LA FINANZA DIVERGE DALL’ECONOMIA REALE

Perché le borse sono euforiche mentre l’economia arranca? Succede persino in Europa, dove l’orizzonte appare piuttosto tetro e la crisi del settore automobilistico influenza l’andamento anche del resto dell’industria manifatturiera. Ma le borse di tutto il mondo non potrebbero esprimere più ottimismo (sin troppo, forse). E la motivazione sta tutta nella progressiva concentrazione delle ricchezze in poche mani, con il rischio che anche le tecnologie ne dipendano fortemente.

 


L’ECCEZIONALISMO AMERICANO

Nelle ultime settimane si è parlato a lungo dell’eccezionalismo americano (una definizione che addirittura risale a Alexis de Tocqueville ne: “La Democrazia in America” del 1831) a proposito del fatto che, dopo la vittoria del nuovo Presidente Eletto, i mercati finanziari si sono ri-focalizzati sulle prospettive americane di crescita economica legata ai fattori produttivi, alla produttività, al progresso tecnologico, all’utilizzo del capitale, alla ricerca. Tutti elementi che -oggettivamente- sono incoraggiati ed esaltati nel loro “sistema industriale” e che lo saranno ancora di più con un’Amministrazione Trump giudicata fortemente “pro-business”.

L’America può effettivamente vantare un’economia che resta molto solida e funge da traino per il resto del mondo, consentendo all’economia globale di non rallentare troppo. Ma soprattutto investe sulle tecnologie che potranno trainare la crescita anche nel medio-lungo termine e che, alimentando i redditi disponibili, mantengono tonici anche i consumi. Un sottoprodotto di tale situazione è peraltro una dinamica che non si arresta dell’inflazione dei prezzi (soprattutto nel settore dei servizi) che dunque contribuisce a tenere relativamente elevati i tassi d’interesse, quantomeno rispetto a ciò che si era visto sino al biennio precedente. Una situazione questa che impedisce alle banche centrali di calare troppo i tassi d’interesse e lascia buoni margini anche al sistema bancario e finanziario.

LA CONGIUNTURA INTERNAZIONALE RESTA FAVOREVOLE

Ha poi contribuito a mantenere tonico lo sviluppo economico globale la mancata impennata del prezzo del petrolio, che avrebbe potuto scatenare una seconda ondata di inflazione (che avrebbe di nuovo ucciso le retribuzioni “reali”) e che invece, evidentemente, non si è verificata.


LE BORSE AGGIUNGONO NUOVI RECORD

E il risultato di questo quadro positivo lo si è percepito soprattutto sui mercati finanziari: non soltanto l’indice principale di borsa di Wall Street (lo Standard & Poor 500) è giunto a nuovi massimi, guadagnando quasi il 28% da inizio anno, ma si sono ripresi anche i titoli azionari delle imprese “minori” (cioè quelli ricompresi nell’indice Russell 2000), nonché le criptovalute e, insospettabilmente, sinanco i titoli di stato, le cui quotazioni fino a prima delle elezioni presidenziali erano in discesa con il rischio che il costo del debito pubblico crescesse oltre ogni sostenibilità.

Gli investitori dunque sono stati entusiasti delle prospettive e hanno fatto affluire (anche dall’estero) notevoli quantità di denaro sui mercati. Si veda in proposito il grafico qui riportato, dal quale si evince una tendenza positiva dei flussi di capitale nei confronti dei mercati americani che si è soltanto incrementata, ma che partiva da molto tempo addietro:


L’ECCEZIONALISMO DELLE BORSE NON È SOLO AMERICANO

Ma l’ “eccezione” americana tuttavia non ha riguardato soltanto i mercati finanziari d’oltreoceano bensì -in misura più moderata- anche le borse europee, che hanno messo a segno delle insospettate performances. Perché “insospettate”? Principalmente perché si è sviluppata, del tutto parallelamente, una profonda crisi del sistema industriale continentale, che rischia di generare una riduzione generalizzata dei redditi reali e dunque anche una minor dinamica dei consumi individuali. Le borse europee cioè si sono mosse in totale dissonanza con l’economia reale, danneggiata soprattutto dalla crisi europea del settore ”auto”.

LA CRISI DEL SETTORE AUTO

Non per niente l’indice azionario del settore automotive è il peggiore in Europa da inizio anno e perde quasi il 14%. La crisi è conclamata. Si manifesta con la chiusura delle fabbriche, a partire dalla Germania, dove i dipendenti di Volkswagen scioperano ad oltranza. E porta a scossoni nei vertici delle principali case automobilistiche europee. Le dimissioni di Tavares, AD di Stellantis, arrivano qualche mese prima della fine del suo mandato. Ma la pressione è visibile anche in Borsa, dove gli investitori non vedono prospettive di risultato e strategie credibili per la ripresa.

La divaricazione tra l’andamento dell’economia “di carta” (quella dei mercati finanziari) e quella “reale” delle fabbriche, dei servizi e dell’occupazione in Europa non potrebbe essere più marcata. Alla Borsa di Milano ’indice azionario Ftse Mib è stato il più brillante in Europa nell’ultima settimana, grazie al rimbalzo dopo qualche temporanea presa di profitto. Eppure negli ultimi giorni non sono arrivate buone notizie per l’economia italiana. Anzi! Lo spettro dei licenziamenti a catena provocato dall’ indotto dell’industria automobilistica provoca tensioni sociali e riduzioni dei consumi.

Ma mentre chi sta peggio in Europa sembra proprio essere la Germania, addirittura l’indice principale della Borsa di Francoforte (il DAX) tocca nuovi record. Da inizio anno sale del 21,7%:

E, sebbene l’Ocse abbia ridotto le stime ma prevede ancora una crescita a +0,5% per il 2024 e a +0,9% per il 2025 (a Settembre le previsioni erano per un aumento del Pil dello 0,8% per quest’anno) in Germania, a Ottobre, la produzione industriale è diminuita a sorpresa dell’1% su base mensile e del 4,5% su base annua. Sempre a ottobre, gli ordini al settore manifatturiero sono calati dell’1,5%. Un pessimo inizio per l’ultimo trimestre dell’anno, per il quale si prepara una nuova flessione del Pil, dopo quella del 2023. Non si intravede ancora la fine della caduta industriale per la Germania. Quasi ogni giorno arrivano notizie di aziende del settore manifatturiero che costituisce il 20% del Prodotto Interno Lordo tedesco e che prepara inevitabili nuovi tagli dei posti di lavoro, trascinando buona parte del suo indotto in Italia e in altri Paesi europei.

IL PARADOSSO DELLE BORSE EUROPEE

A casa nostra l’Istat ha annuncia una diminuzione della crescita del prodotto interno lordo rispetto alla stima precedente e ha tagliato le aspettative per il 2024 di mezzo punto percentuale (a +0,5%) e dello 0,3% per il 2025, da +1,1% a +0,8 per cento, ma si tratta di convenzioni statistiche basate su ipotesi standard: nessun osservatore si attende davvero una crescita nel 2025 per l’Italia.

Allora quello delle borse europee è un paradosso? Solo apparentemente: la ragione è che le aziende dell’indice Dax fatturano in gran parte fuori dalla Germania e che lo stesso indice è concentrato su pochi titoli molto pesanti e ben performanti in Borsa. Insomma: la Borsa di Francoforte, o meglio il suo principale indice, non ha molta attinenza con la realtà del Paese. Le aziende incluse nell’indice Dax producono infatti l’84% dei ricavi fuori dai confini tedeschi.

in media questi gruppi dovrebbero aumentare gli utili del 12,90% nel 2025 secondo le stime degli analisti censiti da Bloomberg.

LA CONCENTRAZIONE DEI LISTINI DI BORSA SU POCHI GRANDI TITOLI

Altro fattore rilevante è il peso delle prime 4 aziende tedesche sull’indice: oltre il 40%. Tutti parlano delle magnifiche 7 Big Tech che guidano sui massimi la Borsa di New York, ma altrettanto rilevante è la concentrazione di quella tedesca. Sap, multinazionale dei software gestionali, da sola pesa per il 16,7% nell’indice e da inizio anno le sue azioni sono cresciute del 73%. Le azioni Siemens (che nell’indice pesa per il 9,94%), da inizio anno guadagnano il 14%. I titoli Allianz (che da sola fa l’8,1%) da Gennaio sono saliti in Borsa del 24,6% e quelli di Deutsche Telekom (che pesa per il 7,5%) del 40,6%. La Borsa di Milano è molto concentrata sulle banche e la performance degli ultimi anni di Piazza Affari è stata sostenuta proprio dai loro noti “extra-profitti”.


Dunque, esattamente come Wall Street è concentrata sulle “Big Tech” la spiegazione è spesso che tra le Borse e le realtà economiche di ciascun Paese c’è un enorme divario. Le prime riflettono le prospettive di creazione di valore per le imprese che vi sono quotate, spesso le maggiori, mentre il tessuto industriale dí ciascuna nazione riflette in buona parte le piccole e medie imprese, soprattutto in Italia dov’è queste ultime sono di gran lunga prevalenti.

ANCHE LE ASPETTATIVE PER IL FUTURO DIVERGONO

Questo è anche il principio motivo per il quale gli analisti restano ottimisti nel medio termine sull’andamento delle Borse mondiali. Anzi, le aspettative sono molto migliori di quelle di un anno fa di questi tempi. Potrebbero certo sbagliarsi anche questa volta (anche perché le rivalutazioni dei titoli migliori nelle borse ci sono già state e in misura abbondante e nulla toglie che all’orizzonte del prossimo anno possano esserci storni importanti rispetto alle attuali quotazioni), ma non soltanto le aziende quotate -e in particolare quelle i cui titoli sono inclusi nel principale indice di borsa- sono spesso le migliori di ciascuna nazione. Esse inoltre sono anche quelle di maggiori dimensioni.

E nulla appare più importante in questo momento storico come la dimensione aziendale, dal momento che con l’evoluzione tecnologica in corso si renderanno necessari ingenti investimenti e apparentemente soltanto poche grandi aziende riusciranno a permetterseli. Ma è probabile che in cambio avranno una marcia in più delle altre.

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 102 – sa 7 dic 2024

 

Operazioni in essere :

– gio 21.11 venduto a 20900 1 DIC MICRO NAS FUT, stoppato merc 4.12 alle 8.15 del mattino a 21353,40 con una perdita di 453,4 punti x 2 usd pari a usd 906,8 ( euro 863 )
e
– merc 27.11 comperato a 30,5 1 MARZO MICRO SILVER FUT, ora con stop loss a 31,2

Premessa

Nella settimana appena trascorsa, il segnale temporale di rilievo scadeva su DOW JONES, che è rimasto in un range molto contenuto, pari all’1 %, mentre NAS 100 vedeva scadere un segnale di livello ben inferiore, ma è salito del 3 %, volando via.

GOLD FEB 25 ( paragrafo complesso )

Avevo scritto :

“La reazione in salita da 2536 GOLD CASH, solo sfiorando il primo livello di possibile pull back a 2532, che ho evidenziato in giallo nel grafico giornaliero, è stata violenta arrivando ben sopra il livello di 2650 – 2670 dove immaginavo un possibile rimbalzo.

Gold sembra attratto dal livello di 2650 – 2670 più volte citato, poco sopra, poco sotto.”

Il livello di 2650 – 2670 assume ora un rilievo maggiore di quello che avevo attribuito prima di poter constatare il movimento di prezzo registrato nelle ultime due settimane, in cui scadeva il ciclo.

Ora posso osservare che :

– ven 29.11 GOLD CASH aveva chiuso la settimana a 2650, nella parte bassa del range che ritenevo di interesse;
– dal 2 al 6 dic il TOP è stato un misero 2657;
– ven 6.12 GOLD CASH ha chiuso a 2632, sotto il range citato.

In sintesi, GOLD sembra debole, con un dubbio.

Nella settimana 2 – 6 dic il range ( 2657 – 2613 cash ) è piccolo, inferiore al range giornaliero di lu 25.11, che era l’inizio delle due settimane di segnale temporale e questa settimana di “NON EVENTO” denota grande incertezza, comunque con chiusura ben sotto il range attenzionato di 2650 – 2670.

E quindi cosa farò ?

Cerco di immaginare cosa farebbe un Mercato dispettoso : salirebbe sopra il top di 2657, per poi scendere in outside settimanale ribassista sotto 2613 ( 2 – 6 dic ) ma soprattutto sotto 2605 ( bottom del 25 – 29 nov, che costituiva il pull back sul livello molto importante di 2603 ), che fu il minimo delle due settimane interessate dal segnale di tempo.

Il massimo dei massimi sarebbe una salita intorno alla parte alta del range ( 2670 ) con successiva caduta.

Illusione …………..e smentita.

Troppo comodo per me ( ci proverei con inversione giornaliera dopo aver toccato circa 2670 ) , ma poco probabile.

In caso di mancanza di rimbalzo e diretta discesa sotto 2613 – 2605 cash, personalmente venderò in rottura una dose contenuta, con stop loss sopra 2657 cash, da gestire giorno per giorno.

SILVER MARZO 25

La Lettera possiede solo 1 MARZO MICRO SILVER pagato 30,5 usd il merc 27.11 perché il secondo acquisto inserito per la settimana scorsa allo stesso prezzo è stato solo sfiorato a 30,51 nella notte tra dom 1.12 e lun 2.12 ( comunque la mia SIM non sarebbe stata operativa ) e poi SILVER è salito, non molto, con maggiore forza relativa di GOLD.

La situazione appare come segue :

– alla chiusura di ve 6.12 la posizione long ha un utile del 3 %, pari a circa 1000 usd ( 1 usd x 1000 once ) che a tutti piacerebbe incassare alla apertura di lu 9.12 , ma non devo ragionare così;
– siamo di fronte alla poco frequente situazione di TOP uguali nella ultime 4 settimane consecutive poco sotto 31,60 cash; certamente ciò sta creando un ostacolo, ma , al tempo stesso, un possibile punto di accelerazione, se superato, con target molto più in alto, direi tra 33 e 33,60 di SILVER CASH, niente male.

Se invece SILVER CASH rompesse direttamente il livello di 29,64 CASH – doppio minimo – , questo Mercato meriterà una completa rianalisi, per capire se vi siano ostacoli intermedi prima del fondamentale range da 26,44 ( ultimo bottom prima di 29,64 ) a 25,77 ( top di marzo 2024 )

Ciò premesso, sin dal mattino di lu 9.12, inserirò il seguente ordine :

alzo a 31,20 lo stop loss per la posizione in essere di 1 MARZO MICRO SILVER FUT

comprato a 30,50

e inoltre

compero 1 MARZO MICRO SILVER FUT a 32,20 stop ( in rottura di 32,20 marzo future ) sempre con stop loss a 31,20

Sin da ora decido che, da lu 9.12, se il future marzo salirà in area 33,50 alzerò ogni giorno lo stop loss sotto il minimo di ogni giorno precedente.

DOW JONES INDU CASH

Stanco di dimostrare una lieve maggior forza relativa rispetto a NAS 100, nell’ultima settimana DJ ha ritoccato il massimo storico da 45071 a 45073 cash, senza trend.

Poiché il 2 – 6 dic vi era un ciclo temporale di medio – alto significato, mi auguravo che DJ desse fuoco alle polveri, ma si è fermato.

L’unica operatività ora consentita sarebbe una vendita in rottura del minimo della settimana scorsa pari a 44574 DJ CASH, ma, dopo un range settimanale limitato all’ 1 %, ricordo che non ho una buona statistica per i casi in cui la barra rotta è di dimensione insignificante; è più alto il rischio di assistere ad un outside, con conseguente stop loss.

Se DOW JONES volesse farmi capire le sue intenzioni, potrebbe rompere, anche di poco, il top di 45073 e poi scendere in outside ribassista sotto 44574, ove potrei piazzare la vendita.

Infatti, dopo un outside, la probabilità di nuovo cambio di direzione ( c.d. “doppio outside “ ) è molto più bassa, mai esclusa, ma con statistica largamente a favore.

Una operatività che richiede una osservazione giornaliera.

NASDAQ 100 CASH

Nella settimana 2 – 6 dic 2024 anche NAS 100 vedeva scadere un segnale temporale, ma di rango ben inferiore a quello di DOW JONES.

NAS 100 è salito con violenza e merc 4.12 alle ore 8.15 del mattino, alla apertura della mia SIM, il prezzo oscillava pochi ticks sopra lo stop loss di 21350.

Pertanto ho chiuso lo short al meglio a 21353,40 per il DIC MICRO FUT che avevo venduto a 20900 il 21.11, registrando una perdita di 453,40 punti x 2 usd = usd 906,80 pari a 863 euro.

Dopo una perdita non opero su questo Mercato.

Segnalo che :

– l’ultima settimana ha segnato un range da 20971 a 21626 CASH, ma il minimo potrebbe non essere un punto di rottura utile al trading;
– la settimana più importante degli ultimi mesi era quella del 11 – 15 nov, che segnò un range da 21182 a 20315 e si tratta della candela nera più ampia da settembre 2024, ma senza che tale ribasso sia riuscito a invertire la salita;
– il livello di 20315 cash resterà significativo per alcune settimane e va osservato.

Leonardo Bodini




THERE IS NO ALTERNATIVE

L’acronimo T.I.N.A. si riferisce nel titolo di questo articolo alla decisa polarizzazione dei mercati finanziari in questo particolare momento storico: da una parte ci sono gli “States” con la loro tecnologia, i lauti profitti delle loro imprese, la crescita dei salari che supera quella dell’inflazione e la disponibilità di energia a basso costo; dall’altra parte c’è il resto del mondo, dove è soprattutto l’Europa ad arrancare e a dividersi politicamente, mentre l’economia dei Paesi Emergenti cresce sì, ma senza altrettanto entusiasmo per le loro borse, le quali riflettono principalmente il forte deflusso di capitali in atto verso quelle americane. Il quadro a tinte fosche dell’economia globale che discende dall’analisi della congiuntura lascia peraltro parecchie perplessità a causa dei numerosi segnali contrastanti che provengono dai mercati finanziari, impedendo di poter formulare previsioni più accurate.

 


NUMEROSE CONTRADDIZIONI

Quando si arriva a fine anno con una situazione generale dei mercati finanziari come quella attuale diviene veramente difficile proferire parole sensate: con così tanti segnali contrastanti tutti i parametri utilizzati in passato per fare consuntivi e giungere a previsioni sembrano oggi perdere di efficacia. Le nebbie d’autunno sembrano coprire anche gli orizzonti dei mercati finanziari. Se guardiamo a quelli americani oggi buona parte dei valori sono ai massimi storici. In particolare se comparati con quelli del resto del pianeta (vedi grafico):


Ma l’andamento dell’economia americana non appare così fiorente da giustificare moltiplicatori degli utili giunti alle stelle. Molti titoli azionari quotati nelle borse valori sono vicini ai record storici, tanto in valore assoluto quanto in termini relativi ai profitti, segnalando aspettative generalizzate per ulteriori sviluppi dell’economia che però non sembrano essere facilmente realizzabili. Oggi i profitti di molte imprese sono giunti a record storici e, perché i moltiplicatori di valore attuali appaiano giustificati, essi dovrebbero continuare a crescere…

Proseguendo con l’analisi dei fattori contrastanti, osserviamo una decisa costanza del prezzo delle materie prime e addirittura una tendenza al ribasso di quello del petrolio. Ciò dovrebbe indicare una discreta probabilità che mondo si stia dirigendo verso una recessione globale ma, almeno apparentemente, non è così. I prezzi delle case (soprattutto negli U.S.A.) sono tornati a salire come se l’inflazione stesse tornando a mordere o come se i tassi d’interesse fossero già stati ridotti, ma al momento non sta succedendo né l’una né l’altra cosa.


Almeno per ciò che dicono le statistiche, perché invece, con una crescita media dei salari americani al 6%, è relativamente improbabile che la “vera” inflazione dei prezzi sia davvero sotto al 3%.


Non per niente il prezzo dell’oro si trova anch’esso ai massimi storici e non sembra rallentare la propria corsa, lasciando dunque immaginare che l’inflazione non sia affatto stata debellata.


Non per niente i tassi dei finanziamenti ipotecari americani non scendono sotto la fatidica soglia del 7%, (evidentemente la loro domanda supera l’offerta).

IL DOLLARO FORTE AIUTA L’AMERICA

Anche a proposito del cambio del Dollaro americano contro le principali valute c’è da fare qualche riflessione. Dopo le elezioni presidenziali è tornato ad essere in crescita costante, come se l’Europa, il Canada e la Cina si trovassero sull’orlo di una crisi economica. Apparentemente oggi non lo sono, anche se in un prossimo futuro lo scenario potrebbe frammentarsi. L’Europa rischia maggiormente di restare decisamente indietro, soprattutto qualora l’America di Donald Trump dovesse riprendere il suo ruolo storico di locomotiva economica globale imponendo le proprie tariffe anche alle merci del vecchio continente. La Cina invece continua a crescere oltre il 4% l’anno (potrebbe chiudere il 2024 con il 5%) anche se il Renmibi continua sorprendentemente a deprezzarsi.


IL DOLLARO SALE MENTRE LE MATERIE PRIME (IN $) SCENDONO

Il cambio del Dollaro cresce contro tutte le principali divise valutarie soprattutto perché riflette il differenziale dei rendimenti tra l’America e il resto del mondo. Laddove l’economia però non corre (come in Europa) le banche centrali cercano di stimolarla abbassando i tassi d’interesse, con un meccanismo che peraltro rischia di auto-alimentarsi perché evidentemente ha effetti negativi sul cambio contro il Dollaro. Il quale a sua volta comporta (per tutti tranne che per l’America) un qualche rincaro dei prezzi di energia e materie prime, con il rischio che ciò alimenti una ripresa dell’inflazione, che viceversa può scendere negli U.S.A. grazie al cambio favorevole.

 

L’INDUSTRIA EUROPEA PERDE SULL’ENERGIA E IL WELFARE

L’industria europea sembra poi messa molto peggio di quanto le statistiche ufficiali possano lasciar immaginare: la produzione industriale continua a calare da oltre un anno a questa parte (anche in Italia) e cala parimenti la fiducia degli operatori economici (evidenziata dalla discesa degli indici dei direttori degli acquisti “PMI”) come si è visto con gli ultimi risultati pubblicati di recente. Le cause vanno ricercate nella crescente concorrenza che proviene dall’estremo oriente (in particolare nel settore ”automotive”) ma anche nella scarsa competitività delle produzioni che scontano elevati costi del personale, del welfare e dell’energia.


Per non parlare della domanda interna dei mercati europei, che riflette una discesa del potere d’acquisto dei consumatori a seguito dell’erosione dei salari derivante dell’inflazione e che sconta un’eccessiva tassazione non giustificata da elevati investimenti pubblici.

GLI ELEVATI TASSI AMERICANI POSSONO CONVIVERE CON LO SVILUPPO

L’America invece, forte di un’economia che non ha mai smesso di “tirare”, anche sull’onda delle attese di ulteriori crescite dei profitti che deriveranno dall’applicazione delle nuove tecnologie dell’intelligenza artificiale, può contare su prezzi energetici molto vantaggiosi e su attese di ulteriori riduzioni della tassazione, della burocrazia e dei vincoli amministrativi che viceversa restano molto elevati in Europa. Anche per questi motivi l’economia americana può permettersi di mantenere elevati i rendimenti dei titoli di stato americani che viaggiano ben oltre quelli tedeschi o francesi o sinanco italiani.

La conseguenza è ovvia: i capitali di tutto il mondo preferiscono fluire dov’è la crescita e dove essi trovano remunerazioni superiori, migrando dall’Europa (e talvolta anche dall’Asia) verso l’America e contribuendo così a rafforzare il biglietto verde e a finanziare il deficit a stelle e strisce. I capitali che migrano in America provengono però in parte dai Paesi Emergenti e dal bacino del Pacifico, e ancor più dall’Europa stessa, che evidentemente subisce il deflusso valutario ritrovandosi in una situazione di scarsa liquidità e, contemporaneamente, con le proprie divise valutarie in declino.

LA GUERRA ALLE PORTE

Come se non bastasse l’Europa sembra voler essa stessa accentuare l’esodo dei capitali alimentando le probabilità di una guerra con la Russia pur sapendo benissimo che l’America del nuovo presidente difficilmente la finanzierebbe. Una possibile guerra che era stata sino a ieri sostanzialmente provocata dall’America di Biden ma che invece oggi (anche grazie al cambio della guardia alla Casa Bianca) non sembra in alcun modo poter lambire l’altra sponda dell’Atlantico. Le prospettive di guerra alle porte dell’Europa ovviamente contribuiscono a preoccupare gli investitori i quali, se devono scegliere su quali piazze finanziarie investire, non hanno dubbi e attraversano l’oceano. Inoltre le prospettive di belligeranza provocano all’Europa una inevitabile ulteriore riduzione delle forniture di gas naturale, che fino a ieri (nonostante la retorica delle sanzioni e tramite la triangolazione della Turchia) provenivano per almeno il 50% dalla Russia, creando seri problemi al futuro mantenimento di adeguate riserve strategiche.

IL PREZZO DEL GAS

Ovviamente il prezzo del gas al metro cubo ne risente, e questo non fa che aggravare la scarsa competitività delle produzioni industriali continentali, in picchiata da quasi un anno a questa parte, nonché il rischio che l’inflazione rialzi la testa. Dunque l’Europa che oggi sembrerebbe poter galleggiare se ci limitiamo a osservare l’andamento del suo prodotto interno lordo (al prezzo di crescenti disavanzi dei bilanci pubblici) in realtà soffre del calo della sua produzione industriale anche a causa della discesa delle esportazioni verso buona parte dei Paesi Emergenti. La prospettiva di nuovi dazi alle importazioni in America peraltro può solo peggiorare il quadro delle esportazioni europee, dal momento che buona parte delle merci che saranno importate dagli U.S.A. finiranno nel resto del mondo a prezzi sempre più stracciati.

LA POLARIZZAZIONE DEI MERCATI FINANZIARI

Ciò che emerge dalle considerazioni appena riportate è dunque una forte polarizzazione dei mercati finanziari: da una parte ci sono gli Stati Uniti d’America, la cui economia offre prospettive di crescita anche al di sopra dell’inflazione dei prezzi e le cui imprese sembrano poter continuare ad accrescere la propria capacità di generare lauti profitti, anche grazie ad un’amministrazione repubblicana molto attenta alle loro esigenze. Dall’altra parte il resto del mondo, e soprattutto l’Europa, che offre prospettive incerte tanto per l’industria (azzoppata da costi elevati e scarsa capacità di rinnovarsi) quanto per la politica, dal momento che l’attrito tra i vari Stati dell’Unione (e all’interno di ciascuna coalizione al governo -vedi la Francia-) in una situazione come quella attuale sembra inevitabilmente destinato ad accrescersi.


I BRICS EMERGONO MA NON BRILLANO

Le prospettive delle principali economie del continente asiatico e di tutti gli altri Paesi Emergenti peraltro non sembrano al momento tanto migliori di quelle europee, a causa del rincaro del Dollaro e delle prospettive dei dazi alle importazioni in America. Ma il maggior isolamento rispetto all’Occidente al quale esse sembrano destinate potrebbe paradossalmente portare loro dei benefici, anche tenendo conto della forte dinamica demografica che sospinge i consumi e consente di disporre di manodopera a basso costo e scarsi oneri sociali.


T.I.N.A.

E se la finanza globale si polarizza sugli Stati Uniti d’America ecco che tra gli investitori torna di moda il famoso acronimo T.I.N.A. (nato ai tempi di Margareth Thatcher ma oggi più che mai valido per l’America di Trump: THERE IS NO ALTERNATIVE). A quanto pare nella situazione attuale non c’è alternativa nell’investire sui mercati americani (quantomeno in titoli a reddito fisso), dove addirittura un famosissimo analista finanziario -Edward Yardeni- noto per la cautela e l’accuratezza delle sue precedenti previsioni, si è sbilanciato ad affermare che Wall Street continuerà a correre per tutto il 2025 e che potrebbero continuare anche oltre. Ci piacerebbe sperarlo anche per le borse europee!

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 101 – sa 30 nov 2024

Operazioni in essere :

– gio 21.11 venduto a 20900 1 DIC MICRO NAS FUT, ora con stop loss 21350 e
– merc 27.11 comperato a 30,5 1 MARZO MICRO SILVER FUT, ora con stop loss a 30

Premessa

Pur essendoci un segnale temporale di rilievo su DOW JONES, avendo già due Mercati “in operatività”, i miei ordini si concentrano solo su di essi.

GOLD FEB 25

Avevo scritto :

“La reazione in salita da 2536 GOLD CASH, solo sfiorando il primo livello di possibile pull back a 2532, che ho evidenziato in giallo nel grafico giornaliero, è stata violenta arrivando ben sopra il livello di 2650 – 2670 dove immaginavo un possibile rimbalzo.

Tale livello ciclico, valido fino a ve 29.11, potrebbe in questa settimana avere significato di supporto, quale minimo da comprare, con analisi giornaliera.”

Gold è sceso violentemente da 2712 cash a 2605, sfiorando dall’alto in basso il noto livello di 2603, che da 7 settimane evidenzio in giallo.

Gold sembra attratto dal livello di 2650 – 2670 più volte citato, poco sopra, poco sotto.

Se fossi costretto a prendere posizione, tra 2650 e 2610 acquisterei, con stop loss poco sotto 2603.

Continuo infatti a ritenere che una vendita sarà a rischio accettabile solo in area di eventuale doppio massimo intorno a 2790 GOLD CASH, da gestire giorno per giorno.

SILVER MARZO 25

In 15 gg era sceso da 34,86 a 29,68 usd ( un massacro )

Gio 28.11 ha ritoccato di 3 centesimi di dollaro il minimo a 29,645 usd e poi è schizzato su di un dollaro e mezzo.

Nella notte tra gio 28 e ven 29 il MARZO FUTURE ha segnato 30,095 sfiorando lo stop loss ( che di notte non c’è, perché la mia SIM lo gestisce dalle 8.15 del mattino alle 22.15 della sera )

Continua ad interessarmi il livello di 30,5 del future marzo e pertanto, sin dal mattino di lu 2.12, inserirò il seguente ordine :

compero a 30,50 1 MARZO MICRO SILVER FUT con stop loss a 30 usd per entrambi i contratti, quello già in essere e quello che inserirò lu 2.12

DOW JONES INDU CASH

Continua a dimostrare una lieve maggior forza relativa rispetto a NAS 100 e ve 29.11 ha segnato l’ ennesimo massimo storico a 45071 cash.

Vedo un tempo di medio – alto significato il 2 – 6 dic e quindi è meglio attendere, per eventualmente intervenire da lu 9 dicembre.

NASDAQ 100 CASH

Nella settimana 2 – 6 dic 2024 anche NAS 100 vede scadere un segnale temporale, ma di rango ben inferiore a quello che scade su DOW JONES.

Su NAS 100 ci troviamo poco sopra il top di luglio 2024 ( + 1 – 2 per cento ) mentre DOW JONES è oltre 3500 punti più in alto di allora.

Questa Lettera si occupa di analisi tecnica e non d’altro, tuttavia verrebbe da pensare che stiamo assistendo ad una certa rotazione dai tecnologici ad altri settori.

Vedremo.

Ripropongo quasi interamente quanto avevo scritto in precedenza, per spiegare il mio differente approccio al NAS 100, rispetto al DOW JONES.

Avevo scritto :

“Benchè NAS 100 abbia fatto una impennata simile in termini percentuali a DOW JONES, l’ analisi tecnica mi indicava una possibilità di intervento proprio nel range da 20691 a 21100 circa, mentre non ho al momento alcun livello utilizzabile per DJ.

Quindi potrebbe essere che il primo intervento della Lettera sull’azionario U.S.A. avvenga su NAS 100 e non su DOW JONES.

Ho individuato segnali di tempo tra lu 4.11 e ven 15.11 – di medio impatto

Pima di ragionare su una vendita in rottura, devo cercare una vendita in forza da 20691 a 21100.

Rammentato quanto sopra, se la salita del 5 % avvenuta con la vittoria di TRUMP si fermerà non molto oltre 21100, cercherò una vendita in inversione di una barra giornaliera ( rottura del minimo di ogni giorno precedente, anche in outside ) sin da questa settimana 11 – 15 novembre.

L’unico stop loss fondato oggettivamente sarebbe il top assoluto che sarà stato registrato prima della vendita.

NAS 100 ha segnato un nuovo massimo storico a 21182, non molto oltre 21100.

La Lettera è tornata all’opera, con la vendita di gio 21.11 1 DIC MICRO NAS FUT a 20900, ora con stop loss a 21350.

Continuo ad attribuire una buona importanza al segnale scaduto nella settimana 11 – 15 nov ( segnato top assoluto a 21182 e un minimo a 20315, entrambi di NAS 100 CASH ) e quindi la Lettera venderà un secondo MICRO FUT a rottura di tale minimo.

Vendo solo in rottura dei minimi e non in forza, nel caso di un eventuale doppio massimo, perché il segnale del 2 – 6 dic in scadenza su DOW JONES può mantenere positivo tutto l’azionario U.S.A. , compreso il Nasdaq.

Pertanto, sin dal mattino di lu 2.12, la Lettera inserirà il seguente ordine :

vendo 1 DIC MICRO NAS FUT a 20300 stop ( in rottura ), con stop loss a 21350, che resta valido anche per la vendita già in essere a 20900.

Lo stop loss è appena sopra il top storico registrato lu 11.11

Potrebbe essere che, se il range del 2 – 6 dic non sarà troppo ampio, da lu 9.12 potrò aggiungere una vendita alla rottura del minimo che sarà stato registrato.

Leonardo Bodini