THERE IS NO ALTERNATIVE

L’acronimo T.I.N.A. si riferisce nel titolo di questo articolo alla decisa polarizzazione dei mercati finanziari in questo particolare momento storico: da una parte ci sono gli “States” con la loro tecnologia, i lauti profitti delle loro imprese, la crescita dei salari che supera quella dell’inflazione e la disponibilità di energia a basso costo; dall’altra parte c’è il resto del mondo, dove è soprattutto l’Europa ad arrancare e a dividersi politicamente, mentre l’economia dei Paesi Emergenti cresce sì, ma senza altrettanto entusiasmo per le loro borse, le quali riflettono principalmente il forte deflusso di capitali in atto verso quelle americane. Il quadro a tinte fosche dell’economia globale che discende dall’analisi della congiuntura lascia peraltro parecchie perplessità a causa dei numerosi segnali contrastanti che provengono dai mercati finanziari, impedendo di poter formulare previsioni più accurate.

 


NUMEROSE CONTRADDIZIONI

Quando si arriva a fine anno con una situazione generale dei mercati finanziari come quella attuale diviene veramente difficile proferire parole sensate: con così tanti segnali contrastanti tutti i parametri utilizzati in passato per fare consuntivi e giungere a previsioni sembrano oggi perdere di efficacia. Le nebbie d’autunno sembrano coprire anche gli orizzonti dei mercati finanziari. Se guardiamo a quelli americani oggi buona parte dei valori sono ai massimi storici. In particolare se comparati con quelli del resto del pianeta (vedi grafico):


Ma l’andamento dell’economia americana non appare così fiorente da giustificare moltiplicatori degli utili giunti alle stelle. Molti titoli azionari quotati nelle borse valori sono vicini ai record storici, tanto in valore assoluto quanto in termini relativi ai profitti, segnalando aspettative generalizzate per ulteriori sviluppi dell’economia che però non sembrano essere facilmente realizzabili. Oggi i profitti di molte imprese sono giunti a record storici e, perché i moltiplicatori di valore attuali appaiano giustificati, essi dovrebbero continuare a crescere…

Proseguendo con l’analisi dei fattori contrastanti, osserviamo una decisa costanza del prezzo delle materie prime e addirittura una tendenza al ribasso di quello del petrolio. Ciò dovrebbe indicare una discreta probabilità che mondo si stia dirigendo verso una recessione globale ma, almeno apparentemente, non è così. I prezzi delle case (soprattutto negli U.S.A.) sono tornati a salire come se l’inflazione stesse tornando a mordere o come se i tassi d’interesse fossero già stati ridotti, ma al momento non sta succedendo né l’una né l’altra cosa.


Almeno per ciò che dicono le statistiche, perché invece, con una crescita media dei salari americani al 6%, è relativamente improbabile che la “vera” inflazione dei prezzi sia davvero sotto al 3%.


Non per niente il prezzo dell’oro si trova anch’esso ai massimi storici e non sembra rallentare la propria corsa, lasciando dunque immaginare che l’inflazione non sia affatto stata debellata.


Non per niente i tassi dei finanziamenti ipotecari americani non scendono sotto la fatidica soglia del 7%, (evidentemente la loro domanda supera l’offerta).

IL DOLLARO FORTE AIUTA L’AMERICA

Anche a proposito del cambio del Dollaro americano contro le principali valute c’è da fare qualche riflessione. Dopo le elezioni presidenziali è tornato ad essere in crescita costante, come se l’Europa, il Canada e la Cina si trovassero sull’orlo di una crisi economica. Apparentemente oggi non lo sono, anche se in un prossimo futuro lo scenario potrebbe frammentarsi. L’Europa rischia maggiormente di restare decisamente indietro, soprattutto qualora l’America di Donald Trump dovesse riprendere il suo ruolo storico di locomotiva economica globale imponendo le proprie tariffe anche alle merci del vecchio continente. La Cina invece continua a crescere oltre il 4% l’anno (potrebbe chiudere il 2024 con il 5%) anche se il Renmibi continua sorprendentemente a deprezzarsi.


IL DOLLARO SALE MENTRE LE MATERIE PRIME (IN $) SCENDONO

Il cambio del Dollaro cresce contro tutte le principali divise valutarie soprattutto perché riflette il differenziale dei rendimenti tra l’America e il resto del mondo. Laddove l’economia però non corre (come in Europa) le banche centrali cercano di stimolarla abbassando i tassi d’interesse, con un meccanismo che peraltro rischia di auto-alimentarsi perché evidentemente ha effetti negativi sul cambio contro il Dollaro. Il quale a sua volta comporta (per tutti tranne che per l’America) un qualche rincaro dei prezzi di energia e materie prime, con il rischio che ciò alimenti una ripresa dell’inflazione, che viceversa può scendere negli U.S.A. grazie al cambio favorevole.

 

L’INDUSTRIA EUROPEA PERDE SULL’ENERGIA E IL WELFARE

L’industria europea sembra poi messa molto peggio di quanto le statistiche ufficiali possano lasciar immaginare: la produzione industriale continua a calare da oltre un anno a questa parte (anche in Italia) e cala parimenti la fiducia degli operatori economici (evidenziata dalla discesa degli indici dei direttori degli acquisti “PMI”) come si è visto con gli ultimi risultati pubblicati di recente. Le cause vanno ricercate nella crescente concorrenza che proviene dall’estremo oriente (in particolare nel settore ”automotive”) ma anche nella scarsa competitività delle produzioni che scontano elevati costi del personale, del welfare e dell’energia.


Per non parlare della domanda interna dei mercati europei, che riflette una discesa del potere d’acquisto dei consumatori a seguito dell’erosione dei salari derivante dell’inflazione e che sconta un’eccessiva tassazione non giustificata da elevati investimenti pubblici.

GLI ELEVATI TASSI AMERICANI POSSONO CONVIVERE CON LO SVILUPPO

L’America invece, forte di un’economia che non ha mai smesso di “tirare”, anche sull’onda delle attese di ulteriori crescite dei profitti che deriveranno dall’applicazione delle nuove tecnologie dell’intelligenza artificiale, può contare su prezzi energetici molto vantaggiosi e su attese di ulteriori riduzioni della tassazione, della burocrazia e dei vincoli amministrativi che viceversa restano molto elevati in Europa. Anche per questi motivi l’economia americana può permettersi di mantenere elevati i rendimenti dei titoli di stato americani che viaggiano ben oltre quelli tedeschi o francesi o sinanco italiani.

La conseguenza è ovvia: i capitali di tutto il mondo preferiscono fluire dov’è la crescita e dove essi trovano remunerazioni superiori, migrando dall’Europa (e talvolta anche dall’Asia) verso l’America e contribuendo così a rafforzare il biglietto verde e a finanziare il deficit a stelle e strisce. I capitali che migrano in America provengono però in parte dai Paesi Emergenti e dal bacino del Pacifico, e ancor più dall’Europa stessa, che evidentemente subisce il deflusso valutario ritrovandosi in una situazione di scarsa liquidità e, contemporaneamente, con le proprie divise valutarie in declino.

LA GUERRA ALLE PORTE

Come se non bastasse l’Europa sembra voler essa stessa accentuare l’esodo dei capitali alimentando le probabilità di una guerra con la Russia pur sapendo benissimo che l’America del nuovo presidente difficilmente la finanzierebbe. Una possibile guerra che era stata sino a ieri sostanzialmente provocata dall’America di Biden ma che invece oggi (anche grazie al cambio della guardia alla Casa Bianca) non sembra in alcun modo poter lambire l’altra sponda dell’Atlantico. Le prospettive di guerra alle porte dell’Europa ovviamente contribuiscono a preoccupare gli investitori i quali, se devono scegliere su quali piazze finanziarie investire, non hanno dubbi e attraversano l’oceano. Inoltre le prospettive di belligeranza provocano all’Europa una inevitabile ulteriore riduzione delle forniture di gas naturale, che fino a ieri (nonostante la retorica delle sanzioni e tramite la triangolazione della Turchia) provenivano per almeno il 50% dalla Russia, creando seri problemi al futuro mantenimento di adeguate riserve strategiche.

IL PREZZO DEL GAS

Ovviamente il prezzo del gas al metro cubo ne risente, e questo non fa che aggravare la scarsa competitività delle produzioni industriali continentali, in picchiata da quasi un anno a questa parte, nonché il rischio che l’inflazione rialzi la testa. Dunque l’Europa che oggi sembrerebbe poter galleggiare se ci limitiamo a osservare l’andamento del suo prodotto interno lordo (al prezzo di crescenti disavanzi dei bilanci pubblici) in realtà soffre del calo della sua produzione industriale anche a causa della discesa delle esportazioni verso buona parte dei Paesi Emergenti. La prospettiva di nuovi dazi alle importazioni in America peraltro può solo peggiorare il quadro delle esportazioni europee, dal momento che buona parte delle merci che saranno importate dagli U.S.A. finiranno nel resto del mondo a prezzi sempre più stracciati.

LA POLARIZZAZIONE DEI MERCATI FINANZIARI

Ciò che emerge dalle considerazioni appena riportate è dunque una forte polarizzazione dei mercati finanziari: da una parte ci sono gli Stati Uniti d’America, la cui economia offre prospettive di crescita anche al di sopra dell’inflazione dei prezzi e le cui imprese sembrano poter continuare ad accrescere la propria capacità di generare lauti profitti, anche grazie ad un’amministrazione repubblicana molto attenta alle loro esigenze. Dall’altra parte il resto del mondo, e soprattutto l’Europa, che offre prospettive incerte tanto per l’industria (azzoppata da costi elevati e scarsa capacità di rinnovarsi) quanto per la politica, dal momento che l’attrito tra i vari Stati dell’Unione (e all’interno di ciascuna coalizione al governo -vedi la Francia-) in una situazione come quella attuale sembra inevitabilmente destinato ad accrescersi.


I BRICS EMERGONO MA NON BRILLANO

Le prospettive delle principali economie del continente asiatico e di tutti gli altri Paesi Emergenti peraltro non sembrano al momento tanto migliori di quelle europee, a causa del rincaro del Dollaro e delle prospettive dei dazi alle importazioni in America. Ma il maggior isolamento rispetto all’Occidente al quale esse sembrano destinate potrebbe paradossalmente portare loro dei benefici, anche tenendo conto della forte dinamica demografica che sospinge i consumi e consente di disporre di manodopera a basso costo e scarsi oneri sociali.


T.I.N.A.

E se la finanza globale si polarizza sugli Stati Uniti d’America ecco che tra gli investitori torna di moda il famoso acronimo T.I.N.A. (nato ai tempi di Margareth Thatcher ma oggi più che mai valido per l’America di Trump: THERE IS NO ALTERNATIVE). A quanto pare nella situazione attuale non c’è alternativa nell’investire sui mercati americani (quantomeno in titoli a reddito fisso), dove addirittura un famosissimo analista finanziario -Edward Yardeni- noto per la cautela e l’accuratezza delle sue precedenti previsioni, si è sbilanciato ad affermare che Wall Street continuerà a correre per tutto il 2025 e che potrebbero continuare anche oltre. Ci piacerebbe sperarlo anche per le borse europee!

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 101 – sa 30 nov 2024

Operazioni in essere :

– gio 21.11 venduto a 20900 1 DIC MICRO NAS FUT, ora con stop loss 21350 e
– merc 27.11 comperato a 30,5 1 MARZO MICRO SILVER FUT, ora con stop loss a 30

Premessa

Pur essendoci un segnale temporale di rilievo su DOW JONES, avendo già due Mercati “in operatività”, i miei ordini si concentrano solo su di essi.

GOLD FEB 25

Avevo scritto :

“La reazione in salita da 2536 GOLD CASH, solo sfiorando il primo livello di possibile pull back a 2532, che ho evidenziato in giallo nel grafico giornaliero, è stata violenta arrivando ben sopra il livello di 2650 – 2670 dove immaginavo un possibile rimbalzo.

Tale livello ciclico, valido fino a ve 29.11, potrebbe in questa settimana avere significato di supporto, quale minimo da comprare, con analisi giornaliera.”

Gold è sceso violentemente da 2712 cash a 2605, sfiorando dall’alto in basso il noto livello di 2603, che da 7 settimane evidenzio in giallo.

Gold sembra attratto dal livello di 2650 – 2670 più volte citato, poco sopra, poco sotto.

Se fossi costretto a prendere posizione, tra 2650 e 2610 acquisterei, con stop loss poco sotto 2603.

Continuo infatti a ritenere che una vendita sarà a rischio accettabile solo in area di eventuale doppio massimo intorno a 2790 GOLD CASH, da gestire giorno per giorno.

SILVER MARZO 25

In 15 gg era sceso da 34,86 a 29,68 usd ( un massacro )

Gio 28.11 ha ritoccato di 3 centesimi di dollaro il minimo a 29,645 usd e poi è schizzato su di un dollaro e mezzo.

Nella notte tra gio 28 e ven 29 il MARZO FUTURE ha segnato 30,095 sfiorando lo stop loss ( che di notte non c’è, perché la mia SIM lo gestisce dalle 8.15 del mattino alle 22.15 della sera )

Continua ad interessarmi il livello di 30,5 del future marzo e pertanto, sin dal mattino di lu 2.12, inserirò il seguente ordine :

compero a 30,50 1 MARZO MICRO SILVER FUT con stop loss a 30 usd per entrambi i contratti, quello già in essere e quello che inserirò lu 2.12

DOW JONES INDU CASH

Continua a dimostrare una lieve maggior forza relativa rispetto a NAS 100 e ve 29.11 ha segnato l’ ennesimo massimo storico a 45071 cash.

Vedo un tempo di medio – alto significato il 2 – 6 dic e quindi è meglio attendere, per eventualmente intervenire da lu 9 dicembre.

NASDAQ 100 CASH

Nella settimana 2 – 6 dic 2024 anche NAS 100 vede scadere un segnale temporale, ma di rango ben inferiore a quello che scade su DOW JONES.

Su NAS 100 ci troviamo poco sopra il top di luglio 2024 ( + 1 – 2 per cento ) mentre DOW JONES è oltre 3500 punti più in alto di allora.

Questa Lettera si occupa di analisi tecnica e non d’altro, tuttavia verrebbe da pensare che stiamo assistendo ad una certa rotazione dai tecnologici ad altri settori.

Vedremo.

Ripropongo quasi interamente quanto avevo scritto in precedenza, per spiegare il mio differente approccio al NAS 100, rispetto al DOW JONES.

Avevo scritto :

“Benchè NAS 100 abbia fatto una impennata simile in termini percentuali a DOW JONES, l’ analisi tecnica mi indicava una possibilità di intervento proprio nel range da 20691 a 21100 circa, mentre non ho al momento alcun livello utilizzabile per DJ.

Quindi potrebbe essere che il primo intervento della Lettera sull’azionario U.S.A. avvenga su NAS 100 e non su DOW JONES.

Ho individuato segnali di tempo tra lu 4.11 e ven 15.11 – di medio impatto

Pima di ragionare su una vendita in rottura, devo cercare una vendita in forza da 20691 a 21100.

Rammentato quanto sopra, se la salita del 5 % avvenuta con la vittoria di TRUMP si fermerà non molto oltre 21100, cercherò una vendita in inversione di una barra giornaliera ( rottura del minimo di ogni giorno precedente, anche in outside ) sin da questa settimana 11 – 15 novembre.

L’unico stop loss fondato oggettivamente sarebbe il top assoluto che sarà stato registrato prima della vendita.

NAS 100 ha segnato un nuovo massimo storico a 21182, non molto oltre 21100.

La Lettera è tornata all’opera, con la vendita di gio 21.11 1 DIC MICRO NAS FUT a 20900, ora con stop loss a 21350.

Continuo ad attribuire una buona importanza al segnale scaduto nella settimana 11 – 15 nov ( segnato top assoluto a 21182 e un minimo a 20315, entrambi di NAS 100 CASH ) e quindi la Lettera venderà un secondo MICRO FUT a rottura di tale minimo.

Vendo solo in rottura dei minimi e non in forza, nel caso di un eventuale doppio massimo, perché il segnale del 2 – 6 dic in scadenza su DOW JONES può mantenere positivo tutto l’azionario U.S.A. , compreso il Nasdaq.

Pertanto, sin dal mattino di lu 2.12, la Lettera inserirà il seguente ordine :

vendo 1 DIC MICRO NAS FUT a 20300 stop ( in rottura ), con stop loss a 21350, che resta valido anche per la vendita già in essere a 20900.

Lo stop loss è appena sopra il top storico registrato lu 11.11

Potrebbe essere che, se il range del 2 – 6 dic non sarà troppo ampio, da lu 9.12 potrò aggiungere una vendita alla rottura del minimo che sarà stato registrato.

Leonardo Bodini




PERCHÉ I GESTORI INCREMENTANO LA LIQUIDITÀ NEI LORO PORTAFOGLI

Avrete notato che, nonostante la gigantesca divergenza di performance tra le borse europee e quelle americane, molti investitori USA stanno liquidando i loro portafogli titoli per restare “liquidi”? Aveva iniziato Warren Buffett ma, dopo di lui, parecchi altri grandi gestori di patrimoni lo stanno seguendo, con il rischio di perdersi tra l’altro l’ennesimo “rally di fine d’anno” delle borse americane che non solo hanno continuato fino a ieri a inanellare nuovi record ma rischiano anche di proseguire la corsa. Per quale motivo dunque molti importanti operatori del mercato compiono una tale manovra che in apparenza sembra irrazionale?

 

SVILUPPO ECONOMICO E TASSI ELEVATI

La risposta non è univoca, né semplice, ma c’è: sul mercato U.S.A. una strana congiuntura economica che vede oggi una rilevante crescita economica e, contemporaneamente, un elevato livello dei tassi d’interesse, costituisce il primo indizio. La situazione è “strana” non soltanto perché occorre notare che tra le prime motivazioni che hanno spinto le classi meno agiate a votare Donald Trump c’è stata quella della rilevante inflazione “reale” in contrapposizione con quella rilevata dai vari istituti di statistica: il popolo cioè ha fatto i conti in tasca propria e ha incolpato Biden e la sua amministrazione di aver sostanzialmente mentito circa i veri numeri dell’inflazione. Nel grafico qui sotto si può vedere che la componente del P.I.L. “consumi” si è mediamente ridotta negli ultimi trimestri:

QUAL’È STATA LA “VERA” INFLAZIONE ?

E poiché la crescita del prodotto interno lordo (PIL) si misura dopo aver deflazionato i redditi complessivamente rilevati, è chiaro che qualora il tasso di inflazione rilevato, con il quale viene deflazionato il PIL, fosse stato insufficiente (rispetto alla realtà) allora il dato reale del PIL stesso (e quindi anche la sua crescita) risulterebbero “gonfiati” rispetto alla realtà. Mi rendo conto del fatto che questa possa risultare come una lettura assai “estrema” della straordinaria crescita del PIL americano ma, d’altronde, non è successo nulla di diverso a casa nostra, dove il carrello della spesa al supermercato è cresciuto in due anni di circa il 30% mentre le statistiche sull’inflazione ne segnalano all’incirca la metà nello stesso periodo.


LE ATTESE SUI TAGLI AI TASSI D’INTERESSE SONO SOVRASTIMATE

Ma senza dubbio la cosa più strana nei mercati finanziari americani è la crescita dei rendimenti USA a lungo termine (10 anni e oltre) proprio mentre la Federal Reserve (FED) tagliava con decisione il livello dei tassi federali. Oggi, come si può leggere dal grafico pubblicato da JP Morgan di recente, le attese per i prossimi ”tagli” dei tassi da parte della FED si sono ridotte:


Perché i tassi d’interesse sono stati mantenuti alti dalla FED ma addirittura da metà Settembre sono addirittura cresciuti per le durate più lunghe sul mercato dei titoli a reddito fisso? (si veda il grafico qui sotto). Forse perché l’allarme inflazione non è rientrato del tutto. E poi sicuramente per l’enorme offerta di titoli di stato che deve trovare nuova domanda nei sottoscrittori incentivandoli con rendimenti assai elevati.

IL PREMIO PER LA LIQUIDITÀ È SCARSO

Ecco dunque che prende forma il primo indizio per riuscire a comprendere perché mai molti grandi investitori preferiscono restare “liquidi”: se restare liquidi significa ottenere un rendimento di oltre il 4% in titoli di stato (anche a breve termine), l’eventuale investimento in titoli azionari (che a differenza del mercato monetario incorporano un qualche rischio) deve fornire ai medesimi investitori delle aspettative di rendimento molto più elevate!

E qui casca l’asino: quanto rende in media il mercato azionario americano? Un facile calcolo deriva dall’aspettativa di profitti aziendali che viene condivisa (cosiddetto “consensus”) dagli analisti relativamente al paniere dei principali 500 titoli azionari compresi nell’indice SP500: in media 270 dollari per azione. Poiché con l’indice SP500 che si trova a circa 6.000 punti questa attesa corrisponde all’incirca a 22 volte gli utili (cioè a un rapporto Prezzo / Rendimento -P/E- pari a circa 22 volte), ne possiamo dedurre che i profitti netti per azione in media attesi sul paniere di titoli azionari compresi nell’indice SP500 è pari al 4 e 1/2 %. Come si può constatare questo rendimento è all’incirca identico a quello offerto dai titoli a reddito fisso privi di rischio a breve termine americani nonché sostanzialmente pari a quelli a lungo termine (come si può leggere dalla tabella qui sotto riportata):


Dunque detenere un paniere di titoli azionari corrispondenti a quelli dell’indice SP500 della borsa di Wall Street in questo momento significa prendersi dei rischi aggiuntivi rispetto all’acquisto di titoli di stato americani ma non potersi attendere dei rendimenti aggiuntivi. Senza contare il fatto che, con le borse ai loro record storici, detenere titoli assimilabili a liquidità può costituire un vantaggio per poter prendere profitto da particolari opportunità (ad esempio un calo significativo del lisitino) che dovessero profilarsi nel prossimo futuro.

LE IMPRESE D’EUROPA FANNO MENO PROFITTI

Ma esistono anche altre spiegazioni: le borse americane si trovano oggi in una situazione di estrema sopravvalutazione rispetto alle altre borse valori del pianeta. Ciò a causa di tutta una serie di circostanze positive che però non è detto possano restare tali anche nel prossimo futuro. Per non parlare delle altre principali borse valori, le quali scontano tutte una minor profittabilità delle imprese (in particolare quelle europee) i cui titoli azionari quotati sono però cresciuti meno, come si può leggere dal grafico qui sotto riportato:

E’ altresì vero -anche a causa dell’incremento per la liquidità attesa per il prossimo anno soprattutto negli Stati Uniti d’America (ma anche per diverse borse asiatiche tra le quali quella di Tokio)- che numerose banche d’affari hanno elevato le proprie stime relative al livello dell’indice SP500 nel corso del 2025 a circa 6.500 punti (ad esempio Goldman Sachs). Qui sotto un grafico che ci mostra l’andamento ciclico della liquidità che da questo momento in poi sembra poter aggiungere carburante ai listini azionari per tutto il 2025:


Ma è altrettanto vero che, dopo oltre un decennio di crescita ininterrotta dell’economia globale, una fase di consolidamento o di declino dello sviluppo economico è sempre più probabile all’orizzonte. E quando questa arriverà i profitti delle imprese che sono oggi sugli scudi non potranno che risentirne negativamente.

Senza considerare poi il fatto che restano tutte da verificare le ottimistiche attese di profitti futuri derivanti dalle applicazioni pratiche dell’Intelligenza Artificiale, che evidentemente sono alla base di numerose stime relative ai profitti attesi dalla “corporate America” mentre toccano assai poco i listini europei.

L’EUROPA NON PUÒ COMPETERE PERCHÉ PAGA MOLTO CARA L’ENERGIA

Per le borse d’Europa (che hanno performato molto meno di quelle degli USA) occorre inoltre tenere conto anche di altri fattori, primo tra i quali il rischio di estensione della guerra con la Russia alle proprie porte, nonché l’incredibile ascesa (di nuovo) del prezzo dell’energia per le imprese (si veda qui sopra il grafico che evidenza un sostanziale raddoppio del prezzo del gas naturale alla borsa di Amsterdam in meno di un anno) anche perchè la disponibilità di gas in Europa (senza quello russo) appare inevitabilmente destinata a ridursi.

I RISCHI DI UN DOLLARO TROPPO FORTE

Occorre poi fattorizzare il rischio di risalita dell’inflazione al di fuori degli U.S.A. derivante dalla forte ascesa del Dollaro dopo l’elezione di Donald Trump (qui sotto riportato) dal momento che i prezzi del Petrolio, del Gas e di buona parte delle materie prime sono quasi sempre denominati in Dollari americani:

Dunque, se vogliamo, la tenuta dei profitti delle imprese europee quotate nelle principali borse continentali è da considerare ancora più a rischio di quella delle imprese americane, nonostante i livelli record cui sono giunti gli utili di queste ultime! Non per niente la performance delle borse ne risente (come si può leggere dal grafico qui sotto).


Infine una nota (per ora) di colore: in Giappone sono cresciute tanto le stime sull’inflazione dei prezzi (risalite nell’ultima rilevazione al 2,3% anno su anno) quanto le attese su un possibile rialzo dei tassi d’interesse fissati dalla banca centrale (BOJ). Le aspettative sono ulteriormente peggiorate negli ultimi giorni a causa della decisa riduzione del cambio dello Yen rispetto al Dollaro, che rischia di incrementare l’inflazione ”importata” dal resto del mondo. La notizia non sarebbe così rilevante se non fosse che -statisticamente- ciò che succede in Giappone non fa che anticipare quanto avviene nel resto delle economie occidentali all’incirca nel giro di un anno.

E qualora l’inflazione tornasse a mordere anche nel resto dei Paesi OCSE la circostanza sarebbe particolarmente negativa per l’area Euro (a rischio dunque di stagflazione) più che per gli USA, i quali possono vantare un cambio in crescita e uno sviluppo economico decisamente migliore.

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 100 – sa 23 nov 2024

Operazioni in essere : gio 21.11 venduto a 20900 1 DIC MICRO NAS FUT, ora con stop loss 21350

Premessa

Guardando all’indietro fino al primo gen 2024, l’azionario U.S.A. e GOLD ( le cripto di più, ma non me ne sono occupato fino ad ora ) sono cresciuti molto e temo che questa “inflazione finanziaria” abbia solo sfiorato le popolazioni, finendo nelle tasche di pochissimi, allargando ulteriormente il vallo.

GOLD FEB 25

Avevo scritto :

“Tra lu 18 nov e ve 29 nov ho calcolato un segnale temporale di rango modesto, che potrebbe riportare GOLD CASH a un rialzo intorno a 2650 – 2670

Questa salita di un centinaio di dollari, se volessi operare, richiede di inserire lo stop loss sotto il minimo di gio 14 nov a 2536 CASH ( circa 2560 FEB FUT )

Quindi potrei acquistare il future febbraio a 2580 con stop loss a 2550.

Da fare forse con i soldi miei, non di questa Lettera.”

Lunedì 18.11 GOLD FEB 25 ha segnato 2592 nella notte, mentre io e la mia SIM dormivamo.

Al risveglio il future era già sopra 2600 e in seguito è sempre salito.

Pertanto, nemmeno personalmente, sono riuscito a comprare GOLD.

La reazione in salita da 2536 GOLD CASH, solo sfiorando il primo livello di possibile pull back a 2532, che ho evidenziato in giallo nel grafico giornaliero, è stata violenta arrivando ben sopra il livello di 2650 – 2670 dove immaginavo un possibile rimbalzo.

Tale livello ciclico, valido fino a ve 29.11, potrebbe in questa settimana avere significato di supporto, quale minimo da comprare, con analisi giornaliera.

Ho allegato i grafici giornalieri di GOLD e SILVER ( a poco servono per le mie analisi ) solo per evidenziare la enorme differenza tra i due rimbalzi, quasi che GOLD abbia assunto ruolo di rifugio antiatomico ( PUTIN ha alluso ) e che SILVER resti solo un metallo industriale, con molti settori, purtroppo, in lenta scivolata.

Potrò quindi pianificare una vendita solo in area di eventuale doppio massimo intorno a 2790 GOLD CASH, da gestire giorno per giorno.

Molti evidentemente stanno comperando; assolutamente non voglio comperare a questi prezzi.

SILVER MARZO 25

In 15 gg è sceso da 34,86 a 29,68 usd ( un massacro )

Unica possibilità di intervento per la Lettera è un acquisto intorno a 30 usd per SILVER CASH, ora che questo Mercato mi suggerisce uno stop loss a 29,68.

Pertanto, sin dal mattino di lu 25.11, inserirò il seguente ordine :

compero a 30,50 1 MARZO MICRO SILVER FUT con stop loss a 30 usd

Ricordo che il MICRO FUTURE ha dimensione di 1000 once.

DOW JONES INDU CASH

Continua a dimostrare una lieve maggior forza relativa rispetto a NAS 100 e ve 22.11 ha sfiorato il massimo storico di lu 11.11 ( 44486 cash )

Vedo un tempo di medio – alto significato il 2 – 6 dic e quindi è meglio lasciar trascorrere il 25 – 29 nov senza intervenire.

Allego il grafico settimanale per evidenziare che ha disegnato una V da lu 11.11 ad oggi.

NASDAQ 100 CASH

Ripropongo quasi interamente quanto avevo scritto in precedenza, per spiegare il mio differente approccio al NAS 100, rispetto al DOW JONES.

Avevo scritto :

“Benchè NAS 100 abbia fatto una impennata simile in termini percentuali a DOW JONES, l’ analisi tecnica mi indicava una possibilità di intervento proprio nel range da 20691 a 21100 circa, mentre non ho al momento alcun livello utilizzabile per DJ.

Quindi potrebbe essere che il primo intervento della Lettera sull’azionario U.S.A. avvenga su NAS 100 e non su DOW JONES.

Ho individuato segnali di tempo tra lu 4.11 e ven 15.11 – di medio impatto

Pima di ragionare su una vendita in rottura, devo cercare una vendita in forza da 20691 a 21100.

Rammentato quanto sopra, se la salita del 5 % avvenuta con la vittoria di TRUMP si fermerà non molto oltre 21100, cercherò una vendita in inversione di una barra giornaliera ( rottura del minimo di ogni giorno precedente, anche in outside ) sin da questa settimana 11 – 15 novembre.

L’unico stop loss fondato oggettivamente sarebbe il top assoluto che sarà stato registrato prima della vendita.”

NAS 100 ha segnato un nuovo massimo storico a 21182, non molto oltre 21100.

La Lettera è tornata all’opera, con la vendita di gio 21.11 1 DIC MICRO NAS FUT a 20900, ora con stop loss a 21350.

Continuo ad attribuire una buona importanza al segnale scaduto nella settimana 11 – 15 nov ( segnato top assoluto a 21182 e minimo a 20315, entrambi di NAS 100 CASH ) e quindi la Lettera venderà un secondo MICRO FUT a rottura di tale minimo.

Sembra prematuro, ma inserirò la vendita di un terzo MICRO FUT alla rottura del minimo di novembre ( 19880 CASH )

Vendo solo in rottura dei minimi e non in forza, nel caso di un eventuale doppio massimo, perché il segnale del 2 – 6 dic in scadenza su DOW JONES può mantenere positivo tutto l’azionario U.S.A. , compreso il Nasdaq.

Pertanto, sin dal mattino di lu 25.11, la Lettera inserirà i seguenti ordini :

vendo 1 DIC MICRO NAS FUT a 20300 stop ( in rottura ), con stop loss a 21350,

vendo 1 DIC MICRO NAS FUT a 19850 stop ( in rottura ), con stop loss a 21350.

Lo stop loss è appena sopra il top storico registrato lu 11.11

Leonardo Bodini