VIZI PRIVATI NELLE PUBBLICHE VIRTÙ


La notizia è da far rabbrividire: l’Istituto di Finanza Internazionale (l’associazione mondiale delle maggiori banche commerciali, diretta emanazione dei grandi poteri che governano l’economia globale) ha annunciato che il debito globale (privato più pubblico) alla fine di questo catastrofico anno arriverà a sfiorare i 280 trilioni di dollari (250mila miliardi di euro), cioè ben oltre le quattro volte (432%) il prodotto mondiale lordo.
DEBITI CHE NESSUNO RIMBORSERÀ
Ovviamente tutti si chiedono se mai una tal mole di debiti verrà rimborsata, ben sapendo che i debiti pubblici sono principalmente effetto dei disavanzi correnti e che pertanto l’unica speranza (almeno per questi ultimi) è che vengano in buona parte “monetizzati” cioè acquistati dalle stesse banche centrali che battono moneta, annacquando il valore intrinseco di quest’ultima.
La prospettiva di per sé non può certo lasciare tranquilli i piccoli risparmiatori, i quali sanno bene che, prima o poi, in un modo o nell’altro, saranno loro a pagare il conto della grande abbuffata.
LA GRANDE ABBUFFATA
Ma ancora peggiore rischia di risultare la “risposta coordinata” che il “World Economic Forum” (cioè il congresso globale dell’Economia: un’altra emanazione dei poteri forti che tengo oggi in pugno i destini dell’umanità) vorrebbe cercare di imporre alla politica e alle istituzioni, vale a dire: il “Great Reset” (che potremmo tradurre come la “grande ripartenza” o il “grande ripristino”).
Cosa potrebbe significare questa grande ripartenza è facile intuirlo: dal momento che l’economia mondiale ha subìto uno choc paragonabile a quello dell’ultima guerra mondiale e che per uscirne servono molti quattrini (leggi: altri debiti pubblici), il World Economic Forum si propone di “orientare” tale piano globale per la ripresa economica nella direzione più lucrosa per i suoi ispiratori.
La “roadmap per la ripresa” a parole dovrebbe ispirarsi ai migliori intenti possibili, quali il progresso economico dell’umanità, il controllo delle minacce per l’ambiente, nuove infrastrutture pubbliche e il decollo della digitalizzazione del mondo. Nei fatti tutti restano pronti a mettere sopra le mani a un bel pacchetto di miliardi (ad esempio quelli del mitologico “recovery fund” europeo) che, ancora una volta, pagherà Pantalone (leggasi: gli stati nazionali i quali a loro volta ruberannomrisorse ai risparmiatori delle generazioni future), per fare affari d’oro in occasione della nuova “grande abbuffata”.
Ecco ad esempio cosa si aspettano per il 2021 i grandi gestori dei patrimoni:
È proprio così che bisogna denominare questo “great reset” : “grande abbuffata” se si vuol dare un nome realistico al florilegio di buoni intenti che ammanta i grandi interessi che si scatenano al riguardo. Intendiamoci: qualcosa il mondo dovrà pur fare, lo sappiamo. Restare a guardare la devastazione economica (e sociale) che ha lasciato questa infezione da supervirus sarebbe anche peggio, ma garanzie di effettivo allineamento degli interessi superiori dell’umanità a quelli delle grandi famiglie che governano la finanza globale non ce ne sono! Anzi!
I GRANDI INTERESSI DIETRO AGLI INTERVENTI PUBBLICI
Il rischio concreto che si intravede è infatti quello di un rinnovato interventismo statale nell’economia di prossimi anni, dietro al quale non potranno non celarsi squallidi interessi di parte. Ne vogliamo un esempio? Si pensi alle priorità che si stanno esaminando per l’utilizzo in Italia del denaro che dovrebbe provenire dal recovery fund:
Leggete bene: ben 550 miliardi per la “ripresa e resilienza dell’economia” (qualcuno può tradurre?) e soli 9,4 miliardi per il “programma europeo per la sanità” (aiuto! cos’è?). E da questo punto di vista, intendiamoci, tutto il mondo è paese! Dietro ai grandi incentivi per le energie da fonte rinnovabile si celano strabilianti “fregature” come quella dell’attuale bolletta elettrica per il cittadino medio: 150 euro di cui 50 per consumi elettrici e 100 euro per “altri oneri”! Chi ha guadagnato con i meravigliosi incentivi per i campi fotovoltaici (che oggi sono già in buona parte esauriti)? La famiglia dell’operaio o del piccolo commerciante? Niente affatto.
Il rischio insomma è che dietro al nuovo interventismo nell’economia ci siano importanti interessi di parte e che ci si possa allontanare sempre di più dal rispetto per la democrazia economica, per la parità delle regole del gioco, per il risparmio privato e -in definitiva- dal rispetto per il diritto all’autodeterminazione dell’individuo.
IL MONDO NON HA BISOGNO DEL “GREAT RESET”
La maggioranza delle imprese del settore privato è già al lavoro per adeguarsi ad un futuro che sembra comunque orientato alla più avanzata digitalizzazione, allo sviluppo delle nuove tecnologie e agli investimenti per migliorare l’efficienza. Il settore pubblico dovrebbe occuparsi di più della previdenza sociale, della sanità e della sicurezza dei cittadini, possibilmente sgravandoli dei mille oneri che oggi sono a carico di chi si ostina a tenere in piedi la propria impresa, anzi favorendone la crescita, l’internazionalizzazione e la formazione di chi ci lavora.
Una volta insomma erano i grandi capitalisti a chiedere un mercato più libero dagli interessi della politica (che si proponeva finalità di sostegno alle classi più disagiate tassando la rendita finanziaria). Oggi siamo quasi all’opposto: soprattutto a casa nostra sono i lavoratori autonomi, i piccoli imprenditori e i micro-proprietari di immobili quelli più tassati mentre le grandi multinazionali sono libere invece di andare a pagare una piccolissima aliquota di tasse in qualche paradiso fiscale come l’irlanda del nord o l’olanda! Figuriamoci cosa significherà l’ulteriore debito pubblico per coloro che più facilmente sono presi di mira!
Stefano di Tommaso

A dirlo non è il primo improvvisato bensì addirittura Moody’s, la più nota tra le Agenzie di Rating internazionali. Le quotazioni borsistiche del settore non potevano rimanerne immuni! Per non contare l’ambiente poco favorevole in cui si muovono gli istituti europei.
… E I VINCOLI POSTI DALLA VIGILANZA
La sensazione tuttavia è che la festa delle rivalutazioni che conseguono alle fusioni e acquisizioni bancarie sia forse già finita, o quantomeno si sia chiaramente interrotta, nonostante lo scenario macro per le borse valori risulti piuttosto positivo per la maggioranza dei commentatori.

Ma il mercato non misura con le sue quotazioni l’interesse nazionale, nel bene e nel male. Nel bene perché il fatto che il Tesoro dovrà così subire un minor salasso per aver salvato l’insalvabile: una banca-carrozzone politicizzato, che succhia perdite ai conti pubblici peggio di Alitalia e anche perché nei piani per accorparla Mustier parlava di 8.000 esuberi, dei quali 6.000 in Italia (ma bisognerebbe comprendere se con la sua uscita sono stati davvero evitati o soltanto rimandati).
Che Padoan avesse la missione di mettere insieme le due banche era noto a tutti e, ai tempi, Mustier non si era opposto, ma aveva però preso carta e penna e fatto due conti: quanto costa la “parità” per gli azionisti? Si parlava già allora di 4-6 miliardi, a seconda di come si vedono certe cose. Dunque la partita non era soltanto politica, ma anche patrimoniale: senza un adeguato ristoro da parte dall’azionista di maggioranza del MPS, dall’aggregazione con MPS ci avrebbero rimesso gli azionisti di Unicredit.






