LE BORSE SCALDANO ANCORA I MOTORI

L’indice FtseMIB (il più indicativo dell’andamento di Piazza Affari ha inanellato la quarta settimana consecutiva di guadagni, crescendo del 21% da inizio anno e del 13% da quando è caduto il governo. La manovra della Banca Centrale Europea ha influito su tali guadagni soltanto con la crescita dell’1% nell’ultima settimana. Come ci siamo già detti però in precedenza non c’è niente di eclatante se non il recupero di posizioni perdute nei mesi precedenti a causa della diffidenza della grande finanza verso l’Italia. La cosa interessante è che siamo tornati ai massimi storici e ci avviamo a superarli di slancio, sulla scia dell’andamento delle altre borse mondiali. Quelle europee in primis (anch’esse tenute sotto freno nei mesi passati e ora forti di un nuovo governo dell’Unione che sembra essere pienamente in sella).

 

I “FATTORI DI CRESCITA”

  1. Nella settimana che inizia si prospettano poi altre questioni molto importanti, potenzialmente portatrici di nuovi record borsistici e di nuova serenità sui mercati:
  2. la ripresa (vera) delle negoziazioni America-Cina (con la prospettiva di raggiungere più di una semplice nuova tregua),
  3. Il Consiglio della Federal Reserve USA che potrebbe sancire un nuovo taglio dei tassi
    Le prime notizie sull’andamento dei profitti aziendali nel terzo trimestre del 2019 (che sembrano promettere bene, sconfiggendo le voci relative all’accelerazione della fine dell’attuale ciclo economico espansivo).

Ci sono insomma le premesse perché nelle borse globali si registri del nuovo ottimismo e affinché quella di Milano possa addirittura beneficiarne più delle altre a causa dell’endemica sottovalutazione di taluni titoli (a partire da quelli bancari). Di seguito il grafico annuale dell’indice FTSE-MIB:


E I MOTIVI DI CAUTELA

Se dunque da un lato la manovra di Draghi ha gettato nuova euforia (e aspettative di ulteriore liquidità) tra gli operatori, essa però non ha avuto sull’Euro l’impatto sperato. Anziché svalutarsi infatti l’Euro si è ripreso contro il Dollaro, sfondando quota 1,11, nonostante che permanga la tendenza di medio termine del Dollaro a rivalutarsi contro Euro. Stiamo vivendo un momento di duro confronto sulle valute, che fanno a gara nello svalutarsi più delle altre, favorendo le quotazioni (e soprattutto le prospettive) dell’oro e degli altri beni rifugio.

E con le borse che ritornano ai massimi di sempre (e i titoli a reddito fisso che vi stazionano già da un bel po’) la corsa ai beni rifugio non potrà che accelerare ulteriormente, perché sempre più investitori cercano riparo nelle alternative. In particolare quelle asiatiche (Cina in testa) sono sugli scudi di nuovi minimi contro Dollaro, creando dunque problemi anche alle altre grandi divise valutarie, che oscillano perlopiù insieme al Dollaro e dunque in media si rivalutano contro quelle asiatiche. Lo scenario sta creando non pochi problemi alle esportazioni europee, ad esempio, mentre lo squilibrio tra le partite correnti tedesche continua a pesare come un macigno sulla competitività degli altri stati dell’Unione. Se la Germania non varerà nuovi incentivi e nuovi investimenti pubblici l’euforia europea potrebbe avere insomma il respiro corto.

Valute in tensione, corsa ai beni rifugio e possibili sorprese negative nei tassi come nella geo-politica sono quindi un contraltare credibile allo scenario tutto-rosa sopra delineato e di certezze abbiamo oramai esaurito le scorte da tempo!

I SETTORI CHE PIÙ NE BENEFICEREBBERO

Ma in tutto questo l’Italia dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) invece continuare a recuperare il terreno perduto in precedenza e, se questo nuovo governo dovesse addirittura riuscire a mettere mano alle grandi infrastrutture allora ne beneficerebbero innanzitutto :

  1. le società di costruzioni e quelle di impiantistica,
  2. le società di ingegneria e grandi appalti (come Leonardo),
  3. le Public Utilities (soprattutto quelle del nord, in mano al PD) le agenzie di lavoro interinale,
  4. il comparto delle banche,
  5. quello dell’energia (specialmente quelle rinnovabili, come la Falck) a causa del fatto che la nuova Commissione Europea ne ha quasi fatto una bandiera pseudo-ideologica,
  6. e infine probabilmente quello dell’informatica, corollario essenziale all’espansione dei possibili investimenti a favore dell’automazione e della competitività, che il nuovo governo dovrebbe incentivare ulteriormente.

Ecco dunque i comparti produttivi che potrebbero risultare come i migliori beneficiari di eventuali nuove rivalutazioni borsistiche, dunque le cui quotazioni più ne potrebbero beneficiare.

Ma tra le imprese che li compongono privilegerei quelle anticicliche (come quelle alimentari) e le imprese con le migliori aspettative di dividendi e quelle che stanno investendo di più, a causa del fatto che i tassi di interesse continueranno probabilmente a scendere e che la disponibilità di credito sarà probabilmente un po’ più abbondante.

Altra categoria di imprese che saranno in grande spolvero sono quelle che hanno solide basi commerciali e produttive negli Stati Uniti d’America, che per quanto prima o poi dovranno aspettarsi di incrociare lo spettro della recessione, tra oramai soltanto un anno affronteranno una delle campagne elettorali presidenziali più battagliate che la storia ricordi.

QUASI UNO SCENARIO DA “RICCIOLI D’ORO”

È probabile che dunque fino a quel momento l’economia americana possa continuare a correre più delle altre nel resto del mondo, e che anche la borsa ne risenta positivamente, mentre il rally delle borse europee potrebbe durare molto molto minor tempo, perché i fondamentali restano scarsi e la spaccatura tra nord e sud e del continente sembra soltanto allargarsi.

Poiché tutto questo avviene in una congiuntura tornata quasi positiva, gli investitori hanno dunque ripreso fiducia e potrebbero tornare a travasare più risorse di quanto oggi si preveda sui mercati borsistici. L’economia globale infatti comincia a mandare segnali di stabilizzazione o persino di ripresa, l’inflazione resta piatta, i tassi continuano a scendere (riportando la curva dei rendimenti su livelli meno minacciosi e costringendo prima o poi a rivedere al rialzo la valutazione dei titoli quotati). L’opinione pubblica poi inizia a farsi l’idea che anche gli stimoli fiscali (tagli alle aliquote e incentivi per gli investimenti) Sim guadagneranno tra i nuovi governanti più consenso, che Cina e Stati Uniti provano davvero a riavvicinarsi e che la brexit si materializzerà probabilmente in modo più soffice di quanto ventilato dai giornali.

Quasi uno scenario da “riccioli d’oro”, sebbene i rischi di nuovi shock petroliferi possano minacciarlo seriamente. Ma sono anche convinto che più dovessero crescere le quotazioni del greggio e più risulterà evidente che la recessione globale non è dietro l’angolo.

QUANTO DURERÀ L’ENTUSIASMO?

Quanto durerà la congiuntura (quasi) positiva e di conseguenza l’entusiasmo delle borse? Fino a qualche settimana fa qualcuno diceva soltanto fino alla prossima settimana (cioè all’arrivo dell’Autunno), qualcun altro è invece pronto a scommettere che i livelli raggiunti saranno tenuti o addirittura migliorati di qui a fine anno, dato l’enorme numero di coloro che dalle borse sono fuggiti e che adesso tendono a rientrare.

È sempre difficile fare previsioni oltre il brevissimo termine, se non quelle legate al fatto che oramai da alcuni anni di gran lunga il fattore che più influisce sulle quotazioni borsistiche è la disponibilità generale di liquidità. E che quest’ultima, ancora per un po’ di tempo, tutti giurano che resterà abbondante. Quella che osserviamo perciò non è dunque una normale dinamica di mercato, bensì la presa d’atto dell’influenza determinante della politica e degli orientamenti delle banche centrali sull’andamento dei mercati finanziari. È ciò che più di ogni altra cosa ci spinge a scommettere su un “autunno dorato” delle borse, soprattutto fino a quando l’attuale ciclo espansivo di interventi delle banche centrali, copiosi profitti e ancor più ricchi dividendi, dovesse continuare.

MA LA STRADA VERSO NUOVI MASSIMI NON È LINEARE

Facciamo infatti attenzione al “timing” degli investimenti: permane infatti il serio rischio che, subito dopo i nuovi massimi, le borse a Ottobre possano effettivamente incorrere in qualche realizzo.

Stefano di Tommaso

 




IN BORSA L’ESTATE NON È ANCORA TERMINATA

Mentre si addensano nuvole all’orizzonte degli eventi economici, con gli esperti che tracciano scenari futuri che vanno da un lungo periodo di scarsa crescita soltanto europea (nel migliore dei casi) a una vera e propria recessione globale (nel peggiore), qualche raggio di sole colpisce nel frattempo i mercati finanziari, ancora carichi all’inverosimile di liquidità che non sanno dove riversare. Gli investitori restano timorosi (da diversi anni, oramai) di incappare in nuove imboscate borsistiche capaci di distruggere in un baleno quel po’ di performance guadagnata da inizio anno. E quel raggio di sole, finché splende, può portare qualche bella soddisfazione!

 

SI MOLTIPLICANO I GURU CHE PRONOSTICANO CROLLI

Una prudenza rispettabile, si direbbe, quella degli investitori sulle borse. In realtà da qualche anno a questa parte, una volta raggiunti i massimi storici delle quotazioni, ci si è iniziati a chiedere quanto sarebbe durata la bonanza. Quella che ne è conseguita è stata una continua fuga dall’incertezza, costellata di nuovi massimi e successivi ripensamenti, dunque di nuovi acquisti in borsa a causa di ciò che gli americani chiamano F.O.M.O. (cioè “fear of missing out”: il timore di non esserci e di perdere una grande occasione).

Un’incertezza giustificabile ma priva di ogni vera logica e basata esclusivamente sulla malriposta fiducia in qualche “Dr.Doom” (Professor Disgrazia) di turno, convinto di annunciare per primo l’imminente catastrofe. Sono dunque anni che gli investitori, dopo ogni nuovo record delle quotazioni, hanno iniziato ad alleggerire le loro posizioni in borsa.

Ogni tanto le catastrofi arrivano davvero ma in tutti gli altri -ben più numerosi- casi, il prodotto interno lordo cresce e le nazioni -in media- migliorano le proprie condizioni economiche. Oggi al rientro da una tumultuosa estate ci troviamo più che mai alle prese con pronostici molto difficili da azzeccare, dal momento che una certa parte del mondo (la nostra, innanzitutto), fa fatica a infilare qualche barlume di speranza nella prosecuzione della crescita economica, mentre altre restano meglio impostate, non foss’altro che per la demografia positiva.

 

LA RECESSIONE ARRIVERÀ, MA NON DOMANI MATTINA

Per quanto riguarda l’Eurozona, nell’anno in corso il Pil, è cresciuto dello 0,2% a livello trimestrale e dell’1,2% su base annuale nel secondo trimestre dell’anno. Il dato congiunturale è in linea con il consenso degli economisti e con la lettura preliminare, mentre quello annuale è migliore sia delle attese che delle letture precedenti: al +1,1%.

E poi c’è l’economia americana che marcia ancora al ritmo di crescita annua media (il 2%) più elevato dell’ultimo trentennio. Ma lo fa ininterrottamente da più di dieci anni e oggi mostra segnali di affaticamento dopo la lunga corsa, con la disoccupazione giunta ai minimi storici e la gente che guadagna più di prima, ma spende di meno, perché allunga la durata attesa della vita, confida sempre meno nella previdenza pubblica e spera di assicurarsi una vecchiaia lunga e tranquilla incrementando i risparmi.

Le banche centrali inoltre hanno già pronti nuovi interventi sul mercato per fornire stimoli monetari alla crescita economica e in tal modo contribuiscono a tenere elevata la liquidità in circolazione e bassi i tassi d’interesse.

LA LIQUIDITÀ IN CIRCOLAZIONE AUMENTA

Morale: il mondo (soprattutto quello occidentale) ha più soldi che mai, ma cosa ne fa? Oggi ci sottoscrive debito (per paura di comperare immobili illiquidi o azioni sopravvalutate) e questo non fa che incrementare il prezzo dei titoli a reddito fisso e butta a zero i loro rendimenti (il 30% di tutti i bond al mondo ha oramai un rendimento “negativo”). Altra conseguenza della grande propensione dei risparmiatori a investire nel reddito fisso è l’ondata di nuovi bond aziendali che si stanno riversando sul mercato per cogliere l’occasione dei tassi bassi e della grande liquidità: il rendimento di questi titoli ovviamente è maggiore così come lo è il rischio, ma l’attuale carenza di alternative porta a sottovalutare quest’ultimo.

Cosa succederà di conseguenza ? Potremmo parlare a lungo delle probabilità nel medio periodo di una prossima recessione ma non ne avremmo alcuna certezza (e soprattutto non ne arriverà una identica per ogni regione del mondo, anzi!). Mentre è forse fin troppo facile prevedere cosa può succedere più a breve termine: che la frenesia da reddito fisso (basso e rischioso o negativo) evaporerà presto, non appena sarà un po’ più chiaro che le borse non crolleranno domani mattina e che i profitti aziendali non si riducono. Così come è successo in questi giorni per la borsa di Milano e lo spread Btp-Bund: le ricoperture dall’ipervenduto hanno lasciato un bello spazio per la ripresa.

È POSSIBILE CHE LE BORSE SALIRANNO ANCORA, MA PER QUANTO?

A breve termine dunque, complici anche le prossime manovre della BCE e della FED (che non lo vuole dichiarare ma è tornata a comperare titoli sul mercato), le borse potrebbero segnare qualche passo avanti, soprattutto quelle europee, più svendute delle altre nel recente passato (come si può vedere dal grafico qui sotto). I motivi sono numerosi e la probabilità resta alta, ma di certezze non se ne possono avere. Non con la volatilità che è tornata a crescere e l’incertezza di fondo per le tendenze di lungo termine che minacciano il sonno degli imprenditori.


Come ironizzava però John Maynard Keynes: “nel lungo periodo siamo tutti morti” e dunque dobbiamo concentrarci su orizzonti più brevi. È l’oggi che conta ed è anche quello che ci serba le migliori opportunità. In media nei dodici mesi precedenti infatti le borse europee sono praticamente rimaste al palo, mentre quelle americane sono cresciute a due cifre. Dunque la ripresa delle quotazioni in Europa si sarebbe da classificare solamente come un “redde rationem”.

Da cavalcare comunque abbastanza in fretta perché, come diceva Oscar Wilde: “se c’è una certezza nel mondo è quella dell’incertezza”, ma poi egli diceva anche che essa in fondo ci affascina: “It is the uncertainty that charms one. A mist makes things wonderful” (l’incertezza è una nebbiolina che rende le cose meravigliose).

Stefano di Tommaso




PROVE TECNICHE DI RECESSIONE

Tanto tuonò che piovve. La tradizione attribuisce la frase a Socrate: si racconta che un giorno stesse dialogando con un suo allievo nel cortile di casa ma Santippe, moglie del filosofo, appena arrivata, iniziò a inveire contro di lui, poi si affacciò alla finestra e gli gettò una brocca d’acqua sulla testa; Socrate, allora, sempre imperturbabile, pronunciò la famosa frase che viene oggi utilizzata per alludere al verificarsi di un evento atteso da molto tempo. Così è possibile che stavolta, dopo tanto parlarne, la recessione arrivi davvero, quantomeno a motivo della ciclicità dei fenomeni economici. Proprio come un orologio rotto che un paio di volte al giorno, senza farlo apposta, l’ora esatta la segna davvero. E se forse più che di recessione bisognerebbe parlare di stagnazione, visto che la prospettiva non è delle più drammatiche ma, come nella fattoria degli animali di Orwell, ci sono paesi come il nostro che, di fronte agli eventi globali, sono più uguali degli altri…

 

VIENE ANNUNCIATA DA ANNI MA ANCORA NON SI MANIFESTA

Sentiamo parlare di fine del ciclo economico da almeno 3 anni (all’epoca della campagna elettorale presidenziale americana) e da almeno un anno le voci di un‘ apocalisse prossima ventura si sono fatte più insistenti, anche perché l’andamento economico della fine del 2018 è sembrato all’Europa un antipasto caldo dell’inversione del ciclo. Ma poi nel vecchio continente l’export è tornato a tirare, consumi e investimenti si sono leggermente ripresi, e l’argomento “recessione” sembrava fino all’estate oramai archiviato tra i numerosi allarmi che orde inferocite di falsi profeti continuano ad annunciare ad ogni piè sospinto.

STAVOLTA PERÒ…

Sino a quando, alla ripresa dopo il periodo feriale, ci stiamo tuttavia accorgendo di essere ricaduti in pieno in un gioco a somma zero, esattamente come nell’inverno 2018. E, se non possiamo definire la sintesi di ciò che riportano le statistiche congiunturali come ”recessione”, almeno però dobbiamo parlare di “stagnazione”, perché almeno quella è conclamata, e non solo al di qua delle Alpi, dove il Prodotto Interno Lordo non si è quasi mosso da oramai un anno, bensì anche e soprattutto in Germania, che doveva restare la locomotiva d’Europa e che rappresenta di gran lunga la prima economia industriale dell’Unione e che nel secondo trimestre 2019 è arretrata dello 0,1% su quello precedente a causa del calo delle esportazioni (ed è tutta da vedere se migliora in quello in corso).


PERSINO LA GERMANIA ARRETRA

L’instabilità della Germania coinvolge tutti i paesi europei e in particolare quelli che, come l’Italia, sono spesso terzisti di imprese tedesche. Ma i timori di recessione sono figli del calo delle esportazioni e arrivano perciò da quasi tutto il mondo. Il Fondo Monetario Internazionale ha definito la situazione economica mondiale «delicata» e ha tagliato le previsioni.

In Italia cala la fiducia delle imprese e dei consumatori ad agosto. Lo rileva l’Istat, spiegando che la fiducia dei consumatori passa da 113,3 a 111,9 e la fiducia delle imprese scende da 101,2 a 98,9. L’indice diminuisce in tutti i settori e in particolare quelli delle costruzioni e dei servizi subiscono il calo più marcato (rispettivamente, da 142,8 a 140,4 e da 100,0 a 97,4) mentre il calo è contenuto nella manifattura (da 100,1 a 99,7) e quasi nullo nel commercio al dettaglio dove rimane stabile (da 110,0 a 109,9) ma si associa a poca fiducia sulle performance future.

LE CAUSE NON SONO SOLO CONGIUNTURALI

Sul New York Times Ruchir Sharma, chief global strategist dalla banca d’affari Morgan Stanley Investment Management ricorda che la crescita economica dipende anche da quella demografica. Se l’economia si contrae meno rapidamente della popolazione, il reddito disponibile può addirittura crescere, come è successo in Giappone. Ma la stagnazione gioca negativamente sulle aspettative e dunque cancella investimenti e posti di lavoro. E colpisce soprattutto in paesi come l’Italia che non hanno avuto una grande crescita economica, o che hanno investito troppo poco nell’innovazione.

Il problema però non è soltanto congiunturale. L’economia mondiale sta incontrando delle barriere alla crescita economica che non hanno a che fare con le (mancate) scelte dei governi. Altre forze sono in campo per ridurre lo slancio verso la crescita: l’invecchiamento della popolazione, la conseguente riduzione (fino ad andare sotto zero) degli interessi pagati sui risparmi accumulati, la necessità collettiva di ridurre emissioni dannose e quella di tagliare la previdenza pubblica, la scarsa propensione degli stati nazionali a rinnovare incrementare le grandi infrastrutture, il calo dei margini aziendali dovuto alla progressiva digitalizzazione delle economie moderne.

Ci sono cioè forze che oggi possono spingere il mondo verso una lunga era di stagnazione, in cui i tassi di crescita economica degli anni passati saranno un ricordo. Queste forze sono poi controbilanciate dai grandi investimenti nelle innovazioni tecnologiche, per la corsa verso lo spazio, dal progressivo aumento del grado di qualificazione del personale delle aziende, eccetera. Ma non agiscono in maniera speculare, bensì in tempi e zone geografiche spesso diverse da quelle che subiscono di più gli effetti dell’invecchiamento di cui sopra.

In questo processo l’Europa rischia di cadere molto in basso, persino qualora l’economia mondiale non arrivi mai a una vera contrazione. E poi la situazione politica dell’Unione non aiuta a contrastare la deriva. C’è dunque il serio rischio che gli attuali trend di stagnazione economica non offriranno molto spazio nella seconda parte dell’anno affinché le nostre economie possano tornare a fare faville, anzi.

COSA NE CONSEGUE PER LE BORSE ?

E’ la domanda delle domande: cosa ne conseguirà per i mercati finanziari ? Qui la musica potrebbe essere diversa perché la scarsa propensione (errata, con ogni probabilità) di tutti i governi occidentali a limitare al massimo gli stimoli economici di ordine fiscale (dovuti al timore irrazionale oppure in mala fede di aumentare troppo i debiti pubblici) viene controbilanciata da un forte interventismo da parte delle banche centrali, le quali stanno già programmando nuove riduzioni dei tassi di interesse e il lancio di nuove facilitazioni monetarie.

Tutte cose che fanno bene alle quotazioni dei titoli scambiati in borsa e che a loro volta abbassano ulteriormente i tassi di interesse. Come però si può vedere dal grafico qui riportato il loro andamento in Agosto non è stato particolarmente brillante:


La vera domanda è se queste iniziative di tipo monetario avranno successo (e su queste colonne ho piu volte espresso la mia perplessità al riguardo). Perché in caso contrario (di scarsa efficacia delle facilitazioni monetarie nel contrastare la deriva negativa dell’economia reale in una situazione quasi da manuale di “trappola della liquidità” di keynesiana memoria) le borse dovranno alla fine ugualmente affrontare un periodo di difficoltà.

O forse più praticamente si prospettano due diversi momenti: a breve quello di esuberanza dovuto al lancio coordinato di tali iniziative da parte di piu banche centrali (forse già a Settembre) e qualche tempo dopo quello in cui le aspettative generali potrebbero ridimensionarsi, anche per fattori ciclici: man mano che ci avviciniamo al 2020 il ciclo economico positivo che nel resto del pianeta prosegue da più di un decennio potrebbe invertirsi, sebbene in maniera non decisa.

COSA CI VORREBBE PER CONTRASTARE LA DERIVA

Per contrastare lo spettro della stagnazione globale e di lungo termine in Europa ci vorrebbero perciò contemporaneamentetanto iniziative di facilitazioni monetarie quanto incentivi fiscali agli investimenti e ai consumi, e forse altrettanto contemporaneamente sarebbe opportuno recuperare lo svantaggio accumulato con tutte le grandi opere infrastrutturali lasciate indietro o nemmeno programmate. Soprattutto se si pensa che andrebbero controbilanciati gli svantaggi in termini di invecchiamento della popolazione, riduzione degli interessi sul capitale, calo delle nascite, qualificazione del personale, riduzione o mancata espansione della spesa pubblica, riduzione del consumo di materiali tossici e delle emissioni nocive. Tutte cose che hanno contribuito a mandare a tappeto, per esempio, l’industria automobilistica.

E’ ragionevole attendersi -in termini politici- che un tale miracolo possa avvenire? Probabilmente no. Ed è per questo che nutro un moderato scetticismo sulla possibilità che il vecchio continente arrivi a scampare la prossima recessione, sebbene moderata e, dal punto di vista delle borse, quasi inesistente.

Stefano di Tommaso




AUTOMAZIONE INDUSTRIALE: PERCHÉ INVESTIRCI

Grazie all’automazione industriale il rapporto tra uomo e macchina è oggi migliore di sempre e continua a evolvere ad un ritmo imponente. Grazie a nuove generazioni di sensori, alla crescita esponenziale della capacità di calcolo dei microchip, allo sviluppo di software sempre più evoluti che sfociano nell’intelligenza artificiale, alla grande mole di informazioni che è possibile ottenere grazie all’internet delle cose e al diffondersi dell’economia digitale, l’industria manifatturiera è spinta ad evolversi verso forme sempre più autonome, flessibili ed è altresì costretta a muoversi in quella direzione dalla necessità di fare sempre maggior efficienza.

 

LA RI-LOCALIZZAZIONE PRODUTTIVA SOSPINGE L’AUTOMAZIONE

L’automazione industriale è ancora oggi un business per chi produce, manutiene e sviluppa gli impianti industriali, ma lo è ancor più per chi produce, perché la,curva di apprendimento di chi in passato acquisiva dall’estero le tecnologie ed oggi è sempre più in grado di fare da solo, genera i maggiori profitti laddove sono maggiormente dislocate le unità produttive (l’Asia, per esempio), anche se nel medio termine quella stessa automazione potrebbe contribuire non poco a riportare la produzione sempre più vicina ai luoghi di consumo, riducendo i trasporti e le loro conseguenze in tema di salvaguardia dell’ambiente.

MA LA FABBRICA AUTOMATICA RESTA UN MITO

L’industria manifatturiera è però ancora molto distante dal vedere lavorare le fabbriche in completa autonomia (con qualche manutentore al massimo), perché se è facile automatizzare i singoli processi è invece molto più complesso coordinarli totalmente, dalla logistica delle materie prime al packaging finale. Ne sa qualcosa la Tesla, che ha alimentato questo sogno di integrare tutte le fasi produttive in una fabbrica completamente automatica che potesse -grazie all’evoluzione dei robot- accelerare il ritmo di produzione a livelli in precedenza impensabili, facendo efficienza.

Ma proprio Tesla, nella creazione delle sue “gigafactory” ha poi dovuto prendere atto che la strada per arrivare a ciò è ancora molto lunga, piena di insidie è mai definitiva, dal momento che spesso e volentieri la ricerca dell’efficienza nei costi mal si concilia con la flessibilità nelle caratteristiche dei prodotti che il mercato richiede in continuazione. Il sogno di Elon Musk non è poi molto diverso da quello del signor Ford, quando cent’anni prima diceva che gli americani potevano chiedere l’automobile “modello T” di qualsiasi colore, basta che fosse nero. E come cent’anni fa quel sogno si è dovuto scontrare con le molte insidie della realtà dei fatti.

LE TECNOLOGIE SONO SPESSO UN BUON AFFARE

Queste brevi note però non riguardano l’evoluzione delle tecnologie produttive (soprattutto in settori ultra-maturi come quello dell’automobile) bensì il business delle medesime perché, se da un lato non è si scorge ancora all’orizzonte la maturità delle tecnologie manifatturiere, d’altro canto chiunque negli ultimi vent’anni abbia investito in automazione ha quasi sempre fatto un buon affare.

E l’aspettativa è che, con l’evoluzione in corso dell’intelligenza artificiale, le cose dal punto di vista dei margini, non potranno che migliorare. Si parla di un mercato mondiale dell’impiantistica fissa per l’automazione industriale (con un focus particolare per la “manifattura additiva”, cioè per la stampa in 3D dei prodotti industriali) che cresce stabilmente nel mondo dell’8% annuo e dovrebbe perciò arrivare ai 100 miliardi di dollari entro il 2022 mentre nel totale delle sue componenti anche mobili e di indotto potrebbe toccare i 240 miliardi di dollari di fatturato entro lo stesso anno.

IN BORSA LE TECH-COMPANY SONO ANCORA ALLE STELLE

D’altra parte si spiega solo come tali aspettative il livello altissimo delle valutazioni borsistiche che riguardano molte imprese iper-tecnologiche (persino quando si parla dei trasporti: si pensi alle quotazioni di Uber, oppure dell’automobile: si pensi alle valutazioni di società che sviluppano sistemi di guida autonoma).

Le aspettative di maggiori guadagni (e quelle di conseguente riduzione dei margini delle imprese industriali tradizionali) portano in alto le quotazioni delle start-up tecnologiche e in basso i tassi di interesse, nella comune percezione che, prima che l’intera industria manifatturiera riuscirà a convertirsi alle nuove tecnologie, una stagnazione più o meno lunga (qualcuno addirittura la definisce “secolare”) dovrà intervenire, con un calo dei consumi e una traslazione delle preferenze che si può già toccare con mano.

E SONO L’ANTIDOTO ALLA STAGNAZIONE SECOLARE

Purtroppo nessuno può riuscire a prevedere oggi la durata e la portata di queste tendenze, ed è anche molto difficile speculare circa le conseguenze in termini finanziari di tutto ciò, ma resta un fatto sconvolgente il dover constatare che mentre il mondo prosegue in un ciclo ultra-decennale di crescita economica che sta tuttavia rallentando sempre più, le quotazioni borsistiche non accennano a flettere e l’inflazione non accenna a riprendersi. Secondo i futuristi del l’automazione sono in campo effetti-Amazon e Uber nell’efficienza distributiva, una poderosa digitalizzazione dei processi e dei servizi, ma anche e soprattutto enormi progressi in termini di costi e affidabilità che sono stati compiuti nell’industria manifatturiera e che hanno fatto crescere l’aspettativa di redditività di quelle imprese che più hanno investito nell’innovazione.

IL ROBO-GLOBAL ARTIFICIAL INTELLIGENCE INDEX

Esiste un indice finanziario delle imprese attive nell’intelligenza artificiale così come nella progettazione, produzione e assistenza di sistemi di automazione industriale (detti in gergo: Robot) che si chiama ROBO Global Artificial Intelligence Index, cresciuto dall’inizio dell’anno del 22% (era arrivato al 30% un paio di mesi fa, poi ha ritracciato), contro un’incremento del 16% del valore medio globale degli indici azionari mondiali (l’MSCI World Index) e soprattutto sembra, trimestre dopo trimestre, guadagnare nuovo terreno sull’indice generale, complice anche una tendenza generale verso la ri-localizzazione dei siti produttivi precedentemente spostati laddove il costo della manodopera era più basso, che alimenta le esigenze di efficienza economica.

Insomma, nel panorama arido e in tendenziale regresso dell’industria manifatturiera è invece pieno boom di fatturato, margini e valutazioni aziendali per il software industriale, l’ingegneria dei sistemi produttivi e la fabbricazione di robot di ogni genere. Chi vuole investirci su non ha che da mettersi comodo!


Stefano di Tommaso