LA RIVINCITA DEL SOGNO AMERICANO

Se c’è un’auto che negli ultimi due-tre anni ha incorporato il “sogno erotico automobilistico” di moltissimi cittadini del mondo dotati di tasche sufficientemente profonde da permettersi una “seconda auto di lusso” (visto che non può essere la prima a causa della limitata autonomia di percorso) questa è stata proprio la Tesla.

 

Se ci aggiungiamo poi le promesse (solo parzialmente mantenute) di essere la prima a guidare da sola e di costituire un salto quantico nel bel mezzo di una tecnologia oramai stantía delle altre automobili, oltre che un design accattivante e la certezza di non passare mai inosservati, ecco che si può tentare di comprendere i motivi per i quali per comperarne una (a prezzi non esattamente d’occasione) bisogna ancora oggi mettersi in coda per quasi un anno e i motivi per cui decine di migliaia di esponenti della classe media hanno deciso di “finanziare” una società quasi in bancarotta sottoscrivendo l’opzione da 3mila dollari ad acquistare il “modello3” con un paio d’anni di anticipo.

Un nome accattivante, un design minimalista, la certezza di non fare rumore nè fumo nonostante un’accelerazione da brivido, un abitacolo avveniristico e l’illusione di rientrare nella cerchia degli eletti sono state le leve di marketing sapientemente agitate dal poliedrico e problematico imprenditore che ci ha costruito sopra la sua fortuna (e forse anche la sua rovina) per far sentire i suoi attuali e futuri clienti praticamente a bordo di un‘astronave della confederazione galattica.

A giudicare da quanto osservato sino qui Elon Musk è stato soprattutto un abile stratega di vendita, non soltanto nei confronti degli acquirenti delle 4 ruote di sua produzione ma anche e soprattutto nei confronti dei mercati finanziari, che fino a ieri gli hanno perdonato tutto digerendo quasi senza protestare le ripetute richieste di sottoscrivere ingenti finanziamenti e capitali per le sue scintillanti avventure (fino a una decina di miliardi di dollari nel complesso), e riuscendo poi anche a evitare la bancarotta pur avendone già bruciati oltre 6 miliardi.

L’ultimo colpo di scena di Tesla poi ha sorpreso tutti: invece di proseguire sulla strada verso il fallimento annunciato dai più l’azienda è stata in grado di esibire un buon utile di periodo è una ancor più ingente generazione di cassa nel 3.o trimestre 2018, sferrando un colpo mortale alla speculazione dei “ribassisti” (quelli che vendono le azioni allo scoperto per guadagnare dalle aspettative non ancora realizzatesi), da sempre i più grandi nemici dichiarati dell’imprenditore più “americano” (pur provenendo dal Sud Africa) che la borsa ricordi.  Nell’ultimo periodo fiscale Tesla è riuscita infatti a incrementare significativamente le consegne di autovetture prenotate in precedenza alimentando altresì l’aspettativa di poter continuare sulla medesima linea anche nei prossimi mesi e di non dover più chiedere al mercato altri aumenti di capitale. Il titolo è cresciuto del 22% in due sedute e sembra continuare a riprendere vigore.


Ma per il nuovo corso politico americano -in guerra contemporaneamente con quasi tutto il resto del mondo e che vuole dimostrare al popolo di riuscire a risvegliare la supremazia tecnologica e industriale della nazione- la posta in gioco riguardo al successo di Tesla è molto più alta della “rivincita” di un imprenditore contro gli speculatori finanziari: è lo stesso concetto di “sogno americano” che “deve” riuscire a raggiungere il suo lieto fine perché molti altri ne possano seguire l’esempio. Non mi stupirei perciò di qualche “mano invisibile” che arrivi in extremis a supportare una delle più affascinanti storie industriali dell’ultimo secolo, proprio adesso che sull’auto elettrica e sull‘intelligenza artificiale è sfida aperta con i Cinesi, i Giapponesi, gli Israeliani, i Tedeschi e persino gli Indiani !

 

Stefano di Tommaso




IL SELL-OFF GLOBALE (PER ORA) NON INCLUDE L’AMERICA

L’indice medio globale delle borse valori è sceso da inizio anno del 9% se escludiamo gli USA, ma quel numero costituisce una media di trilussiana memoria (+5% lo SP500 e -15% l’indice MSCI dei Paesi Emergenti). Molti commenti stanno piovendo su uno iato che, da oramai un semestre, non fa che allargarsi, ma può essere inutile speculare su quale ne sia il motivo dal momento che la risposta è con molta probabilità di totale immediatezza: la crescita economica globale è oramai profondamente disallineata tra Stati Uniti d’America e il resto del mondo e questo incide profondamente sul mercato valutario rafforzando oltre ogni ragionevolezza il Dollaro. E le borse valori ne riflettono soltanto le conseguenze.

 

Purtroppo quello che bisogna prendere atto essere saltato è stato nientemeno che il Leit-Motiv della maggioranza degli investitori e commentatori degli ultimi due-tre anni : la sincronizzazione della crescita economica globale! Che sia tutta colpa di Donald Trump non è certo (anzi) ma non è nemmeno utile indagare. Quello che invece avrebbe sempre più senso chiedersi è quali conseguenze potranno scaturire da una tale -nuova- congiuntura.

Apparentemente la risposta del mercato è semplice e diretta: Wall Street e il Nasdaq saliranno e le altre borse soffriranno. Ma la realtà è molto più complessa e la risposta finale può essere molto diversa: il Sell-Off infatti può divenire facilmente globale.

“TIRA” ANCORA LA LOCOMOTIVA AMERICANA?

Molte volte in passato l’economia americana ha agito da traino alla crescita del resto del mondo, attraverso le importazioni e gli investimenti industriali disseminati ovunque nel pianeta. Per decenni si è sentito parlare di “di locomotiva americana”, ma oggi il mondo è cambiato: la maggioranza dei capitali investiti sulla piazza finanziaria americana non si sa più se sia ancora appartenente agli americani.

La differenza non è piccola perchè il rialzo dei tassi americani, fattore che riflette una dinamica positiva dell’economia, è sostenuto dai lauti profitti messi a segno dalle imprese a stelle e strisce. Ma questa congiuntura, che oggi rende fortissimo il dollaro, è chiaro che non può andare avanti troppo a lungo: col rialzo dei tassi il debito pubblico infatti (cresciuto a dismisura per finanziare le facilitazioni fiscali) costerà sempre di più e se il resto del mondo non seguirà la crescita economica d’oltreoceano allora le esportazioni americane (già danneggiate dal caro-Dollaro) crolleranno e anche i profitti aziendali ne risentiranno.

LA SINDROME CINESE

Il mondo è sempre più interconnesso e gli USA possono pensare di restare un’isola felice soltanto per un limitato lasso di tempo. Poi ogni genere di tensioni potrebbe esplodere, soprattutto se proseguiranno le frizioni con il loro vero rivale degli ultimi vent’anni: la Cina, guarda caso il principale investitore sulle piazze finanziarie americane, che ha accumulato negli ultimi mesi una perdita media del 20% sulle proprie borse valori (cosa che prima o poi le trasformerà in un’occasione di investimento) e  che oggi ha bisogno di riportare a casa i quattrini per proseguire negli investimenti infrastrutturali e tecnologici. La crescita economica cinese non è infatti mai stata così bassa e l’unico modo per contrapporsi a quella tendenza è investire, investire, investire.


L’EUROPA NON RESTERÀ IMMUNE DAL RISCHIO-ITALIA

L’Europa se l’era cavata bene fino a ieri, ma oggi il braccio di ferro con il nuovo governo italiano rischia di fare danni anche all’intera Unione, tanto a livello di debolezza dell’Euro (che per l’Italia potrebbe essere un elemento positivo) quanto per la possibilità che il rallentamento della crescita dell’Eurozona e la riduzione dei rating sovrani come quello dell’Italia possa favorire la fuga dei capitali verso l’area Dollaro.
I commentatori parlano ancora di “crescita globale” senza arrivare ancora a menzionare la progressiva divergenza tra le economie dell’area Dollaro, quelle Europee e quelle del resto del mondo ivi compresi i Paesi Emergenti. Quando inizieranno a prenderla in seria considerazione anche le previsioni di crescita a livello globale verranno pesantemente rivedute al ribasso.

MEGLIO I BOND A LUNGO TERMINE

Dal punto di vista di chi investe il momento è positivo per i mercati americano e giapponese, ma la sensazione netta è che il ciclo di rialzi delle borse stia volgendo al termine, affogato in una crescente volatilità dei mercati. Il rischio è quindi quello di comperare sui massimi , per quanto riguarda i titoli azionari, mentre al contrario è possibile che i rendimenti che si vedono adesso sui titoli obbligazionari a lunga scadenza saranno ricordati a breve come un picco di periodo oltre il quale è possibile che discendano, lasciando spazio a buone plusvalenze in conto capitale.

Stefano di Tommaso




QUOTARSI IN BORSA, O NO?

A Piazza Affari il 2018 è stato un anno di vacche magre per le “initial public offers” (IPOs: collocamenti di azioni destinate ad essere quotate in Borsa) dal momento che fino a ottobre sono state solo due le Ipo che la Borsa di Milano ha visto completate e riguardano Carel Industries e il Gruppo Piovan.

 

DUE SOLE MATRICOLE SUL LISTINO PRINCIPALE

Carel è un’azienda padovana che si occupa di sistemi di condizionamento dell’aria. È stata quotata lo scorso 11 giugno e la sua capitalizzazione di Borsa, nonostante il periodo terribile che sta attraversando Piazza Affari, ha guadagnato il 34,5%. L’IPO di Carel si è tradotta in una quotazione in borsa con una capitalizzazione di mercato pari a 720 milioni ossia circa 3 volte il fatturato.

Piovan invece si è quotata in Borsa la settimana scorsa (ne scriviamo più diffusamente più avanti). Si occupa di progettazione, installazione e manutenzione di impianti per linee di produzione per le materie plastiche e nasce a Padova nel 1934 come officina specializzata nella meccanica di precisione.

PIOVAN, UNA SCELTA IN CONTROTENDENZA

Considerando che l’Ebitda margin di Carel è simile a quello di Piovan, sarebbe stato possibile dedurre che la capitalizzazione di Piovan potesse arrivare a circa 600 milioni di euro. Invece, dato il momento particolarmente negativo, il prezzo di offerta delle azioni Piovan è stato fissato in 8,3 euro per azione, al livello minimo della forchetta di prezzo indicata all’inizio e compresa nel range tra gli 8,3 euro e i 10,1 euro. Al prezzo di quotazione iniziale delle azioni Piovan, la capitalizzazione della società alla data di avvio delle negoziazioni è stata pari a 423 milioni di euro: circa il 50% in meno.

Una scelta, quella del gruppo Piovan, in controtendenza con quello che sta avvenendo in Europa, dove negli ultimi mesi sembra diffondersi una certa allergia alla quotazione in Borsa. Il fondatore, Nicola Piovan si è limitato a ricordare: “Il nostro è un progetto di lungo periodo, siamo un’azienda internazionale con l’85% delle vendite all’estero, non abbiamo debito, andiamo in Borsa per crescere”.

TUTTE LE QUOTAZIONI DEL 2018

Secondo uno studio della società di revisione Price Waterhouse Cooper la raccolta di capitali per mezzo della quotazione in Borsa si è dimezzata nel terzo trimestre 2018, fermandosi a 3,9 miliardi di euro rispetto agli 8,3 dello stesso periodo del 2017. In Italia, nel terzo trimestre sono stati raccolti 144 milioni. Per 12 Ipo nel 2018. È andato bene l’Aim, dedicato alle piccole e medie imprese e alle Special Purpose Acquisition Vehicles (SPAC: società-veicolo che vengono costituite da investitori professionali e quotate in Borsa prima di “contenere” un’impresa candidata alla quotazione. Una volta che ne hanno individuata una si fondono con la medesima e si trasferiscono al listino principale). Mentre quest’ultimo, il Mercato Telematico Azionario (MTA), a causa dei mercati incerti, rischia di eguagliare il record negativo del 2009: anche allora ci furono due sole quotazioni.

DILAGA LA MODA DELLE SPAC

Il fenomeno delle SPAC è dilagato sul mercato: ad oggi ne risultano quotate ben 27, delle quali tuttavia soltanto 12 (meno della metà) ha già definito la “business combination” (la fusione con un’impresa operativa). Dei 3,7 miliardi raccolti sul mercato tuttavia ne è stato investito soltanto 1,2 miliardi. La motivazione sta innanzitutto nelle valutazioni che possono soddisfare i requisiti delle prime: se non sono sufficientemente basse i promotori non guadagneranno abbastanza dell’investimento. Parliamo dunque di multipli decisamente ridotti rispetto a quelli di una IPO!

Per fare un esempio, per la Piovan, quotata “a sconto” a 8,3 euro per azione, il multiplo Ev/Ebitda (valore d’azienda al lordo dei debiti diviso margine operativo lordo) è pari a 13,2 volte, il rapporto prezzo /utili (p/e) a 21,6 volte. Nell’esaminare a quali valori medi d’azienda hanno realizzato la business combination le SPAC, forse arriviamo alla metà di questi multipli. Eppure numerose aziende hanno scelto la strada delle SPAC, tanto per la celerità e la non aleatorietà dell’operazione, quanto per l’assenza di costi iniziali.

QUALI VALUTAZIONI

Peraltro la valutazione di Piovan, se rapportata a un panel di titoli comparabili, è assolutamente nella media: al 18 settembre scorso l’Ev/Ebitda 2017 medio infatti per il comparto dei comparabili di automazione industriale era di 14,1, il p/e di 24,2. In questo basket sono compresi i seguenti titoli: Ag Growth (quotato a Toronto), Alfa Laval (Stoccolma), Ats (Toronto), Bobst (Zurigo), Gea Group (Francoforte), Hillenbrand (New York), John Bean (New York), Krones (Francoforte). La media dei titoli di società di engineering italiane esprimeva invece, sempre al 18 settembre scorso, un multiplo Ev/Ebitda di 14,1 e un p/e di 26,3 volte. Di questo secondo basket fanno parte tutte società quotate a Piazza Affari: Biesse, Carel, Datalogic. ElEn, G.I.M.A.TT, Ima, Interpump, Prima industrie. Ovviamente nell’ultimo mese quasi tutte le borse hanno visto ridurre le loro quotazioni, e in particolare quella di Milano.

HANNO RINVIATO LA QUOTAZIONE

Ad aver rallentano sulla decisione di quotarsi in Borsa nel 2018 sono state numerose aziende, anche di grandi dimensioni: da Sigaro Toscano, parte dell’ex monopolista di Stato del tabacco, controllata dalla famiglia Montezemolo, che ha rinviato la quotazione proprio la scorsa settimana.

Per la stessa ragione (baraonda sui mercati) lo scorso 29 maggio aveva rinunciato alla quotazione la Public Utility della Regione Toscana Estra.

Grande dietrofront anche quello del colosso della ristorazione e distribuzione delle specialità alimentari italiane Eataly, che ha posticipato al 2019 la decisione in merito all’Ipo.

Per non parlare della controllata di Fiat Chrysler nelle tecnologie elettroniche: Magneti Marelli. Valutata 5-6 miliardi di Euro, sta prendendo in considerazione una alternativa alla Borsa con il fondo americano Kkr. In stand-by anche Alpitour (dove ha di recente investito Tamburi e Associati e Nexi (la risultante dell’unione tra Cartasì e ICBP).

Per le cliniche della famiglia Garofalo (GHC), l’IPO sull’Mta invece sembra che ci sarà a breve e il collocamento di azioni sarà tutto in aumento di capitale (riservato agli istituzionali), puntando a un flottante del 25% da momento che il programma prevede a crescita basata su acquisizioni. I vertici della società hanno infatti dichiarato: “nonostante la turbolenza dei mercati, considerando la valenza strategica del programma di acquisizioni e di crescita del Gruppo, GHC continua il suo percorso verso la quotazione e non ci sarà vendita di azioni da parte dei soci di controllo” ( la stessa famiglia Garofalo ).

Il mercato oggi è divenuto estremamente selettivo nel recepire nuove azioni da quotare al listino talchè sono avvantaggiate le aziende dotate di chiaro vantaggio competitivo, elevata e credibile crescita e forte attività di export. Aggiungeremmo poi che vogliano accettare -in tale congiuntura- anche di vedere ridotta significativamente la valutazione attribuita loro dal mercato, come dimostra il caso Piovan.

IL MERCATO È ANCORA RICETTIVO PER LE IMPRESE MIGLIORI

Sul fronte delle valutazioni di coloro che investono, sono dunque ancora potenzialmente ricettivi a chi offre opportunità interessanti. Perciò riteniamo che gli imprenditori con simili caratteristiche non dovrebbero farsi spaventare dall’incertezza e avviare ugualmente percorsi di quotazione, tenendo conto del fatto che non si approda alla Borsa per qualche settimana, ma guadando al futuro e tenendo conto anche di tutti gli altri vantaggi di chi non è interessato a cedere la propria azienda.

Questo tanto più se i timori di una nuova crisi del credito nel nostro Paese sono fondati. Molte banche infatti, a fronte del calo del loro rating e delle prospettive di deterioramento di quello delle aziende clienti, potrebbero essere costrette a chiedere al mercato nuovi aumenti di capitale, riducendo, sino a quando non li avranno effettuati, l’erogazione di prestiti alla clientela. La crescita e l’internazionalizzazione invece -si sa- vanno finanziati. E l’ottenimento di capitali freschi da chi non li chiederà indietro dopo 4-5 anni è il modo migliore per fare programmi in tal senso.

Stefano di Tommaso




RICONOSCERE UN SELL-OFF

Dove vanno i mercati finanziari? Continuerà il caos che stiamo sperimentando nelle ultime settimane oppure si fermerà? Tutti gli operatori se lo chiedono e tutti gli investitori si chiedono cosa fare per limitarne i rischi, ma la risposta giusta è quella che a nessuno piace ascoltare: nel breve termine giù a picco! I motivi sono numerosi e le probabilità contrarie sono poche. Nel medio termine invece tutto può succedere.

 

Mi sono chiesto molte volte se la situazione di deterioramento dei valori finanziari italiani non potesse deviare uno sguardo oggettivo sui mercati e colorare di nero ogni mia possibile valutazione e, per questo motivo, preferirei partire dall’analisi della situazione nazionale, tanto per non avere dubbi.

UNA TEMPESTA PERFETTA ?

L’Italia ha molto probabilmente davanti a sè la “tempesta perfetta“ dei mercati finanziari, dal momento che lo scontro del nostro governo è frontale con la Commissione Europea (e, tra pochissimo, anche con l’intera “troika” che ha asfaltato la Grecia: cioè anche la Banca Centrale Europea -BCE- e il Fondo Monetario Internazionale -FMI-) e stanno per arrivare quasi certamente i downgrade delle agenzie di rating, che daranno la mazzata finale sulla testa del debito pubblico italiano. La congiuntura si fa perciò assai nera tanto per il sistema bancario italiano quanto, di conseguenza, per la Borsa di Milano.

Inutile dire che di fronte a un tale spiegamento di forze qualsiasi altro governo avrebbe vacillato e il Paese avrebbe probabilmente preso in seria considerazione un cambio di rotta della volontà di generare incremento del prodotto interno lordo attraverso una manovra che inizialmente prevede un deficit di bilancio “non ammissibile” per l’Unione Europea. Perché non ammissibile? Chiaramente e inequivocabilmente per motivi politici: questa coalizione politica al governo promette battaglia anche alle prossime elezioni europee e l’attuale classe dirigente europea sta facendo l’impossibile per combatterla !

IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA

Ma questo governo no, per i medesimi motivi politici (è nato sull’onda della prolungata crisi economica e del disprezzo dell’italiano medio nei confronti della politica deviata fatta a livello comunitario sulla sua pelle) non solo non vuole ma non è neppure in grado di fare qualcosa di diverso dal proseguire “in direzione ostinata e contraria”, arrivando a portare alle estreme conseguenze lo scontro in atto, con tutto quello che può significare a livello finanziario una tale scelta. Per non girarci intorno quello che può significare è l’intervento d’urgenza del FMI a imporre un prestito forzoso in nome del solito fantomatico piano di salvataggio per il debito pubblico italiano che, come si è visto in Grecia, consentirà esclusivamente agli stranieri di vederselo rimborsato.

Ovviamente la cosa non avrà un‘ impatto limitato sui mercati perché tra l’altro, se la coalizione al governo del Paese riuscirà ad essere coerente con i suoi intenti, a quel punto dovrebbe chiedere l’immediata congelamento del debito pubblico e l’uscita dall’Unione Monetaria (cosa che potrebbe arrivare a fare e che potrebbe anche avere un profondo senso storico, ma che comporta un fegato d’acciaio da parte di chi promuoverà un tal passo). Possiamo però immaginare cosa può significare una manovra così forte nel breve periodo! L’intero sistema dei valori finanziari italiani (immobili compresi) subirebbe uno shock planetario e nel frattempo assisteremmo al medesimo copione greco a meno che non venisse deciso in un baleno il ritorno alla Lira. Ciò peraltro comporterebbe un incremento stellare dei prezzi di qualsiasi bene ci si voglia acquistare perché al cambio risulterebbe fortemente svalutata rispetto all’Euro e a tutte le altre valute.


L’ASIMMETRIA DEGLI OPPOSTI

Alla base del braccio di ferro che sta giungendo alle estreme conseguenze c’è una forte asimmetria tra due ragionamenti, entrambi assai fondati, tra la coalizione governativa italiana e la maggioranza politica che ispira le scelte della Commissione Europea (il governo dell’Unione): i politici a capo della prima hanno sempre pensato che all’Europa non conviene affatto un braccio di ferro risoluto e continuato con l’Italia perché può determinare l’affossamento definitivo della moneta unica e comunque danneggerebbe gravemente gli interessi degli altri stati membri, quelli a capo della seconda sanno invece che per i politici italiani è cosa assai complessa tenere testa a un simile scontro frontale e che tutti i loro predecessori (Berlusconi compreso) molto presto hanno capitolato. Dunque i secondi puntano sullo sfiancamento dell’attuale maggioranza nazionale anche grazie a tutti gli innumerevoli addentellati del potere finanziario internazionale, a partire dai “media” che getterebbero veleno a volontà e che farebbero di tutto per disorientare gli elettori che hanno votato la maggioranza gialloverde, fino alla “troika” passando anche dalle agenzie di rating e magari dalle accuse di qualche tribunale internazionale. In una parola l’ “assedio” ci sarebbe di sicuro!

Dicevamo che nel medio termine entrambi i contendenti potrebbero avere ragione e che però nel frattempo nessuno aveva previsto che sarebbero entrambi stati pronti a portare lo scontro fino alle estreme conseguenze. Conseguenze che non potranno non generare disordine e sconforto innanzitutto sulle quotazioni dell’Euro, poi sulle borse (non solo quella italiana) e infine anche sui titoli di stato di tutta Europa. Lo scontro di cui scrivevo qui sopra pertanto degli effetti devastanti a catena li produrrà molto presto, a meno che non rientri alla velocità della luce.

LE CONDIZIONI DISASTROSE DEI MERCATI FINANZIARI INTERNAZIONALI

Ma c’è un’ulteriore circostanza che forse hanno tutti sottovalutato: le condizioni del mercato finanziario internazionale, già oggi fortemente deteriorate ben al di là delle attese di prossima recessione economica che tendono ad attestarsi intorno al 2020. Innanzitutto a causa delle pessime condizioni dei mercati asiatici, che pesano sempre più sulla bilancia internazionale. E poi perché se alla crisi asiatica e a quella dei mercati emergenti anche di tutto il resto del mondo (principalmente vittime del caro-Dollaro) si sommerà quella dei mercati europei, la frittata sarà servita, provocando serissime reazioni su Wall Street e su Londra, i cui listini sono oggi forse troppo dipendenti dalle supervalutazioni dei titoli “tecnologici”. La probabilità di deflagrazione di una nuova crisi finanziaria globale inizia dunque a crescere e può risultare fatale nel determinare la prosecuzione vino alle estreme conseguenze dello scontro tra l’Italia e il resto dell’Unione Europea.

Indipendentemente però da quello che potrebbe succedere in futuro lo scenario di breve termine è già di per sè decisamente preoccupante: la svalutazione dell’Euro è già in atto, il rialzo dei tassi di interesse rischia di proseguire a causa della reazione a catena che la crisi italiana può provocare in tutto il mondo, mentre le borse, che già stavano scendendo in tutto il mondo, rischiano soltanto di accelerare nella medesima direzione. La questione italiana insomma può risultare come la classica ultima goccia che fa traboccare l’intero vaso.

I POSSIBILI “MANDANTI”

Quali possibilità ci sono che ciò non accada? Non molte in realtà, complice la Federal Reserve Bank of America che non sta facendo nulla per correggere il suo attuale orientamento ad ulteriore rialzo dei tassi (il differenziale con quelli tedeschi è giunto a superare il 3%) schiacciando di conseguenza tanto i cambi contro il Dollaro quanto le prospettive di esportazioni americane nel resto del mondo. Qualcuno ci vede anche lì lo zampino della politica: l’attuale presidente americano “deve” subire una pesante sconfitta elettorale a Novembre e l’economia americana va troppo bene perché le probabilità che ciò accada restino alte. Un bel crollo di Wall Street aiuterebbe pertanto e l’abitazione che ne conseguirebbe magari farebbe gli interessi dei grandissimi gruppi internazionali che controllano il mercato dell’energia (il cui prezzo schizzerebbe alle stelle).

Sul fronte opposto non possiamo non menzionare la decisa opportunità di un accordo rappacificatore tra la Commissione Europea e il Governo Italiano, che indubbiamente risolleverebbe le sorti della Borsa e aiuterebbe a contenere lo spread, aggiungendo un motivo in più alle Agenzie di Rating per non abbassare quello italiano. Ci guadagnerebbe più l’Europa che l’Italia viste le prossime elezioni e visto il rischio di “contagio” di una disfatta della finanza del Bel Paese. Ma la razionalità della “ragione di stato” a volte si scontra con “lo particolare” interesse di questo o quel politico, che al proprio livello può preferire uno scontro a un confronto per mille e una motivazione personale (absit injuria verbis)…

Stefano di Tommaso