ECONOMIA ITALIANA: BUONE NUOVE

E chi l’avrebbe mai detto che nel 2019 il nostro Paese sarebbe divenuto la locomotiva industriale d’Europa? Eppure questo è ciò che emerge dai dati registrati dalle statistiche a gennaio e febbraio, con EuroStat che calcola la crescita della produzione industriale rispettivamente dell’1,9% e dello 0,8% mentre la Germania negli stessi mesi sarebbe scesa dello 0,8% a Gennaio per poi risalire dello 0,7% a Febbraio.

 



EURO TIRAMISÙ

Con questi numeri l’Italia trainerebbe l’aumento della produzione industriale europea con un contributo del 36% sul totale, seguita da: Francia (32%), Spagna (18%), Irlanda (17%) e Olanda (14%), mentre la Germania sarebbe stata la peggiore contributrice con il -21%, tenendo conto del peso di ogni stato sul prodotto totale dell’area Euro.



IN ITALIA L’AUTO CONTA SEMPRE MENO

C’è anche chi maligna (politicamente) facendo notare che il merito è per buona parte da ascriversi al ritardo del nostro Paese nel riprendersi dalla crisi dell’ultimo decennio, visto che dal 2007 la produzione industriale italiana risulta scesa del 17% mentre quella tedesca è cresciuta del 7%, ma le vere motivazioni della miglior performance della Penisola a Gennaio e Febbraio riguarda probabilmente la minor dipendenza dell’Italia dal settore automotive (produzione di veicoli e loro componenti e accessori), che nei medesimi due mesi da noi è sceso di quasi il 14% mentre in Germania molto di più (è circolata una stima che parla di -39%).


Ad oggi dunque la dinamica della produzione industriale del nostro Paese su base annuale raggiungerebbe nel 2019 un +0,9% (guarda caso lo stesso numero previsto per il Prodotto Interno Lordo (P.I.L.) dal ministero dell’economia prima che l’ennesima bordata della Commissione Europea gli chiedesse a gran voce di rivederlo allo 0,2% nel Documento di Economia e Finanza -DEF). Le previsioni di Barclays per il P.I.L. vede dopo un primo trimestre piatto, il +0,1% nel secondo trimestre e il +0,2% nel terzo e nel quarto. Stime che probabilmente verranno invece riviste decisamente al rialzo.

I MERCATI FINANZIARI NE TENGONO CONTO

Forse è anche per questo che l’andamento dello spreadtra i nostri BTP decennali e i Bund di pari durata è in miglioramento dall’inizio dell’anno:


Se non fosse che l’andamento del più importante indice di fiducia finanziario viene ampiamente sostenuto dal forte impegno profuso dalla Banca Centrale Europea nell’immettere forte liquidità nel sistema, come si può vedere dal seguente grafico riassuntivo:


Secondo Prometeia il primo trimestre 2019 si chiuderebbe con la crescita della produzione industriale dell’1,5% sul trimestre precedente, mentre Il secondo trimestre vedrebbe un misero +0,1% . Secondo l’Istat l’andamento tendenziale annuo rispetto a febbraio 2018 mostra un buon risultato per i beni di consumo (+4,7% su base annua) e dei beni strumentali (+1,5% sull’anno). Le migliori variazioni tendenziali riguardano l’industria tessile (abbigliamento, pelli e accessori +11,7%), i prodotti farmaceutici(+5,3%) nonché elettronica, ottica, elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (nel complesso +4,4%). Scende la produzione di prodotti petroliferi e di carbone (-13,9%), quella del legno, della carta e degli stampati (-5,4%) la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (-2,8%).

RECESSIONE IMPROBABILE, MA LA FRANCIA CI HA SUPERATO

Si rende perciò assai improbabile la temuta entrata in recessione del nostro Paese e soprattutto si vede in generale una decisa concordanza andamentale con i dati espressi dagli altri membri dell’Unione Europea, in particolare dalla Francia, al medesimo tempo il nostro peggior rivale politico e industriale ma anche il più simile a noi. A questo proposito vale la pena di citare il sorpasso della Francia sull’Italia per quanto riguarda la produzione industriale, come risulterebbe da una prima statistica fatta circolare nei giorni scorsi da EuroStat (a sinistra il valore della produzione e a destra quello delle vendite):


Ma in realtà quel sorpasso è avvenuto da tempo, quando buona parte delle produzioni industriali di punta del nostro Paese sono state acquisite proprio da aziende francesi, dalla Parmalat alla Loro Piana, da Bulgari a Brioni e via dicendo. La produzione industriale dell’Italia è chiaramente discesa oggi al terzo posto tra le manifatture europee, più esattamente è meno della metà di quella della Germania e circa il 10% al di sotto di quella della Francia.

Stefano di Tommaso

 




REBUS ITALIA

Nel primo trimestre dell’anno l’indice Ftse Mib è cresciuto del 18,45% contro il -16,15% dell’intero 2018. Da inizio anno i titoli di Stato italiani a 10 anni hanno subito un rialzo dei prezzi e una discesa conseguente del rendimento dell’8,13%. Ai prezzi attuali il rendimento a scadenza è del 2,51%,un punto in meno di pochi mesi fa. Insomma la borsa italiana, il cui capitale flottante (la parte di titoli quotati non legata a maggioranze di controllo o patti di sindacato, che viene comunemente scambiata) appartiene per la massima parte a investitori stranieri, sembra scommettere, alla conclusione del primo trimestre del 2019, sul buon andamento del nostro Paese, contrariamente a quanto succedeva nel 2018.

 


LE STATISTICHE SONO NEGATIVE

Nel frattempo i dati a fine marzo (cioè pochi giorni fa) sulla crescita dell’economia italiana non potrebbero essere più deludenti. Cito letteralmente un recente articolo a firma di Morya Longo sul Sole 24 Ore: “Che l’Italia cresca meno degli altri Paesi europei è noto a tutti… Un rapporto di The European House-Ambrosetti individua tre motivazioni strutturali: scarsa produttività, scarsa formazione, scarso livello di investimenti. La produttività italiana è cresciuta del 6,7% negli ultimi 23 anni, contro il 31,6% della Germania, il 27,8% della Francia, il 16,8% della Spagna e il 27,4% medio dell’Unione europea. Il motivo principale è dato dal fatto che in Italia è mancata la spinta della cosiddetta produttività «multifattoriale»: quella legata alla managerialità, alla digitalizzazione, alla meritocrazia, alla formazione e all’ambiente economico. Insomma: non cresce un Paese che mette le persone sbagliate nei posti sbagliati e che non ha cultura manageriale. Sul capitale umano l’Italia è ancora più indietro. Il nostro è infatti il Paese con la percentuale di laureati più bassa: solo il 17,7% della popolazione. L’Italia è anche il Paese che investe meno in istruzione, dato che in percentuale al Pil si ferma a un misero 0,3% per le sole università. Molto meno di Spagna (0,6% del Pil), Francia (0,6%) e Germania (0,8%). Anche questo è un freno evidente alla crescita: minori competenze rispetto agli altri Paesi significano infatti minore capacità di innovare. Ma anche minori competenze nella forza lavoro. Infine l’altro grande problema dell’Italia è la scarsità degli investimenti.”

MIGLIORI PROSPETTIVE

Numeri e fatti che lasciano poco spazio alle argomentazioni politiche e retoriche di entrambe le fazioni: maggioranza e opposizione, circa lo stato di salute dell’economia reale del nostro Paese. Ma com’è possibile che i mercati finanziari sottovalutino grandemente il pericolo che l’economia italiana possa avvitarsi ancor di più generando a sua volta una vera e propria crisi di fiducia nel debito pubblico nazionale? Evidentemente non basta guardare alle cifre storiche appena citate ma bisogna piuttosto interpretare i segnali prospettici per trovare una risposta all’altrimenti inspiegabile ottimismo degli investitori circa il destino economico della nostra Penisola.

In effetti il governo in questi giorni sta scaldando i motori su un certo numero di fronti caldi in fase di definizione del “DEF” (il documento di programmazione economico finanziaria): lo sblocco dei cantieri per gli investimenti infrastrutturali, la “Flat Tax” (che significa in definitiva un taglio delle tasse sul reddito), il rimborso ai risparmiatori coinvolti nei crack bancari, e un certo numero di semplificazioni burocratiche (ance se di esse è stato annunciato poco o niente). Lo spirito della manovra programmatica è quindi molto chiaro: fare tutto il possibile per far ripartire l’economia italiana nonostante i numerosi vincoli di bilancio e finanziari imposti da Bruxelles. D’altra parte il ritardo nella spesa infrastrutturale accumulato è comune a tutta l’Europa, (come si può vedere dal grafico qui sotto riportato) e dipende dall’impostazione fortemente ideologica della Commissione Europea a proposito del vincolo di bilancio. Un ritardo che lascia sperare nella possibilità che nuovi importanti investimenti saranno deliberati presto dall’intera Unione per recuperare il terreno perduto.


LA FINANZA INTERNAZIONALE SCOMMETTE SULL’ITALIA

E a crederci non sono soltanto gli elettori dell’attuale compagine governativa, bensì gli investitori finanziari stranieri, che notoriamente sono molto meno teneri nei loro giudizi di convenienza.

La maggioranza di governo peraltro si avvia a un mese dalla prossima consultazione elettorale (quella per il rinnovo del Parlamento Europeo, a Maggio) con una prospettiva per lei decisamente positiva, sebbene i sondaggi prevedano una discesa delle preferenze del partito di attuale maggioranza relativa (i 5 Stelle) e una crescita delle preferenze per la Lega di Salvini, accreditato oramai stabilmente di oltre il 30% dei consensi. Il tutto con un pericolo di dissoluzione dell’attuale governo in carica che risulta nei fatti ancora piuttosto limitato, nonostante il bombardamento mediatico che indica un litigio crescente tra i due partiti al governo e le voci che circolano a proposito di Mario Draghi, governatore uscente della Banca Centrale Europea, che sarebbe stato individuato da Mattarella come candidato ideale per gestire la fase successiva all’eventuale crisi di governo e prima delle eventuali elezioni anticipate, che ragionevolmente non ci sarebbero prima dell’autunno inoltrato.

Forse è anche per questo pericolo (il Quirinale non è mai stato tenero con l’attuale governo) che la maggioranza giallo-verde risulta oggi più compatta di quello che la stampa vorrebbe farci credere. E i mercati finanziari ne prendono atto, lasciando lo spread tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi ai minimi dell’anno e premiando addirittura le quotazioni di Piazza Affari e dei BTP.

MA IL “MAINSTREAM” È IMPIETOSO

Uno iato più forte tra il “mainstream” di stampa e televisioni e il “sentiment” dei pragmatici investitori stranieri non potrebbe nemmeno essere immaginato! Chi ha ragione? Purtroppo nessuno può prevedere il futuro e nè i commentatori nè gli investitori possono essere sicuri delle loro contrastanti indicazioni.

Quel di cui si può tuttavia prendere atto è che la congiuntura internazionale sembra essere indirizzata sulla via del miglioramento, e in particolare la fiducia degli operatori economici tedeschi (riportata dall’indice IFO) sembra essere ripartita a Marzo, mentre Francia e Spagna sembrano continuare la loro crescita sopra la media europea e persino l’andamento del Prodotto Interno Lordo italiano è già tornato sopra lo zero nel primo trimestre 2019. Dunque qualche elemento oggettivo di speranza rimane ancorato ai numeri tendenziali.

MEGLIO LA CINA CHE L’EUROPA?

Il Governo in carica ha oggettivamente le gambe azzoppate dall’eccessivo fardello di debito ereditato e dall’approccio impietoso degli altri membri dell’Unione Europea verso un Paese che le sta provando tutte per riprendere vigore.

Forse è per questo motivo che il Governo ha abbracciato con così grande entusiasmo le proposte giunte dalla Cina per il programma di investimenti della Belt & Road Initiative (la cosiddetta “nuova via della seta”) e i conseguenti capitali in arrivo dall’ex celeste impero. I quali genereranno sicuramente un costo e una qualche dipendenza nei suoi confronti, ma gli italiani si chiedono altresì se la Cina potrà essere per il nostro Paese un partner peggiore che non la la Francia, la Germania, l’Olanda e la Finlandia.

E la risposta non è poi così scontata, come afferma in un recente articolo, tranquillamente e con distacco, l’autorevole rivista americana “Barron’s” (che riflette il punto di vista degli Americani, cioè coloro che avrebbero dovuto indignarsi di più)!

Stefano di Tommaso




SUPERTRENDS (2^ P.): PREVISIONI

Nell’articolo precedente ci siamo dilungati nel descrivere le tendenze di fondo economiche e sociali e, di conseguenza, gli scenari ad oggi prevedibili. Ma quali indicazioni ne discendono per gli operatori economici, gli investitori industriali e finanziari, i risparmiatori e ipercettori di sale ipercettori di salari e stipendi? Sebbene la sfida a cercare di dedurne previsioni sensate e moderate sia indubbiamente ardua, proviamo ugualmente, sicuri che un impreciso tentativo di interpretazione sia comunque infinitamente migliore del non porsi nemmeno le questioni, in un momento come quello d’oggi in cui possiamo osservare una decisa modificazione in atto di tutte le regole del gioco.

 

IL MOMENTO STORICO

Innanzitutto vale la pena di chiedersi in quale momento storico stiamo vivendo: il 2019 si è aperto con grandi entusiasmo per il mercato finanziario e con grandi perplessità circa l’effettivo andamento dell’economia reale, dopo che gli ultimi mesi del 2018 avevano evidenziato oggettive difficoltà a proseguire la crescita per la maggior parte delle maggiori economie del pianeta, tanto per il brusco ridimensionamento dei volumi relativi al commercio internazionale (vedi grafico qui sotto)


quanto perché anche i principali indicatori relativi alle condizioni economiche complessive hanno subìto un progressivo deterioramento.

LE ASPETTATIVE SONO AL RIBASSO

Nel grafico qui sotto riportato si può ben osservare il distacco netto dell’andamento relativo all’indice C.E.S.I. (Citibank Economic Surprise Index) che esprime il rapporto tra l’andamento di una serie di variabili di volta in volta ritenute di maggior interesse per gli operatori economici e finanziari (come ad esempio: il reddito dei lavoratori dipendenti, l’inflazione e la produzione industriale) e l’impatto che hanno queste variabili rispetto alle aspettativedei medesimi operatori. Nel lungo termine (o in regime di grande equilibrio) la misura dell’indice dovrebbe tendere a zero, indicando un allineamento tra le aspettative e i dati effettivamente misurati. Quando invece esso scende al di sotto della parità ecco che esso registra un diffuso pessimismo (o una delusione) tra gli operatori.


L’EUROPA INVECCHIA

Da notare che l’indice è qui riportato per macroaree geografiche è quello relativo al vecchio continente si trova da più di un anno al di sotto, riflettendo una serie di elementi che risultano anche dall’analisi macro effettuata a proposito dei Supertrends, da cui risulta un gruppo di nazioni dove la popolazione invecchia, dove il confronto sociale rischia di accentuarsi e dove gli investimenti, le innovazioni e le iniziative ristagnano. Di seguito l’andamento estremamente negativo già nel corso di tutto il 2018 dell’indice della produzione industriale per le piccole e medie imprese in Europa, che evidenzia anche una forte correlazione con il calo del commercio internazionale e la conseguente flessione delle esportazioni:

E’ anche interessante notare che nell’indice C.E.S.I. (che confronta appunto un paniere dì variabili di volte in volta ritenute “chiave” per interpretare l’andamento dell’economia con le relative aspettative) l’indicatore relativo alla disoccupazione è stato rimosso negli ultimi tempi perché non è più considerata una variabile chiave per misurare le attese economiche (probabilmente da quando la Curva di Phillips ha iniziato a smettere di fornire indicazioni utili). Cioè l’indice relativo alla disoccupazione non è più considerato essenziale (evviva il pragmatismo americano) per misurare l’andamento dell’economia reale!Anche questo è un segnale del cambiamento in atto.

ANCHE LE BANCHE CENTRALI VEDONO NERO

Il peggioramento delle condizioni economiche complessive nel mondo è stato poi sancito dai bollettini delle principali torri di controllo del loro andamento, che sono gli uffici studi delle banche centrali, tutte oggi decisamente in allarme per la progressione in corso e tutte pronte a rovesciare sui mercati nuove ondate di liquidità (mentre fino a qualche mese fa pensavano di rialzare i tassi d’interesse) per timore di macchiarsi nuovamente della colpa di aver scatenato loro una nuova recessione.

In effetti come si può vedere dal grafico qui riportatole aspettative del mercato annunciano addirittura una decisa probabilità di nuovi tagli ai tassi di interesse, e ciò nonostante che i portafogli delle banche centrali siano ancora gonfi di titoli acquistati sul mercato per immettere liquidità (come si può vedere dal grafico successivo):

 

IL DEBITO GLOBALE CONTINUA A CRESCERE

Neanche l‘ indebitamento complessivo del pianeta sembra insomma essere più così rilevante nelle aspettative degli operatori economici, oramai abituati ad uno scenario quasi surreale in cui nessuno si spaventa più davvero se la mole di debito complessivamente contratta nel mondo continua ad aumentare, come si può leggere dal numero di migliaia di miliardi di dollari (trillions) misurati dall’Institute of International Finance:

Non ce n’è troppo da stupirsi infatti, se ricordiamo quanto osservato a proposito dell’invecchiamento progressivo della popolazione occidentale e delle relative esigenze -tra le economie industriali più sviluppate- di sostenere quasi a tutti i costi i programmi di previdenza sociale, nonché di integrarli con la sottoscrizione di piani di previdenza complementare (i fondi pensione sono tra i principali sottoscrittori delle emissioni di titoli di debito).

I PROFITTI FLETTONO

D’altra parte anche l’altro macro-fenomeno osservato nel precedente articolo (il cambio di paradigma delle tecnologie digitali) ha le sue conseguenze pratiche perchè, sebbene i mercati finanziari ne registrino l’impressionante creazione di valore che ne consegue, molte delle imprese “tecnologiche” che stanno soppiantando quelle tradizionali per il momento fanno pochi profitti, generano poca cassa e assorbono molte risorse finanziarie per i loro investimenti che potrebbero essere rivolti anche al rinnovo delle infrastrutture, in tutto il mondo oggi un po’ carenti (e in particolare in Europa). Nel grafico qui sotto riportatosi può infatti mettere in correlazione l’andamento periodico degli utili (al momento in discesa) con quello ciclico dell’economia:


È POSSIBILE UNA STAGNAZIONE PRIMA DI NUOVE STAGIONI DI CRESCITA 

È insomma possibile che la congiuntura complessiva delle variabili macroeconomiche osservate e dei grandi cambiamenti in atto arrivi a provocare un periodo di stagnazione economica (o meno probabilmente di vera e propria recessione) causata proprio dal cambio di numerosi paradigmi.

Un’indicazione simile può venire dall’osservazione del fenomeno della “sharing economy “, potenzialmente capace di generare nuove fonti di profitto e nuovi sviluppi dei mercati finanziari, ma sicuramente lento nella sua crescita dei profitti, e oggi capace di aspirare molte risorse in direzione di attività che per il momento producono perdite.

Niente paura dunque, ottime prospettive tra l’altro nel medio-lungo periodo ma, come diceva Keynes… sicuramente un po’ di cautela nel frattempo!

Stefano di Tommaso




SUPERTRENDS (1^ PARTE): USI & COSTUMI

Mentre il mondo intero parrebbe avviarsi verso la prossima recessione e mentre le borse di conseguenza sussultano, ma non decrescono (anche perché una montagna di liquidità le sostiene), gli economisti, gli investitori e gli analisti finanziari tornano a porsi più domande sui grandi cambiamenti della tecnologia, della sociologia della geopolitica e persino della cultura delle nazioni. Si tratta di bradisismi che scavano lentamente tracce profondissime nel vissuto quotidiano della gente e, mese dopo mese, anno dopo anno, modificano in modo sempre più radicale lo scenario di fondo nel quale si muovono i rapporti di forza tra le nazioni, l’economia, l’industria, la società civile e gli stili di vita delle persone.

 

I CORSI E RICORSI DELLA STORIA NON BASTANO PIÙ A SPIEGARE IL CAMBIAMENTO

Non esistono perciò soltanto i cicli economici e quelli sociologici anzi, proprio seguendo gli insegnamenti di Gianbattista Vico, potremmo affermare che la storia non si ripete mai esattamente, a causa del fatto che, mentre si svolgono i suoi corsi e ricorsi, in sordina avvengono anche grandi modificazioni strutturali dell’ambiente che ci circonda, le quali pongono gli inevitabili movimenti ciclici in un contesto ogni volta diverso. E mentre in passato essi avvenivano nel corso dei secoli, oggi il progresso, i viaggi e le telecomunicazioni accelerano il loro susseguirsi a un ritmo sempre più serrato.

Identificare i cambiamenti irreversibili in corso non soltanto ci può aiutare a interpretare correttamente l’ambiente in cui viviamo ma soprattutto è essenziale per chiederci in quale mondo vivremo nei prossimi anni, e ciò può risultare utile per ridurre gli inevitabili errori che possono derivare dalle nostre scelte e dagli investimenti che facciamo, siano essi aziendali o personali. Cerchiamo dunque di delineare in questo articolo le “macrotendenze” dell’economia e della società civile, per provare a trovare qualche risposta razionale ad alcune delle maggiori questioni del momento: vivremo meglio o peggio nei prossimi dieci anni? E saremo più ricchi o più poveri? E da cosa dipenderà? Ecco qui di seguito un‘ elencazione di alcuni di questi cambiamenti strutturali e delle possibili indicazioni che ne discendono per gli operatori economici.

Per inquadrare l’argomentro, uno schema da prendere in considerazione è forse il seguente:


Possiamo qui notare le cinque forze probabilmente più importanti nel modificare l’ambiente nel quale si muovono gli uomini, le loro famiglie, le imprese, le organizzazioni di ogni genere, le nazioni e di conseguenza le loro culture, le abitudini, le esigenze, le priorità.

LA RIVOLUZIONE DIGITALE

Al centro di questo schema è stata innanzitutto posta -non a caso- la tecnologia, sia perché viviamo in un momento di sua grande evoluzione, ma anche perché, come dice Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum, “è in atto la quarta rivoluzione industriale, quella che i posteri denomineranno probabilmente rivoluzione digitale”, la cui portata sembra andare molto oltre quelle precedenti.

La tecnologia permette oggi di porre finalmente in diretto e immediato contatto genti di ogni parte del mondo che iniziano a interagire tra loro in modo sempre più veloce. La mole di informazioni che ne discende -per questo motivo- appare caratterizzata da un ritmo di evoluzione non lineare, bensì esponenziale.


IL CONTROLLO DELLE INFORMAZIONI È POTERE

Le implicazioni di ciò riguardano evidentemente tutti i settori dell’attività umana e fanno sì che la montagna di informazioni che a tale ritmo di interazioni si generano conferiscano sempre più potere a chi è in grado di catturarle e di maneggiarle a proprio uso e consumo. Ma se questo è vero allora non può che conseguirne che il controllo delle informazioni sposta il potere dalle persone alle macchine e ai sistemi di intelligenza artificiale, e dunque dalla politica al business, dall’industria alla finanza.

Non è facile descriverne le conseguenze. Possiamo immaginare vagamente un mondo assolutamente distopico dove i robot potranno apprendere più velocemente degli esseri umani e dove dunque il controllo di questi ultimi conferisce a una piccola èlite un potere smisurato sul resto dell’umanità. È lo scenario creato da “Big Brother” (il fratello maggiore) un personaggio immaginario creato da George Orwell, presente nel romanzo 1984. È il dittatore dello stato totalitario chiamato Oceania dove ciascun individuo è tenuto costantemente sotto controllo dalle autorità. Auspichiamo e possiamo tranquillamente affermare peraltro che poi ciò non avverrà davvero perché, come sempre è successo in passato, il mondo è invece ogni volta migliorato a seguito delle innovazioni tecnologiche e del progresso della scienza, sebbene ciò non sia mai avvenuto in forma lineare e quindi senza qualche temibile sussulto.

CONSEGUENZE IMPREVEDIBILI PER L’AMBIENTE

Uno dei problemi più importanti connessi alla quarta rivoluzione industriale è sicuramente quello della protezione ecologica dell’ambiente in cui viviamo. Minacciato da un eccesso di consumo di produzioni industriali che a loro volta generano un eccesso di anidride carbonica, l’ambiente naturale nel quale si è sviluppata l’umanità è oggi sotto seria minaccia di distruzione e cambiamenti epocali, come lo scioglimento dei ghiacci polari e l’innalzamento dei mari, con la possibilità di una riduzione della superficie delle terre emerse e, in tal caso, una decisa probabilità di estinzione di numerose specie vegetali e animali.

Se anche ciò dovesse accadere solo in parte, si determinerà la necessità di produrre cibo sintetico per la crescente popolazione umana, con il rischio di un eccesso di costo (e di prezzo) del cibo prodotto in modo naturale, che diverrà più raro. E tutto questo accade proprio mentre l’umanità riscopre l’importanza (e il sapore) dei cibi naturali privi di additivi chimici (il cosiddetto “organic food”).

I VECCHI PARADIGMI VENGONO SPAZZATI VIA

Certo l’evoluzione tecnologica non sarà priva di conseguenze di ogni genere, anche perché la crescente digitalizzazione dell’indIstria tende a cancellare margini e ragione di esistere di molte attività produttive che hanno prosperato sino ad oggi, spesso a favore di piccole o piccolissime imprese tecnologiche in grado di dominare le nuove tecnologie e le informazioni che ne discendono. Dunque l’arena competitiva delle imprese si rinnova più velocemente che non in passato e chi riesce a disporre delle risorse finanziarie per sostenere il cambiamento vince su chi resta indietro nella corsa tecnologica e vede ridursi il proprio spazio sul mercato.

Ciò porta a redistribuire la ricchezza in modi spesso imprevedibili. Tra le prime vittime del cambiamento vi sono proprio le teorie economiche del passato, basate su modelli econometrici relativi allo scambio di beni e servizi, all’equilibrio macroeconomico e ai cicli di vita del prodotto. Ma in un mondo che inizia a girare come una trottola impazzita e dove molti prodotti vengono invece già oggi distribuiti quasi gratuitamente (o spesso in cambio di informazioni sulla nostra vita privata), quei modelli e quelle premesse non esistono più. Ogni teoria economica viene così oggi rimessa in discussione, sia perché il “valore” si smaterializza e si sposta altrove, e con esso la ricchezza degli uomini, delle aziende e delle nazioni e anche perché il risultato pratico è l’incapacità di quelle teorie di interpretare la realtà e le sue evoluzioni.

IL COSTO SOCIALE DEL PROGRESSO

Altre vittime immediate della rivoluzione tecnologica saranno buona parte dei posti di lavoro oggi esistenti, che saranno sì sostituiti da nuovi posti di lavoro, ma la cui qualificazione richiesta sarà semplicemente assai diversa. Se ne deduce uno smisurato allarme in termini di “welfare” (assistenza e previdenza sociale) nonché la necessità di una continua (e talvolta ardua) riqualificazione delle attività lavorative, anche in età avanzata. In cambio probabilmente l’evoluzione di scienza e tecnologia non potrà che aiutare la cura della salute, arrivando nel tempo anche ad abbassarne i costi e ad innalzare la qualità nonché la durata della vita. Ma purtroppo questo non avverrà necessariamente in ogni parte del mondo e per ogni fascia della popolazione. Lì per lì non potremo che constatare invece un inevitabile incremento del divario tra povertà e ricchezza -già oggi asceso a vette sino a ieri inimmaginabili- e che per ancora molto tempo potrebbe continuare ad aumentare.

I MILLENNIALS

Come si comporteranno di conseguenza le nuove generazioni? Un piccolo assaggio dei giganteschi cambiamenti che le nuove generazioni sperimenteranno può essere osservato attraverso l’osservazione del comportamento della prima generazione “nativa digitale”, quella dei cosiddetti Millennials, cioè dei nati intorno al cambio di millennio, i quali tra l’altro costituiscono già oggi la più numerosa generazione vivente.

Per prima cosa bisogna prendere nota del fatto che moltissimi tra loro non sono cittadini dei paesi occidentali, non sono bianchi, e ancora in minor numero sono europei o nordamericani. La prima conseguenza di ciò è che relativamente pochi di essi resteranno a vivere nei paesi dove sono nati e che quindi non parleranno una sola lingua. Se ne deduce che i loro viaggi si intensificheranno e che la multiculturalità delle nazioni sarà una conseguenza inevitabile (al di là di ogni personale opinione). L’incremento della popolazione mondiale peraltro genera anche una maggiore domanda di servizi turistici e la necessità di fare maggiore attenzione alle problematiche ambientali ed ecologiche.

UNA MIRIADE DI NUOVI MONDI (E DI NUOVE MINACCE)

Queste considerazioni lasciano spazio a una miriade di conseguenze pratiche: le nuove generazioni “digitali” consumano e acquistano principalmente “online” e si curano molto poco del loro aspetto esteriore. Comperano principalmente servizi (si pensi al successo dì Netflix, una tv che si può guardare solo su internet) e si spostano più agevolmente da una nazione all’altra. Anche per questo motivo essi comperano sempre meno case, mezzi di trasporto ed elettrodomestici, avviandosi invece a condividere la proprietà di (quasi) tutto quello che utilizzano: di qui il successo della cosiddetta “Sharing Economy” e delle nuove forme di possesso dei beni di consumo durevole.

In un mondo in rapido cambiamento il controllo delle fonti di informazione risulterà dunque essenziale, poiché le nuove generazioni non leggono (quasi) la carta stampata, guardano sempre meno la televisione dialogano tra loro attraverso video, immagini e messaggi posti sui “social network” (come Instagram o Facebook). E poiché nessuno può controllare quello che essi scrivono, questi ultimi risultano spesso infarciti di “fake news” (false notizie o informazioni non facilmente verificabili) o comunque di informazioni frammentarie e disorganizzate.

Ciascuno di quei network agli occhi dei Millennials si delinea come un mondo parallelo, spesso privo delle difficoltà pratiche della realtà è questa fatto sospinge il consumo di droghe di ogni tipo (a dispetto del fatto che sembrava un fenomeno in via di estinzione) e l’importa a condividere quasi ogni informazione relativamente alla loro vita privata, generando giganteschi problemi di protezione della “privacy” e di sicurezza cibernetica, dal momento che oggigiorno quasi ogni oggetto è autonomamente collegato in rete.

L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE

Mentre incede la rivoluzione culturale impersonata dai Millennials, un’altra categoria di persone quasi agli antipodi per abitudini, stile di vita e sedentarietà diviene sempre più importante per la società civile, per la sua economia e per i suoi equilibri sociali: quella degli anziani. I motivi dell’incremento del loro peso sociale, economico e culturale sono sostanzialmente due: a) la popolazione in età avanzata resta attiva e muore più tardi, perché il progresso ha incrementato l’attesa di vita media in modo fulmineo, b) molti dei suoi componenti appartengono ai paesi occidentali, cioè al mondo europeo o anglosassone e sono ancora oggi i principali detentori della ricchezza. Anche per questo essi possono permettersi cure e stili di vita che ne prolungano la vita attiva, mentre la popolazione di buona parte dei paesi emergenti ancora invecchia più precocemente e soffre di malattie invalidanti in età inferiore.

Mentre infatti la popolazione dei paesi tradizionalmente più benestanti conosce un importante innalzamento dell’età media, esso per adesso è invece soltanto una pia speranza in molti paesi in via di sviluppo. Le conseguenze di ciò sono importanti perché buona parte della ricchezza finanziaria è ancora nelle mani degli anziani occidentali. Il prolungamento della durata della vita attiva è infatti accompagnato da una crescita importante delle vendite di farmaci che lo consentono, dall’esigenza di migliori infrastrutture civili e dalla necessità di una sempre maggiore spesa sociale (molti di essi oggi godono di una pensione, maturata in epoche in cui i calcoli attuariali non preconizzavano che la pensione sarebbe stata erogata fino a tarda età) e dalla necessità di reperire dall’estero il personale di servizio o di supporto quando non è disponibile nella propria nazione.

IL DIALOGO TRA POPOLI E GENERAZIONI RISULTERÀ SEMPRE PIÙ DIFFICILE

Per tutti questi motivi con l’arrivo delle nuove generazioni la differenza di linguaggio, di tenore di vita e sinanco di valori di fondo non potrà che risultare sempre più accentuata! Crescerà pertanto l’esigenza di ammortizzatori sociali che accompagnino da un lato i giovani ad un sentiero lavorativo che si avvicini di più alle strade battute dalle generazioni precedenti e dall’altro la necessità di risorse finanziarie per sostenere assistenza e previdenza sociale per gli anziani meno abbienti. Ovviamente queste maggiori esigenze troveranno soddisfazione soltanto in parte, lasciando molto spazio al settore privato e a una maggiore segmentazione dei servizi sanitari e residenziali in risposta alle esigenze di coloro che potranno permettersi privatamente trattamenti migliori. Tra l’altro tutto ciò determinerà un incremento complessivo della spesa per i trattamenti curativi e di prevenzione delle malattie, e molta più disparità che in passato nella qualità dei servizi erogati a seconda della capacità economica dei beneficiari.

Ma crescerà soprattutto l’esigenza (e la difficoltà) degli anziani di trovare un dialogo con le generazioni successive, specie se queste ultime provemgono da altre nazioni e altre culture. Crescerà anche l’esigenza politica di preservare negli Stati più benestanti i diritti dei residenti autoctoni, e si accentueranno inevitabilmente le frizioni sociali, con conseguenze difficili da prevedere: quando in passato è accaduto qualcosa di vagasimile sono scoppiate guerre, rivoluzioni sociali e tafferugli. La speranza è che lo si possa evitare, ma sicuramente non in tutto il mondo e non completamente.

Quello di quali previsioni economiche, industriali e finanziarie è possibile dedurre da tutte queste tendenze di fondo è tuttavia un tema tutt’altro che conciso, ragione per cui sarà oggetto del prossimo mio articolo. Per adesso posso solo sperare di non deludere nessuno citando -a proposito di quanto già scritto- una famosa frase di Renzo Arbore: “meditate gente, meditate”!

Stefano di Tommaso