IL DOLLARO FORTE AGITA I MERCATI

Il mese di Maggio si è aperto nel peggiore dei modi per i mercati finanziari dei Paesi Emergenti: l’innalzamento dei tassi d’interesse a lungo termine sul mercato americano oltre la soglia psicologica del 3% sembra aver innescato un violento spostamento di capitali da quei mercati alle grandi piazze finanziarie internazionali e ha costretto le banche centrali di numerose economie “periferiche” ad alzare considerevolmente i tassi locali d’interesse.

 

Il caso più eclatante è stato quello dell’Argentina, che ha visto arrivare il proprio Peso a scendere del 22,5% dall’inizio dell’anno contro il Dollaro, per poi risalire del 7% quando la banca centrale ha portato d’un colpo i tassi interni di interesse per il rifinanziamento dal 27,25% al 40%.

Il problema però della fuga dei capitali dall’Argentina sembra solo tamponato con l’incremento dei tassi d’interesse, dal momento che il principale timore degli operatori economici che spostano i loro capitali verso piazze più sicure fuggano sembrano quelli relativi alla capacità dei Paesi Emergenti affetti da eccesso di indebitamento di riuscire a pagare maggiori interessi provocati dal rialzo generalizzato dei tassi.

Se ciò venisse confermato l’operazione di incremento dei tassi interni potrebbe giungere a maturare l’effetto opposto poiché innalzerebbe il costo del rifinanziamento del debito oltre la soglia della sopportabilità.

È evidente però che se i grandi movimenti di capitali che hanno rilanciato le quotazioni del Dollaro (visto come divisa-rifugio tutte le volte che uno shock attraversa i mercati) derivano dai timori di sostenibilità dei debiti pubblici dei Paesi Emergenti al crescere dei tassi di interesse internazionali, i possibili danni che ne possono derivare che non si limitano alla sola Argentina. Ecco in effetti un panorama dell’andamento di alcune divise di cambio nei confronti del Dollaro nel corso dell’ultimo mese:


La tendenza dei capitali a fuggire dai paesi emergenti è iniziata orami più di sei mesi fa quando gli investitori professionali hanno preso atto del fatto che la volontà delle banche centrali di procedere gradualmente a ridurre gli stimoli monetari (Taper Tantrum) era divenuta inequivocabile. Ciò che oggi ha innestato una brusca accelerazione al processo di progressivo disimpegno dalle piazze finanziarie più periferiche è stato però l’incremento dei tassi a lungo termine, con la conseguenza che anche i piccoli risparmiatori hanno iniziato a disinvestire pesantemente da quei mercati.

Nell’ultima settimana più di 6 miliardi di dollari sono stati disinvestiti dai fondi di investimento dedicati ai Paesi Emergenti per riversarsi su quelli occidentali e in particolare USA, Europa e Giappone. Il grafico qui riportato parla da solo:

Il problema è che quest’anno scadono titoli di stato emessi da numerosi Paesi Emergenti per oltre 900 miliardi di Dollari. Tra questi vi sono Turchia, Polonia e Argentina che contavano decisamente sull’interesse degli investitori stranieri per rifinanziare il proprio debito e che oggi appaiono decisamente vulnerabili alla risalita del Dollaro e dei tassi di interesse.

L’EURO-ZONA RIMANE STABILE (PER ORA)

 


In questo oceano agitato di tassi che salgono -anche per l’inflazione che riprende vigore- (persino in Giappone ha superato l’1,2%), borse che oscillano, capitali che fuggono e divise che si svalutano troppo, sta invece (per ora) beatamente ferma come un’isola l’Euro-zona, con una crescita modesta, un‘ inflazione addirittura in declino, tassi di interesse ancora a zero e con un cambio Euro-Dollaro tornato ai livelli di Gennaio (ma con deciso plauso delle imprese esportatrici continentali che temevano di rimanere spiazzate dall’eccessiva rivalutazione della divisa unica).


Come si può vedere dalla tabella sotto riportata mentre il Dollaro si apprezzava l’Euro si è mosso relativamente poco al ribasso nelle ultime settimane mentre ha ancora un margine positivo di quasi 9 punti% se si prende a riferimento il cambio di un anno fa e ci sono numerose valute minori nei confronti delle quali l’Euro si è decisamente rivalutato:

 

Ciò rassicura i mercati continentali e lascia le borse europee meno mosse delle altre, anzi leggermente in crescita come si può vedere dal grafico :Le previsioni sono che la Banca Centrale Europea non muoverà i propri tassi alla prossima riunione, per prudenza nei confronti di Paesi come l’Italia, la Slovenia e il Portogallo che potrebbero prendere il contagio dei timori sulla tenuta del debito. Ma se questa congiuntura prosegue ordinatamente (con l’Euro che si svaluta moderatamente sul Dollaro) la BCE potrebbe decidere di ampliare il proprio programma di intervento sui mercati, muovendosi controcorrente rispetto a tutti gli altri.

L’Europa sembra quindi “tenere botta” con risorse proprie e non dipendere affatto dai vistosi flussi di capitali che agitano il resto del globo terraqueo. Nel resto del mondo però tutti si chiedono se -Dollaro forte o meno- siamo arrivati sul ciglio dell’ennesima crisi finanziaria dei Paesi Emergenti.

Molti analisti sono pronti a scommettere che, rispetto a casi analoghi occorsi in passato, “stavolta è diverso”: c’è stata una forte ondata emotiva sui mercati azionari che ha scoraggiato l’investimento in fondi orientati ai mercati emergenti (vedi grafico):


Ma, sintantochè l’economia globale continuerà a crescere e se le banche centrali non rovineranno la festa, la crescita sincronizzata e l’espansione del commercio mondiale continueranno ancora per molti mesi. Magari a ritmo ridotto e con ulteriori svalutazioni delle divise minori, ma non ci sono ancora fattori che fanno pensare al peggio. Come si può vedere qui sotto, la crescita del prodotto globale lordo e del commercio mondiale sembra relativamente stabile e le previsioni non sono (ancora) cambiate:


Nonostante lo sconquasso sui cambi valute perciò, sembra decisamente presto per i mercati finanziari per indossare gli elmetti e alzare le difese, almeno in Europa.

Stefano di Tommaso




IL CICLO ECONOMICO SI INDEBOLISCE

Una rondine, si dice, non fa primavera. Il calendario però, per quanto possa non corrispondere esattamente al tempo meteorologico, alla fine non è mai smentito. Parallelamente, è sempre un esercizio difficile tradurre in previsioni univoche i segnali che arrivano dai vari quadranti del cruscotto dell’economista, però due fattori possono aiutare in tal senso: il calendario, che ci dice che il ciclo economico sta durando fin troppo rispetto a quelli che lo hanno preceduto, e il fatto che le rondini in circolazione (i segnali di allarme) iniziano a moltiplicarsi.

 

Eppure l’ottimismo che emana dal recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale sullo stato di salute dell’economia mondiale non può essere del tutto ignorato. Sono passati soltanto due anni da quando la crescita del prodotto interno lordo dei paesi emergenti (e di quelli più malmessi, come il nostro) ha finalmente iniziato a sincronizzarsi con quella delle economie più sviluppate. Questa congiuntura ha generato una delle maggiori espansioni dell’economia globale che si ricordi da un decennio a questa parte (circa il 4% nel 2017, a seconda che la si calcoli in dollari o in altra valuta) e, sebbene per molti versi sia in attenuazione, il fenomeno è ancora in atto.


Addirittura l’anno in corso potrebbe riservare ancora sorprese positive dal momento che il commercio internazionale, nonostante le tariffe e le minaccealla pace nel mondo, sta ancora crescendo. Tuttavia diversi elementi ci dicono inequivocabilmente che il clima economico generale è sta mutando in peggio. Nel grafico che segue si vede come la flessione della crescita del prodotto interno lordo, misurata per trimestri, è più accentuata in America e in Giappone, ma c’è anche per l’Europa:


Nel mese di Aprile inoltre le divise monetarie battute da diverse economie emergenti hanno subito importanti svalutazioni nei confronti del Dollaro (che si è apprezzato un po’ ovunque): il rublo della Federazione Russa è sceso di circa il 10%, il Real brasiliano di quasi il 6%, il Rand del Sud Africa di oltre il 5% e il Peso messicano del 3%. Di seguito una panoramica del cambio contro Dollaro di Euro, Yen, Sterlina e Dollaro Canadese:


Nello scorso mese di Aprile l’inflazione -pur sempre assai moderata- sembra aver superato il 2% negli Stati Uniti d’America, dove non passa giorno che la Federal Reserve non ne verifichi il livello per decidere sulla risalita dei tassi di interesse. In Europa l’inflazione è in media decisamente più bassa, ma bisogna ricordare che gli stimoli monetari europei, oltre che ancora in essere, sono anche molto più recenti. Dunque è più indietro anche il ciclo del credito.

Proprio dalla zona geografica che ha adottato l’Euro quale divisa unica tuttavia arrivano i segnali più preoccupanti di rallentamento dello sviluppo, e questo mentre è ancora in pieno corso il programma di Quantitative Easing (l’immissione di liquidità sui mercati finanziari attraverso acquisti di titoli di stato sul mercato aperto) della Banca centrale europea.

Perciò, se potrebbe essere presto per affermare che nella prima parte dell’anno la crescita economica europea sia rallentata per fattori non momentanei, il quadro diviene invece più preoccupante osservando gli indicatori di fiducia come l’IFO degli operatori economici tedeschi, sceso per la quinta mensilità consecutiva e giunto a 102.1 punti ad Aprile dai 103.3 punti di Marzo. Analoghe discese degli indici di fiducia si sono registrate in Francia e Italia.


Quel che sembra venire meno in questi giorni da parte degli operatori economici è dunque la speranza che lo sviluppo degli investimenti e la crescita dei consumi continuino anche oltre gli orizzonti dell’attuale politica di stimoli monetari (che potrebbero terminare presto), mentre l’incertezza politica dell’Unione non demorde e le vendite al dettaglio non brillano.

Di seguito alcuni indicatori: il primo che misura il livello di “sorprese” nella pubblicazione dei dati statistici per l’ Euro-Zona, raffrontato all’andamento della moneta unica (discesa meno che proporzionalmente)


Il secondo invece mostra come si sono evolute -mese per mese- le principali “preoccupazioni” da parte degli operatori economici europei:


Come si può vedere, lo scorso Aprile la principale preoccupazione che si è registrata riguarda il timore di un “fallimento“ della politica europea di stimolo monetario nel riuscire a dare slancio agli investimenti e dunque nel riaccendere i motori fisiologici dello sviluppo.

Se questo è il panorama dei paesi OCSE tuttavia bisogna pur tenere presente che l’economia asiatica (Giappone escluso) macina invece molte più vittorie ed è la maggior causa della risalita del prezzo del petrolio. Ciò fa ancora ben sperare per le esportazioni dell’Occidente e di conseguenza ancora per l’evoluzione positiva dei profitti aziendali (fattore positivo per le borse, soprattutto quelle europee). Ma è difficile prevedere cosa può accadere alle borse, per una molteplicità di fattori: il QE europeo innanzitutto, che ancora immette liquidità al ritmo di €30 miliardi al mese e, oltre a finanziare le borse continentali, continua -insieme a quello della Banca Centrale Giapponese- a controbilanciare la riduzione della liquidità (“Taper Tantrum”) operata dalla Federal Reserve americana. La forte generazione di cassa delle grandi imprese multinazionali inoltre, e lo smisurato avanzo commerciale cinese, buona parte della cui liquidità viene reinvestita sul mercato americano, contribuiscono a sostenere il Dollaro.


Ciò nonostante (come si vede dal grafico) è dall’inizio del 2018 che la borsa americana ha fortemente incrementato la sua volatilità e, mediamente, ha vissuto un ridimensionamento delle sue quotazioni. Se questo è il clima generale, non è difficile immaginare cosa potrebbe succedere man mano che i tassi di interesse continueranno a salire e che la Banca Centrale Europea inizierà a ridurre i suoi acquisti di titoli. Per contrastare le vendite sarà difficile che basteranno la crescita dei profitti e una nuova stagione di “buy-back” (acquisto di azioni proprie) da parte delle maggiori corporations.

Se perciò non è ancora arrivato il momento di parlare dell’arrivo di una vera e propria recessione (almeno fino a fine anno e fino a quando l’economia dei paesi asiatici correrà così forte) è sicuramente arrivato il tempo di parepararsi con attenzione alla graduale inversione del ciclo economico. Nel grafico finale si può vedere il rallentamento generalizzato della crescita economica per ciascun trimestre, fino al 31 Marzo di America, Francia, Gran Bretagna e Spagna:§


Stefano di Tommaso




AMAZON FA SOLDI CON IL WEB (E NON CON L’E-COMMERCE)

Dopo tutto il polverone sollevato dallo scandalo Facebook sui cosiddetti titoli “tecnologici” (i cui ricavi appaiono fortemente legati all’uso di internet), sembrava segnato il destino delle spropositate valutazioni che il mercato finanziario ha loro sinora attribuito. E invece no. Amazon mostra da inizio 2018 un progresso superiore al 30%!

 


Mostrando i suoi risultati trimestrali infatti Amazon ha battuto ogni aspettativa degli analisti rivelando numeri mai così buoni in precedenza e progressi tali da riuscire a rafforzare del 7% la sua capitalizzazione già elevatissima. Ma anche il fatto che il 10% del suo fatturato e buona parte dei suoi margini provengono dai servizi di rete e dalla pubblicità su Internet.

Per intenderci sul concetto di valutazione elevatissima del titolo, ricordiamoci che Amazon capitalizza in borsa oltre 4 volte il suo fatturato, oltre 26 volte il suo patrimonio netto e oltre 240 volte i suoi profitti, mentre brucia cassa netta tendenziale per circa 12 miliardi di dollari (3 miliardi di dollari nell’ultimo trimestre). Non esattamente quella che si dice una valutazione prudenziale!

Tutti i giornali riportano oggi i numeri roboanti di Amazon e pertanto vorrei evitare di annoiare i miei lettori facendolo anch’io: di seguito ho raccolto solo un paio delle diapositive che sono state proiettate alla presentazione, nelle quali si vede sì quasi un raddoppio nel reddito operativo, ma anche un flusso di cassa netto che, in funzione della crescita roboante di capitale circolante e investimenti, si è rivelato invece incrementalmente negativo a partire da metà 2017 sino ad oggi.

 

 

Eppure si deve ammettere che la gestione del colosso mondiale del commercio elettronico si è rivelata oculata, che ha battuto ogni attesa degli analisti -in particolare riguardo al numero di iscritti ai suoi servizi “Amazon Prime”: ben 100 milioni di individui, quasi due volte la popolazione italiana- e soprattutto per due elementi che hanno ricollegato più decisamente al rapporto con internet la vera natura del suo business:

  1. Amazon è riuscita ad incrementare a oltre 8 miliardi di dollari annui suoi introiti pubblicitari tendenziali del 2018, quella stessa categoria di entrate che ha letteralmente crocifisso le sue cugine più strette, come Google e Facebook, finite sotto inchiesta per uso improprio delle informazioni personali raccolte dai loro utenti. Questi introiti costituiscono il 4% circa del fatturato e sono più che raddoppiati rispetto allo scorso anno;
  2. Il 5 e mezzo per cento del suo fatturato e ben tre quarti del reddito operativo provengono dagli incassi per i servizi di rete (“Amazon Web Services”) e non dal commercio elettronico!


In pratica Amazon trae quasi il 10% dei suoi ricavi e forse quattro quinti del suo reddito operativo (il dettaglio non mi è noto) da attività di rete non troppo diverse da quelle di Netflix, Google, Facebook e Microsoft.

Il concetto è importante per cogliere la vera natura di Amazon ed è confermato dal confronto tra I multipli di mercato di Amazon e quelli degli altri operatori, tanto nel commercio quanto nei servizi di rete:Come si vede quasi tutti gli altri operatori attivi nella distribuzione di prodotti mostrano moltiplicatori pari a un decimo di quelli di Amazon e Netflix. Cioè questi ultimi sono ancora una volta basati sulle più rosee aspettative. Se si cercava una prova del fatto che il mercato è ancora sopravvalutato eccone trovate due. Evidentemente la liquidità in circolazione è ancora tanta…

Stefano di Tommaso 




LA RESILIENZA DELL’ECONOMIA REALE


Non c’è commentatore al mondo che negli ultimi mesi non abbia gridato allarme (e a ragione, direi) per i mercati finanziari. Nel primo quadrimestre 2018 questi hanno vissuto infatti un violento risveglio della volatilità e, persino le borse che hanno performato meglio, come quella di Milano, hanno al massimo limitato i danni.

 

Per Wall Street in particolare (che poi dá il tono a tutte le altre borse) il momento non è affatto facile ma bisogna notare al tempo stesso che la congiuntura negativa provocata dal rialzo dei tassi e dalla riduzione della liquidità in circolazione non ha tuttavia nemmeno provocato dei veri e propri crolli.

L’ultima notizia è quella della risalita non solo dei tassi a breve termine americani voluta dalla Federal Reserve, ma anche quella del rendimento dei titoli di stato decennali a stelle e strisce oltre la soglia psicologica del 3% , con il conseguente calo e delle quotazioni del titolo.


Ma quella che potrebbe suonare come una conferma del fatto che i mercati continueranno a scendere in corrispondenza di tassi più elevati a molti è invece apparsa come una mezza buona notizia.

LA “CURVA DEI RENDIMENTI” RESTA POSITIVA

Se la “curva dei rendimenti” infatti (il grafico che registra i rendimenti di mercato per ciascuna scadenza, dalle più brevi alle più lunghe) ha ancora un‘ inclinazione positiva (cioè i tassi sono più alti per le scadenze più lunghe) allora molti analisti tirano un respiro di sollievo: quello che comunemente è indicato come il primo indicatore di recessione (l’inversione dell’inclinazione della curva medesima) oggi ci dice che l’inversione del ciclo economico non sembra essere alle porte, nemmeno per l’economia americana che ha beneficiato sino ad oggi del più lungo ciclo positivo che si ricordi e che ci si aspetta possa essere la prima a registrare una virata.

Di seguito due grafici utili a visualizzare la situazione complessiva: da un lato (sinistro) la curva dei rendimenti, dall’altro (il destro) la performance di Wall Street negli ultimi 18 anni, dove in alto a destra si può cogliere il rintracciamento dell’ultimo periodo ma, al tempo stesso la sua relativa portata rispetto alla tendenza di lungo termine (che sembra ancora positiva).


Qui sotto possiamo vedere nel dettaglio, aggiornata al 24 Aprile, la struttura dei rendimenti americani per ciascuna scadenza:

Questo il “sentiment” comune degli operatori che perciò leggono nelle ultime evoluzioni del mercato finanziario anche dei segnali positivi di riposizionamento su una “normale” risalita dell’intera struttura dei tassi a causa del manifestarsi dell’inflazione, mentre al tempo stesso il fatto che quest’ultima è salita ma non di molto, nonostante un’ottima dinamica dei salari e della riduzione della disoccupazione fa ben sperare in una robusta crescita dell’economia reale senza che essa di “surriscaldi”.

L’OTTIMISMO DELLE AZIENDE. IL CASO CATERPILLAR

Da cosa deriva il relativo ottimismo? Innanzitutto dalle validissime notizie che giungono dall’andamento degli utili delle aziende di tutto il mondo: non sono mai stati così buoni e sembrano relativamente sincronizzati un po’ su tutto il pianeta. Una recente notizia, quella dell’ottima performance della Caterpillar, considerata l’azienda che meglio indica l’andamento dell’economia globale, è stata salutata da tutti come una conferma in tal senso. Di seguito i risultati di CAT:


Ma non solo: le innovazioni tecnologiche avanzano con decisione nell’automazione industriale e, insieme con esse, cresce anche il valore creato dalla “sharing economy” (l’economia della condivisione: quella che permette di ottenere gratis o quasi numerosi servizi in cambio di pubblicità e informazioni) che quasi sempre sfugge alle statistiche sul prodotto globale lordo ma non per questo non esiste.

Il fatto che l’economia globale cresca su base annua ad un ritmo vicino ( o probabilmente superiore) al 4% è testimoniato inoltre dalla dinamica positiva dei prezzi delle materie prime, come si vede nel grafico qui riportato:


IL CICLO ECONOMICO NON SEMBRA A RISCHIO

Queste e altre considerazioni fanno pensare che la volatilità che i mercati finanziari stanno subendo nelle ultime settimane sia in realtà quella tipica delle correzioni che arrivano sempre a metà del ciclo economico: e che perciò quest’ultimo abbia dunque ancora un paio di annetti di buona strada davanti a sè (tensioni geopolitiche permettendo) prima di invertire la rotta.

Certo quando la liquidità complessiva scende e i tassi crescono orientarsi sui mercati diventa molto più difficile, così come la necessaria rotazione dei portafogli che la correzione in corso provoca porterà probabilmente a ridimensionare le valutazioni stellari dei titoli legati a internet quali i FAANG ad esempio (acronimo che indica quelli a maggiore capitalizzazione come FACEBOOK, AMAZON, APPLE, NETFLIX e GOOGLE).

IL DOLLARO POTREBBE ANDARE CONTROCORRENTE

In questa situazione molti investitori decidono “tout-court” di restare liquidi e di non reinvestire in titoli azionari che una piccola parte di quanto avevano in precedenza in portafoglio (cosa che mi porta a credere che deterranno Dollari e che il biglietto verde, di conseguenza, potrebbe anche rivalutarsi, mentre le borse europee sembrano più stabili e meno sopravvalutate e di conseguenza vedranno un minor numero di disinvestimenti insieme, forse, ad un Euro più debole). Dunque la “rotazione “ dei portafogli è parziale e non favorisce che marginale i titoli anticiclici.

Ma bisogna anche notare che sono mesi che sono iniziati il processo di disinvestimento “strategico” dal mercato azionario e quello della rotazione dei portafogli e che dunque non c’è da attendersi dei veri e propri “tonfi” dei mercati americano e asiatici, che pure vedono le loro unghie spuntarsi a causa della forte incidenza sui loro listini dei titoli “tecnologici”.

DIFFICILE FARE “STOCK-PICKING”

Probabilmente è tornato di nuovo il momento di selezionare (con molta parsimonia) l’acquisto di titoli “value” (che esprimono cioè maggior valore intrinseco), sebbene bisogna difendersi dall’elevata correlazione che le borse hanno mostrato di recente tra i tra i titoli dei diversi comparti, lasciando perciò poco spazio alla selezione dei portafogli. Di seguito un grafico al riguardo:


E’ interessante notare che l’indice di correlazione qui riportato non sia andato alle stelle soltanto quando le borse stavano per crollare, ma anche in molte altre occasioni in cui semplicemente gli investitori hanno avuto più paura. Un mezzo buon segno insomma. Insieme ad un avvertimento: in momenti come quello attuale nessuna borsa è davvero in acque sicure, nemmeno quella italiana! (di seguito l’andamento dell’indice negli ultimi 5 anni):

 

Stefano di Tommaso