EFFETTO DOMINO

Mentre la congiuntura economica americana sembra andare anche meglio di quanto si poteva prevedere, le quotazioni di Wall Street oscillano e scendono oramai da circa un mese. Oggi dunque ci si chiede se sarà possibile non solo se che il “Sell-off” della borsa americana prosegua ancora, ma anche che arrivi a contagiare le borse europee. Anche perché la catena di trasmissione del problema passa per il rialzo dei rendimenti dei titoli di stato in tutto l’Occidente, che sembra non accennare a fermarsi.
Sebbene tra qualche mese lo scenario per le borse potrebbe migliorare decisamente, a breve c’è il rischio che le quotazioni dei titoli azionari vengano penalizzate dall’aumento dei tassi a lungo termine, soprattutto per le aziende di minor dimensione (quelle più sensibili al costo e alla disponibilità di credito), anche perché il mancato allentamento delle politiche monetarie impedisce alle banche commerciali di erogare maggior credito e di far scendere il costo del denaro, il quale -nonostante quanto dichiarato dalle banche centrali- rischia addirittura di tornare a salire.

 

L’ECONOMIA REALE U.S.A. SPIAZZA LA BORSA

Nonostante l’economia reale degli USA abbia mostrato nelle ultime settimane grandi segni di vitalità (qui sopra il grafico relativo al numero mensile di nuovi occupati), forse anzi proprio per questo (per i conseguenti timori di inflazione) nel corso dell’ultimo mese la borsa americana ha avuto un andamento assai incerto e sostanzialmente riflessivo (-5% circa) dopo i recenti massimi raggiunti nel mese di Dicembre (nel grafico qui sotto riportato), mentre quelle europee hanno potuto godere di un andamento migliore.


Non soltanto la Borsa Valori di Milano ma soprattutto quella di Francoforte (qui di seguito riportiamo il grafico del’andamento del principale indice tedesco: il DAX) hanno continuato la loro corsa peraltro dovuta al ritardo accumulato rispetto a Wall Street.


L’INCREMENTO NEI RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO

Ma ciò che preoccupa di più gli investitori sono i grandi protagonisti delle notizie di mercato nella settimana appena trascorsa: i cospicui cali delle quotazioni dei titoli di stato (con i conseguenti incrementi nei rendimenti impliciti), non soltanto quelli dei BTP italiani ma anche e soprattutto i Treasury Bond di USA e UK, i cui rendimenti sono saliti al di sopra delle attese fino alla soglia psicologica del 5% (poco meno del 5% il titolo decennale, poco sopra il 5% il tasso del titolo trentennale).


L’aumento dei tassi di rendimento impliciti dei titoli a medio termine rappresenta oggi l’elemento di principale preoccupazione per le quotazioni borsistiche prospettiche, che da qualche giorno rischiano di venire ridimensionate dal momento che le valutazioni d’azienda dipendono dai flussi di cassa futuri attesi e dal tasso di lungo termine al quale vengono attualizzati tali flussi.

E LA FEDERAL RESERVE POTREBBE INTERROMPERE I SUOI TAGLI

Come se ciò non bastasse, parallelamente sono peggiorate le aspettative per le mosse della Federal Reserve (la banca centrale americana, che guida sempre le mosse di quasi tutte le principali altre banche centrali) e molti ora ne prevedono un sostanziale immobilismo (qui sotto il grafico dell’andamento del tasso ufficiale di sconto negli USA), in attesa delle mosse di politica fiscale e commerciale del nuovo Presidente eletto.


Occorre precisare che i tassi oggi salgono (anche nel resto del mondo) anche perché l’economia americana “tira” più del previsto, ma soprattutto essi salgono perché ci si avvicina pericolosamente a numerose scadenze dei titoli del debito pubblico americano e le aspettative sono quelle di una domanda di capitali che molto probabilmente supererà l’offerta (qui sotto gli istogrammi che indicano l’ammontare annuo in scadenza di titoli del debito pubblico americano).

LO SPIAZZAMENTO DELLE AZIONI DA PARTE DEI TITOLI DI STATO

L’aumento dei rendimenti dei titoli di stato (cioè di titoli sostanzialmente privi di rischio) gioca inoltre a sfavore delle quotazioni delle borse valori in un secondo modo, poiché il tasso di rendimento in termini di utili per azione è stato oramai raggiunto e superato da quello di investimenti privi di rischio intrinseco.


Per i gestori di portafogli la scelta di investimento in azioni quotate in borsa (se paragonata a quella in titoli a reddito fisso) è ora più ardua perché il medesimo rendimento atteso dei titoli azionari viene offerto dai titoli di stato, sebbene giochi a favore dell’investimento in azioni il fatto che esse rappresentano quote parte di valore di attività reali e dunque in teoria risultano attività “rialziste” in caso di nuove fiammate inflazionistiche.

L’INFLAZIONE POTREBBE RIPRENDERE VIGORE


L’inflazione resta per il momento il convitato di pietra di ogni operatore del mercato: le tariffe promesse da Trump nei confronti dei commerci internazionali saranno in grado di riaccenderla? Personalmente ho qualche dubbio che una seconda ondata d’inflazione (che farebbe scattare rialzi dei tassi a breve termine) possa dipendere soltanto dai dazi alle importazioni negli Stati Uniti. Però molti guardano le importanti similitudini tra l’andamento dell’inflazione di questi giorni e quello di cinquant’anni fa, al termine della cui prima ondata se ne è mostrata una seconda, peggiore della prima (di seguito i due grafici sovrapposti):


Occorrerà vedere anche cosa succede alle quotazioni di gas e petrolio (oggi in ascesa, come si può leggere dal grafico dell’andamento del prezzo del petrolio) nonchè al costo medio del lavoro (al netto però degli incrementi di produttività). Ma il rischio di ritorno dell’inflazione è comunque reale, per lo meno in Occidente, dove è sempre meno probabile che sarà possibile continuare ad accedere a basso costo alle materie prime e alle commodities.

LA CURVA DEI RENDIMENTI E’ ANCORA QUASI “PIATTA”

Peraltro lo “spiazzamento” dei titoli azionari da parte di quelli a reddito fisso, unito al fatto che è ancora abbastanza piatta la curva dei rendimenti (quella che unisce il rendimento medio dei titoli di ciascuna scadenza) lascia ritenere che i tassi a lungo termine possano crescere ancora, almeno sino a quando non sia stata ristabilita un’inclinazione adeguata della curva (oggi appena accennata, come si può dedurre dal grafico qui sotto riportato), dal momento che può risultare più conveniente investire in fondi di mercato monetario (i cui rendimenti sono legati a quelli espressi a breve termine) in attesa di maggior chiarezza sui mercati.

SE I TASSI SALGONO LE VALUTAZIONI D’AZIENDA SCENDONO

Lo “spiazzamento” suddetto inoltre rimanda al tema di fondo intrinseco alla valutazione dei titoli azionari quotati: la crescita dei profitti -peraltro al momento non in discussione- e la sostenibilità dei loro multipli di valore (tipicamente: il rapporto tra prezzo e utile atteso), che invece sono forse cresciuti un po’ troppo, soprattutto in America. Un multiplo di valore elevato può essere giustificato da tassi d’interesse molto bassi (e adesso sicuramente non è più così) oppure dalla previsione di un elevato tasso di espansione dei profitti (e con il rischio di un rallentamento economico globale non è nemmeno questo il caso).


L’ENORME DIFFERENZA DEI MULTIPLI DI VALORE TRA EUROPA E USA

In tal senso non stupisce più di tanto che i rapporti tra prezzo ed utile delle piazze del Vecchio continente siano molto contenuti, soprattutto rispetto a quelli americani. Il p/e della Borsa di Milano, stimato sugli utili attesi per il 2024, è secondo Bloomberg di 10,22 volte. Quelli di Parigi e Francoforte rispettivamente 14,6 e 15,1. Londra, infine, si “accontenta” di un P/e di 10,77.


Al di là dei singoli numeri, si tratta di valori complessivamente bassi e molto inferiori a quelli dei mercati a stelle e strisce. L’S&P 500 esprime un rapporto sempre sul 2024 – di 24,1 volte gli utili attesi. Il Nasdaq, poi, arriva addirittura a 35.

Quasi superfluo sottolineare che secondo alcuni le Borse Usa sono troppo care e che il Vecchio continente dovrebbe avere più spazio quest’anno, senza tenere conto però della maggior liquidità della piazza finanziaria americana e del rischio che i profitti delle imprese europee rimangano vittima di una congiuntura economica molto più fragile.


IL POSSIBILE EFFETTO DOMINO

Il “problema” principale delle piazze finanziarie continentali tuttavia è quello del possibile “effetto domino” derivante dallo spiazzamento dei rendimenti dei titoli a reddito fisso americani. Se i rendimenti offerti dai titoli obbligazionari continueranno a salire -e soprattutto se le relative economie non si riprenderanno e conseguentemente i profitti non cresceranno più che proporzionalmente, le borse (anche quelle europee) dovranno fare i conti con una concreta prospettiva di ribasso, almeno per i primi mesi dell’anno, che potrebbe estendersi anche ai valori dei titoli obbligazionari, dal momento che al salire dei loro rendimenti scenderanno le loro quotazioni.


Questo almeno nel breve periodo. Dalla primavera in poi infatti le cose potrebbero invece andare diversamente, dal momento che la tendenza di fondo dell’economia globale è verso una deflazione dei prezzi, e dunque di nuovo verso un calo dei tassi d’interesse. Anche a livello geopolitico, sebbene nel breve termine risulti impossibile immaginare un calo delle tensioni tra Oriente e Occidente, nei mesi successivi le cose potrebbero anche cambiare. Se ciò accadesse ne potrebbe beneficiare il commercio globale e il Dollaro americano potrebbe finalmente tornare a scendere, sebbene nessuno se lo aspetti troppo, beneficiando sicuramente le quotazioni azionarie.


Il conseguente rialzo delle aspettative (anche di ripresa dell’export verso i Paesi emergenti) potrebbe catalizzare l’interesse degli investitori verso titoli europei a bassi multipli e con buone prospettive di beneficiare della nuova ondata di digitalizzazione che -in assenza di preoccupazioni eccessive- potrebbe investire l’Europa a seguito delle prime applicazioni pratiche relative all’intelligenza artificiale.

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 105 – sab 11 gen 2025

Operazioni in essere : nessuna

Ve 10.1 comperato 1 MARZO MICRO DJ a 42500, stoppato poche ore dopo a 42300 con una perdita di ( 200 punti x 0,5 usd ) = usd 100 pari a euro 98

GOLD FEB 25

Avevo scritto :
“……………………il grafico giornaliero sembra consentire un acquisto; poiché l’obiettivo di salita appare contenuto ( intorno a 100 usd ), lo stop loss che mi posso permettere non deve superare un terzo di tale obiettivo”

L’ordine di acquisto a 2620 feb fut ( con stop loss a 2590 ) è stato sfiorato lu 6.1 a 2624.6 con successiva salita di quasi 100 usd in 4 gg.

Comunque la Lettera N. 104 è stata pubblicata il giorno successivo, quando GOLD aveva già iniziato la salita.

In gennaio 2025 ho un segnale che attrae GOLD CASH intorno al prezzo di 2790 per un eventuale doppio massimo, area che eventualmente può essere utilizzata per aprire lo short e per questo motivo ho cercato l’acquisto.

Non posso rincorrere GOLD ; l’unica possibilità è inserire un ordine di acquisto intorno a 2650 feb fut, con stop loss sotto 2624, ma devo concentrarmi sugli indici U.S.A., per quanto leggerete nel prosieguo.

SILVER MARZO 25

SILVER marzo fut ha fatto un range molto ampio da 29,9 a 31,8 con ampiezza oltre il 6 %; come spesso è accaduto, resta non gestibile.

DOW JONES INDU CASH

Ripenso spesso al fatto che nella settimana 2 – 6 dic, in cui vi era un ciclo temporale di medio – alto significato, DJ ha ritoccato il massimo storico da 45071 a 45073 cash, esprimendo un range molto contenuto, poco oltre l’uno % e, diffidando della capacità di un range piccolo di invertire un Mercato, avevo preteso che fosse seguito da un outside ribassista per aprire la posizione al ribasso.

Da quella settimana DOW JONES è molto debole e si trova ora 3000 punti sotto il top assoluto e quindi ben 2500 punti sotto il minimo della settimana 2 – 6 dic alla rottura del quale avrei dovuto vendere.

Il recente tentativo di acquisto a 42500 era conseguente alla presenza di un ciclo scadente tra lu 6.1 e ve 17.1 , secondo me idoneo a far risalire l’azionario U.S.A., consegnando quindi un utile da reinvestire nella operazione di vendita di più ampio respiro, che attendo nei prossimi 20 – 30 gg di trading.

Tra le regole di questa Lettera c’è il divieto di operare nella settimana successiva ad una perdita e quindi non posso riprovare l’acquisto ( ma lo stesso segnale è presente anche su NAS 100….. )

NASDAQ 100 CASH

Avevo scritto :

“Mi attendo un rimbalzo, ma il minimo del 20 dic è il primo swing che viene rotto al ribasso dopo le presidenziali.

Vedo supporti a :

20315 che fu il minimo della settimana ciclicamente importante

19880 che fu l’ultimo minimo prima delle presidenziali.”

Nella settimana 6 – 10 gen NAS 100 CASH è sceso fino a 20715 e nella settimana 13 – 17 gen il segnale che ho calcolato lo attira in area 20400 – 20500, ma lo stop loss dovrebbe essere piazzato non sopra 19880 poiché il livello intermedio di 20315 ( minimo del 11 – 15 nov ) è meno decisivo.

Senza coinvolgere la Lettera, solo con i miei quattrini, userò la seguente strategia : comprerò in inversione di barra giornaliera ( sopra il top di ogni giorno precedente, anche in outside ) solo dal giorno in cui NAS 100 CASH sarà sceso almeno sotto 20500.

Lo stop loss verrà da me piazzato il giorno dell’acquisto, sotto il minimo registrato da lu 13.1

Strategia che poco si addice a questa Lettera, ma che cerca di arrivare con una posizione al rialzo al TOP dove, finalmente, piazzare una vendita di ampio respiro.

Non escludo che nella prossima Lettera potrò inserire uno schema più gestibile da un sabato all’altro.

Nota finale

Mi attendo un top da vendere in gennaio per GOLD e tra gennaio e febbraio ( meglio se fosse la prima metà ) sugli indici U.S.A. e questo sarà il focus delle prossime Lettere.

Sto cercando una possibilità a rischio contenuto di eseguire prima un acquisto sugli indici azionari U.S.A. per finanziare lo stop loss che, per aprire una operazione strategica, spesso deve essere più ampio del normale, quasi che il Mercato richieda un maggior tributo per sedere al tavolo.

Infine, trovandomi fuori studio, i grafici sono aggiornati solo al 8 – 9 gennaio e non alla chiusura di ve 10.1

Leonardo Bodini




ETEROGENESI DEI FINI E MERCATI FINANZIARI

L’espressione fu inventata dal filosofo Wilhem Wundt per indicare processi collettivi nei quali forze che perseguono determinati obiettivi finiscono con il realizzare invece tutt’altro. Succede perciò che coloro pensavano di essere attori finiscono con l’apparire strumenti; cioè non cause, ma mezzi di fronte ad un fine eterogeneo. Quasi sempre però, quando ci si accorge della «eterogenesi» dei fini è oramai troppo tardi per ripararvi.

 

I “CIGNI NERI” E LE ATTESE DEGLI OPERATORI

Cosa succederà in borsa nel nuovo anno? Molti osservatori temono “cigni neri” a guastare inesorabilmente la festa degli investitori, come ad esempio un aggravamento della guerra della NATO contro la Russia o un rialzo dell’inflazione, che evidentemente ucciderebbe sul nascere la speranza di ribassi dei tassi. Ma temono anche una recessione indotta dall’eccesso di debiti o, peggio, un crollo delle aspettative.

Potrebbero altresì manifestarsi anche “cigni bianchi”, cioè sorprese positive, come la vaga speranza (al momento nulla di più) di veder terminare la suddetta guerra, anche se resta tutto da dimostrare che ciò possa comportare conseguenze positive per i mercati finanziari, visto che sino ad oggi essi hanno invece prosperato con la guerra. Altro “cigno bianco” non impossibile da incontrare sarebbe la conferma che l’inflazione sia stata definitivamente domata, anzi che non scenda troppo sotto al 2-2,5%. Cosa che farebbe spazio ad ulteriori “tagli” del costo del denaro da parte delle banche centrali e ad una prosecuzione dell’attuale fase positiva dei mercati.


UN INGIUSTIFICATO OTTIMISMO?

Cosa succederà davvero? Se i “market mover” del 2025 potrebbero essere numerosi non è un caso che pochi si aspettino tranquillità e che i più temano importanti conseguenze del fatto che il mondo continua a cambiare ad un ritmo crescente. Qui però “casca l’asino” come diceva Totò: gli analisti finanziari anglosassoni che in questi giorni pubblicano le loro previsioni sembrano invece tutti molto concordi nel valutare le conseguenze di tali cambiamenti in atto: piuttosto positive per USA e UK e altrettanto negative per il resto del mondo! Di seguito ad esempio una tabella relativa alle attese per l’indice S&P500 a fine 2025:


In media dunque per Wall Street gli analisti si attendono una crescita del 12% dai livelli di fine 2024 con una capitalizzazione media di borsa pari a 24 volte gli utili. Che però resta una “media del pollo” (per dirla con Trilussa) perché le sole Magnifiche Sette contano per un terzo dell’indice e partono da una capitalizzazione di fine 2024 i cui multipli di valore sono molto superiori a quelli di tutte le altre: pari in media a dieci volte il loro fatturato!

Avevamo detto che gli analisti si attendono performances positive per le grandi multinazionali americane e negative sostanzialmente per tutte le altre aziende nel resto del mondo (in particolare per quelle dell’Eurozona). Potrebbero anche aver ragione, ma fino a che punto la “Corporate America” può sperare di prosperare rimanendo indenne dall’andamento riflessivo delle economie dei suoi alleati? Nessuno ad oggi può dirlo. Le nuove tecnologie potrebbero inaugurare una nuova era di benessere diffuso, ma potrebbero anche restare fuori della portata di imprese e consumatori delle nazioni e delle classi meno agiate, deludendo così le attese di profitto delle grandi multinazionali tecnologiche. O potrebbero optare per tecnologie simili ma più semplici, provenienti da imprese dei paesi emergenti.

GUERRE COMMERCIALI E FINANZIARIE

Già perché guerre e tariffe commerciali preannunciate da Trump non dovrebbero fare altro che molto rumore nei confronti di Europa e Giappone ma potrebbero invece riuscire a radicalizzare il separatismo con i BRICS che evidentemente hanno ben compreso la necessità di seguire un’agenda propria per non sottostare allo strapotere americano e stanno organizzandosi per evitare gli scambi in Dollari e i gli investimenti in Paesi che potrebbero sequestrare le loro ricchezze.

La guerra tra le maggiori economie (tra USA e Cina innanzitutto) è già oggi innanzitutto quella di riuscire ad attrarre il maggior volume di capitali finanziari a casa propria. Una sfida di cui l’America è sempre stata la vincitrice storica, e anche adesso con le politiche di Trump è ancora una volta favorita. Appare infatti evidente che, laddove molti capitali convergono su un determinato paese, non soltanto i mercati finanziari locali ne beneficiano, ma costituiscono più risorse per finanziare infrastrutture e investimenti, i quali generano lavoro e redditi prospettici.

La guerra dei capitali però è asimmetrica: fino ad oggi l’America ha attratto capitali dai Paesi OCSE alzando i rendimenti dei propri titoli di Stato: potrà riuscire a proseguire in tal senso? La Cina al contrario attrae capitali e genera esportazioni nei confronti dei Brics, con un occhio al minor tasso possibile di interesse. Potrà proseguire ad accrescere il divario dei tassi senza svalutare troppo lo Yuan?


Chi ci rimette oggi sono tuttavia i Paesi emergenti, “schiacciati” dal super dollaro e “comprati” per pochi denari dalla Cina, che riesce tra l’altro a spuntare prezzi di favore anche nell’energia, grazie alla Russia che deve fare cassa per gli armamenti. Ma anche questa situazione appare paradossale! Potrà proseguire indefinitamente? Oppure i detentori di risorse naturali riusciranno a venderle più care al resto del mondo?

Molto probabilmente nel 2025 la crescita dell’economia mondiale andrà verso un qualche rallentamento e risulterà sempre più difficile preservare l’ “eccezionalismo americano”, soprattutto se l’intelligenza artificiale non darà presto buoni frutti. La NATO poi sta preparando una guerra secolare alla Federazione Russa che rischia di compromettere gli investimenti delle imprese europee e di generare ulteriori vantaggi per la Cina, destinatario “naturale” delle risorse russe a basso prezzo. Così come gli instabili equilibri asiatici di Corea e Taiwan potrebbero a loro volta saltare facilmente e costringere tutta l’Asia a un riarmo generalizzato, che aspirerebbe risorse da investimenti infrastrutturali.

IL RISCHIO DI SPECULAZIONE SELVAGGIA

Dunque il contesto generale appare preoccupante e, si sa, le guerre -che siano militari o commerciali- potrebbero risvegliare l’inflazione dei prezzi di energia e materie prime, compromettendo lo scenario roseo di tagli dei tassi che oggi sorregge le attuali quotazioni delle borse. Non è un caso che oro, bitcoin e altri beni rifugio restino molto appetiti, mentre i debiti pubblici continuano a crescere e di conseguenza il differenziale tra tassi d’interesse a breve e a lungo termine continui ad aumentare, accrescendo le opportunità di arbitraggio e, in definitiva, di speculazioni selvagge.

La morale perciò di questa panoramica sui mercati è che probabilmente le previsioni degli analisti non stiano tenendo in gran conto i numerosi rischi “sistemici” che potrebbero anche ribaltare le borse e generare ulteriore prudenza negli investitori. Né sembrano tenere in considerazione l’elevata probabilità che, a fronte di tutte queste incertezze, la volatilità dei corsi possa tornare a crescere, almeno sino a quando non si individueranno sui mercati delle tendenze più chiare.


Ma se nel corso dell’anno appena iniziato dovesse essere la speculazione a prevalere allora si porrebbe un gigantesco problema relativo alla stabilità finanziaria, con il rischio di radicalizzazione dell’attuale eterogeneità di cause ed effetti per chi investe. Che non sia poi questo il vero obiettivo di chi tira le fila della grande finanza: cioè generare un bel pandemonio? E lucrarne profitti. Ma ci riusciranno, senza ammazzare la gallina dalle uova d’oro?

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 104 – sa 4 gen 2025

Operazioni in essere : nessuna

GOLD FEB 25

Il grafico di GOLD certamente è meno brutto di quello di SILVER, ma non tira una bella aria.

Ci troviamo da 15 gg nella parte bassa del range dal top assoluto di 2790 e il successivo minimo di 2536, con minimi crescenti, ma di poco.

Quanto sopra vale con un orizzonte a un mese, ma il grafico giornaliero sembra consentire un acquisto; poiché l’obiettivo di salita appare contenuto ( intorno a 100 usd ), lo stop loss che mi posso permettere non deve superare un terzo di tale obiettivo.

Osservando i recenti minimi a 2596 cash ( circa 11 usd in più per il future febbraio ) da martedì 7.1 ( ripresa della pubblicazione ) inserirò i seguenti ordini :

compero 1 FEB MICRO GOLD a 2620 con stop loss a 2590 e, solo in caso di eseguito,

compero 1 FEB MICRO GOLD alla rottura del massimo del giorno in cui vi sarà il primo acquisto, sempre con stop loss a 2590

Il secondo acquisto non sarà inserito se il massimo da rompere sarà sopra 2660 del future febbraio.

Quando la singola posizione raggiungerà 40 usd di profitto, alzerò lo stop in pari ( al prezzo di acquisto ).

SILVER MARZO 25

SILVER ci presenta un grafico settimanale molto debole.

– Dopo la rottura di 4 top settimanali uguali intorno a 31,5 – SILVER è salito istantaneamente a 32,32 cash ( 33,33 future ) e poi è subito sceso a 28,75
– Il doppio minimo a 29,65 è stato sbriciolato
– Il top dell’ultima settimana sembra un pull back in tale area

L’unico aspetto positivo è che abbiamo un doppio minimo intorno a 28,75

Devo attendere.

DOW JONES INDU CASH

Nella settimana 2 – 6 dic in cui vi era un ciclo temporale di medio – alto significato DJ ha ritoccato il massimo storico da 45071 a 45073 cash, senza trend.

DJ è sceso per 11 gg consecutivi, salvo un enorme outside ribassista il 18 dicembre, sulle parole di J. Powell

Osservate le molte candele nere del grafico giornaliero allegato.

Poi DJ ha rimbalzato per 1200 punti in 4 gg e ha riperso tutto, delineando nei primi gg del 2025 un possibile doppio minimo a circa 42150 cash, poco sopra i prezzi ante elezione di TRUMP

Siamo vicini al precipizio e quindi ritengo di acquistare e da martedì 7.1 inserirò i seguenti ordini :

compero 1 MARZO MICRO DJ a 42500 con stop loss a 42300 e, solo in caso di eseguito,

compero 1 MARZO MICRO DJ alla rottura del massimo del giorno in cui vi sarà il primo acquisto, sempre con stop loss a 42300

Il secondo acquisto non sarà inserito se il massimo da rompere sarà sopra 43000 del future marzo.

Quando la singola operazione raggiungerà 500 punti di profitto, alzerò lo stop in pari.

NASDAQ 100 CASH

Sol per ricordare ai lettori che questo mercato ha moltiplicato per 22 volte in 15 anni dai minimi del 2009, allego un grafico mensile di lungo periodo

Il grafico giornaliero evidenzia che, diversamente da DOW JONES, NAS 100 ha intaccato il minimo mensile di dicembre e ciò mette all’erta.

Mi attendo un rimbalzo, ma il minimo del 20 dic è il primo swing che viene rotto al ribasso dopo le presidenziali.

Supporti a :

– 20315 che fu il minimo della settimana ciclicamente importante
– 19880 che fu l’ultimo minimo prima delle presidenziali

Tutti pensiamo che TRUMP abbia giovato più al NASDAQ che a DOW JONES e quindi la eventuale rottura di 19880 non andrebbe sottovalutata

Leonardo Bodini