LA MINI-RECESSIONE D’AUTUNNO

A partire dal terzo trimestre del 2018 l’economia italiana è andata evidentemente rallentando, vittima -dicono i media- della caduta di aspettative degli operatori economici conseguente al nuovo corso politico del Paese. Ma, nella furia della polemica politica, il “mainstream” (quel consesso di giornali e telegiornali che non sembra così politicamente indipendente e che “informa” l’uomo della strada a modo proprio) ha dimenticato di far notare che il rallentamento a casa nostra è stato accompagnato da quello di mezza Europa (compresa la Germania), del Giappone e di buona parte dei Paesi Emergenti (Cina inclusa).

 

Il fenomeno, vasto e profondo tanto nelle cause quanto nell’estensione geografica, è forse più opportuno osservarlo come una vera e propria mini-recessione che ha colpito il resto del mondo non-americano dopo che la Banca Centrale Americana (la Federal Reserve, detta anche FED) ha deciso di proseguire con i propri rialzi dei tassi e -soprattutto- con il riassorbimento di parte della liquidità immessa in precedenza: due elementi che hanno spedito al rialzo il Dollaro e fatto fuggire via dai Paesi Emergenti delle quantità importanti di denaro.

 

LE PREOCCUPAZIONI DEGLI OPERATORI ECONOMICI SI SONO SOMMATE AL CARO-DOLLARO

Ovviamente il fenomeno appena citato non poteva non colpire anche le borse valori, a partire da quelle europee, andando a togliere terreno sotto i piedi alla liquidità dei mercati e riversandola sul mercato americano. Forse è per questo che Wall Street ha in media performato meglio fino a Ottobre, sebbene il sentore generale degli operatori sia oramai da tempo in territorio negativo.

I mercati finanziari si preparano infatti da tempo al “taper tantrum” delle banche centrali (il ritorno alla normalità dopo la stagione -durata anni- delle facilitazioni monetarie), ma soprattutto si preparano all’arrivo, considerato inevitabile, della prossima recessione economica, dopo anni di espansione più o meno sincronizzata in tutto il mondo. Gli investitori profittano dunque di ogni possibile ondata speculativa (o anche di mere fluttuazioni giornaliere dei corsi) per ridurre la loro esposizione ai mercati azionari, contribuendo a ridurne gli entusiasmi.

LA VERA CAUSA DELLA CADUTA DEI CORSI A WALL STREET

Probabilmente la caduta dei corsi di Wall Street degli ultimi giorni va letta anche in questa chiave : una volta esaurita la liquidità in eccesso proveniente in America dal resto del mondo ecco che anche la borsa americana ha iniziato a flettere pericolosamente. È forse per questo motivo che -almeno a parole- l’atteggiamento della FED sembra nelle ultime ore essere cambiato: per timore di essere bollata come la responsabile della causa prima di un vero e proprio crollo dei corsi azionari.

Ma -come abbiamo visto poc’anzi- se da un lato la FED ha delle indubbie responsabilità circa la congiuntura globale in essere, pronta a scacciare un inesistente pericolo di eccessiva inflazione, dall’altro lato le sue responsabilità traggono origine da un comportamento che origina da almeno un anno e che è irresponsabilmente proseguito dopo l’estate con cieca determinazione o, peggio, scientemente, date le ingenti risorse che essa ha sempre profuso nella ricerca economica e nell’analisi dei mercati (per una volta però il coordinamento tra i banchieri centrali non s’è visto e, anzi, gli altri governatori hanno fatto il possibile per parare il colpo).


IL PROBLEMA DEL SOVRA-INDEBITAMENTO

Il punto critico però è che quanto accade può scatenare conseguenze ben più gravi della contrazione dei mercati borsistici se teniamo conto del fatto che -in particolare dopo la crisi economica del 2008-2009, i governi di praticamente tutto il pianeta si sono sovra-indebitati proprio mentre le loro economie frenavano, e che dunque una crisi di sfiducia sui mercati finanziari può comportare un problema ben più grande in termini di possibili bancarotte di stato, a partire evidentemente dai Paesi Emergenti.

Il vero rischio che il mondo corre con l’arrivo di una prossima recessione è proprio questo, con una situazione generale oggi aggravata dal fatto che la maggior parte dell’indebitamento delle nazioni più deboli è espresso in Dollari. Paradossalmente questo è anche il motivo per cui il consenso generale degli analisti è che le banche centrali non potranno mai permetterlo e che dunque interverranno per tempo, contribuendo a non lasciare affossare definitivamente i mercati finanziari.

Ma la mini-recessione d’autunno è stata dunque un’avvisaglia decisa e sonora di quel che può accadere se si distraggono i banchieri centrali, coloro che dovrebbe invece vigilare sulla tenuta dei valori fondamentali su cui si basano le economie di mercato (o peggio: se lo fanno apposta).

UN NUOVO PARADIGMA? MINI-RECESSIONI A MACCHIA DI LEOPARDO

Ed è forse anche il nuovo paradigma del probabile andamento futuro dell’economia: terminato il periodo storico (durato invero assai poco) di una crescita coordinata, diffusa e sincronizzata in tutto il mondo, stiamo probabilmente arrivando a sperimentare brevi e forse ripetuti periodi di decrescita o di assestamento, avviati a manifestarsi geograficamente a macchia di leopardo, sino a quando la sbornia dell’eccesso di liquidità degli anni passati non avrà smesso di far sentire i suoi effetti.

Se questo è possibile ecco che il Dollaro non potrà continuare a rivalutarsi così selvaggiamente (e insensatamente) come è sembrato voler fare fino a ieri, che il petrolio non continuerà a precipitare come si è visto nelle ultime settimane e che le borse non sono avviare ad un catastrofico collasso.

UNA RELATIVA STABILITÀ DEI MERCATI

È più probabile invece che l‘avvicendamento congiunturale che la mini-recessione d’autunno da cui siamo passati anche noi italiani sembra inaugurare, possa (paradossalmente appunto) risultare come un fenomeno metereologico limitato nel tempo e nello spazio, scongiurando così la prospettiva alternativa: quella di effetti catastrofici e voragini senza fine sui mercati borsistici.

Sempre che i banchieri centrali d’ora in avanti facciano più prontamente la loro parte, dal momento che “se la cantano e se la suonano”: prima hanno drogato i mercati con palate di denaro regalate alle banche in crisi sistemica e poi sono sembrati sordi e (forse troppo) risoluti nel fare marcia indietro sbandierando timori inflazionistici che alla prova dei fatti si sono rivelati delle chimere!

Stefano di Tommaso




PERCHÉ CALANO BORSE E PETROLIO

Sono alcune settimane che vediamo una discesa marcata del prezzo del petrolio e, di conseguenza, tutti si chiedono per quale motivo, in piena stagione autunnale, questo possa succedere. Se possa essere sintomo di una imminente recessione o viceversa se questo possa addirittura provocare una stabilizzazione del tasso di inflazione e, di conseguenza, uno stop alla crescita dei tassi di interesse. Ma in fondo molte delle considerazioni possibili valgono anche per Wall Street…

 

 

Ogni teoria ovviamente può essere valida in un momento in cui è divenuto sempre più complesso non soltanto fare previsioni sui mercati finanziari, ma anche soltanto interpretare correttamente quel che accade nel mondo, ma una cosa è assolutamente indubbia: i prezzi al momento sono in ribasso per un eccesso di offerta, ed è questo che li fa calare, come afferma la microeconomia:

 

Non certo i timori di una futura recessione, dal momento che al riguardo non ci sono certezze circa l’incombere di un nuova recessione e, anzi, la domanda mondiale dell’oro nero continua a crescere, nonostante tutto (ivi comprese le politiche che si oppongono all’inquinamento atmosferico) come è mostrato dal grafico che segue :

 


Il fatto che ci sia un eccesso di offerta tuttavia non significa necessariamente che il prezzo del petrolio sia destinato a scendere troppo, poiché molta dell’offerta oggi in eccesso smetterebbe di affluire al mercato qualora il prezzo medio scendesse al di sotto dei 50 dollari al barile, come dimostra questo grafico che indica i prezzi di “break-even” (cioè al di sotto dei quali i produttori ci perdono) per le varie tipologie di estrazione:

 

Perché allora tutti speculano sulle sorti dell’economia reale quando vedono che Le borse o il prezzo di talune materie prime subiscono un eccesso di offerta? Le possibili risposte sono molteplici:

– In primo luogo c’è la psicologia: la volatilità di questi giorni ha riguardato un po’ tutti I mercati del mondo, a partire da quelli finanziari ed è divenuta un fattore di incertezza che deprime gli slanci;

– Poi c’è la domanda che languisce: la maggioranza degli speculatori chiude l’anno con un nulla di fatto (siamo quasi alla fine dell’anno e i mercati si sono riaccartocciati sulle quotazioni espresse all’inizio);

– Ma soprattutto ci sono le prospettive, anzi: non ci sono più! Nessuno oggi si aspetta davvero un 2019 in corsa come il 2016 (seconda metà dell’anno, dalla campagna elettorale di Trump in poi) e come il 2017 (che è salito quasi senza soluzione di continuità).

 

 

Tre fattori che pesano come pietre ad affossare persino la speculazione, quella che aveva tenuto in vita le speranze che i buy-back e la liquidità tutt’ora abbondante potesse giocare in rimpiazzo della domanda degli investitori di lungo periodo, oramai sopita da tempo. È questa la vera risposta alla domanda di “copertina”!

Risultato: sulle borse chi ha fatto buoni guadagni è più probabile che resti oramai alla finestra, pronto magari a speculare su qualche ondata in arrivo, mentre chi è rimasto intrappolato su prezzi di carico alti attende (con poco entusiasmo) di riuscire a realizzare ed è forse per questo che c’è più offerta che domanda e che la volatilità è in crescita ( si veda il grafico):

Lo stesso vale per la speculazione sulle materie prime e l’energia, con l’aggravante che, nonostante la domanda resti elevata, sono le prospettive quelle che più ne penalizzano i prezzi:

– È sotto gli occhi di tutti il peggioramento del clima globale e questo fa pensare che nuove misure verranno prese per evitare che la situazione precipiti;

– La speculazione è di conseguenza stanca di lottare contro le avversità e il calo delle riserve globali di petrolio immagazzinato (si veda il grafico qui sotto riportato) ne testimoniano il disimpegno;

– Il costo del denaro è cresciuto, così di conseguenza quello del “carry trade” (cioè del detenere qualcosa in portafoglio sinché non ne salga il prezzo) e l’ulteriore stretta alla liquidità globale non fa ben sperare per la disponibilità di credito nel prossimo futuro.

 


Qualcuno ha stimato che la stretta monetaria in arrivo innalzerà il prezzo del credito di ulteriori tre punti percentuali in capo a un anno, a prescindere dai rialzi dei tassi programmati dalla Federal Reserve Bank of America, che al massimo sembra saranno quattro ed assommeranno cumulativamente ad un solo punto percentuale in più.

Dunque il ciclo del credito è già alla svolta è anche questo induce previsioni pessimistiche che scoraggiano la speculazione e, con essa, anche la liquidità dei mercati.

Una vera iattura se teniamo conto del fatto che il ribasso del prezzo dell’energia e di numerose materie prime non può che avere effetti di ulteriore “compressione” dell’inflazione, che già non correva da sola, con il rischio quindi che la debolezza dell’inflazione possa ribaltare la tendenza che sembrava vedersi e trasformarsi di nuovo in deflazione!

Ma non si era detto che invece non ci sono prove né teorie affidabili sul fatto che una nuova recessione sia in arrivo?

Certamente si e l’argomento è così dibattuto che qualcuno si aspetta la fine (che sembra non arrivare mai) dell’attuale super-ciclo economico per non prima della fine del 2019. Un’eternità in termini speculativi!

La verità è che fare previsioni sino a ieri è stato relativamente semplice: i mercati andavano soltanto all’insù e l’unica vera leva da azionare prima o poi era il freno, dal momento che era ovvio non sarebbero continuati a correre per sempre.

Ma poi è arrivato il 2018: un anno intero di incertezza e spostamenti “laterali”, nel corso del quale il freno è stato azionato dai più, ma questo non ha significato alcun crollo. Certo il bitcoin è forse stato la vittima più illustre della disillusione collettiva e della riduzione della liquidità disponibile, complici le banche centrali che ha usato tutto il potere nelle loro mani per disinnescarne lo sviluppo (che invece prima o poi potrebbe arrivare). La verità è il panorama si è complicato a dismisura e che la maggioranza degli investitori ha oggi perso ogni orientamento.

Per dimostrare quanto sopra proverò a fare un esempio. Avete notato che nessuno parla più degli effetti maieutici e miracolosi delle innovazioni tecnologiche in arrivo? Eppure nessuno le ha stoppate, anzi! I risultati delle nuove tecnologie sono incoraggianti e gli effetti delle medesime sulla nostra vita quotidiana devono ancora farsi veramente sentire. I due continenti più vitali del globo (Asia e America) ci hanno scommesso l’anima e aspettano di vederne i ritorni economici, mentre il vecchio continente ha dimostrato di poterci convivere insieme, rinnovando le sue produzioni da esportazione, dal lusso all’impiantistica, passando per le costruzioni di grandi opere e proseguendo fino agli alimenti più sani.


Quel che ne consegue è che la prossima recessione non sarà con ogni probabilità uguale alle altre che l’hanno preceduta: molti fattori recentemente comparsi all’orizzonte è possibile che andranno a smorzarne gli effetti negativi e, anzi, i bradisismi in corso potrebbero indurre molte variazioni in positivo dei paradigmi della vita quotidiana, rivoluzionando i settori industriali e stimolando la crescita di nuovi parametri di ricchezza, benessere, reddito. Togliendo valore a ciò che lo aveva in passato e non necessariamente aggiungendone a quel che davvero conterà in futuro, contribuendo ad affossare in maniera quasi definitiva il concetto di inflazione che era considerato valido fino a ieri (anche perché il paniere dei beni preso per suo campione statistico dovrà essere continuamente rivisto).

Se questo fosse le attuali condizioni del mercato dei titoli a reddito fisso (i cui rendimenti reali diventerebbero estremamente interessanti se il tasso di inflazione dovesse tornare a calare) saranno da ricordare come memorabili, perché potrebbero non rivedersi più ancora per molto tempo. Mentre le borse sono già arrivate al loro nirvana, anche se ciò che resta da considerare è il livello reale dei profitti aziendali, che secondo me possono riservare sorprese positive.

Se così accadesse davvero (e solo il tempo potrà dirlo) allora le borse non collasserebbero mai più tutte insieme come è accaduto nel 2008, ma semplicemente continuerebbero a lungo in quella fase “laterale” di galleggiamento sul mare magno della liquidità (che non può letteralmente essere fatta sparire nel nulla a pena del collasso dei debiti pubblici mondiali) sotto la cui superifice molte cose si muovono velocemente e dalle cui profondità nuove isole vulcaniche sono pronte ad emergere, mentre altre ne scivoleranno lentamente al di sotto.

Stefano di Tommaso




FOUNDATION AND EMPIRE

Ho letto in rete un articolo estremamente interessante scritto da Ben Hunt, un analista finanziario che si propone di osservare l’andamento economico mondiale con le lenti ottiche della cultura, della storia e della narrativa. La narrativa adottata in questo è quella di Isaac Asimov nel romanzo Foundation and Empire, pubblicato in Italia con il titolo Il crollo della Galassia Centrale. Di seguito la traduzione non letterale del medesimo con l’avvertenza che è stato scritto pochi giorni fa da un americano e quindi il “noi” l’ho sostituito con il “loro”.

 

“Ogni vizio dell’Impero è stato ripetuto nella Fondazione. L’inerzia! La nostra classe dirigente conosce una sola legge: nessun cambiamento. Despotismo! Riconoscono soltanto la legge della forza bruta. Cattiva distribuzione delle risorse! Riconoscono un solo desiderio: tenersi quello che possiedono.”

Questa citazione è il centro della narrazione di Asimov nel suo secondo romanzo della “Trilogia della Fondazione” del 1952. E’ questo il difetto fatale della Grande Alleanza, formatasi originariamente come forma nobile di governo galattico e oggi assimilabile a qualsiasi altro Impero della storia. Il centro narrativo della trilogia scritta dal medesimo autore di questo articolo, denominata: “Il Crollo dell’Impero Americano” può essere dunque rinvenuto in questo grafico: è il rapporto tra la ricchezza delle famiglie americane e il prodotto interno lordo degli U.S.A. dal 1951 ad oggi:


Per 46 anni, fino al 1997, la ricchezza americana non cresce a più di quanto crescesse la sua economia. L’impostazione neutrale della politica monetaria è questo: assicurare che non vi siano vincoli di illiquidità alla crescita economica allo scopo di permettere che la ricchezza si accumuli al riparo dall’erosione dell’inflazione.

Da oltre una ventina d’anni invece, l’America ha visto comparire sui mercati finanziari una serie di bolle speculative (da quella di internet a quella dell’Immobilare fino a quella attuale delle attività finanziarie) che hanno incrementato artificialmente la ricchezza degli Americani più di quanto provenisse dalla crescita economica del Paese.

Ognuna di queste bolle speculative è stata dopo un po’ fatta scoppiare intenzionalmente dalla banca centrale americana (FED) ma prima di ciò ogni volta la medesima FED ne ha favorito il rigonfiamento, alimentando in questo modo la crescita della ricchezza americana e permettendo a ciascuna di quelle bolle di svilupparsi attraverso credito facile e tassi di interesse bassi. È un metodo che teoricamente potrebbe andare avanti all’infinito:

Ma ogni volta che il giochetto stava andando fuori controllo (e in questi giorni succede la stessa cosa) la FED ha tirato i freni e fatto scoppiare le bolle speculative per rispondere alla sua ragion d’essere: quella di tenere a bada l’inflazione, dei prezzi ma ancor più quella dei salari.

Alla domanda: perché lo fa, anche a costo di scatenare ogni volta una recessione, la risposta è quantomai semplice ed è nel nome stesso della banca centrale: è la banca delle banche, creata storicamente per supportare l’eterna lotta del capitale contro il lavoro! Non è un concetto marxista, casomai ispirato ad Alexander Hamilton (uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti, fu il primo Segretario al Tesoro del “nuovo mondo”, NDR).

Avete notato che negli ultimi tempi la FED non ha più alimentato la bolla speculativa delle attività finanziarie? Anzi: l’ha sgonfiata intenzionalmente con la politica dei rialzi dei tassi. Una volta venuta meno la causa del disallineamento della crescita della ricchezza con quella dell’economia, dove si può pensare che si muoveranno allora i valori degli asset che si erano fino a ieri gonfiati artificialmente? Probabilmente a un riallineamento verso l’andamento dell’economia reale. Cioè verso una riduzione dell’ordine del 20-30% (dall’indice 250 a circa 220). Questa è una scelta anche politica, perché se la correzione di borsa dovesse arrivare a quei livelli l’attuale Presidente rischia di non essere rieletto nel 2020.

Ma c’è un altro modo per l’Impero di alimentare la crescita della propria ricchezza oltre il livello di crescita dell’economia reale: quella di sottrarla al resto del mondo. Nella storia l’hanno già fatto il popolo greco, quello romano e quello britannico, per esempio.

Vanno interpretati così i tentativi di Trump di ottenere vantaggi dalla rinegoziazione commerciale con i cinesi, gli europei, i coreani, gli iraniani e i russi.

Ma questo sistema di esercizio del potere tende a trasformare la “Grande Alleanza” originaria (individuabile nella NATO degli anni passati) in un “Impero” della superpotenza americana inteso alla maniera di Asimov (cioè rapace). È destinato a restare in piedi anche nel medio-lungo termine? Probabilmente no, questa storia come tutte le altre è destinata ad alimentare tensioni e conflitti con svantaggi per tutti.

Il dipinto qui sotto riprodotto di Thomas Cole denominato “Distruzione” può ben alimentare l’immaginazione del lettore in tal senso: “quando l’avidità prende il posto della ragione in una nazione, di solito questo è un presagio della sua disfatta!”

Libera traduzione di Stefano di Tommaso

Da un articolo di Ben Hunt




IL RIPENSAMENTO DI DRAGHI

“L’inflazione di base dell’Eurozona continua a oscillare intorno all’1% e deve ancora mostrare una tendenza al rialzo convincente… Il Consiglio (della Banca Centrale Europea) ha anche notato che le incertezze sono aumentate e dunque a dicembre, con le nuove previsioni disponibili, saremo più in grado di fare una piena valutazione”. Queste le parole del Governatore della BCE nell’ultima sua audizione (la settimana scorsa). Se di norma i banchieri centrali sono di poche parole ed amano essere interpretati come gli oracoli di un paio di millenni fa, questa volta invece Mario Draghi non ha lasciato spazio alle esegesi di quello che voleva dire ed è andato dritto al punto: l’inflazione non sembra continuare la sua corsa, ed è per questo che nell’euro-zona i tassi resteranno ancorati ai livelli attuali ancora per forse un anno (autunno 2019) e magari proseguiranno persino gli stimoli monetari (magari sotto altra forma).

 

Forse è anche per fugare dubbi di imparzialità che il banchiere centrale di origine italiana si è sentito di strigliare il governo del nostro Paese : non è per fare un piacere agli Stati (come l’Italia) che si ritrovano elevati spread perché deludono le aspettative dei mercati, che la BCE sta valutando se confermare le precedenti indicazioni relative alla propria politica monetaria (nel grafico qui sotto: l’andamento trimestrale del prodotto interno lordo italiano):


Bensì a causa di un primo dato di fatto: che l’inflazione che non cresce (abbastanza), e poi per un altro importantissimo elemento che Draghi non ha volutamente citato ma che tutti sanno avere pesato come un macigno nelle sue considerazioni: la mancata crescita del Prodotto Interno Lordo della Germania nel terzo trimestre 2018.

LA GERMANIA SI ACCODA A ITALIA E GIAPPONE NELLA MANCATA CRESCITA

Dopo che si era fermata in Giappone (sotto zero già da qualche mese: nel terzo trimestre il Prodotto interno lordo è sceso dello 0,3% sul trimestre precedente, pari a un -1,2% annualizzato) e si è azzerata in Italia essa è adesso a rischio anche nel resto dell’ Europa. Se un indizio non fa una prova (la mancata crescita dell’Italia nel medesimo periodo), due indizi invece si, dal momento che alla brusca frenata della crescita si è accodata anche la più importante economia della divisa unica europea (di seguito l’andamento trimestrale del prodotto interno lordo tedesco):


L’INFLAZIONE STA SMETTENDO DI CRESCERE

L’inflazione sta sicuramente smettendo di crescere (anche in America) e anzi, sino a ieri in Europa si era nutrita quasi esclusivamente delle conseguenze dei due grandi bradisismi in atto da tempo: il rialzo di petrolio e gas e la forza del Dollaro. Questi due fattori avevano infatti congiurato per un rialzo del costo delle materie prime e indotto la mini-fiammata inflazionistica che si era vista in estate.

Oggi almeno per il petrolio è giunto il momento dei ripensamenti mentre in molti prevedono che nemmeno il Dollaro proseguirà troppo a lunga la sua corsa perché a un certo punto il rialzo dei tassi americani diverrà non più sostenibile senza una crescita economica miracolosa (che invece sembra esserci solo in America e non per sempre). E così il prezzo delle materie prime al momento è in ribasso.

MA I TASSI DI INTERESSE CRESCERANNO UGUALMENTE

Se la guerra in atto tra America e Cina non produrrà altri danni forse la crescita economica tornerà a fare capolino anche nelle altre economie avanzate. Ciò nonostante per molti motivi i rialzi dei tassi di interesse nel migliore dei casi possiamo considerarli soltanto rinviati: non solo in America infatti le banche centrali ambiscono a recuperare anche su questo fronte capacità di manovra, dopo che per molti anni l’eccesso di debiti pubblici (mai rientrato) le ha costrette a renderli negativi o vicini allo zero. Senza contare le infinite pressioni per una loro risalita esercitate dal sistema bancario di cui esse sono garanti.

FIATO CORTO PER I LISTINI AZIONARI

Così se la crescita economica continuerà in America e farà da traino anche al resto del mondo, potremmo trovarci di nuovo in una situazione incantata di continuazione del super-ciclo economico globale, caratterizzata da ripresa dell’occupazione, bassa crescita e bassissima inflazione. Ma questo difficilmente si tradurrà in nuovi miracolosi rialzi azionari, dal momento che come minimo i mercati sconteranno ulteriori rialzi di tassi e il ritorno alla normalizzazione monetaria.

Quindi, al di là di sporadici possibili riprese dei corsi delle borse (un mini-rally di Natale lo auspicano i più), difficilmente questa possibilità significherebbe nuove corse indefinite delle borse valori (anzi: le valutazioni aziendali che ne sono alla base non potranno continuare a sperare in una crescita indefinita dei profitti) e data anche la maggior appetibilità per i risparmiatori che stanno riprendendo i titoli a reddito fisso.

IL RISCHIO AMERICA

È poi sempre possibile che la locomotiva economica americana rallenti la sua corsa (per esempio per l’instabilità politica che potrebbe derivare da un Presidente sempre più assediato) senza che quella asiatica riesca in tempo a sostituirne il traino. Questa possibilità ostacolerebbe le esportazioni europee (tutt’ora in grande smalto) e potrebbe lasciare in stallo le prospettive del vecchio continente senza che la crescita economica globale si fermi del tutto.

In tal caso la continuazione delle politiche espansive della BCE non basterebbero a far tornare il sole della crescita a splendere in Europa, ma soltanto ad impedire nuove crisi di panico relativamente ai debiti pubblici degli Stati membri.

Stefano di Tommaso