenti del rialzo visto a fine anno. Con il rischio che, dopo la fase di avidità ed entusiasmo da parte degli ultimi arrivati a comperare a questi prezzi, subentri quella dell’angoscia e della disperazione con lo “scoppio” della bolla

Non per niente la volatilità dei corsi del 2020 è stata molto più alta di quella storica, e ci sono buone motivazioni per ritenere che non si sia placata del tutto (si veda il tratto relativo al 2020 nel grafico qui riportato che riguarda l’indice di volatilità più noto: l’indice VIX della borsa di Chicago).


Anche perché le notizie sul fronte della pandemia sono terribili! Il ritmo di contagio della nuova variante “inglese” del COVID sta crescendo oltre misura e questa notizia (qui sotto il grafico che riguarda i nuovi contagi nel Regno Unito), di per sé, può innescare una nuova ondata di vendite che, nelle ultime ore, sembra essere già cominciata!


Stefano di Tommaso