SE I TASSI VANNO SOTTO ZERO ANCHE IN AMERICA

Sembrava una questione di principio: i tassi di interesse non potranno mai divenire negativi! L’America se n’era fatta una ragione e, poiché i tassi negativi sono contro-intuitivi, tutto sommato nessuno se n’era dispiaciuto. Ma era invece solo questione di tempo: con le banche centrali che continuano a pompare denaro e l’America che lo attrae con i suoi scoppiettanti mercati finanziari, che i tassi sarebbero andati sotto lo zero anche oltreoceano era ampiamente prevedibile. Ma quali sono le implicazioni di quel che succede? Che l’ottimismo finanziario aumenta, e che le perdite (o i mancati profitti) del 2020 non interessano più a nessuno! Così come l’andamento dell’economia reale…

 

SE I GOVERNI CHIEDONO QUATTRINI A CHI GLIELI PRESTA…

Lo scorso venerdì il rendimento dei titoli di stato americani a 10 anni è sceso a -0,6%, un record che non veniva toccato da molti anni e il superamento di una soglia psicologica importante. Tra l’altro i rendimenti negativi fanno diventare l’oro più interessante che mai, dal momento che il suo unico difetto è sempre stato quello di non avere rendimenti. Perciò quando il mondo va sottosopra i mancati rendimenti (che come tali non diventano negativi) si tramutano in un pregio non trascurabile. E se l’oro sale, allora vuol dire che il valore della moneta (con cui è misurato quel valore) scende. Cioè si svaluta, tanto quanto un automobile usata.


INFLAZIONE O DEFLAZIONE?

La svalutazione della moneta potrebbe significare che i prezzi dei principali beni e servizi sono destinati a salire, ma non è esattamente né diffusamente così: dipende. Dipende dalle leggi di domanda e offerta: se la domanda è scarsa anche i prezzi scendono. O se i prezzi scendono tanto quanto scende il mezzo di misura con cui vengono fatti, i prezzi dei beni rimangono intatti. È la cosiddetta deflazione dei prezzi di molti beni e servizi, che va a braccetto con la svalutazione perché l’economia è in crisi e dunque dell’inflazione dei prezzi (principalmente alimentari) ci sono poche tracce.


E se i rendimenti reali vanno a zero ma non c’è quasi inflazione, allora i tassi che scontano i flussi di cassa futuri sono anch’essi a zero, portando verso l’alto il valore della sommatoria di quei flussi futuri! Insomma i mercati applaudono e crescono, soprattutto in America, dove nessuno si aspetta che il lockdown possa generare conseguenze negative nel lungo termine.

MA L’AMERICA È DIVERSA

Ma l’America non è uguale al resto del mondo: quasi soltanto lì infatti questi fenomeni, invece di gettare nello sconforto operatori economici e risparmiatori, suonano bene! Sì perché oltreoceano tutti confidano nella capacità del tessuto produttivo di riprendersi in tempo perché l’economia reale possa seguire l’andamento positivo dei mercati finanziari. Mentre nella vecchia Europa l’obsolescenza industriale, l’elevatissima spesa assistenziale è una disoccupazione galoppante lasciano molto meno fiduciosi gli investitori. Soprattutto perché da queste parti tutti sanno che i denari stampati dalla Banca Centrale Europea non saranno infiniti, e quelli attuali fanno fatica a permeare l’economia reale.


Il divario tra le due realtà: quella reale è quella di carta (delle borse e della finanza), ma anche il divario tra le due economie: quella americana e quella europea, sono dunque destinati a crescere? La risposta non ce l’ha nessuno, ma il rischio è concreto. Sebbene l’abbondanza di liquidità sui mercati finanziari qualche effetto positivo lo genera di sicuro: le imprese che appaiono più interessanti per gli investitori (quelle medicali, innovative e digitali) raccolgono quattrini come se piovesse! E con questi finanziano gli investimenti in ricerca e sviluppo delle imprese più innovative. Quelle che infatti abbondano negli USA.

L’OTTIMISMO DEI MERCATI FINANZIARI

L’ottimismo insomma è diffuso sui mercati, così come la struttura dei tassi permette di dare ben poca importanza al calo dei profitti atteso per quest’anno: se i gli interessi sono bassissimi, l’orizzonte finanziario degli investitori è molto lungo. E nel lungo termine saranno quasi solo le imprese che oggi appaiono innovative a restare vive, mentre le altre inevitabilmente saranno declassate. Soprattutto se nel breve termine nessuno si aspetta vivacità dei consumi e degli investimenti produttivi.


Perciò se l’economia reale sembra destinata a una lunga pausa di riflessione, quella dei mercati finanziari è invece una meravigliosa ricetta anticrisi, senza dubbio (investo sul lungo termine perché è solo così che vedo ritorni adeguati per i miei investimenti), che sarebbe completa e socialmente utile se i governi la corroborassero con adeguata spesa infrastrutturale. Ma questo invece avviene con il contagocce, perché la politica (in tutto il mondo) in questo momento non fa programmi di lungo termine. Non le conviene affatto. Panem et Circences, dicevano nell’antica Roma per intendere la demagogia… E la storia dell’umanità dopo duemila anni sembra cambiata assai poco!

Stefano di Tommaso




TANTE MATRICOLE A PIAZZA AFFARI

Le “Initial Public Offering” (I.P.O.) alla Borsa di Milano continuano a fioccare imperterrite nonostante la gravissima recessione che il nostro Paese sta affrontando. Certo la liquidità che abbonda sui mercati costituisce un importante traino, ma non basta a spiegare la grande apertura del mercato dei capitali verso le matricole che approdano al listino. C’entra anche la limitatezza numero di società già quotate rispetto a quelle che sarebbero pronte per farlo, e che sino a ieri avrebbero preferito finanziare con il debito i propri investimenti. Ma sono soprattutto le “nuove” attività, quelle più tecnologiche o attive nei settori che “tirano” di più (come il medicale, il digitale e le nuove tecnologie “verdi”) ad avere il favore del mercato. La crisi sta infatti accelerando il ricambio industriale, lasciando indietro le aziende che non guadagnano e fornendo ampie risorse a quelle più “sexy” perché la liquidità abbonda e i rendimenti delle obbligazioni sono sempre più bassi.

 

GVS: UNA RICHIESTA DEGLI INVESTITORI DI 3,4 MILIARDI DI EURO


Se qualcuno aveva timore che la Borsa Italiana, con il lockdown, si fosse sopita come buona parte dell’industria italiana (tessile e meccanica), con la prima IPO dell’anno la quotazione della bolognese GVS sul Mercato Telematico Azionario (M.T.A., il listino delle 242 imprese maggiori, nell’ambito delle quali ci sono le 77 società quotate nel segmento titoli con alti requisiti: STAR), probabilmente ha dovuto ricredersi: attiva nella produzione di filtri per i settori medicale, della sicurezza, energetico e automobilistico, i titoli hanno debuttato venerdì scorso e, più volte sospesi al rialzo nella prima seduta, hanno superato la quotazione di 9,7 euro, registrando una performance di circa il 19% in più rispetto al prezzo di riferimento dell’IPO (8,15 euro). In totale GVS ha raccolto quasi mezzo miliardi di euro dalle sottoscrizioni degli investitori, i quali hanno scommesso su un’attività che pur tuttavia è stata e sarà (non si sa per quanto) fortemente sospinta dalla pandemia.

UN’ELEVATO VALORE DI CAPITALIZZAZIONE


Con la quotazione alla Borsa di Milano quest’azienda, controllata tramite GVS GROUP dalla famiglia Scagliarini, è arrivata a superare un valore di capitalizzazione di circa 1,5 miliardi di euro, contro un fatturato previsto quest’anno di 320 milioni di euro con poco meno di 100 milioni di Ebitda (31%). Elevato è dunque il valore che il mercato attribuisce alla società: pari a circa 15 volte il margine operativo lordo previsto per quest’anno, e a oltre 24 volte quello del 2019, quando ha raggiunto un fatturato di poco inferiore ai 230 milioni e 62 milioni di margine operativo lordo (27%). Ma ancora più elevata è stata la richiesta degli investitori, pari a 3,4 miliardi di euro contro un totale collocato (dopo l’esercizio della “green shoe”) di 497 milioni con i quali hanno acquisito complessivamente il 40% delle azioni della società.

La famiglia Scagliarini ha dunque quasi solo fatto cassa: nella società sono andati 81 milioni di euro in aumento di capitale mentre ben 416 milioni di euro sono stati titoli ceduti dai vecchi azionisti. Gli Scagliarini resteranno perciò al 60% del capitale ma manterranno diritti di voto per il 75% del totale.

LA DOMANDA DEI TITOLI ERA PRINCIPALMENTE STRANIERA

Prima dell’esercizio della green shoe la richiesta aveva perciò ecceduto di quasi 6 volte l’offerta, raggiungendo appunto i 3,4 miliardi di euro, rivolta a investitori qualificati in Italia e istituzionali all’estero. Ma il bello è che la valutazione di mercato di GVS è addirittura inferiore, con le dovute proporzioni, alla media dei titoli comparabili, tra i quali industriali del settore medico-scientifico e altri titoli italiani simili (Carel, Interpump e Ima). La domanda istituzionale è pervenuta principalmente da primari investitori esteri con una diversificazione geografica che comprende Regno Unito (per il 43%) , Stati Uniti d’America (per il 36%), Nord Europa (per il 14%) è solo marginalmente dall’Italia (per il 5%). In base alle richieste pervenute nell’ambito del collocamento istituzionale (cioè quasi solo estero), sono state assegnate 70 milioni di azioni su un totale di 81 milioni (quasi il 90%). Un riconoscimento in qualche modo meritato per una eccellenza italiana che realizza all’estero il 90% circa del suo fatturato con 20 sedi in giro per il mondo e 14 stabilimenti di produzione.

UNA CRESCITA DEL 15% COMPOSTO ANNUO E BEN 14 ACQUISIZIONI

Con il Covid19 che quest’anno spinge i ricavi, GVS nel 2020 avrà centrato un bel balzo. L’anno scorso ha realizzato metà del suo giro d’affari nel medicale (healthcare & life sciences), quasi il 40% nell’energy & mobility (sistemi di filtraggio per l’automotive) e il 10% circa nell’health & safety (filtri di sicurezza per applicazioni industriali). Quest’anno la quota della sanità dovrebbe rimanere al 50%, mentre l’area dei dispositivi per la sicurezza dovrebbe arrivare al 30% del fatturato, con il 20% circa per l’energy&mobility. Per il 2021 è inoltre prevista un’ulteriore crescita dei ricavi di circa 5%, con un’Ebitda stabile. GVS produce anche mascherine (quest’anno ne produrrà 7 milioni di pezzi) ma solo per uso professionale-ospedaliero, ed è quindi una piccolissima parte del totale delle sue attività. GVS è stata in grado di crescere sino ad oggi del 15% medio annuo, infilando la bellezza di 14 acquisizioni. Da segnalare nel 2017 quella della statunitense Kuss Filtration, specializzata in filtri per auto e per il comparto industriale, assommando così circa 2.700 dipendenti a livello globale, numero che ad oggi si è ridotto a circa 2400 dopo qualche razionalizzazione.

IL CASO DELL’I.P.O. SEBINO FIRE AND SECURITY


Ma il caso GVS è tutt’altro che isolato: qualche giorno prima si era quotata all’A.I.M. Sebino Fire and Security, azienda attiva nella progettazione, installazione e manutenzione di sistemi antincendio. Il titolo nel primo giorno di quotazione non è riuscito a fare prezzo, segnando un rialzo del 30%. Con l’ammissione di questa società, sono salite a 127 le aziende quotate sul mercato A.I.M., dedicato alle piccole e medie imprese di Borsa Italiana. L’ammissione è avvenuta a seguito di un collocamento di complessive 1.782.000 azioni ordinarie con warrant, inclusa greenshoe, tutto in aumento di capitale, rivolto a investitori istituzionali e professionali che ha generato una domanda da parte degli investitori di 3,69 volte superiore alla raccolta. Il controvalore complessivo dell’offerta, al prezzo di collocamento di 2 euro per azione, è stato pari a circa 3,6 milioni.

E L’I.P.O. DELL’ “UNIDATA”, LA PRIMA A QUOTARSI NEL 2020


E prima di Sebino, il 16 Marzo scorso, in piena bufera COVID, si era già quotata Unidata: società attiva nelle connessioni, telecomunicazioni e servizi informatici. Fondata nel 1985 da 3 soci, che ancora oggi sono in azienda, Unidata opera principalmente nel Lazio e conta su una rete in fibra ottica da più di duemila chilometri, oltre che su una rete wireless e un data center proprietario. I clienti business, wholesale e residenziali sono circa 6.500. Anche qui un successo. In fase di collocamento Unidata ha raccolto 5,7 milioni di Euro. Il flottante al momento dell’ammissione era del 18 % e la capitalizzazione pari a circa 31,7 milioni di Euro. Oggi Unidata capitalizza 41,5 milioni.

È PRONTA LA QUOTAZIONE DI “CY4GATE”


Nel frattempo è andata in porto l’I.P.O. di Cy4Gate – società attiva nel mercato della cybersicurezza, che ha chiuso il collocamento delle proprie azioni con una domanda complessiva di quasi 4 volte l’offerta totale e si quoterà il prossimo 24 Giugno. La domanda è stata composta per il 70% da istituzionali italiani e per il 30% dall’estero con un prezzo di offerta fissato in 3,15 euro per azione e un controvale complessivo di collocamento di 21,1 milioni rappresentato da 6.706.469 di azioni di cui 5.000.000 di nuova emissione e 1.706.469 poste in vendita dall’azionista Expert System. Cy4Gate avrà un flottante del 44,7% per una capitalizzazione prevista alla data di inizio delle negoziazioni di 47 milioni.

E LA “FRANCHI MARMI” AL LISTINO FONDENDOSI CON “THESPAC”


Sta poi arrivando alla Borsa per via indiretta (attraverso la fusione inversa con un veicolo societario già quotato all’ A.I.M.) la Franchi Marmi, dopo un tentativo di I.P.O. abortito lo scorso mese di Novembre. TheSpac, il veicolo (una Special Purpose Acquisition Company, S.P.A.C.) creato da Marco Galateri di Genola, Vitaliano Borromeo-Arese e Giovanni Lega, ha annunciato la scorsa settimana l’accordo per la business combination con Franchi Umberto Marmi, player del distretto del marmo di Carrara. Successivamente alla business combination, TheSpac, acquisita la denominazione di Franchi Umberto Marmi spa, auspica di presentare la domanda di ammissione all’Mta entro 6 mesi dalla data di efficacia della fusione. L’accordo prevede una valorizzazione di Franchi Umberto Marmi pari a 290 milioni, mentre TheSpac sarà valorizzata in base alla propria cassa disponibile al momento della business combination, poco superiore a 59 milioni di euro.

La liquidità di TheSpac, al netto degli eventuali recessi, sarà utilizzata per l’acquisizione di una partecipazione in Franchi Umberto Marmi e, per effetto della fusione, la percentuale di flottante rappresentata dagli attuali investitori in TheSpac si collocherà, fino ad un massimo di circa 20,2%, in caso di nessun recesso liquidato. Successivamente è prevista la convocazione dell’assemblea per la distribuzione di un dividendo straordinario spettante solo agli investitori della diversi dai soci di Franchi Marmi, pari a 0,23 euro per azione. Nel primo trimestre 2020 Franchi Marmi che da 50 anni commercializza il marmo bianco di Carrara, utilizzato dai principali brand del lusso o da architetti di fama mondiale, ha registrato un valore della produzione di 19,1 milioni con un adjusted Ebitda pari a 8,7 milioni. La posizione finanziaria netta al 31 marzo è positiva per 7,4 milioni.

UN ALTRO MOSTRO SACRO IN ARRIVO ALL’M.T.A. : L’IPO DI COMAU


Comau, oggi di proprietà di Exor, della famiglia Peugeot, del governo francese e della cinese Dongfeng, nel 2018 ha fatturato 241 milioni di euro (non si hanno dati sul 2019) e ha il suo centro direzionale a Torino. È leader mondiale nell’automazione industriale per l’industria dell’auto, per la quale sviluppa e fornisce soluzioni per giunzioni, assemblaggio e lavorazione meccanica per veicoli tradizionali ed elettrici e sistemi di produzione robotizzati, comprese soluzioni di robotica. L’offerta di Comau si estende anche al project management e alla consulenza, nonché alla manutenzione e alla formazione, attraverso una rete internazionale di 7 centri di innovazione, 5 digital hub, 8 stabilimenti di produzione, in cui lavorano oltre 9.000 persone, in 14 Paesi. Comau è in una posizione ottimale per sviluppare ulteriormente le proprie attività nella transizione verso il mondo dell’Industria 4.0. che comporterà la riformulazione di processi e produzioni affinché sfruttino le opportunità offerte da nuove evoluzioni della tecnologia, quali l’Internet of Things (IoT), i Cyber-Physical Systems (o CPS), l’Intelligenza Artificiale (AI) nonché le Realtà Virtuali e Aumentate. La quotazione in Borsa (di cui non sono stati diffusi dettagli al momento) dovrebbe avvenire dopo la chiusura della fusione tra Fca e Psa e potrebbe far superare alla società il miliardo di euro di capitalizzazione e aiuterà pertanto gli investimenti necessari per questo sviluppo

Stefano di Tommaso




RICETTE PER LA CRISI

L’8 giugno scorso è stato presentato al presidente del Consiglio il rapporto del comitato di esperti presieduto da Vittorio Colao per le “Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022”. Criticatissimo e assai poco esplorato, tanto dai giornali quanto dai cittadini, ci è invece sembrato equilibrato, veritiero e, soprattutto: indipendente! È forse questo il peccato mortale di un gruppo di grandi esperti che avrebbero dovuto apparire “schierati”. Cito letteralmente l’ultimo capoverso del Rapporto: “È oggi urgente riformare, trasformare e innovare il nostro Paese con decisione e coraggio, traducendo piani e iniziative in atti concreti in grado di produrre risultati già nel breve termine. Solo così sarà possibile stimolare il rilascio delle energie individuali e collettive necessarie per rilanciare il Paese e creare un Italia più forte, resiliente ed equa.”

 


Chuchill diceva che ogni politico di alto livello saprebbe cosa fare per migliorare le cose, ma -se lo facesse- non potrebbe compiacere i suoi elettori! Ecco: forse è questo il problema: la politica avrebbe voluto piegare e indirizzare il rapporto alle proprie esigenze, mentre l’opposizione si è persa l’opportunità di valutarlo, dopo alcune schermaglie di principio. Ma i grandi esperti non sono voluti passare alla storia per politici di serie B. Hanno preferito tirare diritto, rendendolo noto alla stampa prima ancora che ai loro committenti. E hanno fatto bene! Ancora Churchill: ”Il politico diventa uomo di stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni.” Ecco, se mai Conte aveva una chance di ergersi al di sopra della schermaglia quotidiana della lotta tra partiti e qualificarsi a futura memoria, qui l’ha proprio perduta, non difendendo l’ottimo lavoro degli esperti. E quasi dimenticandoli nell’occasione che sarebbe stata più propizia: quella degli Stati Generali dell’Economia, tristemente trasformati in celebrazione politico-europeista.

PERCHÉ IL RAPPORTO È IMPORTANTE

Ma perché sarebbe così importante invece dare seguito alle loro proposte? Perché in un mondo già fortemente finanziarizzato, già fortemente sbilanciato a favore delle classi più agiate, delle grandi corporation multinazionali e già immensamente pervaso dagli ordini di scuderia del cosiddetto “deep state” (cioè i “poteri forti” di montanelliana memoria), l’arrivo del virus, a qualunque causa sia riconducibile, ha accelerato la necessità di rinnovamento digital-economico-produttivo e ha reso ancora più fragili tutti coloro che rischiano di esserne travolti, soprattutto se l’esigenza di quel rinnovamento arriva troppo velocemente.

E tra quei “tutti coloro” c’è buona parte del nostro Paese, per molte ragioni spesso resiliente al cambiamento e dotato di una macchina infernale della politica e della burocrazia che ne è figliastra, che ne opprime praticamente ogni iniziativa! L’Italia dopo l’accelerazione imposta dalla pandemia dovrebbe mettere in assoluta priorità il cambiamento radicale del suo motore industriale, del suo mercato dei capitali, delle sue (scarse) modalità di supporto alle innovazioni tecnologiche, e invece perde l’occasione preziosa di un comitato di esperti che -senza inchini ma con ragioni da vendere- glielo ricorda a gran voce.

IL RAPPORTO INTESA-PROMETEIA

Due settimane prima, lo scorso 27 maggio 2020 – è stato presentato il Rapporto Analisi dei Settori Industriali del 2020, curato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo e da Prometeia. E Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo (in pratica il capo-progetto) ha commentato che “l’industria italiana, così come l’intera economia mondiale, sta vivendo una fase di profonda crisi economica. La gestione dell’emergenza può, e deve, essere l’occasione per accelerare i processi di trasformazione, in particolare nell’ambito della sostenibilità ambientale e della digitalizzazione della nostra economia. Investimenti verso progetti e produzioni a basso impatto ambientale rappresentano un fattore competitivo e di sviluppo per l’economia. A maggior ragione dopo questa emergenza sanitaria, che ha permesso di verificare i vantaggi delle nuove tecnologie (dal controllo non tradizionale delle fabbriche, alle vendite online, allo smart working), occorre accelerare sul fronte della digitalizzazione con uno sforzo congiunto delle imprese, anche quelle di minori dimensioni, e delle istituzioni, per aumentare gli investimenti (infrastrutture, processi produttivi, software) ma anche le competenze, su cui l’Italia sconta un gap non più sostenibile”.

Nel rapporto si sostiene che il comparto manifatturiero subirà un calo medio del 15% nel 2020, mentre nel 2021 è atteso un rimbalzo del 5.3%. che proseguirà un graduale recupero a ritmi inferiori al 3% medio annuo. La ripresa dunque non sarà soddisfacente ma costituirà ugualmente un’opportunità di trasformazione e modernizzazione del nostro tessuto produttivo, che non può essere mancata.


L’ITALIA SI DEVE ADEGUARE AI TEMPI CHE CAMBIANO

In pratica entrambi i rapporti hanno emesso un vero e proprio grido di dolore per il nostro Paese: la ripresa arriverà, ma non sarà la fotocopia di quella precedente. L’industria europea-e ancor più quella italiana- rischiano di restare indietro e azzerare i propri margini. Bisogna favorire urgentemente l’innovazione , il cambiamento, la digitalizzazione, e supportare gli investimenti e le infrastrutture che possono rendere possibile tutto ciò. Il concetto di urgenza risuona spesso anche nelle parole del Rapporto Colao. L’importanza della rapidità di risposta alle sfide da vincere inciderà non poco nella validità della sequenza di iniziative che verranno messe in campo. Se arriveranno troppo tardi non sarà affatto la stessa cosa. E guarda caso l’Europa cosa fa a proposito del Recovery Fund (il piano da 750 miliardi di euro voluto dall’asse franco-tedesco e presentato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen)? Lo rimanda al 2021. Ogni commento è scontato al riguardo.

L’EUROPA SI MUOVE, MA LENTAMENTE

La settimana dal 15 al 19 giugno per l’Unione Europea sarà peraltro densa di avvenimenti: si parte con il vertice sulla Brexit, per impostare un divorzio regolato se si scivola nel no-deal. Giovedì la BCE farà partire il nuovo strumento di liquidità ( il TLTRO) con cui finanziare le banche europee e Venerdì 19 si riunirà il Consiglio europeo sul tema del Piano di risanamento europeo sul quale si innesterà l’intervento del Recovery Fund, un piano centrale per la ripresa dell’Unione, che al momento vede come maggiore beneficiaria l’Italia assieme ai Paesi più colpiti dal Covid-19. Per rendere il piano operativo entro metà ottobre è necessario che il processo inizi nel migliore dei modi e che arrivi presto alla decisione finale.

Il negoziato potrà scorrere veloce o potrà essere un pianto, dal momento che ciascuno dei minori beneficiari del Piano chiederà qualcosa in cambio: una vera miseria morale che deriva dall’impostazione minimalista degli attuali trattati europei e che dovrà trovare presto miglioramenti se non si vuole andare incontro ad altri exit. Ma se si arriverà ad erogare i 750 miliardi, questi saranno -per la prima volta nella storia dell’Unione- finanziati da un debito comune emesso attraverso il Mes, un passo che fino a poco fa pareva inimmaginabile.


E se la politica monetaria -non solo quella europea- si prevede possa rimanere estremamente espansiva, per mitigare le lungaggini della politica, si può forse sperare che gli stimoli monetari ci aiutino a vedere una luce in fondo al tunnel della recessione in cui ci siamo infilati con la serrata anti-virus. Così come è possibile che le borse, pur attraverso le acque agitate di una volatilità stabilmente accresciuta, resteranno a galla -grazie a loro- senza tornare a sprofondare come tre mesi fa.

Ma l’economia reale, soprattutto quella italiana, senza pesanti e urgenti riforme strutturali e una fortissima volontà politica di rilancio (al momento solo nominale), farà molta fatica a riprendersi. Non c’è perciò troppo da rallegrarsi se soltanto la finanza (che in questo momento mena il bastone) saprà sostenere lo sviluppo delle imprese e le innovazioni più radicali, così che il mondo potrà evitare una lunga e dolorosa stagnazione economica.

GLI ASSI DEL NUOVO SVILUPPO

Ma gli esperti ci dicono che gli assi attorno ai quali potrà svilupparsi nuova crescita industriale saranno in buona sintesi la l’innovazione, la sostenibilità ambientale e la digitalizzazione. Da questo punto di vista entrambi i rapporti sopra citati parlano chiaro: o l’industria italiana riuscirà ad adeguarsi a queste direttrici e a raccogliere l’interesse degli investitori privati per scommettere sul futuro, a promuovere iniziative eco-sostenibili, ad essere supportata nei suoi programmi di innovazione e espansione internazionale, o di quel che essa era rimarrà giusto l’ombra, perché tutto il resto del mondo procede a grandi passi in queste direzioni.


Noi italiani -molto indietro su quei tre assi- possiamo contare sull’offerta culturale, e potremmo cercare di riguadagnare spazio sulle nuove infrastrutture, la cui realizzazione aiuterebbe non poco occupazione e reddito nel nostro Paese. Siamo un popolo di architetti, stilisti, costruttori, innovatori e tecnici, molto più di tanti altri. Se riuscissimo nella valorizzazione del nostro patrimonio culturale e nella realizzazione di grandi infrastrutture potremmo poi tornare a esportare competenze ed eccellenze come è più di prima. Ma per farlo occorre orientare all’uopo risorse che oggi si disperdono in mille rivoli.

Se invece resteremo impegnati a salvare vecchie industrie in crisi allora arriveremo a patire la fame. Ecco il messaggio implicito degli esperti che la politica avrebbe voluto smussare. E che essi invece hanno voluto ribadire.

Stefano di Tommaso




IL FIATO CORTO DELLE BORSE

Alcuni aspetti della Fase Due sono stati oggettivamente meravigliosi, come il ritorno alla libertà, alla speranza e all’attività lavorativa. Anche le borse hanno espresso entusiasmo fino quasi a dimenticare la recessione. Ma il loro ottimismo è destinato a perdurare? O si scontrerà con la crisi dell’economia reale che è derivata dalla pandemia?

 

L’OTTIMISMO DELLA FASE DUE

Non bastava la magìa del risveglio della natura mentre la nostra civiltà industriale sembrava sopìta. Non bastavano i proclami a suon di miliardi di bigliettoni che, per un attimo, hanno fatto sognare tutti ad occhi aperti circa i loro meravigliosi impieghi e i miracolosi effetti degli investimenti che avremmo potuto realizzare con i finanziamenti e gli incentivi. Non sono bastate le immissioni di liquidità delle banche centrali che hanno galvanizzato le borse e i titoli a reddito fisso facendoli tornare -quasi- ai livelli pre-crisi. Non sono bastate le riaperture delle frontiere (con qualche eccezione per i “caciaroni” dello stivale d’europa) e la ripresa di qualche traccia sparsa di turismo.

Abbiamo anche sperato che il virus fosse dato per disperso e, con esso, lo fossero anche gli ultimi DPCM, i commissari straordinari, le ovvietà dei 450 “saggi”, gli annunci presidenziali a reti unificate e i droni che vengono a cercarci anche in riva al mare o in mezzo ai boschi per ricordarci di rimanere imbavagliati e di non assembrarci in gruppi superiori alle 15 unità (e solo per i funerali). Ma ci siamo soltanto illusi… Nulla impedirà che dopo la Fase Due arriverà la Fase Tre e, con essa, le terribili conseguenze della Fase Uno.

Siamo anche rimasti stupefatti dalla velocità con cui tutto ciò si è sviluppato (pandemia, divieti, crisi e poi ripresa) e così ci siamo oramai completamente adattati ad ascoltare tutte le sere al telegiornale le parole di Conte, del Papa e di Mattarella, le statistiche di morti e guariti e la morale quotidiana sul fatto che le cose vanno meglio “ma non bisogna abbassare la guardia”.

Abbiamo sperato di tornare alla “normalità” e abbiamo riaperto i polmoni, perché è umano tornare a sperare e a cercare nuove strade per vivere, lavorare, esprimersi e ritrovare le proprie comunità, temporaneamente sostituite con le piattaforme per le videoconferenze. Così come è umano voler ritrovare-anche quasi senza fondate ragioni- ottimismo e positività, persino in banca e in borsa. Abbiamo sperato cioè di riuscire a dimenticare in fretta questo brutto incubo e continuiamo a immaginare che la vita possa riprendere come prima, un po’ come è successo dopo l’ultima -pesantissima- recessione.

ARRIVA LA FASE TRE: DOPO LE SPERANZE LE CONSTATAZIONI

Ma adesso tutti si chiedono come sarà la Fase Tre, quella del consolidamento, della vita dopo il virus, della cauta ripresa della “normalità”, e della elaborazione finale del lutto e della nuova, pesantissima recessione, della scarsità di risorse disponibili per riprendere fatturato, investimenti e occupazione, nonché dell’eccesso di indebitamento che conseguirà alla recessione.

Molti esperti ci mettono in guardia sul fatto che sì, dopo la bufera, la vita riprenderà, ma nulla sarà davvero come prima. Solo che facciamo una terribile fatica a digerirlo, e così noi operiamo una media “mentale” e immaginiamo che sì, qualcosa cambierà, ma non molto e non troppo in fretta. E soprattutto continuiamo a sperare che altre copiose buone notizie continuino a fioccare seppellendo il recente passato. Perché -si sa- la speranza è l’ultima a morire.

Ma il mondo in questo trimestre di terrore e repressione è oggettivamente cambiato un bel po’. Il nostro conto corrente è cambiato, le nostre aspettative di guadagno sono cambiate e qualche volta anche quelle di rimanere al lavoro e in buona salute. I segni dello chock non potranno non manifestarsi, anche solo per qualche mese a venire e le nuove regole, le nuove modalità di lavoro e di socialità non si archiviano facilmente. Anche la burocrazia farà la sua parte nel tardare a rimuovere le barriere, perché nessuno vuole certe responsabilità. Vorremmo sperare che non fosse così e vorremmo immaginare i mercati finanziari guardare soltanto avanti per dimenticare la brutta “nottata”. E fin’ora è andata così: con i tassi a zero i mercati non possono che guardare molto lontano, se solo non inciampano in qualche ostacolo sotto ai piedi…

ANCHE LE BORSE HANNO SOGNATO

Il Nasdaq, cioè la borsa delle imprese tecnologiche americane o quotate in America, allo scorso venerdì aveva recuperato quasi completamente (30%) la discesa del 32% dai massimi di metà febbraio. Manca solo un 2%. Gli altri indici un po’ meno, ma comunque hanno corso molto velocemente. Di seguito l’andamento dell’indice Standard&Poor 500:


In America (come si può leggere dal grafico) la ripresa delle quotazioni della borsa si è mossa a “V” stretta, cioè si è sviluppata altrettanto fulmineamente quanto la discesa. Le borse europee invece non sono tornate a risalire così tanto, sebbene il principale indice della borsa di Milano sia comunque tornato a superare la soglia psicologica di 20.000 punti. Di seguito il differenziale di performance tra la borsa americana e l’indice composito dei principali titoli di quelle europee.


Dal grafico qui sopra appare evidente il ritardo dell’Europa nella ripresa delle quotazioni, ma la prima spiegazione è che questa ha riguardato i titoli americani più tecnologici, mentre in Europa abbondano quelli industriali e finanziari. L’ottimismo ha comunque abbondato dappertutto, ma quest’ultimo deve pur poggiare su qualche fondamento, altrimenti si trasformerà in delusione…

LE RAGIONI PER DUBITARE CHE L’OTTIMISMO CONTINUERÀ

E, nonostante la prospettiva di qualche anno ancora di politiche monetarie e fiscali straordinariamente espansive, una serie di elementi di prudenza e apprensione si profilano infatti all’orizzonte: dalle nuove tensioni U.S.A.-Cina, alle elezioni presidenziali americane (che si annunciano già combattutissime), fino all’arrivo dei più importanti giudizi di Rating che il nostro Paese sta per ricevere (e ci si aspetta che al massimo non siano fortemente peggiorativi, vista la recessione economica nella quale ci troviamo) . Di seguito una tabella riassuntiva dei voti ricevuti dall’Italia:


Ci sono poi le proteste “di piazza”, che tutto sono tranne che spontanee, dal momento che si sono propagate pressoché istantaneamente nelle principali città del mondo e che sono state platealmente cavalcate dal “deep state” americano, il quale ha innanzitutto opposto il veto del pentagono al loro contenimento per mezzo dei militari, per poi regalargli una copertura mediatica degna dei grandi complotti internazionali. Difficile non vederci pericoli e insidie, non soltanto per l’ordine pubblico, ma anche per una serena e rapida ripresa di investimenti e occupazione. Le scene di violenza quotidiana in America si sono moltiplicate e questo non favorisce i mercati finanziari.

Ma se non è affatto detto che le mani forti dietro la politica desiderino che la ripresa economica si svolga presto e ordinatamente, è anche probabile che in autunno i prezzi del petrolio e dei suoi derivati tornino a salire, non foss’altro che per qualche nuova direttiva eco-sostenibile dietro alla quale ideologia si profilano -come sempre- interessi formidabili.

La stessa volontà “unitaria” mostrata in tivù dalla Commissione Europea, che si dovrebbe tradurre in iniziative meravigliose come il “Recovery Fund” e un nuovo Meccanismo Europeo di Stabilità apparentemente senza condizioni nonché in altre versioni più edulcorate degli annunci ad effetto, è una volontà che potrebbe esaurirsi in fretta, col prevalere degli interessi di bottega di questo o quel paese del nord Europa, pronto a cogliere le opportunità di turno per far valere la sua voce o per risultare gradito all’egèmone tedesco. Sugli “aiuti” europei, insomma, non c’è da contare troppo!

IL PERICOLO DELL’INFLAZIONE NON È CONTEMPLATO

Non è poi detto che governi e banche centrali proseguano indiscriminatamente a suonare la grancassa dell’albero della “cuccagna” mentre i mercati finanziari già scontano i loro ulteriori interventi mentre non scontano alcuna inflazione (che sappiamo essere a doppia cifra per talune tipologie di merci e che -se non fosse opportunamente manovrata nel dato che viene reso pubblico dagli uffici di statistica- non potrebbe che manifestarsi allo scoperto). Ma esistono anche componenti negative dei prezzi, principalmente i prodotti industriali e i manufatti provenienti dai paesi emergenti. Scegliere se gli uni (al rialzo) o gli altri (al ribasso) dovranno prevalere nel paniere ufficiale che misura il tasso d’inflazione di ciascuna nazione, sarà soltanto questione di scelte, sociali, politiche e di lobbies.

LA BASE MONETARIA CRESCE PIÙ CHE DOPO LA CRISI DEL 2008


Il punto è che la base monetaria (e non soltanto in America, dove è più facile trovare dati e grafici, come quello sopra riportato) ha subìto negli ultimi mesi un’accelerazione superiore a quella vista subito dopo la crisi del 2008. Questo fatto non ha determinato attese d’inflazione a causa di una bassissima velocità di circolazione della moneta. Ma laddove questa riprendesse quota, le principali divise monetarie non potrebbero non svalutarsi rispetto ai beni che esse possono comperare. Cioè non potrebbero non esprimere inflazione dei prezzi.

PERCHÉ L’ORO VA ALLE STELLE

È questo anche il principale motivo di forte apprezzamento delle quotazioni dell’oro (si veda qui sotto il grafico degli ultimi cinquant’anni): cioè il “debasing” delle valute, esattamente così come esso fu percepito con l’avvio del primo Quantitative Easing subito dopo la grande crisi del 2008. Solo che stavolta l’oro è cresciuto persino di più…


Sebbene la prospettiva di inflazione (se non è galoppante) non danneggi necessariamente le quotazioni dei mercati finanziari, abbiamo visto che ci sono numerosi ed evidenti motivi di “attenzione”, tali per cui nella seconda metà dell’anno (cui manca molto poco) non è così detto che la corsa dei mercati finanziari possa proseguire senza sosta, che altre sorprese (negative) potrebbero fioccare, e che la pioggia di miliardi che oggi muove le borse potrebbe anche interrompersi. E in tal caso già finire l’anno anche solo mantenendo i formidabili livelli oggi recuperati dalle borse potrebbe essere un’ottima notizia!

I SETTORI ECONOMICI NON SONO TUTTI UGUALI

I profitti dei diversi settori economici durante la crisi poi non si sono comportati tutti allo stesso modo: ce ne sono stati alcuni che non hanno quasi risentito della “serrata”, e altri che si sono rotti davvero le ossa (come nell’energia, nei consumi non essenziali e nel manifatturiero) come si può vedere dall’andamento qui sotto riportato dei titoli quotati per settore di appartenenza :


Alcuni grandi titoli quotati (i famosi FAANG: Facebook Apple, Amazon, Netflix e Google) hanno sono addirittura andati in controtendenza alla crisi, contribuendo non poco al successo odierno dei listini, sulla media dei quali essi pesano terribilmente. Come dicevamo poc’anzi è anche per questo che il listino della borsa americana ha performato meglio degli altri.

Ma per il futuro sarà sempre così? O quando la recessione si manifesterà in modo più mordace i risparmiatori inizieranno a preferire i titoli “value” a quelli “growth”? E la volatilità continuerà a spazzare il mare dei mercati finanziari creando incertezza e sconcerto oppure alla fine tornerà a placarsi?


Quel che è certo è che di certezze, di qui alla fine dell’anno, ce ne sono assai poche! Mentre per il 2021 sono tutti parecchio ottimisti, forse oggettivamente troppo. Una nuova ripresa economica potrebbe sì fare capolino, soprattutto se il “deep state” non dovesse vincere a mani basse le sfide politiche e mediatiche, e una nuova ripresa economica iniziasse a dispiegare i suoi effetti pratici. Ma che la recessione appena arrivata sparisca così in fretta da dare luogo ad un nuovo “new deal” è tutta da vedere. Potrebbe andare tutto bene. O potremmo trovarci davanti un lungo periodo di assestamento, e a una lunga, rovinosa agonia della politica dell’Unione Europea, prima che essa si riprenda come è più probabile che succeda all’America.

Stefano di Tommaso