ECONOMIA REALE

Com’è andato per il nostro Paese l’anno appena concluso? Probabilmente la risposta dipende molto dai punti di vista. Però se guardiamo all’economia reale del nostro Paese, allora occorre ammettere che sia andata piuttosto male, soprattutto per le fasce di popolazione con i redditi più bassi, i quali sono in buona parte rimasti fermi ai livelli pre-inflazione, pur dovendosi confrontare con importanti rincari per la maggior parte dei consumi (a partire dal 20-30% medio del carrello della spesa al supermercato). Non c’è dunque da stupirsi del fatto che i consumi nazionali risultino quest’anno particolarmente depressi e che ciò abbia implicazioni negative tanto per il commercio (spiazzato inoltre dalla mancata tassazione delle multinazionali che vendono “online”) quanto per i valori immobiliari del nostro Paese. E non c’è da stupirsi della crescente richiesta di sussidi pubblici, sempre meno gestibile dal governo in carica.

 


L’INDICE DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE

Se poi guardiamo alla produzione industriale è andata forse ancora peggio, dal momento che l’industria nazionale si deve confrontare con un calo medio dell’ordine del 3-4% annuo che oramai va avanti da prima dell’era “covid” (cioè da 3-4 anni) e che solo una piccola parte delle produzioni nazionali può godere di una miglior situazione delle esportazioni verso Asia e Medio Oriente. L’export inoltre non sembra orientato a “tenere” dal momento che l’elevatissimo costo nazionale dell’energia e gli altrettanto elevati “oneri sociali” legati al costo del lavoro tendono a comprimere ulteriormente la competitività delle nostre fabbriche.


CRESCITA ECONOMICA & “VERA” INFLAZIONE

La propaganda mediatica governativa continua invece a dichiarare per l’Italia una crescita del prodotto interno lordo, ma è oramai chiaro a tutti che quel +0,5% del PIL che registra l’Istituto di Statistica deriva quasi soltanto da una distorta contabilizzazione dell’inflazione dei prezzi, rimasta a livelli relativamente limitati (3-4% annuo) per taluni beni considerati nel “paniere” dell’inflazione ufficiale (quali ad esempio i derivati del petrolio e taluni prodotti di largo consumo) e schizzata letteralmente alle stelle (+30-40%) se consideriamo invece il costo dei beni più cospicui, dei servizi, delle costruzioni, dei viaggi e dei beni di lusso. Occorre poi ricordare che ben oltre la metà del prodotto interno lordo è “consumato” dalla pubblica amministrazione, che è arrivata a imporre livelli record (tanto storici quanto geografici) di tassazione e sembra orientata ad inasprirli ulteriormente!


Anche il dato sull’occupazione italiana sembra di non facile interpretazione: apparentemente in crescita, ma in realtà ciò che cresce davvero è soltanto il numero di posti precari e sottopagati, mentre decrescono tanto le pensioni quanto i redditi (da lavoro dipendente) più elevati. Si badi peraltro che la suddetta considerazione prescinde da qualsiasi opinione politica sull’operato del nostro governo, quantomeno fortemente zavorrato tanto da problemi sempre crescenti di deficit fiscale (durante la pandemia siamo arrivati a ridosso del 10% del PIL per poi ridurre a poco meno del 4%, cioè ancora oggi l’8% del bilancio pubblico è senza copertura) quanto dalla giungla normativa, tanto nazionale quanto comunitaria.


Ed è una magra consolazione sapere che -dal punto di vista strettamente industriale- sia andata ancora peggio per le economie europee più vicine a noi come la Francia e la Germania. Dal momento che entrambe le loro economie hanno potuto sostenere una miglior dinamica salariale rispetto a quella italiana (e di conseguenza consumi complessivamente meno depressi), anche per il fatto che tanto le imprese quanto le unità familiari hanno potuto beneficiare di minor tassazione e minor costo dell’energia (la prima per le proprie centrali nucleari e la seconda anche per le proprie centrali a carbone). Dunque per l’uomo della strada dell’Europa continentale la congiuntura sembra invece migliore della nostra.


L’AMERICA VA MOLTO MEGLIO

E’ andata invece parecchio meglio per gli Stati Uniti d’America dove non soltanto il PIL ha registrato una crescita media del 3%, ma anche l’ottima dinamica salariale ha potuto ampiamente sopravanzare il calo iniziale dei redditi dovuto alla svalutazione monetaria e di conseguenza i consumi hanno registrato in media delle ottime performances. Gli USA possono inoltre contare su una tassazione molto ridotta dei redditi (tanto personali quanto di impresa) rispetto agli standard europei e su una spesa pubblica in grande crescita che costituisce un formidabile stimolo alle attività economiche interne senza che ciò costituisca (almeno per il momento) un problema. In America infatti il deficit di bilancio viene puntualmente controbilanciato dal forte afflusso di capitali provenienti dal resto del mondo, grazie ai quali non è mai stato un problema il finanziamento del debito pubblico, arrivato oramai al 120% del PIL e orientato ad ulteriori impennate.


LE DISUGUAGLIANZE CONTINUANO A CRESCERE

Ovviamente anche in America la crescente “polarizzazione” dei redditi (sempre migliore per quelli da capitale e non ottimale per quelli da lavoro dipendente) ha creato una spaccatura profonda, che si è riflessa nel risultato delle ultime elezioni politiche. Ma l’economia appare solida -anche in prospettiva- non soltanto perché gli USA sono grandi esportatori di tecnologia, armamenti ed energia. Anche la crescente incidenza degli investimenti sul prodotto interno lordo sembra destinata a far proseguire lo sviluppo, tanto per il fatto che -grazie all’automazione industriale- molte produzioni stanno tornando negli USA dopo che in passato erano state delocalizzate, quanto per la crescente influenza degli investimenti informatici nei sistemi di nuova generazione collegati allo sviluppo dell’intelligenza artificiale.


Investimenti per il momento realizzati quasi solo dalle grandi multinazionali tecnologiche e ben poco dalle piccole e medie imprese americane. Che tuttavia non solo trainano il PIL degli Stati Uniti, ma sembrano anche destinati a dare ulteriori frutti negli anni a venire. L’ottima dinamica dei mercati dei capitali in America infatti permette di destinare quote crescenti di risorse finanziarie agli investimenti delle grandi imprese a stelle e strisce e consente dunque uno stimolo ulteriore allo sviluppo economico di quel Paese.

LA FORZA DEL DOLLARO

Non c’è dunque da meravigliarsi della forza crescente del Dollaro americano rispetto a quasi tutte le altre divise valutarie, sospinta non soltanto da buone prospettive economiche, ma anche dalla crescente attrazione dei capitali da parte dei mercati finanziari a stelle e strisce e dai rendimenti elevati offerti dal biglietto verde. La Cina ad esempio sembra aver goduto anche quest’anno di una congiuntura economica persino migliore dell’America (nonostante ciò che raccontano i “media” il PIL del paese pare essere cresciuto di quasi il 5% anche nel 2024), ma i propri mercati finanziari non destano molta attrattiva per i capitali stranieri e il cambio dello Yuan resta ai minimi storici contro il Dollaro (probabilmente anche per motivi strategici di sostegno alle esportazioni e di contrasto alla minaccia dei dazi alle importazioni americane).

Dal punto di vista globale poi il 2024 sembra poter consolidare una crescita economica molto simile a quella del 2023, anche grazie alla crescita demografica di buona parte delle economie emergenti, in particolare quelle asiatiche. Dunque il fanalino di coda dell’economia mondiale possiamo con pochi dubbi affermare che sia stata l’Europa.

Consigliati da LinkedIn
PROVE TECNICHE DI RECESSIONE
RECESSIONE O RIPRESA?
L’INFLAZIONE NON SCENDE E L’ECONOMIA RALLENTA

IL COSTO DELL’ENERGIA

Le cause sono da ricercarsi in varie direzioni, molte delle quali sono ben note: una forte rigidità del mercato del lavoro, orientata al ribasso anche a causa di un modello industriale obsoleto, la forte dipendenza dalle risorse energetiche importate, un sistema politico oneroso, macchinoso e corrotto che ha generato un debito pubblico in buona parte fuori controllo e, al tempo stesso, il crescente onere degli armamenti, buona parte dei quali importati dal resto del mondo.


Tendenze che potrebbero produrre -a partire dal prossimo anno- anche una riduzione dell’occupazione, con possibili conseguenze in termini di crescenti tensioni sociali, mentre cresce anche il rischio di ulteriore coinvolgimento dei Paesi dell’Eurozona nei conflitti mediorientali, est europei e addirittura africani (con il conseguente onere che ne può derivare). Senza contare il rischio di ulteriori divergenze politiche all’interno della macchina comunitaria, divenuta elefantiaca in termini di costi e vincoli, ma che è risultata decisamente incapace di produrre, in contropartita, un vero ”mercato unico“ né crescita economica o stabilità finanziaria.

LA DEBOLEZZA DELLA DIVISA UNICA EUROPEA CONTINUERÀ

In queste condizioni appare difficile prevedere buone prospettive per la divisa unica europea, i cui rendimenti finanziari non potranno che restare limitati a causa della pessima performance dell’economia reale, e il cui cambio contro Dollaro non potrà che accusare il colpo di conseguenti probabili ulteriori deflussi di capitali dal vecchio al nuovo continente, nel prossimo futuro. Almeno sin tanto che le attuali (forti) contrapposizioni geopolitiche limiteranno gli investimenti asiatici nel vecchio continente e sinanco gli scambi commerciali con i Paesi aderenti ai BRICS.


CIGNI BIANCHI E NERI

Da tutti i punti di vista sino qui passati in rassegna peraltro appare difficile poter scorgere per il nuovo anno significative variazioni delle attuali tendenze. Un possibile “cigno bianco” (cioè una buona notizia) potrebbe provenire dall’eventuale riduzione dell’intensità dei conflitti oggi in corso tra i Paesi membri della NATO e la Federazione Russa, nonché tra Israele e praticamente tutti gli altri Paesi del Medio Oriente. Ma anche se ciò accadesse appare difficile immaginare la fine dell’emorragia finanziaria che tali conflitti oggi procurano ai Paesi Occidentali. Così come sarebbe improbabile che l’instabilità politica dell’intero continente africano possa portare qualche futuro beneficio ai paesi europei nel prossimo anno (anzi!). Dunque nel migliore dei casi la congiuntura attuale sembra destinata a variare piuttosto poco nel primo scorcio del nuovo anno.

Un vero e proprio “cigno nero” per l’economia europea invece si materializzerebbe se le tensioni geopolitiche continentali dovessero addirittura peggiorare, dal momento che il primo rischio di un’escalation militare nel 2025 sarebbe quello di una seconda ondata di inflazione dei prezzi, tanto energetici quanto industriali. Un rischio assai poco gestibile dal momento che appare già in atto un deciso “debasing” (cioè in soldoni: svalutazione) del valore intrinseco delle cosiddette “fiat currencies” dei principali paesi occidentali, misurato principalmente dal crescente prezzo dell’oro e degli altri metalli preziosi e in parte anche dal rialzo dei prezzi di quasi tutti i prezzi dei beni reali.

LO “SVUOTAMENTO” DEL VALORE INTRINSECO DELLA MONETA

Anzi: il contrasto tra la dinamica dell’inflazione dei prezzi dei beni di prima necessità e quella dei prezzi dei beni-rifugio (come l’oro e gli altri preziosi appunto) appare sempre più marcato, delineando di fatto una svalutazione ”reale” delle principali divise di conto valutario, che corre molto più velocemente di quanto le statistiche ufficiali lascino credere e che investe sinanco il valore delle imprese, quantomeno di quelle che sembrano poter esibire modelli di business adeguati al mondo che cambia. Addirittura si potrebbe affermare che la salita generalizzata delle quotazioni di borsa come pure dei beni reali cospicui sia sostanzialmente dovuta non tanto all’apprezzamento intrinseco quanto alla svalutazione della moneta in cui il loro valore è misurato.


D’altra parte non è mai stata una vera novità la profonda divaricazione tra l’andamento dell’economia reale e quello dei mercati finanziari. Ma negli ultimi anni più che un divario sembra si sia creato un vero e proprio abisso, che poi si riflette nelle crescenti disuguaglianze tra percettori di salari e percettori di redditi da capitale.

 

Stefano di Tommaso




LA DIVERGENZA DEI MERCATI AUMENTA

Le Borse europee non sono mai state così divergenti da Wall Street. Pur essendo un anno positivo per entrambe il divario delle performance non può passare inosservato. L’indice Eurostoxx 600 (nel grafico qui sotto) è salito in un anno soltanto del 4,7%. L’S&P 500 del 26%. Cioè più di cinque volte tanto. Ma il rischio è soprattutto che la divergenza di performance tra le borse americane e quelle europee prosegua anche nell’anno che sta per entrare.

 


WALL STREET SI È’ GIA’ RIPRESA

Wall Street Sembra avere voglia di accelerare anche nel 2025 a causa delle ottime variabili macroeconomiche degli Stati Uniti d’America e della novità di un’inflazione che sembra oramai domata.

Solo pochi giorni fa il governatore della FED aveva messo in guardia gli investitori dei rischi legati ad una recrudescenza dell’inflazione. Ma le ultime statistiche sembrano smentire questa prospettiva e ora gli analisti finanziari si attendono che la banca centrale americana possa viceversa continuare ad espandere la propria politica monetaria.

LE BORSE EUROPEE MANCANO DI LIQUIDITA’

L’Europa viceversa, nonostante i ribassi recenti (e quelli attesi) dei tassi d’interesse, rischia di ripiegarsi ancora di più su sé stessa. Soprattutto per la scarsa liquidità che attanaglia i mercati europei (complice tanto la Banca Centrale Europea quanto il drenaggio di capitali operato dall’America), ma anche perché le condizioni economiche prospettiche del vecchio continente non sembrano promettere niente di buono.


MOLTIPLICATORI A CONFRONTO

Ovviamente le prospettive contano, e si riflettono sui moltiplicatori di valore. L’indice Msci Europe vale 13,6 volte gli utili attesi per il 2025. Quasi ai livelli delle borse dei paesi emergenti, che capitalizzano tra le 9 e le 12 volte gli utili (ma che in compenso hanno anche migliori prospettive di crescita). L’indice Msci Usa invece è a quota 22,6, cioè circa il doppio.

Talvolta si pensa che le azioni con un multiplo più basso siano più convenienti, ma se quest’ultimo riflette basse attese relative all’evoluzione dei profitti, allora gli investitori preferiscono scommettere sulle società che mostrano le migliori performances piuttosto che cercare di speculare sui titoli più a sconto. Spesso questi ultimi hanno modelli di business superati o scarse capacità di crescere.

IL DIVARIO E’ AUMENTATO DI RECENTE

La vera svolta nel divario delle quotazioni borsistiche tra gli Stati Uniti d’America e il resto del mondo è però arrivata solo con la pandemia. In quel momento c’è stato il “trionfo” delle imprese a forte contenuto digitale e hanno letteralmente preso il volo i cosiddetti titoli azionari “growth“ (crescita).

Poi è stata la volta della “bolla speculativa” dell’Intelligenza Artificiale, cioè dei titoli emessi dalle grandi multinazionali super-tecnologiche che possono trarre profitto dalla diffusione dell’utilizzo di quest’ultima per scopo di business, oramai tra le più grandi corporation al mondo.

POCHI TITOLI “GROWTH” IN EUROPA

In Europa si trovano quasi soltanto aziende della old economy (meccaniche, automobilistiche, moda-lusso-abbigliamento, banche e società finanziarie, grandi multi-utilities parastatali, aziende energetiche, e società farmaceutiche). E di grandi multinazionali super-tecnologiche non ce ne sono quasi. La crisi del settore industriale automobilistico in Germania ha poi avuto ricadute praticamente in tutta Europa nelle sue filiere dirette e indirette di terzisti che lavoravano per l’auto tedesca.

Ma sono diverse nelle due sponde dell’Oceano Atlantico anche e soprattutto le aspettativa di crescita dei redditi, dei consumi e del prodotto interno lordo. Se l’economia europea tirasse di più ci potrebbero essere migliori prospettive anche per le aziende della “old economy” che in Europa sono prevalenti.

L’INFLAZIONE NEGLI U.S.A. SCENDE DI PIÙ’

Non soltanto il P.I.L. americano corre, ma ci sono sorprese anche a proposito dell’inflazione. Fino a qualche giorno fa negli Usa gli analisti ipotizzavano ancora che, con una dinamica del prodotto interno lordo molto più elevata, anche l’inflazione potesse risultare più elevata. Di conseguenza la banca centrale (le FED) ha sino ad oggi ridotto di poco il costo del denaro lasciando in essere tassi d’interesse più elevati rispetto all’Europa.

Anzi: il governatore della FED Jerome Powell nell’ultima settimana ha sì abbassato i tassi (di un quarto di punto), ma ha anche avvisato che per un po’ avrebbe potuto restare d’ora in avanti fermo. Fornendo dunque ai mercati un’indicazione contrastata che li aveva gettati nel panico.

Ma ciò che nell’ultima parte della settimana è venuto fuori è viceversa l’esatto opposto: l’inflazione americana sembra proprio continuare a scendere, mentre quella europea rischia di rialzare la testa, complice il forte divario tra Europa e USA relativo al costo delle materie prime energetiche (soprattutto il gas naturale), che fa decollare i costi di produzione e riduce i margini industriali.

I CAPITALI VANNO IN AMERICA

Dunque i capitali che si rivolgono ai mercati finanziari americani non soltanto ottengono una remunerazione maggiore, ma rischiano anche una minore erosione della valuta (il Dollaro) in cui sono investiti. Il “Dollar Index” è giunto ai massimi di periodo, come si può leggere dal grafico:

Consigliati da LinkedIn
SARANNO GLI INVESTIMENTI A FARE LA DIFFERENZA
I PROFITTI E I FONDAMENTALI DELL’ECONOMIA TENGONO ALTE…
LE BORSE SCENDERANNO ANCORA?

Non per niente l’Euro continua a svalutarsi nonostante una bilancia commerciale dell’Europa con gli USA in deciso avanzo. Perché i capitali preferiscono attraversare l’oceano.

Del resto il 71,5% (in valore) dei titoli che compongono l’indice delle borse internazionali ”MSCI World” è composto da titoli americani. Come dire che ben oltre i due terzi dei titoli di qualsiasi portafoglio che voglia risultare perfettamente diversificato a livello internazionale devono essere a stelle e strisce. E questo fa affluire liquidità sul sistema finanziario americano rendendolo liquido e tonico.

LE COSE POTREBBERO CAMBIARE

Le cose potrebbero cambiare non poco per le prospettive economiche europee se davvero si avvicinasse a grandi passi la fine della guerra in Ucraina.

Oggi la minaccia di Trump di sanzionare le nazioni europee che non accrescono il budget militare rischia di veder peggiorare i nostri conti pubblici o, peggio, di veder accrescere oltre misura la tassazione. Anche questo scenario peggiora la percezione dei mercati finanziari continentali. Se il “pericolo” bellico dovesse tuttavia ridursi la situazione potrebbe migliorare e magari il costo dell’energia per l’Europa potrebbe ridursi.


Ma al momento la cosa sembra tutt’altro che certa. E poi non è detto che un tale evento possa generare conseguenze positive per il costo delle materie prime energetiche per il vecchio continente.

L’EXPORT VERSO LA CINA POTREBBE TORNARE A CRESCERE

Anche l’eventuale miglioramento delle performances dell’economia cinese (la quale comunque rischia di chiudere l’anno con una crescita del prodotto interno lordo più che rispettabile: +5%) potrebbero dare nuovo impulso alle esportazioni europee.

Ma anche questa cosa è tutt’altro che certa perché l’America vuole limitare la capacità interscambio della Cina con i paesi OCSE. Con il rischio dunque che se la Cina dovesse accelerare chi ne beneficierà di più non sarebbero i paesi d’Europa bensì quelli aderenti ai BRICS (che oramai superano la ventina).


L’INSTABILITÀ POLITICA

Sinanco dal punto di vista politico tra l’America e l’Europa non potrebbe esserci un divario più netto: assai stabile l’assetto politico degli USA dopo che il partito conservatore di Trump ha praticamente vinto tutto (presidenza, camera e senato) che hanno dunque davanti a loro diversi anni per consolidare le nuove politiche.

Mentre rischia di essere sempre più frammentato e dunque instabile il quadro politico europeo, con pesanti problemi soprattutto nei due paesi che sino a ieri sono stati di guida all’intera Unione (Francia e Germania), e una dinamica salariale generalmente piuttosto pesante (anche a causa dell’inflazione dei prezzi) che rischia di scatenare nuovo scontento sociale.


Questo si traduce in ulteriore debolezza della Divisa Unica e in una dinamica riflessiva dei consumi europei a causa dell’incapacità di varare misure espansive per rilanciare gli investimenti continentali.

Con il rischio che le imprese quotate in Europa, per quanto siano tra le migliori nel contesto industriale complessivo , non tengano minimamente il passo con la crescita degli utili di quelle americane. E dunque che il divario delle performances delle borse americane rispetto a quelle europee continui ad aumentare.

Stefano di Tommaso




GEOPOLITICA E INCOGNITE DI FINE ANNO

La caduta di Assad in Siria si aggiunge ai numerosi focolai di guerra e di rivolta sociale potenzialmente destabilizzanti (del Medio Oriente e non solo: in Ucraina, in Georgia, in Corea, in Romania, ecc…) e apre ulteriore incertezza negli scenari geopolitici internazionali, ma fino ad oggi i mercati della finanza globalizzata non si sono scomposti, anzi! Hanno battuto ogni precedente record e rischiano di continuare a farlo, sebbene in una situazione di crescente rischio di possibili scossoni e sorprese, mentre l’economia reale continua ad veder crescere i distinguo tra zone geografiche, comparti industriali e dimensioni aziendali.

 


L’EUROPA NEL DISORDINE POLITICO-SOCIALE E SENZA UNA VERA GUIDA

Anche In Germania e in Francia sono in corso delle crisi di Governo e delle proteste popolari. E gli echi di quei tafferugli rischiano di coinvolgere la sopravvivenza stessa della Commissione Europea e il parlamento di Bruxelles, cioè l’integrità dell’Unione Europea. Ma ce n’è ben donde! Sorgono perciò molti dubbi sulla stabilità prospettica dei mercati finanziari europei. Invece questi ultimi paiono seguire pedissequamente Wall Street con un appetito per il rischio che appare difficilmente spiegabile secondo razionalità.

È pur vero che ci si attende che la banca centrale europea continui ad abbassare i tassi d’interesse, ma tutti sanno che, non essendo la frenesia dei consumi ad aver provocato l’inflazione, non sarà il denaro a buon mercato a suscitare una ripresa, a meno di non allentare i vincoli del Patto di Stabilità e i cordoni della borsa delle politiche monetarie, cosa che difficilmente avverrà a causa della contrarietà dei membri “nordici” dell’Unione.

I RISCHI GEOPOLITICI E LA COMPIACENZA DEI MERCATI

Un segnale inequivocabile dell’eccessiva compiacenza e dell’ingiustificata fiducia negli utili futuri che gli investitori ripongono nei mercati borsistici è la misura della loro ”volatilità” (cioè della variabilità delle loro quotazioni): oggi eccessivamente bassa e vicina ai minimi storici di sempre. Una volatilità che, statisticamente, non potra che tornare a rimbalzare verso la sua media di lungo periodo.


I mercati finanziari tendono a ignorare i disordini geopolitici (almeno in un primo momento) perché i loro esiti non sono mai certi e per la difficoltà di valutarne le conseguenze. L’ esempio che viene spesso portato a controprova riguarda il prezzo del petrolio dopo p’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023: ha raggiunto il suo picco massimo il giorno prima ma con l’innesco del conflitto allargato che ha investito l’intero Medio Oriente il petrolio non ha proseguito la sua corsa. Anzi: oggi è sceso al di sotto della soglia psicologica dei 70 dollari al barile.

Qualche economista fa invece notare che i mercati hanno reagito in modo consistente all’elezione di Donald Trump perché in tal caso appariva piuttosto chiaramente quali ne potevano essere gli esiti. Laddove cioè questi ultimi non sono certi (e -fattore essenziale- la liquidità è abbondante) i mercati tendono a ignorare i rischi geopolitici.

LA FAME DI ENERGIA DOVREBBE PORTARE AD UN RIALZO DEL SUO PREZZO

Oggigiorno ad esempio si profila all’orizzonte un rischio deciso di incremento delle esigenze di energia nel mondo, sia a motivo del fatto che ancora 3 miliardi di persone povere sul pianeta consumano a testa in media meno energia di quanto ne assorbe il nostro frigorifero di casa; ma anche perché i nuovi super-calcolatori necessari per far “girare” i software dell’intelligenza artificiale assorbono molta più energia di quelli che non la usano e ne assorbiranno ancora di più in futuro, mentre le esigenze globali di “de-carbonizzazione” costringeranno le nazioni a porre degli ovvi limiti all’utilizzo di elettricità derivante dal bruciare combustibili di origine fossile.


La conseguenza lampante sarà il probabile rincaro del costo dell’energia, per il semplice fatto che la sua domanda sembra destinata a superarne l’offerta. Ma oggi neanche questo sta accadendo e nessuno sa quando esattamente questo potrà succedere, con il rischio che quando avverrà , possa farlo all’improvviso, ravvivando l’inflazione dei prezzi.

 I MERCATI FINANZIARI SEGNANO NUOVI RECORD

Da molti mesi poi, anche a causa del fatto che i mercati finanziari viaggiano da tempo sui massimi e, anzi, segnano nuovi record, gli investitori hanno cercato di diversificare le loro scommesse tra numerosi beni-rifugio quali l’oro, le criptovalute, le public utilities e sono tornati a investire pesantemente sui titoli del reddito fisso. Sinanco i contratti sul cambio del Dollaro americano e sui prezzi delle risorse naturali ne sono stati investiti. Ma oggi tutti questi mercati sembrano saturi ed è divenuto sempre più difficile decidere “quali pesci pigliare”!

Sino ad oggi quindi l’unico vero investimento che ha avuto senso fare (anche per i redditi in grado di generare) è stato quello dei titoli azionari delle imprese più capitalizzati e più tecnologiche del pianeta, anche per il fatto che sono state soprattutto queste ultime che hanno incrementato i profitti negli ultimi tempi. Il problema è che la maggior parte delle multinazionali tecnologiche è di nazionalità americana (seppur con qualche eccezione). Questo ci riporta, in modo circolare, a riflettere sull’eccesso di ottimismo che i mercati borsistici hanno mostrato sui profitti che verranno generati non soltanto oggi, ma anche nel prossimo futuro.

IL TRAINO DELL’A.I. E GLI ANALISTI FINANZIARI

L’ottimismo generale viene anche avallato dai grandi soloni del mercato, quali gli economisti e gli analisti delle principali banche d’affari, delle banche centrali e delle principali case d’investimento. La maggioranza di essi continua a scommettere sul traino che potrà discendere dalle nuove applicazioni dell’intelligenza artificiale, praticamente in ogni settore dell’attività umana, dall’industria ai trasporti, al commercio e ai servizi. Se anche questo sarà vero nel lungo termine, gli unici profitti che sono stati generati fino ad oggi dall’A.I. riguardano colò che hanno venduto a caro prezzo i componenti necessari a chi continua ad investirci senza ancora trarre alcun profitto.

IL REDDITO FISSO E LA SOSTENIBILITÀ DEI DEBITI PUBBLICI

Al tempo stesso anche sui titoli a reddito fisso c’è oggi molto ottimismo, nonostante il fatto che i debiti pubblici occidentali continuano ad espandersi e che la loro sostenibilità complessiva non sia mai stata così a rischio come oggi. Sembrava che il mercato se ne fosse accorto chiedendo per i titoli pubblici rendimenti crescenti, ma poi è arrivato il “cigno nero” dell’elezione di Trump, che ha riportato fiducia nella possibilità della sua futura amministrazione di ridurre il disavanzo del governo federale dunque di rendere più “sostenibili” i debiti esistenti.

Anche se altri osservatori fanno notare che le intenzioni di Trump di introdurre sanzioni e dazi su buona parte dell’interscambio commerciale globale e quella di bloccare i flussi migratori irregolari possano rischiare di provocare nuova inflazione dei prezzi. Ma persino l’inflazione può avere un risvolto positivo se gli occhi per osservarla sono quelli degli ottimisti: essa erode il peso relativo del debito, soprattutto se -come sembra- dovesse accompagnarsi ad una situazione in cui i tassi d’interesse non torneranno a crescere.

IL FATTORE “LIQUIDITÀ” CONTA PIÙ DELL’ A.I.

Ovviamente molto dell’ottimismo dei mercati tende a dipendere non poco dall’evoluzione della liquidità che viene immessa dalle banche centrali sui mercati finanziari o che si accresce in conseguenza degli afflussi dall’estero di capitali. Non per nulla i “multipli del reddito” alla base delle valutazioni espresse sui mercati americani appaiono decisamente superiori a quelli dell’Europa e di molti Paesi Emergenti: la banca centrale americana ha immesso sul mercato molta più liquidità di quanto abbia fatto quella europea ma soprattutto i mercati finanziari americani hanno drenato dal resto del mondo molta più liquidità di quelli europei.

IL DILEMMA DEI MERCATI: CONTINUERANNO A CORRERE?

Oggi però resta più che mai senza risposta il dilemma dei mercati finanziari occidentali: continueranno ancora a salire di valore oppure si fermeranno? La risposta non è ovvia (sarebbe facile poter dire: attenzione! Quando le quotazioni crescono troppo poi esse arrivano a precipitare) perché l’economia globale non appare surriscaldata, anzi: rischia di rallentare.

Sinanco in Asia la situazione appare fluida. In Cina, ad esempio: apparentemente l’economia continua a crescere del 5% annuo ma in realtà i consumi interni sembrano languire e i valori immobiliari mostrano una discesa, cosa che fa pensare che lo sviluppo del Prodotto Interno Lordo sia determinato a tavolino principalmente dalle politiche fiscali governative decisamente espansive (e che quindi sostanzialmente non riguardi la gente comune).

L’Europa poi sembra essere entrata in un tunnel che la porta a prevedere per i prossimi anni una crescita economica nulla o assai ridotta. Per non parlare delle numerose economie minori del pianeta, devastate dai conflitti bellici locali, i quali tutti insieme hanno sino ad oggi congiurato per una domanda di materie prime ed energie inferiore alla loro offerta, e dunque un contenimento dei prezzi dei mezzi di produzione e della loro inflazione.

I VALORI FINANZIARI POTREBBERO PROSEGUIRE LA LORO CORSA

Se l’economia globale dovesse dunque continuare a crescere senza ”riscaldarsi” troppo nè subire guerre o crisi di sistema allora, data la crescente “polarizzazione” della ricchezza in poche mani sempre più potenti, i valori espressi dai mercati finanziari potrebbero proseguire la loro corsa, soprattutto perché molto dello,sviluppo economico dipenderà dalle nuove tecnologie, che sono inequivocabilmente controllate dalle medesime mani.

Se viceversa per qualche motivo la liquidità globale dovesse iniziare a scarseggiare ovvero dovesse innescare un processo a spirale di rialzo dei prezzi, allora sarebbe più probabile un deciso ridimensionamento dei valori segnati dai mercati mobiliari.

Potrebbe anche succedere che la prosecuzione dell’attuale “bonanza” sui mercati avvenga quasi esclusivamente per le grandi multinazionali e i colossi quotati sui mercati americani, accentuando così il divario di valutazioni con l’Europa e i Paesi Emergenti, ivi compresi quelli più importanti dell’Estremo Oriente. Una situazione che potrebbe essere esasperata dalla forza del Dollaro americano sui cambi con le altre valute.

Anzi, quest’ultimo (il Dollaro forte ancora per un po’ di tempo) è probabilmente lo scenario ”mediano”, cioè quello con maggiori chances di verificarsi. Resta tuttavia importante restare vigili sui grandi cambiamenti in corso durante quest’ultimo scorcio dell’anno 2024, perché essi rischiano di mutare radicalmente il contesto competitivo e di contorno di quasi tutte le imprese.

L’INFLUENZA CRESCENTE DELLE TECNOLOGIE

Parliamo cioè dei progressi tecnologici che potranno essere indotti dalla progressiva digitalizzazione di quasi tutte le attività umane, della progressiva “smaterializzazione” dei consumi e degli investimenti. Parliamo della possibilità che il costo dell’energia torni ad essere protagonista nel prossimo futuro, anche a causa del fatto che la crescita della sua domanda sembra avviata ad eccederne l’offerta, e della possibilità conseguente al possibile rincaro dell’energia che l’inflazione, pur strisciante, continui a resistere ancora a lungo e ad erodere i piccoli risparmi per favorire il grande capitale.

Parliamo anche della possibilità che la congiuntura oggi prevedibile arrivi a provocare ulteriori ondate di aggregazione tra aziende di tutte le dimensioni per giungere a dominare i singoli mercati di sbocco (penalizzando ulteriormente la piccola dimensione del business e lasciando poco spazio alle imprese davvero innovative). Come pure parliamo del fatto che questa situazione così “estrema” non possa che incrementare la frattura tra i Paesi OCSE e quelli emergenti, in particolare i BRICS.

I POSSIBILI “VINCITORI” DELLA GUERRA DELLE TECNOLOGIE

Difficile gettare lo sguardo ancora oltre, ma le conseguenze a livello dei singoli compartí industriali dei sommovimenti di fondo potrebbero essere travolgenti anche qualora non arrivi sui mercati finanziari alcuno “shock” e non si verifichi alcun conflitto militare di grandi proporzioni. La diffusione di strumenti di interconnessione sempre più efficienti potrà poi aiutare la gente a collaborare da ogni parte del pianeta, a prescindere dai “distretti” produttivi e dalle città e nazioni di appartenenza. Una fattispecie socio-culturale che potrebbe favorire non poco le economie maggiori del pianeta e quelle con i mercati finanziari più sviluppati, nonché far incrementare la spesa militare globale e gli investimenti nelle nuove tecnologie.


Ovviamente l’affermarsi di nuove forme di “dominanza” diverse da quelle strettamente geo-politiche e macro-economiche imporrà un probabile ripensamento dei sistemi informativi e della difesa, di quelli di polizia e di controllo socio-politico. Auspicabilmente imporrà al mondo di tornare a tornare a combattere l’eccessiva concentrazione del potere finanziario in poche mani, ma a costo di dure battaglie in tutte le direzioni possibili. Ma potrebbero anche aprirsi scenari distopici simili a quelli evocati in romanzi come “1984” di George Orwell, così come potrebbero viceversa affermarsi comunità locali migliori delle altre che lotteranno a livello di marketing territoriale e infrastrutture pubbliche per accaparrarsi risorse e cervelli.

Scenari molto diversi tra loro sembrano oggi quindi tutti possibili. E potrebbero orientare non poco l’andamento dei mercati finanziari, molti dei quali probabilmente però nel breve periodo è possibile che tenderanno a frammentarsi e a de-sincronizzarsi geograficamente e per i diversi settori economici. La qual cosa tuttavia è storicamente sempre stata fortemente negativa per la salute delle borse valori e dunque non costituisce un buon presagio per l’avvio del prossimo anno.

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 103 – sab 14 dic 2024

 

Operazioni in essere : nessuna

– merc 27.11 comperato a 30,5 1 MARZO MICRO SILVER FUT
– e lu 9.12 comperato a 32,2 1 MARZO MICRO SILVER FUT , entrambi chiusi in stop gio 12.12 a 31,20.

Il primo ha dato un utile di 0,7 usd x 1000 once = 700 usd; il secondo ha dato una perdita di 1 usd x 1000 once = 1000 usd.

In totale la perdita è di usd 300 pari a euro 285.

GOLD FEB 25

Avevo scritto :
“………………….Nella settimana 2 – 6 dic il range ( 2657 – 2613 cash ) è piccolo, inferiore al range giornaliero di lu 25.11, che era l’inizio delle due settimane di segnale temporale e questa settimana di “NON EVENTO” denota grande incertezza, comunque con chiusura ben sotto il range attenzionato di 2650 – 2670.

E quindi cosa farò ?

Cerco di immaginare cosa farebbe un Mercato dispettoso : salirebbe sopra il top di 2657, per poi scendere in outside settimanale ribassista sotto 2613 ( 2 – 6 dic ) ma soprattutto sotto 2605 ( bottom del 25 – 29 nov, che costituiva il pull back sul livello molto importante di 2603 ), che fu il minimo delle due settimane interessate dal segnale di tempo.

Il massimo dei massimi sarebbe una salita intorno alla parte alta del range ( 2670 ) con successiva caduta.

Illusione …………..e smentita.

Troppo comodo per me ( ci proverei con inversione giornaliera dopo aver toccato circa 2670 ) , ma poco probabile.”

GOLD ha fatto anche di peggio, rispetto alla dinamica, contorta, che avevo prospettato.

E’ salito da lunedì a mercoledì di 90 usd ( tre barre grandi, dopo una laterale di 50 usd in 9 gg ) e, alle parole di C. Lagarde, ha riperso tutto, senza però avvicinare il livello di 2603 – 2605.

Si trova ora ai prezzi di una settimana orsono, ma dopo una volatilità devastante per tutti, compratori e venditori.

Serve una rianalisi, ma sin da ora anticipo che una eventuale mia vendita probabilmente non attenderà più l’area di doppio massimo assoluto intorno a 2790.

Una vendita in forza potrebbe essere piazzata intorno a 2726 GOLD CASH, il massimo relativo segnato gio 12.12 , nei minuti precedenti alle parole della presidente BCE.

SILVER MARZO 25

Dopo aver alzato a 31,20 lo stop loss per la posizione in essere di 1 MARZO MICRO SILVER FUT comprato a 30,50 , la Lettera N. 102 aveva comperato 1 MARZO MICRO SILVER FUT in rottura di 32,20 marzo future, sempre con stop loss a 31,20 – specificando che, da lu 9.12, se il future marzo fosse salito in area 33,50 avrei alzato ogni giorno lo stop loss sotto il minimo di ogni giorno precedente.

Il Mercato, fastidioso, sembra aver letto la Lettera : tra lu 9 e gio 12 è salito fino a 33,33 usd MARZO FUT ( ante Lagarde ) senza raggiungere 33,50 e poi è crollato, senza che la Lettera ( non aggiornabile nella settimana ) potesse alzare lo stop loss.

In realtà 33,33 è vicino all’area 33,50 ma questa Lettera deve essere trasparente, meglio ancora cristallina e quindi devo penalizzare gli esiti, quando essi non siano incontrovertibili.

Così è per la mia natura e per lo scopo ultimo di questa Lettera.

Con i miei quattrini, potendo intervenire in qualsiasi istante, poiché già lu 9.12 SILVER MARZO era esploso fino a 32,95 – dopo l’acquisto in rottura del livello di 32,2 – il giorno successivo alzai lo stop a 32,2 vale a dire in pari con il secondo acquisto e così inalterato rimase l’ordine fino all’eseguito di ve 13.12; tale modifica infra settimanale ha dato un utile di ( 32,2 meno 30,5 = 1700 usd ) sul primo acquisto e zero sul secondo acquisto.

Mi dispiaccio per la Lettera e incamero il profitto.

DOW JONES INDU CASH

Nella settimana 2 – 6 dic in cui vi era un ciclo temporale di medio – alto significato DJ ha ritoccato il massimo storico da 45071 a 45073 cash, senza trend.

L’unica operatività consentita era una vendita in rottura del minimo di tale settimana pari a 44574 DJ CASH, ma, dopo un range settimanale limitato all’ 1 %, poiché non ho una buona statistica per i casi in cui la barra rotta è di dimensione insignificante, avevo preferito, salvo l’eventualità di un outside settimanale ribassista, stare a guardare.

DJ è sceso per 7 gg consecutivi, nei quali tanto i massimi che i minimi sono stati decrescenti.

Osservate le 7 candele nere del grafico giornaliero allegato.

Nessun inside, nessun outside.

Questa discesa senza pentimenti appare già lunga e potrebbe essere vicino un rimbalzo, ma non vedo uno stop loss per proteggere l’eventuale acquisto e quindi devo attendere un avvicinamento al top assoluto di 45073 per una vendita.

Siamo lontani, si attende.

La prossima operatività sarà sul future marzo ( il fut dicembre scadrà ve 20.12 , anche per NAS 100 )

NASDAQ 100 CASH

Sale con forza e il grafico settimanale indica che l’unica candela nera di grande dimensione ( 21182 meno 20315 = 867 ) dai primi gg di settembre è stata la settimana 11 – 15 novembre.

Quindi un segnale di notevole rilievo ciclico è riuscito a frenare questo treno in corsa per due sole settimane, due attività sono consentite :

– comprare sulla fiducia oppure
– stare a vedere.

Scelgo la seconda.

La Lettera ritornerà martedì 7 gennaio 2025.

Auguri a tutti i lettori.

Leonardo Bodini