I DAZI DI TRUMP: TRE POSSIBILI SPIEGAZIONI

Tutti i “media” hanno abbondantemente parlato di ciò che il Presidente degli Stati Uniti d’America ha annunciato con molta enfasi appena insediato alla Casa Bianca: di voler imporre dazi a tutti i partner commerciali dell’America, pur sapendo benissimo che è altamente possibile che il resto del mondo risponda con reciprocità. Con le sue dichiarazioni Trump ha dunque inscenato un gigantesco spettacolo in mondovisione, generando dibattiti e contro-dichiarazioni a non finire. Perché? Vuole davvero scatenare guerre commerciali globali? I mercati non lo credono, e forse a buona ragione. Ma se l’annuncio dei dazi può essere considerato uno strumento di politica internazionale nelle mani di Trump, allora potrebbero esserci anche altri risvolti…

 

UNA STRATEGIA ALLARGATA E COMPOSITA

Evidentemente il nuovo Presidente, nell’affermare una strategia molto più allargata rispetto a quella che aveva dichiarato in campagna elettorale (di voler adottare cioè solo specifiche iniziative a favore dei settori più in difficoltà negli U.S.A. come alluminio e acciaio, microchip, automobili e prodotti farmaceutici) sembra essere deciso a creare molto scompiglio e parrebbe anche esserci riuscito: con la sua dichiarazione di voler adottare dazi e tariffe indiscriminatamente per tutti, i commentatori dell’intero pianeta hanno iniziato a chiedersi cosa succederà al commercio mondiale e se l’’iniziativa potrà ravvivare l’inflazione.

ANDAMENTO (in volume) DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

E Trump -per dimostrare che non stava scherzando- ha esplicitamente ammesso di essere perfettamente cosciente del fatto che il rischio di una tale manovra è il possibile aumento generalizzato dei prezzi delle merci importate negli U.S.A. Una dichiarazione forte perché al momento c’è un certo allarme per l’evoluzione dell’inflazione. E dalla sua evoluzione dipenderà anche la politica monetaria.

ANDAMENTO INFLAZIONE NEGLI U.S.A.

MA I MERCATI RIMANGONO INDIFFERENTI

Dunque, con le sue parole, il neo-Presidente americano è riuscito nel generare una parata di giganteschi fuochi d’artificio. Ma dietro a questa geniale cortina fumogena qualcuno ha fatto notare che Trump si è limitato agli annunci, non avendo ancora diramato alcuno degli ordini esecutivi. Un particolare non da poco, dal momento che i mercati finanziari, i quali evidentemente ne hanno preso buona nota, invece di reagire male a tali dichiarazioni fragorose e agli scenari apocalittici tratteggiati dai solo i di turno, hanno invece iniziato a dare segni evidenti di ottimismo: la volatilità azionaria è diminuita, i principali indici delle Borse e del Reddito Fisso sono saliti e il Dollaro è crollato. Cioè l’opposto di quanto ci si poteva attendere.

TASSI D’INTERESSE A LUNGO (linea blu) E A BREVE TERMINE (linea grigia)

Giusto il prezzo dell’oro (il bene-rifugio per eccellenza) è inizialmente cresciuto, lasciando adito a timori di maggior inflazione, per poi scendere. Però, oro a parte, il cui prezzo è spesso determinato dalle banche centrali con giganteschi movimenti di compravendita, l’interpretazione che sembrano aver dato i mercati finanziari è che il Presidente alla fine intenda utilizzare i Dazi alle importazioni come strumenti di politica economica. E come argomenti per dialogare con le singole altre nazioni, spezzando i legami che le tengono oggi legate alle alleanze preesistenti .


I rendimenti impliciti dei titoli obbligazionari quotati sono infatti in calo (dunque i corsi dei titoli salgono) e questo potrebbe far pensare che molto dipenderà dall’indice PCE (quello preferito dalla banca centrale americana per misurare l’inflazione, in alternativa al PCI) in uscita la prossima settimana.

DIFFERENZE NEL PANIERE DEI BENI TRA I DUE INDICI DELL’INFLAZIONE IN U.S.A.

Ma anche le borse valori dopo l’annuncio del Presidente sono andate su. E questo nonostante il possibile aumento dei costi di produzione in caso di guerre commerciali, che evidentemente ridurrebbe i margini delle imprese. Evidentemente i mercati si attendono un generale beneficio dalle iniziative del Presidente.


MSCI WORLD INDEX
Si potrebbe anche pensare -invece- che la buona notizia è soltanto che l’applicazione di tariffe e dazi non risulti imminente, in pratica la Casa Bianca potrebbe aver fatto la voce grossa ma poi starebbe dando alle sue controparti internazionali il tempo di trovare degli accettabili compromessi. È anche possibile sostenere che l’intera faccenda arrivi prima del previsto a mancare di credibilità. Paradossalmente le imprese che avrebbero più da perdere con i dazi e le guerre commerciali sono state quelle che hanno guadagnato di più. Le Magnificent Seven ad esempio sono molto globalizzate e, nonostante i timori di nuove guerre commerciali, le loro quotazioni (che scontano lauti profitti futuri ancora per molti anni a venire) sono tornate vicino ai massimi storici. Dunque probabilmente la percezione degli investitori va ben oltre il fatto momentaneo.

I TITOLI AZIONARI CHE HANNO PIÙ GUADAGNATO DALL’INIZIO DEL 2025

Le aziende le cui vendite sono incentrate sul mercato interno americano avrebbero invece dovuto sovra-performare con i timori di guerre commerciali, ma le loro quotazioni sono rimaste invece tra le più arretrate.


DOPO GLI ANNUNCI DI TRUMP IL DOLLARO SCENDE

Certo: il dollaro ora più debole farà sembrare migliori i guadagni all’estero delle multinazionali americane. Ma occorre chiedersi perché il Dollaro americano si è deprezzato. Teoricamente l’avvio di dazi e tariffe dovrebbe ridurre l’offerta di Dollari fuori dei confini americani e quindi vederlo apprezzarsi. Se è andata al contrario siamo di nuovo di fronte ad un inequivocabile segnale di tranquilla da parte dei mercati finanziari.

IL CAMBIO EURO/DOLLARO

Come spiegare questa contraddittoria reazione dei mercati? Per tutte le minacce che ha avanzato, Trump sta chiaramente cercando di spaventare le controparti commerciali degli americani per riuscire ad ottenere concessioni da parte loro senza nemmeno aver davvero applicato le tariffe annunciate alle importazioni. Se invece avesse davvero voluto andare avanti a imitare il suo predecessore William McKinley il quale era riuscito a finanziare il Tesoro americano con i dazi, avrebbe potuto farlo subito, ma al momento egli sta scegliendo di non farlo. Ed è forse per questo che i mercati finanziari stanno reagendo positivamente: se Trump otterrà concessioni senza colpo ferire il commercio internazionale ne verrà addirittura esaltato!

Il futuro però rimane assai incerto e, dal momento che il prevedere che alla fine Trump non farà null’altro che strillare potrebbe risultare come una lettura semplicistica, si è allora tentati di approfondire l’analisi.

DOPO GLI ANNUNCI DUE POSSIBILI ESITI ESTREMI

Innanzitutto con il prevedere due possibili esiti estremi e assai alternativi tra loro:

  • il primo è quello che preconizza un Trump che riuscirà a manipolare la percezione della realtà pur non facendo ancora niente di concreto, allo scopo di ottenere consistenti concessioni dalle altre nazioni (le quali evidentemente fanno bene al business americano);
  • il secondo, all’opposto, è quello che Trump sia in realtà in procinto di stupire ancora una volta tutti i commentatori, lanciando una tra le peggiori serie di guerre commerciali della storia economica. Una scelta che tuttavia potrebbe far parte di una complessa strategia volta a conseguire l’importante obiettivo di ridurre il deficit del bilancio federale americano (l’altra parte di questa strategia sarebbero i giganteschi tagli alle spese non necessarie annunciati e già avviati da Elon Musk con il suo gruppo DOGE cioè: Department of Government Efficiency).

La realtà però si trova probabilmente da qualche parte in mezzo ai due opposti scenari. Ed è proprio in mezzo che ci sono molti soldi da fare per la speculazione.


Dunque i detrattori (e gli oppositori politici) del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America battono la grancassa dipingendo scenari catastrofici relativi ad un arretramento dell’intera economia mondiale dovuto all’avvio a catena di guerre e ritorsioni commerciali, mentre viceversa la scommessa silenziosa dei mercati finanziari al momento consiste nell’esatto opposto: cioè che Trump riuscirà a ottenere concessioni significative dal resto del mondo senza affossare l’economia interna, anzi fornendole beneficio.

NON SOLTANTO OBIETTIVI COMMERCIALI

(a parte gli speculatori che su questa divergenza stanno facendo fortuna)? E’ noto che anche i mercati -talvolta- si sbagliano. Probabilmente la risposta dipenderà non soltanto dalle altre mosse di Trump bensì anche dall’atteggiamento che mostreranno le controparti degli Stati Uniti d’America: se reagiranno biecamente e violentemente a tali annunci è possibile che l’unico modo che avrà Trump di restare convincente per ottenere i suoi obiettivi sia quello di mettere in pratica quanto annunciato. Se invece accetteranno di entrare in sofisticati colloqui negoziali, è possibile che lo sconvolgimento preconizzato si trasformi addirittura in un vero e proprio efficientamento del commercio internazionale.

Ma Trump non ha soltanto obiettivi di bilancia commerciale. I suoi sembrano innanzitutto obiettivi geo-politici. Ed è noto a tutti che egli sia un ottimo giocatore di poker! Pronto al bluff ma anche all’azione. Il mondo infatti oggi contempla numerosi teatri di guerra, fredda e calda, commerciale o convenzionale. Di seguito una mappa relativamente aggiornata:


UN POSSIBILE TERZO, FORMIDABILE OBIETTIVO

A guardar bene, potrebbero dunque esserci anche altre spiegazioni riguardo al fine ultimo del gran trambusto orchestrato sino ad oggi: se Trump -appena eletto- avesse voluto iniziare immediatamente una campagna di dialogo e pacificazione dei diversi focolai di guerra sopra riportati, avrebbe corso il rischio di risultare tormentato, come nel suo precedente mandato, da accuse di ingerenze straniere nella politica degli Stati Uniti d’America.

Anche stavolta molti a casa sua lo potrebbero accusare di sacrificare la sicurezza nazionale in cambio di accordi e strette di mano commerciali, esattamente così come è avvenuto durante l’intero quadriennio del suo precedente mandato con l’accusa di collaborare con la Russia di Putin (e addirittura di ingerenza di quest’ultimo nel processo elettorale americano: il cosiddetto “RussiaGate”).

Accusa evidentemente infondata ma che ciò nonostante è riuscita a guadagnare per quasi quattro anni le prime pagine di tutti i “media”, cioè per l’intera durata della sua presidenza.


Se invece egli volesse addivenire ad accordi internazionali attraverso delle credibili preventive minacce, ecco che dopo tutta la baruffa sui dazi egli potrebbe trovarsi ad operare molto più liberamente poiché il dividendo di tali possibili dialoghi verrebbe inevitabilmente “arricchito” da qualche concessione commerciale portata a casa a favore dell’intera economia americana. Contro i quali benefici evidentemente nessuno oserebbe alzare un dito di protesta!

I VERI INTERESSI DELL’AMERICA DI TRUMP

In fondo Trump si è sempre ripromesso di ridurre il costo implicito dell’inflazione, che erode i risparmi e danneggia le classi più deboli. E per farlo occorre innanzitutto riuscire a far scendere il costo dell’energia, cioè in primis quello del petrolio, dal momento che la massima parte della produzione globale di pannelli fotovoltaici è in Cina, la quale resta il maggior rivale commerciale. Per far scendere il prezzo del petrolio Trump deve inevitabilmente riuscire a risolvere i maggiori conflitti armati, a partire da quello con la Russia in Ucraina. E questo accade nonostante gli U.S.A. siano uno dei maggiori estrattori di petrolio al mondo. Accade perché in realtà, ciò che crea un vero vantaggio competitivo all’America è invece la tecnologia, la quale necessita di poter contare, per svilupparsi, di grandi quantità di energia ad un costo accettabile.


Non solo: l’America di oggi giorno potrebbe risultare particolarmente sensibile alla riduzione dell’inflazione (o comunque dei tassi d’interesse) dal momento che l’enorme debito pubblico genera al momento una mole di interessi da pagare ai sottoscrittori dei titoli di stato tale da dimezzare le entrate fiscali nette. Impossibile dunque risanare il bilancio federale americano senza trovare il modo di ridurre l’immenso onere per interessi. Trump questo lo sa bene e sa anche che a poco varrebbe la giustificazione (molto in voga a casa nostra) secondo la quale lui ha solo ereditato quel problema dai suoi predecessori.

L’ANDAMENTO DEL DEFICIT PUBBLICO FINO ALL’AMMINISTRAZIONE BIDEN

In questo gli U.S.A. mostrano interessi economici sostanzialmente opposti a quelli del Regno Unito, che esporta petrolio e che intendeva mettere le mani su buona parte delle risorse naturali dell’Ucraina, se la guerra non fosse andata così male. Se dunque la gigantesca parata sui dazi nascondesse l’intento di un dialogo più serrato con i BRICS di quanto si potrebbe sospettare (i quali, occorre ricordarlo, rappresentano un mercato potenziale per le merci americane costituito da più di 5 miliardi di individui), ecco che chi ci rimetterebbe di più sarebbero soprattutto le medie potenze europee, che rimarrebbero fuori da quei dialoghi.

Ma sopra ogni altro obiettivo Trump ha già dichiarato la sua volontà di dialogare “singolarmente” con gli altri Paesi del mondo, a prescindere dagli Organismi Internazionali o dalle alleanze che li legano gli uni agli altri. E, indubbiamente, il mettere a rischio le interazioni di ciascun Paese con l’America rappresenta una minaccia credibile che può spingerli a dialogare in ordine sparso.


In un mondo rappacificato invece, con i costi di energia e materie prime ai minimi termini e con il conseguente sviluppo della domanda di tecnologia, probabilmente l’America riuscirebbe a mantenere la sua leadership globale senza vessare nessuno e riscoprendo i valori umani più profondi sul rispetto dei quali si erano basati i suoi fondatori.

È soltanto una delle possibili altre spiegazioni. Come detto ciò che succederà dipenderà anche da altri fattori. Ma come Sir Arthur Conan Doyle faceva dire a Sherlock Holmes: “una volta eliminato tutto l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità”…

 

Stefano di Tommaso




I TASSI D’INTERESSE STANNO SCENDENDO

Le ultime rilevazioni potrebbero timidamente indicare una tendenza alla discesa dei tassi d’interesse da entrambe le sponde dell’Atlantico, cosa che alimenterebbe tanto una sana ripresa degli investimenti quanto nuovi possibili spunti per i listini delle borse valori. Ovviamente la volatilità che sta caratterizzando l’inizio del nuovo anno non aiuta a comprendere quanto ne sia concreta la speranza.

Il tasso d’interesse determina il costo di un prestito o il rendimento di un investimento. Quando esso aumenta il denaro in prestito diventa più costoso e scoraggia gli investimenti. Divengono meno attraenti le cedole fisse dei bond esistenti, facendoli scendere di prezzo. Così come aumenta il costo dei mutui, riducendo la domanda di case e quindi il loro prezzo. Tassi d’interesse maggiori in certe nazioni rendono più attraente investire nella loro divisa valutaria, provocandone un apprezzamento. Quando i tassi scendono, gli effetti sono invertiti.

 

I TASSI A LUNGO TERMINE CALANO ANCHE IN AMERICA

Negli USA i rendimenti impliciti dei Treasury Bond a 10 anni sono oggi molto più elevati che in Europa (e infatti il cambio del dollaro è decisamente salito) anche se la scorsa settimana sono discesi al 4,48%, in flessione rispetto al 4,57% del precedente venerdì (con una tendenza al ribasso, come si può notare dai tre massimi progressivamente decrescenti evidenziati nella linea superiore del grafico qui sotto riportato):

La linea rosa del grafico qui sopra (il prezzo del petrolio) mostra anch’essa una tendenziale riduzione e, se la discesa dell’oro nero dovesse proseguire al ribasso, anche i tassi potrebbero seguire. Come è possibile leggere dalle linee di tendenza delineate nel grafico sopra riportato, se l’andamento dei i tassi a lungo termine dovesse allinearsi (come è sempre stato negli ultimi anni) a quello del petrolio, potrebbero scendere al di sotto del 3%.

Però occorre ricordare che in America, con l’economia che corre e con la grande quantità di titoli del debito pubblico da rifinanziare, i tassi non possono scendere tanto quanto in Europa. E con i consumi che crescono e la disoccupazione tornata a scendere al 4%, i timori di ripresa dell’inflazione restano vivi. Anche per questo i futures delle quotazioni dell’oro restano attorno ai massimi storici a ridosso dei 2900 dollari l’oncia. La Federal Reserve Bank of America infatti ha già dichiarato che non taglierà i tassi (quelli che lei controlla, cioè i tassi a breve termine) per l’intero primo semestre del 2025. Lo stesso accade con il Bitcoin (oggi utilizzato spesso come bene-rifugio), giunto di nuovo a ridosso della soglia psicologica dei 100.000 dollari:

LE POLITICHE DI TRUMP POSSONO FAR BENE AI MERCATI

Tuttavia l‘amministrazione Trump non resta a guardare: l’aspettativa del mercato è che il nuovo presidente riuscirà a ottenere maggiori entrate fiscali derivanti dai dazi alle importazioni (il 10% già imposto alle merci in arrivo dalla Cina conta parecchio in America) e in parallelo le drastiche misure di taglio della spesa pubblica che Elon Musk ha promesso a Trump potranno avere un effetto calmieratore tanto sui redditi quanto sui consumi.

Se ciò accadesse allora è probabile che il calo dei tassi a lungo termine e la concretizzazione dei tagli alla spesa pubblica lascino spazio anche ad un taglio alle imposte e la cosa potrebbe evidentemente generare una buona boccata d’aria fresca per l’intero mercato finanziario. Poiché al momento Trump e Musk appaiono piuttosto credibili nel mantenere le loro promesse, gli investitori restano cautamente ottimisti e i listini azionari rimangono vicini ai loro massimi di sempre. La possibilità che i tassi a lungo termine scendano in America è infatti una buona notizia anche per il mercato obbligazionario, per il Tesoro e per la Borsa, dal momento che i flussi di cassa futuri che le società quotate promettono, vengono attualizzati al tasso dei Treasury.

E poi, qualora calasse ancora il prezzo del petrolio e sempre che non si manifestino altre spinte inflazionistiche, la Federal Reserve, non potrebbe rimanere ferma troppo a lungo. Come si può leggere nel grafico qui sotto riportato, la tendenza al ribasso dei tassi praticati dalle due principali banche centrali appare infatti soltanto appena iniziata:

L’EUROPA TAGLIERÀ ANCORA I TASSI

In Europa invece oggi non c’è alcuna crescita economica e l’erosione dei salari reali derivante dall’inflazione ha portato al ribasso consumi e investimenti. L’economia debole dell’Eurozona (a prescindere dal prezzo del petrolio) spinge dunque le aspettative relative all’inflazione verso una sua ulteriore riduzione al tasso-obiettivo del 2%. Questo giustifica l’attesa di ulteriori tagli dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale.

Ma la vera notizia positiva è che al momento anche a casa nostra i tassi a lungo termine sembrano muoversi in discesa, come mostra il grafico sotto riportato relativo ai tassi impliciti espressi dal mercato per il BTP a 10 anni:

Ovviamente il limite sotto al quale il tasso di sconto della BCE farà fatica a scendere è rappresentato dal cosiddetto “tasso neutrale”, cioè quel tasso di rifinanziamento degli intermediari finanziari che non rappresenta né uno stimolo né un freno all’inflazione o allo sviluppo dell’economia. Come si può vedere dal grafico qui sotto riportato, il mercato sconta altri tagli per i prossimi mesi ma comunque ipotizza un tasso minimo del 2% intorno a fine 2025, oltre il quale potrebbe anche risalire.

La Bce ha citato nuovamente lo scorso venerdì l’intervallo entro cui dovrebbe collocarsi il discusso “tasso neutrale”indicandolo in una forchetta compresa tra l’1,75% e il 2,25%. Il nuovo range, più ristretto rispetto a quello precedentemente indicato, potrebbe segnalare che c’è ancora spazio per due o tre nuovi tagli prima di raggiungere il livello di tassi in cui la politica monetaria non stimola né frena l’economia.

Ma l’utilità dell’indicatore è messa in dubbio dagli stessi esponenti della Bce, sostenendo che non tratta di uno strumento di politica monetaria, poiché non può essere misurata con precisione e i modelli che lo stimano comportano un “grado molto elevato” di incertezza. Negli ultimi mesi, il tasso neutrale è stato nei giorni scorsi al centro delle discussioni, poiché secondo diversi banchieri costituirebbe il prossimo obiettivo. Non per niente il consiglio Bce ha eliminato dal comunicato emesso lo scorso venerdì sui tassi, il riferimento al mantenere una politica monetaria “restrittiva”.

DOVE SI COLLOCHERÀ IL “TASSO NEUTRALE” ?

Il tasso neutrale è un concetto teorico, che risulterebbe determinato dall’incontro della domanda e dell’offerta di risparmio. Con i cambiamenti nell’economia globale legati alla decarbonizzazione, alla demografia e alla deglobalizzazione, possiamo osservare come si sia recentemente invertita la recente “congestione dei risparmi” ovvero l’eccesso di offerta di risparmio, che aveva contribuito alla discesa del tasso neutrale. Con la globalizzazione all’apice e la Cina che trasferiva i proventi della sua crescita delle esportazioni in Occidente, questi era inondato di risparmio.

Negli ultimi anni la maggiore produttività legata all’Intelligenza Artificiale ed investimenti nella transizione energetica sostenuti da sussidi statali potrebbero ulteriormente incrementare la domanda di risparmi/investimenti e portare ad un tasso neutrale più alto. È dunque un tasso convenzionale di equilibrio. È anche per questo che la sua definizione poggia non solo sulle decisioni contingenti delle Banche Centrali, ma anche su quelle attese dagli operatori per il futuro.

NONOSTANTE LA VOLATILITÀ LE BORSE POTREBBERO RESTARE TONICHE

La cosa interessante però è che la possibilità che i tassi d’interesse scendano ancora può adombrare quella che le quotazioni delle borse -nonostante siano vicine ai massimi storici- trovino una motivazione in più per crescere ancora o, quantomeno, restino elevate, per tutto l’anno in corso, sebbene la volatilità attesa dei corsi potrà forse risultare molto maggiore di quella dell’anno precedente (si veda il grafico qui riportato):

Di seguito invece il grafico che riporta l’andamento ancora positivo dell’indice MSCI relativo ai titoli azionari di tutto il mondo:

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 109 – sa 8 feb 2025

Operazioni in essere : nessuna

GOLD APR 25

Sta dimostrando grande forza.

Quando è scaduto la volta precedente il ciclo di tempo che ha interessato gennaio 2025, GOLD ha chiuso alto il mese caratterizzato dal segnale, lo ha ecceduto del 4 % il mese successivo e poi si è impantanato in un movimento laterale – negativo per circa due anni.

Ben comprendete quindi che il comportamento deve essere attentamente osservato quanto meno anche nel presente febbraio.

Il fatto oggettivo rimane comunque che GOLD, non solo è andato oltre il livello di 2790, che era la mia area di vendita, ma ha chiuso gennaio, mese di scadenza del segnale, sopra tale prezzo.

Su GOLD sto cercando una operazione strategica e, mediamente, un Mercato, per concedere di sfruttare poi un vero trend, richiede stop loss più ampi dello standard nella fase di apertura delle operazioni.

Dopo che GOLD CASH è salito fino a 2886, è impensabile attendere la rottura del minimo di gennaio ( 2614 ) per aprire un ribasso.

Lo stop loss da piazzare sopra 2886 sarebbe insostenibile.

SILVER MARZO 25

Sta assumendo sempre maggiore importanza il doppio minimo a 28,75.

Vedremo insieme se sarà utilizzabile prima come stop loss per un acquisto e, possibilmente, poi per una vendita in rottura.

SILVER è salito a 32,50 che era il livello minimo per analizzare una vendita.

Segnalo sin da ora che in marzo 2025 scadrà un ciclo temporale di medio – alto rilievo, soprattutto se si trattasse di un minimo che si manifestasse tra il top di marzo 2024 ( 25,77 ) e il top di febbraio 2024 ( 23,50 )

Sono livelli talmente lontani che, più che un auspicio, pare una provocazione.

Ma non è così.

DOW JONES INDU CASH

Siamo pienamente nel bimestre che attendevo da tempo per apertura di ribasso su DOW JONES

Senza fretta, visto che il segnale coinvolge gennaio, ma anche febbraio, cerco di vendere nelle prossime settimane sopra la trend line in essere dal lontano ott 2022 ( da 28660 )

Ho segnato in giallo l’area preferita di vendita.

Il doppio massimo di 45054 contro 45073 di dicembre prova a respingere questo treno in corsa.

Nella N. 108 avevo allegato anche un grafico mensile per evidenziare che in novembre, dicembre e gennaio ci sono stati tre massimi uguali ( 45071 – 45073 – 45054 ) e due minimi molto vicini ( 41647 TRUMP e 41845, più recente ) tanto che i 90 gg costituiscono un BLOCCO UNICO.

Febbraio, dal punto di vista ciclico, è la fine della spinta da ott 2022 ( 28660 citato molte volte ) e ott 2023 ( 32327, per me meno importante )

Vedremo insieme se la scadenza del tempo produce una inversione.

Purtroppo febbraio deve ancora svilupparsi e DOW JONES si trova già nel range tra 44000 e 45073 dove ho progettato di venderlo, ma ovviamente non è semplice, essendoci 20 gg di calendario e 15 gg di borsa aperta in cui gestire l’eventuale apertura dello short.

Segnalo inoltre che è il secondo lunedì che porta enorme volatilità.

Dopo l’effetto DEEPSEEK di lu 27.1, abbiamo avuto lu 3.2 un minimo marginalmente più basso a 43879 DJ CASH per i dazi annunciati nel week end a mercati chiusi, salvo poi risalire quasi a 45000.

I dazi erano ampiamente attesi, ma la certezza della loro introduzione ha avuto impatto, ad ora, da confermare nel tempo.

Da 13 sedute DOW JONES si muove tra 43900 e 45050, su e giù a stoppare qualsiasi iniziativa.

Sembra che voglia ipnotizzare in febbraio, per poi prendere un nuovo trend.

Immagino al ribasso, ma è pericoloso anticipare.

NASDAQ 100 CASH

Nulla di nuovo.

Mi è stato chiesto se anche NAS 100 sia caratterizzato da un segnale temporale in febbraio 2025.

Non mi risulta, mentre vi è stato in gennaio ( ma di rango ben inferiore a quello che caratterizza DOW JONES in gennaio – febbraio ) e ciò attribuisce un certo significato alla eventuale rottura di 20538 NAS 100 CASH, minimo di gennaio.

Quindi una vendita a rottura di 20538 potrebbe essere l’unico modo di vendere NAS 100 con un qualche fondamento, senza dover attendere il minimo di TRUMP a 19880.

NAS 100 è l’ indice sul quale incidono in misura estrema i titoli che nella realtà ( ancor più nell’immaginazione ) trovano nella connessione all’intelligenza artificiale ciò che rende sopportabili dei P/E d’affezione.

Solo un vago dubbio che gli oligopolisti U.S.A. possano trovare un competitor in Asia è bastato a generare cali del 5 – 10 e oltre %.

In febbraio immagino che sceglierò DJ per aprire uno short, ma da dicembre i due indici azionari hanno un comportamento insolitamente simile.

Leonardo Bodini




CRESCE LA DIVERGENZA EUROPA/USA

Si dice che quando l’economia reale soffre (ma non troppo) la grande finanza ci guadagna. Anche stavolta sembra stia andando così. Ma questo succede anche perché -se non arriva il putiferio- i profitti delle grandi imprese (quelle quotate ad esempio) continuano a crescere, man mano che esse consolidano le loro posizioni. Il caso “Deep Seek” può addirittura essere visto come un utile spauracchio nella direzione dell’efficienza gestionale e dello sgonfiamento della bolla speculativa tecnologica. Nessuna paura per le borse quindi, qualche scossone qua invece è assicurato!

 

I DAZI SONO GIÀ INIZIATI

Lo scorso Venerdì, a mercati chiusi in Europa, sono iniziate le “guerre commerciali“ di Donald Trump, e prima del previsto. I dazi del 25% per le importazioni da Canada e Messico, due tra i paesi più interconnessi con gli USA sono un segnale chiarissimo: si comincia con gli “amici” per poi rivolgersi agli altri. Un istante dopo i mercati dei cambi valute sono impazziti al riguardo del Peso Messicano e del Dollaro Canadese:

La morale però è che risulta piuttosto probabile che per l’Europa che esporta negli ”States” ci saranno forse altrettanti dazi. Non per nulla il cambio Euro/Dollaro, che negli ultimi giorni era leggermente risalito, ha subìto nelle ultime ore un assestamento (come si può leggere dal grafico qui sotto riportato):

TRUMP NON PERDE TEMPO

Sino a qualche giorno fa i mercati finanziari scommettevano su un approccio graduale del nuovo Presidente americano, il quale invece ha mostrato chiaramente di non voler perdere tempo, per raggiungere l’obiettivo che si è posto (quello di recuperare spazio negoziale nei confronti del resto del mondo). Lo scorso Venerdì sera i mercati finanziari tuttavia negli USA erano ancora aperti e, correttamente, all’annuncio Wall Street ha virato al ribasso. Cosa che ragionevolmente potrà accadere anche alle altre borse già lunedì mattina quando, a partire dal Giappone, le piazze finanziarie si risveglieranno agitate dal riposo del fine settimana.

Peraltro non è così scontato che le borse volgano davvero al ribasso (nel grafico sopra riportato si evince chiaramente una tendenza positiva per l’indice SP500).

LA BCE TAGLIA, LA FED NO

La Banca Centrale Europea ha proceduto con un nuovo taglio del costo del denaro e -per di più- una serie di indicatori europei (quali i consumi e la disoccupazione) fanno propendere per la possibilità che la medesima banca centrale possa proseguire con il taglio dei tassi d’interesse. Di seguito un grafico che riporta l’andamento del differenziale dei tassi:

I PROFITTI TRIMESTRALI CRESCONO ANCHE IN EUROPA

Come non bastasse, i profitti trimestrali annunciati sino ad oggi in Europa sembrano decisamente in rialzo, non soltanto per le imprese americane ma anche per quelle europee, a parte il caso Stellantis che pesa come un macigno. Si veda in proposito il grafico qui sotto che riguarda l’Europa:

IL CASO DEEP SEEK AIUTA A SGONFIARE LA BOLLA SPECULATIVA

Altro fattore che può far pensare ad una tendenza delle borse occidentali tutto sommato positive anche in futuro è il ridimensionamento in corso delle quotazioni delle grandi multinazionali tecnologiche americane, i multipli di valore delle quali preoccupano ancora quelli che temono uno scoppio improvviso della bolla speculativa che ne ha gonfiato sino a ieri le quotazioni. Nel grafico qui sotto possiamo osservarne la dinamica:


LA DIVERGENZA DELLE DUE ECONOMIE

La “spaccatura” degli andamenti tra le due sponde dell’Atlantico riguarda tuttavia soprattutto i dati macroeconomici: l’America continua la sua corsa verso una crescita impetuosa (nonostante la Federal Reserve abbia deciso di mantenere i tassi d’interesse al 4,25% cioè ben al di sopra a quelli europei, giunti con l’ultimo taglio al 2,75%) e, ovviamente, anche l’inflazione ne risente al rialzo.


IL COSTO DELL’ENERGIA METTE A RISCHIO DI INFLAZIONE ANCHE L’EUROPA

L’Europa negli ultimi giorni invece ha certificato un ultimo trimestre 2024 la cui crescita economica è stata pari a zero (con la Germania a -0,2% e la Francia a -0,1%) con l’inflazione che si è mantenuta in leggero ribasso, nonostante l’impetuosa crescita del costo dell’energia, come si può leggere dal grafico qui riportato (il primo relativo al solo gas naturale, il secondo al prezzo all’ingrosso dell’energia)

IL PREZZO DELL’ORO È SEMPRE STATO LA MISURA DELLA SVALUTAZIONE

In tema d’inflazione dei prezzi peraltro è difficile confidare soltanto sulle statistiche ufficiali. In molti casi la svalutazione monetaria è ben superiore all’incremento dei prezzi rilevato. In questi giorni è di nuovo al centro delle attenzioni il prezzo dell’oro, cresciuto nell’ultimo anno ben più di quanto si sarebbe potuto immaginare (circa il 40% come mostra il GRAFICO QUI SOTTO), soprattutto se si tiene conto del fatto che, nel lungo termine, esso rispecchia più o meno esattamente la svalutazione monetaria.

D’altra parte l’andamento riflessivo dell’economia europea parte da lontano: dalla scarsità di investimenti nell’innovazione tecnologica e dalla crisi (non ancora risolta) del comparto industriale dell’automobile, che ha investito sì principalmente la Germania ma di risulta anche tutti i piccoli fornitori dell’industria tedesca.

L’Europa inoltre si confronta con una dinamica dei salari non particolarmente favorevole, che deprime i consumi, come si può leggere nel grafico relativo alla FIDUCIA DEI CONSUMATORI IN U.E. :

L’Europa cioè riesce ad esprimere un’inflazione media dei prezzi in diminuzione nonostante l’esplosione del costo di energia e riscaldamento, anche grazie ad una dinamica riflessiva dei consumi. Non per niente l’andamento delle aspettative economiche degli analisti finanziari per il nostro paese resta ancora a Gennaio in territorio negativo.

MA QUANDO L’ECONOMIA NON TIRA, LA FINANZA GUADAGNA

Difficile tuttavia esprimere da queste considerazioni delle indicazioni per ciò che riguarda i mercati finanziari perché, come abbiamo più volte notato, l’andamento dell’economia reale e quello dei mercati finanziari sono quasi sempre disallineati, se non addirittura opposti. Questo potrebbe far pensare che le borse europee potrebbero anche proseguire la loro strada di crescita, spinte dal ribasso dei tassi d’interesse praticati dalla BCE, che tuttavia non corrisponde esattamente ad un ribasso del costo del denaro, come si può leggere dal GRAFICO qui sotto riportato:

D’altra parte questo in parte spiega l’andamento estremamente positivo dei conti delle principali banche italiane (quelle quotate). E’ vero che è soprattutto la giostra delle possibili aggregazioni a menare le danze, ma resta il fatto che le valutazioni aziendali non sarebbero così positive se i margini non fossero così ampi.

LE QUOTAZIONI DELLE BANCHE CONTINUANO A CORRERE

Ecco il GRAFICO riportato in proposito dal Sole 24 Ore dello scorso Sabato (esattamente in linea con quanto previsto su queste colonne la scorsa settimana):

 

 

Stefano di Tommaso