SCENARI POST-VIRUS

La doccia fredda giunta sulla testa di chi sperava che le borse si avviassero ad anticipare la ripresa dopo il blocco economico in atto probabilmente significa una cosa sola: che gli economisti al lavoro per le grandi case di investimento temono ancora il peggio! A poco pare siano serviti gli interventi delle banche centrali e a poco pare siano utili (se non alla mera sussistenza della gente) gli interventi governativi. Ora le borse asiatiche forniscono segnali confortanti ma il fatto che l’oro e i titoli a reddito fisso cedano un po’ di terreno la dice lunga sulle aspettative: si cerca la liquidità perché si teme una crisi prolungata. Qui sotto l’andamento dell’indice azionario globale MSCI:

 


DI QUANTO DIMINUIRÀ IL PRODOTTO GLOBALE?

La necessità di contenimento del contagio ha il suo prezzo, la misura del quale è ciò che andrà compreso non appena il polverone del virus si abbasserà. Se la JPMorgan arriva a prevedere che il Pil globale possa contrarsi a un tasso del 10,5% nella prima metà dell’anno, questo potrebbe dire che, spannometricamente (vedi l’altro mio articolo “Fine dell’Incubo?”) l’anno si chiuderà con un calo di circa il 5% del Prodotto Lordo Globale: non si vedeva dalla crisi del 1929! Se così fosse i profitti medi a livello globale si dimezzerebbero, trascinando verso il basso le quotazioni azionarie e le valutazioni aziendali.

CHI CI GUADAGNA?

Ora, quando tutti hanno paura sui mercati finanziari ecco che per gli investitori intelligenti si creano due belle opportunità: la prima è ovvia: riuscire a individuare le imprese che andranno in controtendenza, perché non soltanto il loro valore non scenderà, ma potrebbe anche riservare ottime sorprese. La seconda lo è assai meno ed è adatta agli stomaci forti: comperare le migliori occasioni di “valore” e attendere che gli eventi evolvano. Difficile però orientarsi tra le ondate della volatilità dei mercati. Quando i mercati oscillano del 5-10% al giorno sbagliare il “timing” può risultare letale! E sempre che non arrivi nel frattempo altra bufera. In quel caso solo la liquidità sarebbe premiata.

E se il blocco economico in atto porterà all’apocalisse non lo sa davvero nessuno. O meglio: nessuno arriva ad attendersi razionalmente disastri generali paragonabili all’economia di guerra. Ma certo la data di ritorno alla (relativa) normalità delle attività economiche, inizialmente impostata sulla metà di Aprile, oggi sembra che si sposti come minimo alla fine del mese. Dunque si riducono i consumi ma anche i danni alle attività produttive crescono, soprattutto in America, che restava la locomotiva del mondo. E la Cina?

LA CINA COME GESTIRÀ IL SUO VANTAGGIO ?

Molto meglio degli USA sembra impostata la Cina, che può vantare invece una sostanziale “uscita dal tunnel” e danni scarsissimi all’economia reale complessiva. Difficile commentare dal punto di vista geo-politico questa vicenda, perché si presterebbe a commenti che è impossibile inserire in qualunque considerazione macro-economica ma, tutto sommato, il fatto che la “fabbrica del mondo” (non solo la Cina è la prima manifattura al mondo, ma da essa negli ultimi anni è derivato 1/3 della crescita economica) riprenda a funzionare molto prima di ogni altro Paese è comunque una bella notizia: se non mancheranno le forniture allora servono soltanto i quattrini per comperarle, i quali potrebbero arrivare ancora copiosi dalle banche centrali.

Quella “fabbrica del mondo” peraltro per poter marciare avrà ancora bisogno di ricambi, manutenzioni, tecnologie e software, che in buona parte arrivano dall’Occidente. Dunque se la Cina (con il suo miliardo e mezzo di abitanti e la sua importanza economica e produttiva) si riprende, ci sarà un gigantesco problema strategico per l’Occidente che rimarrà sotto scacco geo-politico ma non ci saranno la fame e la disperazione che potevano invece prefigurarsi se tutto il mondo andava in blocco a causa del virus.

SCENARI A CONFRONTO

Dunque sono gli scenari per il periodo che seguirà che faranno la differenza, non la pandemia. Vediamo quali sono quelli più probabili.

Il primo possibile (e probabile) scenario è appunto che l’influenza economica del blocco asiatico possa diventare dominante nel mondo, e questa non è necessariamente una pessima notizia, soprattutto per noi Italiani. I mercati finanziari ne subirebbero danni limitati ma da questa vicenda sarebbe soprattutto l’America a uscirne con le ossa rotte, mentre l’Europa ne coglierebbe spunto per ulteriori spaccature (ma difficilmente sarebbe andata diversamente) cercando di profittarne.

Un secondo scenario -forse più puntuale- potrebbe risultare in una forte riduzione dei consumi tanto in Asia (che preferirebbe capitalizzare piuttosto che permettere ai consumi di riprendere appieno) quanto in Europa, ma molto meno negli Stati Uniti d’America e nel Giappone, dove a supportare i consumi sarebbero ancora una volta i dollari stampati di fresco e la grande tenacia del popolo del Sole Crescente.

In questo scenario America e Giappone riuscirebbero egregiamente a supportare le proprie aziende e la propria tecnologia mentre di fatto si rafforzerebbe la necessità di quest’ultima per la Cina, che tatticamente non vedrebbe troppo male la possibilità di “fare sistema” con il Nord America e il Giappone, rimandando di qualche anno il “sorpasso” economico in attesa di un proprio ulteriore rafforzamento. Se così fosse i mercati finanziari occidentali tornerebbero a brillare con i titoli tecnologici ancora in evidenza rispetto alla “old economy”.

IL PROBABILE DECLINO DELL’EUROPA

Da entrambe questi scenari sortirebbe immancabilmente il declino economico e strategico dell’Europa, sempre più divisa tra nord e sud e incapace di dotarsi di una strategia, messa per di più sotto scacco anche dalla geo-politica. Se poi fosse il secondo scenario ad avere la meglio ciò darebbe un deciso vantaggio ai mercati finanziari (che hanno scommesso pesantemente sulle nuove tecnologie) con un ritorno alle grandi alleanze di Yalta, dove la Federazione Russa (che può vantare un’alleanza quasi secolare con la Cina) troverebbe finalmente più respiro, e della quale la vecchia Europa ne subirebbe, almeno parzialmente, il fascino.

Sarebbe inoltre il trionfo strategico della Gran Bretagna e, forse, di tutto il Commonwealth britannico, capace -come ai vecchi tempi- di cooperare efficacemente dopo aver resistito alle pressioni dell’asse Franco-tedesco. Anche la scelta coraggiosa (insieme a qualche altro Paese nordico) della linea di minor possibile resistenza al virus, per non deprimere troppo la sua economia dovrebbe portare i suoi frutti, migliorandone la posizione.

L’ITALIA ALLA DERIVA

Difficile dire per quale dei due scenari noi Italiani potremmo propendere, dal momento che il nostro Paese è il classico vaso di coccio tra biglie d’acciaio, ma -bisogna ammettere- lo era già prima del virus. L’Italia può sperare di risollevarsi soltanto se riuscirà a scrollarsi di dosso la cortina di austerity in cui l’Europa l’ha avvolta. L’epocale cambiamento in atto potrebbe, per assurdo, creare per noi un’irripetibile opportunità da cogliere. Chissà…

Più in generale la crisi economica in arrivo potrà soltanto accelerare le possibili evoluzioni. Il problema, come sempre e come si è già visto in occasione dell’ultima grande crisi che ha attraversato il mondo (quella del 1929) è che i grandi sconvolgimenti comportano seri pericoli. Ad esempio il decennio che è seguito al 1929 ha preparato il terreno per la più grande guerra della storia dell’umanità (la seconda guerra mondiale). Speriamo che stavolta vada diversamente.

Stefano di Tommaso




FINE DELL’INCUBO?

Se le borse avessero finito di scendere saremmo tutti più felici, nonostante l’economia reale abbia ben più seri problemi che non quella di carta. D’altra parte il “sentiment” della scorsa settimana è sembrato decisamente positivo, tanto perché tutti i Paesi G7 hanno varato più o meno poderose misure di contrasto al blocco dell’economia, quanto per le relative buone notizie che arrivano dall’Asia a proposito della curva discendente del virus. Ma altre minacce sono in agguato, a partire dall’elevatissima volatilità che continua a increspare l’oceano finanziario. Poi a intorbidire le acque ci sono le ricoperture degli speculatori al ribasso, alcuni dei quali hanno subìto lo spavento di una possibile ripresa dei corsi azionari e hanno probabilmente deciso di portare a casa i guadagni, invece di restare sulla giostra, le cui oscillazioni sembrano così ogni volta più violente. Ecco i dettagli.

 


Dopo un momento di incertezza sulle decisioni politiche sottostanti al dispiegamento di forze che si è visto in America (e che ci si augura venga almeno in parte replicato nel vecchio continente) gli ultimi giorni di borsa hanno riservato almeno altrettante sorprese quante quelle dei vistosi cali precedenti, ma non hanno ovviamente colmato il divario con le quotazioni precedenti.


Siamo semplicemente tornati indietro di qualche giorno con una distanza di circa un quinto del totale rispetto massimi livelli borsistici dell’anno. Giusto, e non è nemmeno detto che il recupero di fiducia si fermi qui. Ma ora, scampato il pericolo più grave (quello di una replica della crisi del 2008 cui i governi non furono in grado di rispondere adeguatamente), c’è da chiedersi cosa succederà poi.

WHAT NEXT ?

Per rispondere alla domanda sui mercati borsistici corre l’obbligo ancora una volta di fare riferimento all’unico vero driver del valore azionario nel medio-lungo termine, cioè all’andamento dei profitti aziendali (piuttosto che all’andamento dell’economia reale, il quale appare invece una variabile secondaria ai fini della suddetta misurazione). Ebbene di quanto miglioreranno i profitti aziendali futuri rispetto alle attese catastrofiche degli ultimi giorni, dopo che le fortissime misure di contrasto attuate dal governo americano avranno esplicato i loro effetti?

Ovviamente è troppo presto perché si formino già delle previsioni microeconomiche condivise dal mercato utili a riadeguare la stima dei profitti aziendali, sebbene la percezione generale sia chiara: essi miglioreranno, ma non fino al punto di far dimenticare l’accaduto, anzi! Le misure di contenimento prese oramai da tutte le maggiori nazioni devono ancora esplicare i loro effetti negativi sull’economia. Il “purchasing manager’s index” (PMI) nei vari paesi del mondo parla più o meno la stessa lingua, al momento.


Come dire che nessun responsabile degli acquisti nelle grandi imprese si aspetta ancora -dalle misure di supporto all’economia reale promosse sino ad oggi- di poter percepire degli effetti immediati sui profitti aziendali, anche perché in buona parte del mondo l’ordine di “stare a casa” è appena stato impartito. Inevitabilmente i consumi per almeno un mese continueranno a flettere, così come pure i risparmi e i nuovi investimenti. Per qualche tempo resteranno tutti molto compressi, ripercuotendosi inevitabilmente sui profitti aziendali. Si, ma di quanto?

Se un indicatore della riduzione dell’attività economica è il prezzo del petrolio (ma sappiamo che lo è solo in piccola parte) allora potremmo affermare che essa si è più che dimezzata. Come si vede dal grafico qui riportato:


COME CAMBIANO I PROFITTI ATTESI ?

Se invece vogliamo fare una stima molto spannometrica, dal momento che in media tra le aziende quotate in borsa la profittabilità operativa netta è intorno al 10% del fatturato, possiamo ipotizzare che all’incirca la profittabilità oscilli di circa 10 volte in ragione delle oscillazioni del fatturato. Se questo in media fosse vero allora una contrazione di consumi e investimenti di circa il 2% nell’esercizio (ed è una stima fortemente ottimistica che tiene conto della possibile ripresa nella seconda parte del 2020) potrebbe provocare un calo dei profitti di circa il 20%.

Cioè tanto più o meno esattamente quanto la discesa media dei corsi azionari al netto degli attuali rimbalzi. Cosa che farebbe presumere una certa calma futura sui mercati, ma non è così: gli utili delle industrie cinesi sono crollati del 38,3% a livello annuale nel periodo tra gennaio e febbraio a causa dell’impatto della pandemia. Se quelli occidentali scendessero altrettanto allora dovremmo attendere ulteriori cali di borsa!

Ma nessuno al momento è davvero in grado di prevedere di quanto si ridurranno i profitti aziendali medi attesi per la fine del 2020, in funzione del rallentamento forzoso oggi in atto. Potrebbero ridursi di molto meno o molto di più del 20% e questa sicura imponderabilità influenzerà grandemente i corsi azionari, alimentando ancora una volta le loro oscillazioni.

LA ROTAZIONE DEI PORTAFOGLI

Inoltre le grandi trasformazioni epocali che sono alimentate dai momenti di crisi comportano un rimescolamento delle aspettative per i singoli settori economici e, di conseguenza, una rotazione dei portafogli azionari detenuti dagli investitori. Di seguito un grafico che mostra come sono cambiati i pesi dei diversi settori industriali negli ultimi due secoli:


Sono questi i motivi per i quali è davvero prematuro pensare che non ci saranno nuovi importanti scossoni sui mercati e sinanco che non è detto che il calo dei corsi sia giunto al capolinea. Poi nel tempo magari le borse si riprenderanno. E nel tempo la volatilità di questi giorni sarà soltanto un ricordo. Ma bisogna arrivarci vivi a quel tempo. Prima si balla, e ad un ritmo sfrenato!

Molto dipenderà poi da quanto sarà lungo il “fermo amministrativo” imposto alle imprese. Nei giorni scorsi qualcuno ha fatto notare che anche le crisi economiche fanno morti e feriti, impongono sofferenze e generano disastri. E a subirli come sempre sarà la povera gente. Dunque l’accettazione di una limitazione alle precauzioni teoriche da contagio che è possibile prendere passa dalla ponderazione delle conseguenze che esse comportano. Non è necessariamente un argomento da capitalisti e neo-liberisti. Anzi: forse è quasi il contrario!

Stefano di Tommaso




VERSO UN’ECONOMIA “SEGREGATA”

Nelle ultime settimane le borse valori di tutto il mondo hanno registrato un vero e proprio crollo verticale, data la velocità di discesa dei corsi azionari. Qualcuno ha gridato perciò al complotto e qualcuno ha provato -senza riuscirvi- a contrastare le vendite generalizzate, ma le borse hanno continuato a scendere e la domanda che oggi si pongono tutti è: siamo arrivati al fondo di tali ribassi? Per provare a rispondere proviamo ad analizzare i fatti, indipendentemente dai punti di vista personali.

 

DOVE CI TROVIAMO ?

Per fare il punto della situazione occorre premettere che dal 20 febbraio, (primo caso di contagio in Italia) il Ftse Mib (Borsa italiana) ha perso il 38%, il Dax30 (Borsa tedesca) e il Cac 40 (Borsa francese) poco meno. L’indice S&P500 (Wall Street) ha perduto il 28% e il prezzo del petrolio è sceso del 50%. Persino l’oro -bene rifugio per eccellenza- è sceso del 9% a causa della necessità di chiunque di fare liquidità.

Dal grafico qui riportato si vede che la discesa dei corsi a Wall Street, sebbene molto forte, non è ancora minimamente paragonabile alla crescita che ha avuto nell’ultimo decennio. In caso di proseguimento della crisi è perciò alle quotazioni del 2008 che rischiamo di dover fare riferimento :


Nell’ultima settimana si è anche registrato il maggior deflusso della storia dall’investimento in titoli a reddito fisso: un totale di 108 miliardi di dollari, quasi quattro volte il record della crisi precedente (2008). Nello stesso periodo gli investitori hanno riversato parte dei contanti per oltre 90 miliardi in fondi monetari denominati in dollari.

UNO SHUTDOWN LIMITATO NEL TEMPO?

Oggi le stime sulla caduta della crescita economica dei principali analisti finanziari oggi si limitano a considerare gli effetti di uno “shutdown” (chiusura generalizzata di imprese ed esercizi pubblici) al massimo di uno-due mesi negli Stati Uniti d’America e di circa il doppio in Europa. E già con queste premesse gli analisti vedono piuttosto nero: il P.I.L. italiano che scenda di circa il 2%, quello medio d’Europa di circa 1/2 punto % e quello americano la cui crescita vada più o meno a zero:


In pratica si salvano soltanto la Cina, che dopo la cura da cavallo pare abbia contenuto i danni ad un crollo soltanto per il primo trimestre solare (dunque manifesta l’aspettativa di risalire ad un tasso annuale di crescita di circa il 4%) e l’India (la migliore), mentre il Giappone, già caduto in recessione prima del virus, pare abbia limitato moltissimo il numero dei morti e di conseguenza dei danni economici.

In questo scenario i danni all’economia reale, per quanto estesi, potrebbero essere superabili e nel secondo semestre dell’anno la crescita economica potrebbe riprendere, soprattutto se -nei paesi più colpiti- alla fine interverranno forti contributi pubblici e forti incentivi monetari e fiscali (in Francia e Germania, ad esempio, sono già stati pianificati, molto meno in Italia dove peraltro sono stati solo annunciati). È lecito però considerare ottimistico tale scenario. Quelle stime si basano appunto tutte sulla speranza che l’ondata pandemica possa arrestarsi presto.

COSA SUCCEDE SE INVECE IL CONTAGIO PROSEGUE?

Una speranza -quella citata- che molto probabilmente rimarrà tale, dati i numeri del contagio che si stanno registrando negli ultimi giorni nel mondo. Oltre l’orizzonte di 5-6 settimane di shutdown i calcoli andranno pesantemente rivisti al ribasso, con la prospettiva di una seria e duratura recessione. Il motivo principale per il quale dobbiamo prendere in considerazione anche uno scenario peggiore è il cosiddetto fenomeno del “contagio di ritorno”, che interverrebbe con ogni probabilità ugualmente anche laddove si fosse superato il picco, sino a quando almeno non dovesse diffondersi un vaccino per il virus.


VERSO LA “SHUT-IN ECONOMY”

Se questo scenario si realizzerà andremo dunque verso la “shut-in economy” ovvero “economia da rinchiusi”. Un termine che fa venire in mente l’autarchia nazionale proclamata durante il ventennio fascista, ma è una prospettiva tutt’altro che apocalittica, bensì assai concreta, non per nostra volontà nazionale, bensì per quella del resto del mondo! Se le misure restrittive andranno avanti dovremo abituarci a cambiare molte nostre abitudini, a veder calpestate quasi tutte le nostre libertà individuali (come già oggi peraltro in buona parte sta già succedendo), saremo probabilmente tracciati negli spostamenti attraverso i nostri dispositivi cellulari e potremo soltanto sperare che la rete internet non venga limitata o ridotta nella sua capacità di tenerci collegati con il resto del mondo.

In uno scenario di prolungamento delle “misure di contenimento” inoltre buona parte degli esercizi pubblici (ivi comprese non solo le attività di somministrazione bensì anche tutte le altre che comportino frequentazioni intense, sino addirittura agli studi medici e ai servizi essenziali) chiuderanno, oppure ridurranno moltissimo la loro capacità di accogliere i cittadini, provocando code infinite e ritardi mostruosi, nonché speculazioni sui prezzi di molti prodotti che scarseggeranno. Ma soprattutto molti di essi non riapriranno più, a causa delle perdite accumulate.

In tale ipotesi è normale attendersi che -di conseguenza- buona parte dei debiti andranno insoluti, buona parte delle opportunità di lavoro verranno ridotte o cancellate (schiacciando con ciò la capacità di sopravvivenza soprattutto delle classi meno abbienti e meno dotate di risorse finanziarie) e la quasi totalità degli investimenti saranno rinviati. Una scure clamorosa che porterà verso la mera sussistenza il tenore di vita di quasi tutti i cittadini che verranno sottoposti ad un’economia segregata per più di 5-6 settimane, e per di più in assenza della possibilità di protestare, manifestare o andare a votare, data anche la sospensione di quasi tutte le libertà civili.

Sembra di paventare uno scenario distopico da romanzo di fantascienza, ma in caso di prolungamento forzoso delle chiusure aziendali e commerciali è invece una possibilità molto concreta, che provocherebbe ulteriori problemi al sistema bancario e crolli dei mercati finanziari nel disperato tentativo collettivo di trasformare in liquidità le risorse immobilizzate. Una crisi che per di più si propagherebbe velocemente in tutto il mondo e che -viene da dire- risulterebbe molto più amara dei lutti provocati dalla polmonite interstiziale indotta dal virus. Lutti che peraltro non sarebbero affatto debellati nemmeno nell’ipotesi della segregazione più totale. La segregazione infatti aiuta soltanto a non ingolfare le strutture sanitarie, non a debellare la pandemia.

Per contrastare l’avvitamento a spirale dell’economia è dunque necessario che la “serrata” non prosegua troppo a lungo, ed è altresì ovvio che sarebbero comunque necessarie risorse pubbliche molto ingenti, probabilmente troppe, per gli attuali orientamenti politici più comuni. Dunque è lecito attendersi che le manovre governative che verranno messe in atto potranno soltanto cercare di limitare i danni e che comunque nessuna “serrata” potrà definitivamente contrastare il “contagio di ritorno” del virus sino a quando non arriveranno farmaci in grado di curarne i pazienti affetti.

IL MONDO HA FAME DI LIQUIDITÀ

Con queste premesse perciò, a meno di un attento monitoraggio dello stato di “salute dell’economia” appare piuttosto improbabile che dopo un mese o due l’economia globale si riprenda così come si poteva sperare fino all’inizio di marzo. È più lecito attendersi invece da un lato una limitazione temporale della serrata (che ne ridurrà inevitabilmente l’efficacia) e dall’altro lato probabilmente ugualmente una recessione epocale indotta dall’ “economia segregata” e dal molto, molto nervosismo nella gente che la subirà a causa della carenza di mezzi finanziari per il sostentamento.

Dunque la svendita dei valori mobiliari e immobiliari detenuta dai risparmiatori probabilmente proseguirà per questo motivo, così come la continuità operativa prospettata con lo “smart working” (il lavoro da casa) sarà molto limitata. I profitti aziendali si ridurranno perciò di conseguenza, come peraltro appare implicito nelle attuali quotazioni di borsa :


Difficile d’altra parte attendersi oggi che appaia presto una “luce in fondo al tunnel”. Più probabile è invece che la speculazione al ribasso sui mercati finanziari continui ancora almeno sino a quando non verrà programmato uno stop al blocco di aziende ed esercizi pubblici, a causa dell’impellente necessità dei risparmiatori di tutto il mondo di trasformare in liquidità i propri risparmi, dal momento che soltanto ora i paesi più ricchi dal punto di vista finanziario stanno entrando in quel blocco economico che in Italia stiamo già sperimentando da qualche settimana.

La forte volatilità che osserviamo sui mercati è dunque principalmente funzione di due fattori: 1) la necessità di fare cassa e: 2) delle ricoperture messe in atto da parte di chi ha venduto allo scoperto. Ma è probabile che nonostante ciò (le ricoperture) la tendenza di fondo sia ancora impostata al ribasso a causa dei timori e delle esigenze di liquidità che sembrano crescere esponenzialmente. E sembra consolidarsi altresì una tendenza al rialzo del Dollaro americano, il principale beneficiario dei movimenti di denaro transnazionali. Un Dollaro forte è inoltre di per sé stesso un problema per buona parte delle economie emergenti, fortemente dipendenti da quest’ultimo per i debiti contratti in tale valuta.

UNA VERA CRISI ECONOMICA POTREBBE SEGUIRE LA “SERRATA”

Morale: se il contagio non accenna a rallentare o se nonostante tutto non si riapriranno presto aziende ed esercizi pubblici, le prospettive di ripresa dei mercati resteranno soltanto affidate alla speranza di un precoce arrivo di valide cure contro la pandemia ovvero di fortissimi interventi dei governi (e sappiamo già che quelli meno decisi non sortiranno effetti pratici), oppure a ulteriori, importantissime immissioni di liquidità da parte delle banche centrali, tali da raggiungere finalmente i privati cittadini senza fermarsi agli intermediari finanziari.

Per le cure si parla di diverse possibilità: ad esempio si dice che i Giapponesi stiano già utilizzando con successo un farmaco, l’Avigan (il cui principio attivo sarebbe il Fapiravir) per curare i malati di Coronavirus e che di conseguenza i danni della pandemia sarebbero molto limitati. Quanto agli interventi pubblici e monetari è ancora presto per valutarne la portata, ma al momento quelli italiani sono soltanto stati annunciati e in generale quelli attuati nel resto del mondo non sembrano sino ad oggi di misura sufficiente ad alleviare il blocco economico derivante dalla “serrata”.

Se lo scenario non cambia in fretta perciò una vera e propria crisi economica globale è in agguato!

Stefano di Tommaso




SENZA LIMITI E SENZA RIFERIMENTI

Tutti noi avevamo creduto di poter commentare gli eventi che accadono sui mercati con una serie di considerazioni logiche e razionali che ne giustificassero le evoluzioni in corso e ne potessero, in qualche misura, anticipare le prossime, ma questa volta dovremmo forse arrenderci all’evidenza dei fatti: è difficile trovare delle logiche di fronte allo spettacolo di completa disfatta che essi stanno offrendo. Salvo cercarle altrove, nella prospettiva di una catastrofe che essi possono evocare…

 

SULL’OTTOVOLANTE

Ho evitato volutamente di aggiungere alla parola “mercati” l’aggettivo “finanziari” perché non ci sono solo questi ultimi sull’ottovolante, bensì anche quelli dell’energia (il petrolio è precipitato di prezzo più delle borse), delle materie prime, forse sinanco delle derrate alimentari e degli altri beni di prima necessità (cui qualcuno oggi aggiunge i disinfettanti e le mascherine) e persino di quelli immobiliari.

Di fronte ad evoluzioni dei mercati come quelle osservate fino a ieri ci possono essere soltanto due spiegazioni possibili alle loro evoluzioni (che ai più appaiono senza limiti e senza riferimenti razionali) : o la “mano invisibile” che li orienta ha nel suo complesso capacità divinatorie -che nessuno di noi singolarmente può vantare- di scenari apocalittici che vanno ben oltre le aspettative collettive oggi prevalenti, oppure essi non rispondono più ad alcuna logica se non all’isteria collettiva, cioè al “panico di gregge”.

Ma poiché di considerazioni a supporto della prima spiegazione ce ne sono pochine, è allora più probabile che appaia più consistente la seconda possibile spiegazione: quella che sia il panico a guidarne l’attuale discesa agl’inferi. Cosa che peraltro appare in linea con l’altra caratteristica che i mercati stanno esprimendo negli ultimi giorni: l’estrema volatilità dei loro corsi. Fino alla loro totale impredittibilità.

E se le quotazioni di qualsiasi valore saltano di livelli quantici in un batter d’occhio, allora c’è da chiedersi se esse sono reali oppure sono divenute solamente e totalmente virtuali, immaginarie, cioè sempre più disconnesse dalla realtà.

Ed ecco che, come d’incanto, si chiude il cerchio logico delle considerazioni appena esposte con quest’ultima qualità dei mercati : la disconnessione dalla realtà cui essi dovrebbero riferirsi ne azzera d’un colpo l’attendibilità, la consistenza, il valore segnaletico. I mercati in queste ore appaiono altrettanto attendibili quanto il valore catastale degli immobili di centro città (in periodi normali): il loro riferimento alla vita reale appare così vago che nessuno si sarebbe mai sognato di utilizzarli in una vera compravendita, se non per motivi strettamente burocratici.

Osservando l’ottovolante della Borsa delle borse (Wall Street) di ieri sera (scesa nella giornata di oltre l’11% per poi limitare i danni a -5%) l’unica considerazione razionale che mi viene in mente è dunque che non ci sono affatto considerazioni razionali dietro agli attuali movimenti in cui ogni cosa può saltare di valore in un giorno anche del 14%, come è successo ieri all’indice di oro e argento (la tabella qui sotto si riferisce alle variazioni di ieri dei principali indici) :


Se quell’indice fosse reale sarebbe come dire che in soli sette giorni il prezzo di oro e argento potrebbe andare allo zero assoluto!

I POSSIBILI EFFETTI DEL “PANICO DI GREGGE”

Ecco che allora si possono cominciare a toccare con mano gli effetti pratici del cosiddetto “panico di gregge”. I medesimi che si sono visti durante le crisi economiche pregresse, e in particolare le più truci, come quella del 1929 e quella del 2008. In entrambi i casi sono state le borse valori a trasmettere all’economia reale un devastante contagio: le depressioni economiche che sono conseguite a quelle due crisi finanziarie del XX secolo hanno lasciato strascichi importanti e hanno ridotto sul lastrico milioni di persone.

Ma -a conferma della totale incapacità di chiunque di prevedere il prossimo futuro- nessuno può escludere la prospettiva che oggi adombrano i mercati: quella di una recessione indotta dalla permanenza della carenza di offerta di beni e servizi (e dunque il rischio di inflazione dei prezzi che ne può conseguire). Una possibile recessione che potrebbe risultare almeno tanto brutale quanto le due precedenti appena citate, capace anche di giustificare la caduta verticale della fiducia sui mercati.

E stavolta potrebbe andare ancora peggio, perché se da un lato la misura delle loro oscillazioni ci indica chiaramente che non si tratta più soltanto di uno “scossone” bensì di un terremoto epocale, dall’altro lato c’è la minaccia del virus alla vita reale delle persone, che spinge a predicare e praticare l’isolamento sociale nelle more dell’arrivo di vaccini e cure efficaci. E la necessità di isolamento può amplificare le conseguenze della crisi di fiducia che, se prosegue, può scuotere come un fuscello l’economia. La disgregazione sociale che ne può derivare fa però pensare che questa volta la catastrofe umanitaria possa essere ancora più cruenta perché capace di scuotere alle fondamenta a convivenza nella nostra società civile, cosa che ci sembrava essere un valore stabilmente e storicamente acquisito.

UNA CATASTROFE SOCIALE ?

Ovviamente è presto per dirlo, ma -di fronte alle fortissime oscillazioni dei mercati- bisogna arrivare a chiedersi cosa potrebbe significare per l’umanità l’essere costretta a una prolungata ed eventualmente ripetuta ondata di contagi (cioè anche “di ritorno”). Bisognerebbe chiedersi cosa succederebbe se l’esigenza di contenimento della pandemia dovesse arrivare a esporre l’umanità al rischio di fermo di quasi ogni attività produttiva e commerciale, alle conseguenti indisponibilità sostanziali dei beni di prima necessità, al rischio di sommovimenti sociali e dell’azzeramento delle più elementari libertà civili (come quella di poter prendere una boccata d’aria fuori della porta di casa).

Queste ipotesi estreme potrebbero lasciare il tempo che trovano se non fosse che, una volta che dovessimo constatare la possibilità di giungere a questo livello dei danni, occorrerebbe chiedersi meglio se la reale minaccia che proviene dal virus (cioè se il rischio di morte da asfissia che esso genera in una porzione molto ridotta della popolazione) possa giustificare la distruzione alle fondamenta delle nostre società civili.

Bisogna cioè chiedersi fino a qual punto la necessità di un suo contenimento può giustificare i danni economici e sociali che ne derivano. La nostra eredità culturale, sociale e religiosa ci porta ad affermare che “ogni vita umana ha un valore inestimabile”. Ma cosa succederebbe se arrivassimo a correre il rischio di morire di fame? È una possibilità che dobbiamo considerare anche perché alla debolezza della nostra società civile potrebbe opporsi la forza relativa di altre società civili, che magari hanno fatto scelte diverse dalle nostre e che -in caso di successo- a un certo punto potrebbero arrivare a prendersi tutto: le nostre case, il nostro posto di lavoro, i nostri campi, le nostre spiagge e montagne.

USQUE TANDEM ?

E questa domanda (fino a che punto vogliamo sospingerci nel combattere il virus con l’isolamento e il blocco delle attività produttive) appare ancora più attuale alla luce di una lettura “emancipata” delle statistiche epidemiologiche: poiché è presumibile che i tamponi per scovare il contagio possano arrivare al massimo al 10% della popolazione, è possibile dedurne che il numero dei contagiati sia in realtà da moltiplicare per dieci rispetto alle statistiche ufficiali. Se così fosse saremmo di fronte ad una conseguenza statistica confortante: che il tasso di mortalità da corona-virus sarebbe cioè decisamente inferiore all’1% di coloro che ne contraggono il contagio.

Questa possibilità, se da un lato ci rassicura, dall’altro ci rimanda alla terribile questione di cui sopra: fino a che punto saremmo disposti a perdere tutto pur di salvare il maggior numero di vite umane possibili quando dovessimo venire a sapere che il reale rischio di mortalità da contagio del virus non supera lo 0,7%?

Difficile rispondere a tali questioni ma, come sempre, uno sguardo ai mercati e alla dura realtà di numeri e fatti deve farci riflettere diversamente e più freddamente. E ci dischiude orizzonti e prospettive (anche terribili) che altrimenti finiremmo per ignorare, salvo l’eventualità di arrivare a sbatterci contro il nostro naso…

Stefano di Tommaso