DOPO SCHENGEN IL COVID ABBATTERÀ ANCHE MAASTRICHT?

Ho sempre creduto, fino a una settimana fa, che alla fine la paura del virus sarebbe svanita (almeno nei mercati finanziari) e che i valori fondamentali delle borse, seppure un po’ malconci, in capo a un mese o due sarebbero tornati a far brillare le loro quotazioni. Ma due cose non avrei mai pensato: che la diffusione del virus avrebbe accelerato al ritmo che vediamo ancora adesso (segno che di strada ne percorrerà ancora, probabilmente) e, soprattutto, che la Banca Centrale Europea, invece di intervenire generosamente, avrebbe messo i bastoni fra le ruote alla salvaguardia finanziaria dell’Italia. Un passo falso che la dice lunga sulla reale volontà di dare una mano (molto scarsa, appunto) da parte degli organismi europei. Eppure le prospettive globali non sembrano poi così nere, cosa che fa ben sperare per la sorte delle Borse.

 

LA PAROLA AI MINISTRI DELLE FINANZE

È proprio ai governi, secondo quel che afferma Christine Lagarde (presidente BCE), che oggi è data l’ultima parola! Con l’eccesso di indebitamento nel mondo e in particolare in Europa, le politiche di intervento monetario stanno arrivando (in testa la Federal Reserve of America) ma possono sortire relativamente pochi effetti e ci vorrebbero drastici interventi di politica “fiscale” (cioè di spesa pubblica) o, meglio ancora, una potente combinazione di entrambi. In fondo un pacchetto di stimoli di politica fiscale è esattamente ciò che ha appena deliberato la Germania: contributi statali per 550 miliardi di euro, senza nemmeno discuterne con la Commissione Europea e senza la serrata che ha dovuto fare l’Italia.

Ma il governo del nostro Paese non può pensare neanche lontanamente una cosa simile, perché rimane fortemente condizionato da un’Unione Europea ferma sui temi di rigore di bilancio, che gli impedisce di reagire alla crisi con stimoli di finanza pubblica.

Qualora perciò le esportazioni italiane (principalmente da parte delle regioni del nord) non potranno proseguire -come è avvenuto in passato- a sorreggere i conti dell’intero Paese e se la stagione turistica 2020 (principalmente nelle regioni del sud) apparirà seriamente compromessa, allora i conti pubblici fletteranno e, in assenza di sostanziali supporti da parte del resto dell’Europa, il nostro debito potrebbe essere considerato non più sostenibile.

L’ITALIA È IN GABBIA (ED È UN RISCHIO PER TUTTI GLI ALTRI)

È una possibilità concreta. Con ovvie conseguenze: che le nostre valutazioni aziendali saranno vistosamente decurtate, le nostre banche saranno fortemente penalizzate (e restie a fare altro credito data la recessione) e il nostro mercato dei capitali potrebbe finire col chiudersi a riccio per compensare le perdite già realizzate con la tempesta in atto. È sulla base di tale potenzialità che l’indice della Borsa Italiana è sceso ben più delle altre, come si può vedere dal grafico qui riportato:


Dunque l’Italia rischia di “inciampare” nel virus ben più di altri Paesi europei. E i veri motivi risiedono principalmente in ragioni geo-politiche : oggi i cosiddetti “Partners” dell’Unione Europea non sembrano inclini a muovere un solo dito in favore del membro più indebitato dell’Unione fino a quando non ne vedranno ridurre decisamente il debito pubblico nel solo modo a loro gradito: addebitandolo alle ricchezze private degli italiani. E in assenza di una classe politica in grado di denunciare ciò, non c’è speranza : l’Italia rischia di non riuscire a venire fuori dalla sua prossima crisi economica senza venire “commissariata”, esattamente come è successo in Grecia qualche anno fa.

Il problema è che l’Italia non è la Grecia. È molto più grande e molto più indebitata. E una sua eventuale insolvenza rischia di contribuire non poco ad innescare la prossima crisi finanziaria globale. La Commissione Europea, dopo aver appena seppellito gli accordi di Schengen, dovrebbe fare di tutto per evitare di far cadere anche il trattato di Maastricht, (quello del 1998, che ha istituito la Banca Centrale Europea) finendo per spararsi sui propri piedi. Farebbe un danno sicuro all’Italia, ma alla fine anche a sé stessa e, forse, anche al resto del mondo. È l’opinione di un economista di grande livello come Ashoka Modi, che lo ha esternato senza mezzi termini in un recente articolo.

MA LO SCENARIO POTREBBE MIGLIORARE

Ovviamente si potrebbe paventare uno scenario così negativo solo qualora il rallentamento economico dovuto alle misure di contenimento della pandemia dovesse trasformarsi in una vera e propria recessione globale. Cosa che potrebbe cambiare di molto la prospettiva che fino alla settimana scorsa era considerata (anche dal sottoscritto) più probabile, cioè che alla fine un rimbalzo importante sarebbe arrivato sui mercati dopo il loro crollo, a causa delle ricoperture da parte degli speculatori ma anche dell’intervento di copiosi pacchetti di intervento da parte delle banche centrali e delle amministrazioni fiscali dei Paesi OCSE.

Sono ancora in molti a sperare nella fine repentina dell’emergenza e nel conseguente “rimbalzo” delle borse. Taluni aggiungono che non sanno quando ciò potrebbe avvenire, lasciando uno spazio indefinito al tempo necessario perché si “avverta” l’imminenza del punto di “picco” dei contagi, dopo il quale le borse potrebbero tornare a puntare in alto, magari con la medesima velocità con la quale sono scese (dal 20% di NewYork al 30% -quasi- di Milano).

Le borse cinesi, ad esempio, hanno già recuperato quasi completamente le perdite subite più di un mese fa (come si può vedere dalla parte inferiore del grafico qui sotto). E la capacità di reazione dell’economia cinese (che, seppur danneggiata, comunque è tra le poche che registreranno quest’anno una sensibile crescita) ha stupito tutti, alimentando motivi di ottimismo anche per le altre nazioni colpite.


Ma le certezze non sono di questo mondo e, al momento, c’è anche dell’altro che lascia sgomenti: se ora per il contagio di massa arriverà il turno degli altri Paesi ricchi (cioè USA, Germania, Francia e Regno Unito) allora si rischia davvero di cadere in una profonda recessione globale dalla quale si farà molta fatica a risollevarci. Questa d’altra parte sarebbe l’unica spiegazione plausibile per lo scossone che hanno preso le borse anglosassoni nel corso dell’ultima settimana: vale a dire il timore che, al termine della “serrata” imposta dalle misure di contenimento della pandemia, il mondo non sarà più il medesimo che abbiamo vissuto fino a ieri.


Ci sono diverse ragioni per ritenerlo. Innanzitutto gli ultimi dati parlano chiaro: fuori da Cina e Corea il contagio sta accelerando. Dunque l’emergenza virus realisticamente non finirà prima dell’estate. E già questo basterebbe a far frenare vistosamente la crescita economica globale. Quel che si può però sperare è che l’economia globale possa riscattarsi dal rischio di avvitamento grazie ad un importanti “misure anti-crisi” che saranno lanciate da tutte le maggiori economie.

Ma un altro possibile scenario da non trascurare è quello che molto presto il numero di contagi possa flettere altrettanto decisamente, così come è successo in Cina nella provincia di Hubei, dove è scoppiata la crisi. In questa ipotesi l’allarme, così velocemente come lo si è visto crescere nelle ultime settimane, potrebbe rientrare, riducendo i danni possibili e lasciando nuovo spazio all’ottimismo, soprattutto nei mercati finanziari.

NESSUNO AL MOMENTO PUÒ FARE PREVISIONI, MA…

Tutto dipenderà dunque dalla velocità di “contenimento“ dei contagi e dai danni all’economia e agli scambi internazionali che la “serrata” oggi in corso potrà generare. Difficile infatti essere ottimisti in questo momento, se pensiamo all’economia reale. Ma è altrettanto difficile restare pessimisti dopo che le borse sono scese nel loro complesso così velocemente e ben oltre quanto ci si poteva aspettare da una banale recessione. Oggi le probabilità del mondo di entrare in recessione hanno superato il 50% (come si può vedere dal grafico qui riportato che riguarda gli USA) e, di fatto, l’Eurozona ci è già caduta.


Ciò nonostante l’importante rimbalzo visto sulla borsa di Milano durante lo scorso venerdì (+17% a metà giornata per poi chiudere a +7%) ricorda due grandi ovvietà (pur tuttavia sempre valide): 1) che a vendite precipitose si aggiunge sempre la speculazione selvaggia, la quale venerdì scorso ha notato il rimbalzo e ha cercato di ricoprirsi; ma anche che: 2) se la tendenza si è avviata al ribasso, anche di fronte a cospicui rimbalzi c’è chi si fa prendere dal terrore e prosegue con le vendite. Anche per questo motivo a metà giornata l’indice MIB è sceso Venerdì di nuovo di circa il 10% (in un pomeriggio). Ci vuole infatti del tempo perché il “trend” possa esaurirsi e si possa tornare a sperare.

Qual è allora il livello corretto di equilibrio per le quotazioni azionarie che è lecito attendersi nel medio periodo dopo la correzione recente? Se guardiamo al grafico proposto dal prof. Schiller sul livello di valutazioni implicite nei corsi azionari a Wall Street raggiunto dall’indice “CAPE” (Cyclically Adjusted Price/Earnings Ratio), si è passati dal livello massimo di 33 volte gli utili a quello attuale di 23 volte, vale a dire un rendimento implicito dell’investimento azionario del 4,5% circa, molto vicino ai livelli medi degli ultimi 150 anni.


…LE BORSE POTREBBERO AVER GIÀ FATTO IL RIBASSO ATTESO

Se ora consideriamo che il rendimento dei titoli governativi a reddito fisso è sceso anche in America ben al di sotto dell’1% mentre quello delle obbligazioni ad alto rischio emesse dalle aziende dello stesso paniere (SP500) è all’incirca al medesimo 4,5% dei rendimenti azionari, (si veda il grafico qui sotto) non possiamo che dedurne che, agli attuali livelli di tassi reali (negativi) del reddito fisso, in teoria le azioni dell’indice SP500 sono già scese abbastanza.


Questo non significa che -soprattutto nel breve termine- le borse non potranno scendere ancora, anche a causa dell’impennata di volatilità registrata negli ultimi giorni, ma nel medio termine quello attuale medio dell’indice risulterebbe già un livello interessante di prezzo al quale investire in borsa. La volatilità infatti (vedi l’indice Vix, qui sotto) è andata ai massimi di sempre, ma adesso iniziano ad essere molti coloro che scommettono che (almeno a Wall Street) il peggio oramai sia passato!


Ecco dunque che lo scenario generale, seppur molto negativo per l’Italia (e forse per l’intera Eurozona) potrebbe esserlo assai meno per il resto del mondo e soprattutto per le borse valori americane e asiatiche.

Molto dipenderà tuttavia, e per assurdo, proprio dalle sorti finanziarie del nostro Paese, ovvero dal livello di intelligenza di chi governa l’Eurozona in cui esso è intrappolato!

Stefano di Tommaso




FUORI CONTROLLO

Gli ultimi giorni sui mercati hanno riservato a tutti sorprese negative e sconcerto, e soprattutto l’impennata della volatilità. La Borsa di Milano ha perso solo Venerdì scorso il 4% arrivando a perdere il 15% nell’ultimo mese, cancellando ogni guadagno recente. Molti ne hanno dedotto che siamo entrati in una prospettiva ulteriormente negativa per i mercati finanziari. Ma siamo sicuri che sia proprio così? E’ davvero cambiata la musica? Il fatto stesso che ce lo chiediamo avvalora questa tesi, poiché spesso le aspettative si autorealizzano. Ma al tempo stesso non ne siamo convinti, perché sappiamo che le pandemie non durano in eterno e che il mondo, alla fine, tornerà ad andare avanti ugualmente.

 

IL DETONATORE DI UNA RECESSIONE GLOBALE?

Sebbene questa non sia la prima epidemia che travolge le borse, è certamente una delle più insidiose che si siano registrate negli ultimi decenni. I numeri qui sotto riportati dall’Istituto John Hopkins erano semplicemente inimmaginabili poche settimane fa. Le pandemie hanno sì il vantaggio di scomparire tutte piuttosto in fretta e di provocare al tempo stesso forti reazioni positive da parte dei governi, delle aziende e persino della tecnologia, ma stavolta i mercati sono scesi altrettanto velocemente e la necessità di rispondere alla grave minaccia per l’umanità (con l’isolamento, cioè: bloccando scambi, viaggi e riunioni) sta generando una tale riduzione nell’attività economica che può facilmente trasformarsi nel detonatore di una nuova recessione globale.


Il rallentamento economico generale era già comunque alle porte. Dopo circa dieci anni di espansione del prodotto lordo mondiale (molti meno per noi qui in Italia) era forse giocoforza che una recessione arrivasse, ma sembrava giungere in maniera soffice e senza dover danneggiare minimamente i mercati finanziari. Tutti si chiedevano se il divario tra l’andamento di questi ultimi (positivo) e l’andamento dell’economia reale (più o meno tendente alla stagnazione) sarebbe mai potuto durare in eterno, ma si trattava di discussioni a proposito delle eccessive quotazioni raggiunte dalle borse, non di scenari apocalittici.

I DANNI ECONOMICI NON SONO UNIFORMI NEL MONDO

Poi le notizie si sono fatte più terribili e ora sembra che la pandemia sia divenuta globale e che possa finire con l’infliggere forti danni all’economia, ma anche qui (come nella malattia) è soprattutto un gioco di concause: normalmente è probabile che le nazioni che stanno già malino, con i danni della pandemia finiscano per stare ancora peggio, mentre quelle che stanno meglio delle altre se la cavino con pochi fastidi.

L’Italia per esempio si è sicuramente già fatta un grandissimo fanno, innanzitutto perché la stagione estiva (che sarebbe stata la più importante dal punto di vista turistico) sembra già oramai compromessa. Da altri punti di vista molto dipende da quello che succederà nelle prossime settimane: se l’allerta scenderà nel nord della penisola allora l’industria sarà in grado probabilmente di recuperare i danni subìti, sempre che non siano in ginocchio anche i Paesi recipiendari delle nostre esportazioni. In ogni caso la stima per l’Italia è di un arretramento dello 0,5% per il Prodotto Interno Lordo deflazionato nel 2020.

Ma c’è la quasi certezza che, a livello planetario, un grave danno economico sia oramai già compiuto: sta divenendo cioè possibile che dei vari scenari ipotizzati quello che si verifica sia il peggiore e cioè che le ondate di contagio possano proseguire indisturbate percorrendo settimana dopo settimana l’intero globo terraqueo proprio a causa della natura sfuggente di questo virus, che non si fa notare nella maggioranza dei casi. I numeri che girano in questo momento sono per una crescita globale che dal 2,9% atteso va al 2,4% annuo(ma è probabile sia ancora una stima troppo ottimistica) e che sale di poco più del 4% in Cina dove prima era prevista una crescita del 6%.

LA MINACCIA È MAGGIORE PER I PAESI EMERGENTI

Se così fosse il mondo sarebbe sull’orlo della recessione, anche perché, occorre ricordarlo una volta di più, se la popolazione mondiale cresce (oggi di circa l’1,1% annuo in media nel mondo, ma soprattutto avanza di oltre il 2,2% in media nei Paesi Emergenti, come si può leggere qui sotto) e invece il prodotto lordo non cresce di almeno altrettanto, allora si finisce per essere tutti un po’ più poveri.

 


Come si vede peraltro dal grafico qui sopra riportato: da cinquant’anni a questa parte il prodotto lordo globale (prima linea in alto) è sempre cresciuto più della popolazione mondiale (ultima linea in basso). Dunque un semplice allineamento delle due crescite (poco sotto al 2%) non sarebbe considerato sufficiente per evitare una percezione di impoverimento complessivo, soprattutto nei Paesi più poveri.

Anche stavolta, se è in arrivo una crisi economica che seguirà la pandemia, ci sarà puntualmente chi ci guadagna e chi ci perde. Winston Churchill, con perfido cinismo anglosassone, diceva in proposito: “never let a good crisis go to waste.” (mai sprecare una buona crisi). Ed è evidente che qualcuno è al lavoro per ottenerne dei vantaggi. Ma le cose non sono così semplici.

PERÒ LA SITUAZIONE POTREBBE ESSERE FUORI CONTROLLO

Al momento infatti il gioco sembra essere andato fuori controllo: oggi la Cina sembrerebbe dimostrare di essere riuscita a contenere la pandemia e potere di conseguenza uscire dal blocco delle attività produttive a testa alta, mentre l’America, la Germania e la Francia parrebbero ora sprofondarci ben oltre le aspettative. Se questa tendenza fosse confermata allora cambierebbe tutto, provocando un declino dell’Occidente e della sua potenza economico-militare in una situazione di stagnazione molto pericolosa per gli equilibri geo-politici, e trasformando il continente asiatico in una specie di isola felice che riprende una marcia ascensionale mai veramente placata.

È soltanto un’ipotesi. Niente più. E persino se essa tendesse alla verità resta possibile che arrivi in tempi brevi un nuovo vaccino o un diverso e più efficace tipo di cura, che permettano di depotenziare i danni economici derivanti dalla necessità di isolamento.

E se non fosse così? Stiamo già sperimentando ad esempio la lentezza della risposta dell’Unione Europea, cosa che lascia pensare a sempre maggiori probabilità di tensioni politiche interne. Anche in America la risposta della Federal Reserve alle ultime notizie è stata inconsueta ed è servita ben poco. Ora toccherebbe soprattutto ai governi fare qualcosa per le proprie popolazioni, ma il gioco dei veti incrociati e dei rating sul debito pubblico li paralizza. Brutto segno, perché la tempestività è tutto in questi frangenti. Non ci resta che aspettare (in casa) e stare dunque a vedere cosa succederà.

MERCATI… CHE FARE ?

E di conseguenza per i mercati finanziari si impone una pausa più lunga prima di ritornare (sicuramente) a riprendere vigore, nonché il rischio di non aver ancora visto la fine della discesa. Ma è più importante guardare al dettaglio che non ai mercati nel loro complesso: i portafogli degli investitori professionali stanno continuando a ruotare, privilegiando ancora una volta il reddito fisso e i titoli più difensivi, quali alimentari, utilities e farmaceutici. Poi saranno da privilegiare le azioni di società anticicliche come quelle legate ai concetti di farmaceutica, sanità, prevenzione, sanificazione e prevenzioni, ma anche di quelle tecnologiche legate al concetto di “stare a casa” e all’intrattenimento a distanza, nonché alle telecomunicazioni, come Netflix, Zoom, Cisco, eccetera…

Ovviamente la rotazione colpisce più duramente i soggetti più esposti al rischio di recessione (come le banche, le finanziarie e le società collegate ai concetti di moda, lusso e “outdoor”) e tende a premiare quelle che meglio possono resistere al peggioramento delle condizioni economiche generali. Un bel rebus tuttavia perché per ruotare i portafogli bisogna non soltanto vendere ma anche comperare e, di questi tempi, quando si tratta di comperare, tutti esitano. La liquidità nei mercati borsistici è pertanto probabilmente destinata a scarseggiare così come la volatilità sembra destinata a permanere, anche in presenza di ulteriori interventi pubblici, a meno che questi non saranno davvero massicci. E per il momento non sembra affatto!

Stefano di Tommaso




SE LE BORSE VANNO SU…

La giornata di ieri potrà forse restare nella storia non solo perché tanto Milano quanto le altre borse del pianeta sono tornate all’ottimismo, ma anche per due serissime ragioni: la prima è che è divenuto chiaro che gli stimoli monetari e fiscali per ritornare alla crescita economica stanno arrivando da ogni parte (a partire dai numerosi interventi della People’s Bank of Cina e dal calo dei tassi di interesse di 2 ”tacche” -cioè 1/2 punto- già applicato dalla Federal Reserve Bank of America e dalla Bank of Canada) e la seconda ragione è che, mentre gli indicatori segnalano che l’economia americana continua a crescere, è diventato piuttosto probabile che alle elezioni americane si confronteranno due candidati ben visti dai mercati : Donald Trump e Joe Biden, dunque per un lungo periodo (fino a Novembre) non arriveranno a Wall Street scossoni che provengano dalla politica.

 

…L’ECONOMIA REALE POTREBBE UGUALMENTE ANDARE GIÙ…

Dunque è tutto a posto? Nemmeno per idea. Mentre le borse dichiarano ufficialmente già archiviata la paura, la verità è che nessuno può sinceramente allentare la presa su una pandemia che si è già rivelata dalle 10 alle 20 volte più insidiosa della SARS e che soltanto in Cina si può dichiarare sia stata “contenuta”(cioè non si espande più) ma ad un prezzo altissimo per quel Paese. E poi neppure in Cina è chiaro per quanto tempo ancora più di metà della nazione dovrà rimanere bloccata.

Il rischio dunque che il mondo economico venga paralizzato abbastanza a lungo da scatenare una (seppur temporanea) recessione è tutt’ora attuale, anzi: per l’Eurozona è già una certezza. Ogni giorno si fanno ipotesi diverse ma, si sa, l’elaborazione del lutto è sempre graduale e si tende perciò ad andarci piano con gli scenari apocalittici. Con il risultato che è ampiamente possibile che le statistiche siano ancora una volta edulcorate.

…COME DIMOSTRANO I TASSI D’INTERESSE

Un segnale concreto del fatto che il rischio è stato tutt’altro che archiviato dai mercati è, più di ogni altro dato, il livello infimo raggiunto nelle ultime giornate dai tassi di interesse impliciti al mercato secondario dei titoli a reddito fisso. Dopo che più di metà di tutte le loro emissioni in circolazione segnavano un rendimento negativo adesso si sono aggiunti anche quelli americani: nella storia bicentenaria degli U.S.A. non era ancora mai successo che il titolo di Stato a 10 anni rendesse meno dell’1%.


QUALI SCENARI NE CONSEGUONO?

Questa corsa ai titoli a reddito fisso non porta necessariamente a configurare uno scenario di lunga stagnazione-deflazione come taluni vorrebbero immediatamente dedurne, quantomeno non ne consegue affatto che le borse dovrebbero prenderne atto e crollare vorticosamente. Anzi: la prospettiva di una crescita più lenta e di tassi conseguentemente molto bassi potrebbe addirittura giocare alle quotazioni azionarie, dal momento che i dividendi che le società quotate potranno pagare in futuro potrebbero attrarre maggiormente che non in passato.

Ma questo è lo scenario “Goldilocks”(cioè da bambola dai riccioli d’oro) che vede addirittura un riallineamento delle valutazioni aziendali ai ridottissimi tassi di interesse in circolazione. Vediamone altri: con la stagnazione (o la scarsa crescita) dei consumi per molte aziende sarà più difficile tenere i margini di ieri e dunque registrare buoni profitti, sebbene in tal caso molti investimenti saranno rimandati e la liquidità in circolazione resterà abbondante. Questo è uno scenario intermedio nel quale è possibile che il “payout ratio” (cioè il tasso di distribuzione degli utili sotto forma di dividendi) cresca e vada a compensare la ridotta redditività.


Poi c’è lo scenario peggiore: che il calo dei consumi e degli investimenti determini alla fine una seria prospettiva di arretramento del prodotto lordo globale, generando tensioni sociali e un’ondata di fallimenti e dunque anche un calo vistoso della redditività delle società quotate. In tal caso le borse non potranno riallineare rapidamente al ribasso le loro quotazioni, aggiungendo esse stesse benzina al fuoco della recessione. Ma è uno scenario estremo e come tale al momento assai poco probabile.

PROBABILMENTE LA VERITÀ STA NEL MEZZO

È più probabile tuttavia che assisteremo per l’ennesima volta al verificarsi di uno scenario intermedio e dunque divergente: da una parte il mondo (soprattutto i Paesi in via di sviluppo) che annaspa anche a causa della stagnazione e che dunque perde capacità di reddito, e dall’altro il mercato dei capitali che continua a macinare progressi, regalando ai più ricchi ulteriori plusvalenze.

Ovviamente questa ipotesi non tiene in considerazione due fattori positivi che possono giocare un ruolo fondamentale nella prossima ripresa economica: da un lato l’efficacia degli interventi pubblici a sostegno dello sviluppo (che potrebbero funzionare per molte ragioni) e dall’altro lato l’influenza crescente nell’economia globale dei vantaggi generalizzati (e spesso non rilevati dalle statistiche sui prodotti interni lordi) derivanti dagli enormi avanzamenti tecnologici e scientifici in genere, che possono aiutare l’umanità a vivere meglio, e più dignitosamente.

Stefano di Tommaso




IL VIRUS È SOLO UNA SCUSA?

Probabilmente no, ma il titolo provocatorio non è casuale: tutti si interrogano sulla reale portata della bufera che ha travolto tanto l’Asia quanto il resto del mondo, a partire dall’Europa: sta arrivando una vera recessione, innescata dal virus o meno, oppure è soltanto l’ennesimo spavento dovuto all’iper-reazione di un mondo fin troppo interconnesso? La sensazione è che ci troviamo più nel secondo che nel primo caso, ma soprattutto che ci sia stata una manina invisibile a muovere i fili dei mercati. Se fosse, -nonostante l’allarmismo diffuso dai media di tutto il mondo- allora la discesa dei mercati non potrebbe durare troppo a lungo. Vediamone i motivi.

 

Il bollettino di guerra è dei peggiori : un’intera settimana di passione si è consumata stavolta in borsa. In totale la perdita -circa l’11%- è stata cospicua e solo parzialmente giustificata dalle prospettive di recessione che emergono dai primi dati statistici. Mentre “l’indice della paura”, cioè quello che misura la volatilità di Wall Street, il VIX, ha quasi toccato per un attimo lo scorso venerdi il livello di 49 punti: un massimo che non si vedeva dalla crisi del 2008.

Anzi: data l’enorme liquidità in gioco, se nonostante tutto anche negli U.S.A. (assai poco colpiti dal virus) le borse si sono accorciate le unghie, allora questo significa che, insieme al calo strutturale dell’esposizione degli investitori alle Borse, altri fenomeni hanno forse contribuito al salto di volatilità delle quotazioni e all’aumento della confusione generale. Qui sotto vediamo riportati gli ultimi 5 anni dell’indice di Wall Street (SP500) e dell’indice generale di tutte le borse del mondo.


UNA REAZIONE SPROPORZIONATA

Tanto le borse erano rimaste impassibili ai primi annunci della pandemia globale, quanto è probabilmente eccessiva la loro reazione avuta quando sono saltati i nervi. Cosa che potrebbe avere due opposte interpretazioni: potrebbe significare che si è materializzata un’ottima occasione per entrare “a sconto” sul mercato azionario da parte di tutti coloro che avevano in passato adoperato prudenza, oppure potrebbe essere il contrario: che la caduta delle borse registrata in questa settimana sia solo l’inizio di una fase profondamente negativa e che dunque, appunto, il virus sia solo la scusa per giustificare il panico dei mercati.

Ma se fino alla scorsa settimana i livelli delle borse restavano altissimi, un motivo ci sarà pur stato. E, agli occhi di tutti, questo motivo era la ricerca spasmodica di un rendimento dell’investimento azionario. Rendimento che dal reddito fisso non poteva più arrivare. Ragionamento che presuppone un mondo in sostanziale equilibrio (anzi, in equilibrio proprio a causa del rallentamento) e che può essere cancellato in una settimana soltanto da un’ondata di panico. Le ondate però alla fine passano, seppur facendo a volte danni ingenti. Allora la vera domanda che ne consegue è se il mondo, a causa dal virus (o dell’incrementata probabilità di recessione) non è di colpo più lo stesso, oppure se, passata la bufera, le motivazioni degli investitori resteranno sostanzialmente le medesime di prima.

CI SONO MOTIVAZIONI SUFFICIENTI PER UNA TALE DISFATTA DEI MERCATI?

Per decidere però (senza pretendere di vaticinare) se i fatti da analizzare fanno propendere ciascuno di noi verso l’uno o per l’altro scenario, dobbiamo scavare parecchio più a fondo.

Innanzitutto il virus, appunto: la sua scarsa diffusione nel nord Europa e negli Stati Uniti d’America è il risultato di sagge politiche di tempestivo contenimento oppure soltanto di un insabbiamento delle notizie reali? O forse di entrambi? Indubbiamente in Italia abbiamo giocato una partita all’opposto: non per niente il personaggio di “Tafazzi” lo potevamo inventare soltanto noi! Siamo riusciti a farci mettere al bando dal resto del mondo senza coordinarci minimamente quantomeno con l’Europa. E la nostra borsa aveva da poco ripreso respiro più faticosamente delle altre.


Ma la sensazione che qualcun altro “ciurli nel manico” allo scopo di far montare lo sgomento collettivo con una o più finalità pratiche l’abbiamo parimenti avuta tutti…

E -a voler pensare male- il risultato è duplice sotto gli occhi di tutti: da un lato politico (la confusione induce i cittadini a non desiderare il cambiamento) e dall’altro lato economico (il cratere che si è creato sui mercati ha già raggiunto dimensioni considerevoli e, se esso si richiuderà, investire oggi in borsa può permettere di realizzare grandi profitti). Gli inglesi dicono “Follow the money” e, dal mio punto di vista, il solo fatto di aver individuato dei moventi, lascerebbe supporre un crimine.

MA LA PAURA PER IL VIRUS NON PUÒ ANCORA RIENTRARE

Nessuno ovviamente sa ancora davvero quanti danni potrà arrecare la pandemia globale all’economia del pianeta. Perché il blocco (inevitabile) di intere città o province non basta a frenare significativamente l’economia globale, ma quella di un’intera nazione, o regione, assolutamente si (il nostro Paese, per esempio). E questo vale molto più per l’economia reale che non per i mercati finanziari globalizzati, i quali restano, nei loro andamenti, sin troppo correlati l’uno con l’altro nel mondo.

Dunque il ragionamento è che semmai succederà che ancora altre regioni del mondo dovranno riparare dietro la cortina dell’isolamento, questo probabilmente non basterà a mandare l’economia globale in recessione, sebbene il rallentamento possa essere peggiore di quanto previsto in precedenza. Né basterà a mettere K.O. i mercati finanziari senza la concomitanza di altri fattori negativi.

IL RALLENTAMENTO GENERALE ERA GIÀ SCONTATO DALLE BORSE

Gli analisti finanziari avevano infatti già registrato un certo rallentamento generale dell’economia e, entro certi limiti, esso risultava perfettamente compatibile con l’aspettativa di mercati finanziari scoppiettanti, parallelamente a un lungo periodo di tassi bassi e bassa crescita. Certo, il problema della bassa crescita avrebbe potuto ingigantirsi dopo qualche tempo, nell’eventuale concomitanza con un’eventuale fiammata inflazionistica oppure con il ritorno di serie tensioni geo-politiche. Il fatto invece che quel problema sia stato ingigantito -nella percezione generale- per la concomitanza del virus (e per di più così rapidamente), lascia immaginare un’eccesso di reazione dei mercati finanziari, la quale potrebbe dunque fare posto ad un recupero.

Ci sono tuttavia due considerazioni laterali che occorre affiancare a tale ottimismo (e che lo stemperano non poco). La prima è quella che le borse erano indubbiamente cresciute troppo in fretta fino alla settimana precedente. Dunque il mondo non ha uno stretto bisogno di recuperare in fretta i nuovi massimi recentemente toccati da Wall Street e dalle borse asiatiche. È più ragionevole dunque supporre una o più fasi di graduale ripresa, che non uno scossone altrettanto violento in avanti, per di più in presenza ancora di forti incertezze.

La seconda è che il virus non ha terminato di diffondersi nel mondo, sebbene le curve della pandemia in Cina indichino che si va verso il suo “contenimento”. Dunque c’è da attendersi ancora altre settimane di allerta e di blocco a numerose attività economiche, soprattutto in Europa, con le evidenti conseguenze di ulteriori danni al commercio internazionale e all’economia reale, nonché ulteriori “profit warning” da parte delle imprese quotate che inevitabilmente registreranno un calo delle vendite.


MA ORA “ARRIVANO I NOSTRI”

Tuttavia l’intervento di banche centrali e gli incentivi di politica fiscale che da ogni parte vengono richieste ai governi, con il rilascio di misure espansive in ogni direzione, a questo punto sta per arrivare davvero e, come spesso accade, chi potrebbe beneficiarne di più sono proprio i mercati borsistici.

Tecnicamente ci sarebbe poco da attendersi da ulteriori immissioni di liquidità, le quali si indirizzano a risvegliare più la domanda che l’offerta di beni e servizi. Il rischio cui va incontro il pianeta è infatti uno shock di offerta che proviene dal saltare in aria delle “Supply Chain” (cioè delle filiere di fornitura internazionale). Ma proprio per questo motivo le misure di politica fiscale (che dappertutto oggi si discutono) potrebbero risultare particolarmente efficaci per fornire entusiasmo ai paesi più industrializzati e gli eventuali “allentamenti” della politica monetaria potrebbero invece favorire l’aspetto psicologico.

Dunque se questi interventi stanno arrivando nel mondo occidentale (non necessariamente a casa nostra), allora è possibile un rimbalzo delle borse non soltanto tecnico, ma anche strutturale. L’ulteriore calo della redditività dei titoli a reddito fisso sospinge infatti inevitabilmente a investire in azioni che distribuiscono un dividendo, soprattutto se nel mondo si diffonderà la sensazione che la bufera abbia toccato il suo culmine.

Il messaggio dunque da parte di chi scrive riguardo ai mercati finanziari non potrebbe essere più chiaro: la discesa dei corsi azionari (soprattutto negli U.S.A.) è stata così forte e repentina che, magari con grande gradualità, e senza attendersi rimbalzi altrettanto forti, sta forse per arrivare il momento di tornare a investire in borsa, peraltro auspicabilmente su titoli oggettivamente più “difensivi” di quelli strettamente tecnologici e speculativi che hanno attratto di più fino a ieri.

Ovviamente in casi così estremi la prudenza è d’obbligo ma, dopo la pesante correzione appena avvenuta, la sensazione è che vedremo continuare ad aprirsi ulteriori grandi baratri davanti a noi come quello della settimana appena trascorsa soltanto se accadranno fatti ancora più gravi. Che ad oggi non è possibile prevedere.

Stefano di Tommaso