USIAMO AMAZON COME “TERMOMETRO” DELLA FEBBRE DELLE BORSE

Difficile fare previsioni in termini di rendimento dei mercati borsistici quando i momenti sono come quello che stiamo vivendo ! Da un lato le principali aziende quotate a Wall Street sono valutate sempre più esageratamente dagli acquirenti delle loro azioni, dall’altro lato ci sono validi motivi per ritenere che le migliori tra le medesime continueranno a migliorare le loro già ottime performances. E poi oramai da tempo ai medesimi acquirenti non restano grandi alternative per allocare i loro risparmi. Proviamo perciò a misurare la “febbre” del mercato cercando di esplorare il valore intrinseco di Amazon, il titolo più brillante e più controverso di tutte le blue chips, quantomeno per l’abnorme multiplo di valore che la caratterizza (331 volte gli utili prospettici).

 

IL FATTURATO AMAZON CRESCE QUANTO LE BORSE

Nonostante sia diventato un colosso globale Amazon è da considerarsi ancora un’azienda in decisa espansione sui mercati asiatici, quelli che più trainano la crescita economica mondiale. In India per esempio il 2017 lo ha chiuso con un +105%. Nel mondo, in parte a causa dell’esplosione dell’e-commerce, in parte per un’ottima focalizzazione aziendale sulla crescita, Amazon riesce da oltre 10 anni a progredire in termini di ricavi e margini a un ritmo superiore al 20% composto annuo.

Questa focalizzazione sulla crescita dimensionale le ha permesso di ottenere la leadership globale di uno dei settori che stanno cambiando il mondo: quello dell’e-commerce, ma per riuscirvi Amazon ha pagato ovviamente un prezzo. Negli stessi anni ha prodotto ben pochi profitti e nessun dividendo.

Volendo perciò ragionare in termini di valore intrinseco dell’azienda possiamo provare a ipotizzare due scenari (positivi): il primo e più realistico è che per i prossimi anni essa continui a crescere in modo lineare anche nei prossimi 5 anni. Un orizzonte ragionevole potrebbe essere 5 anni. Ma in tal caso il fatturato crescerebbe a poco più del doppio.

Il secondo, meno realistico anche per la concorrenza che le si sta sviluppando attorno, è che possa crescere ad un ritmo simile a quello precedente (+21%) e cioè in modo esponenziale e contemporaneamente riesca anche a incrementare i margini (che storicamente si situano allo 0,5% del fatturato) più che proporzionalmente alla crescita (già ottimistica) del fatturato.

I MULTIPLI PERÒ SONO DA CAPOGIRO

Amazon infatti fattura già oggi 161 miliardi di dollari e -con la prosecuzione della crescita al 21% composto annuo- nel 2022 arriverebbe a oltre 410 miliardi. Se proporzionali i profitti crescerebbero dunque a oltre 20 miliardi ( cioè arriverebbero a 26 dollari per azione) ma, nonostante questo possa sembrare un ottimo risultato, non basterebbe di sicuro a giustificare il prezzo attuale di oltre 1300 dollari, cioè oltre 50 volte quegli utili.

Se i diretti concorrenti di Amazon quotano in media 21 volte gli utili il maggior multiplo di Amazon (331 volte) è invece è giustificato oggi in conseguenza di attese di crescita di quest’ultima più che proporzionali.

Attendersi però che ancora tra 5 anni il suo multiplo possa restare a più di 50 volte gli utili è oggettivamente ardito: sarebbe infatti circa il doppio del multiplo medio di mercato (26 volte).

QUANTO VARRÀ TRA 5 ANNI?

Resta ovviamente la possibilità (non così assurda) che i margini di Amazon arrivino anch’essi a raddoppiare, portandosi a circa l’1% del fatturato riportando i multipli prospettici del 2022 al magico numero di 26 volte ed è esattamente ciò che scommette oggi il mercato nell’attribuire a questa regina della borsa il favoloso multiplo di 331 volte gli utili del 2018.

E comunque ricordiamoci che valutare un titolo 26 volte gli utili significa attribuirgli un misero rendimento implicito del 4%.

Forse è proprio qui tutta la magìa del momento che la borsa americana (e con essa tutte le altre di riflesso) sta vivendo: se parliamo delle aziende “regine del mercato” da un lato le loro quotazioni, per quanto ottimistiche, possono non risultare così fantasiose, dall’altro lato le medesime, per quanto possano risultare realistiche (in una prospettiva di forte crescita dell’economia mondiale), sono sicuramente anche animate da fortissimo ottimismo.

Se è vero che gli indici delle Borse valori sono pesantemente influenzati dall’andamento delle blue chips (che “pesano” per buona parte del listino) è altrettanto vero che le altre aziende quotate quasi per certo non raggiungeranno nemmeno una piccola frazione di tali mirabolanti performances. Dunque c’è ragione di attendersi che il mercato incrementi nel tempo la propria selettività. E poi non possiamo escludere che qualcosa possa sempre andare storto, riducendo le aspettative di crescita degli utili e minacciando la tenuta Delle borse.

ASPETTATIVE ESTREMAMENTE OTTIMISTICHE MA RAZIONALI

La morale potrebbe dunque essere quella di dover constatare attraverso il “termometro” prescelto un eccesso di ottimismo per i listini globali, unitamente all’aspettativa generalizzata di maggior selettività degli investimenti.

Ma rimane il fatto che un 4% di rendimento implicito di lungo periodo è pur sempre un risultato che nessun investitore riesce a reperire sul mercato alternativo: quello del reddito fisso (al netto di eventuali perdite in conto capitale al rialzo dei tassi).

Se da qualche parte i quattrini dei risparmiatori devono pur finire, ecco che -nonostante i livelli stratosferici- la Borsa riesce a svolgere meglio di tanti altri mercati la funzione di indicatore dello stato di salute dell’economia reale. E, come se ne può dedurre, il titolo di Amazon conferma di essere un ottimo termometro della sua febbre da risultato.

Stefano di Tommaso




BERNIE SANDERS: LIBERIAMOCI DALLO STRAPOTERE DEI MILIARDARI!

Ecco a che punto siamo come pianeta nel 2018: dopo tutte le guerre, le rivoluzioni e i summit internazionali degli ultimi cento anni, viviamo in un mondo dove un gruppo minuscolo di individui incredibilmente ricchi può esercitare un controllo spropositato sulla vita economica e politica della comunità globale.

Nonostante sia difficile da capire, la verità è che le sei persone più ricche del mondo adesso possiedono più ricchezza della parte più povera della popolazione mondiale – 3,7 miliardi di persone. Inoltre, l’1% più benestante adesso ha più soldi del restante 99%. Nel frattempo, mentre i miliardari ostentano la loro ricchezza, quasi una persona su sette cerca di sopravvivere con meno di un dollaro e 25 al giorno e – orribile – circa 29.000 bambini muoiono ogni giorno per cause totalmente prevedibili come la diarrea, la malaria e la polmonite.

Al contempo, in tutto il mondo élite corrotte, oligarchi e monarchie anacronistiche spendono miliardi nelle stravaganze più assurde. Il sultano del Brunei possiede 500 Roll Royce e vive in uno dei più grandi palazzi al mondo con 1788 camere, valutato 350 milioni di dollari. In Medio Oriente, che vanta cinque dei dieci monarchi più ricchi al mondo, giovani reali fanno la bella vita in giro per il mondo mentre la regione soffre per il tasso di disoccupazione giovanile più alto del mondo e almeno 29 milioni di bambini vivono in povertà senza avere accesso ad alloggi decenti, acqua pulita e cibo nutriente. Inoltre, mentre centinaia di milioni di persone vivono in condizioni terribili, i mercanti d’armi diventano sempre più ricchi mentre i governi spendono migliaia di miliardi in armi.

Negli Stati Uniti, Jeff Bezos – fondatore di Amazon e attualmente la persona più ricca del mondo – ha un patrimonio netto di più di 100 miliardi. Possiede almeno quattro mansioni, che nel complesso valgono decine di milioni di dollari. E se questo non fosse abbastanza, sta spendendo 42 milioni di dollari per costruire un orologio all’interno di una montagna, in Texas, che dovrebbe funzionare per 10.000 anni. Ma nei magazzini di Amazon di tutto il paese, i suoi impiegati spesso lavorano per lunghe, estenuanti ore e ricevono salari così bassi che devono fare affidamento sulla Medicaid, sui buoni spesa e sugli alloggi popolari pagati dai contribuenti statunitensi.

Non solo, ma in un periodo di enorme disuguaglianze di ricchezza e di reddito, le persone di tutto il mondo stanno perdendo la fiducia nella democrazia – nei governi scelti dal popolo, per il popolo e del popolo. Le persone sono sempre più coscienti che l’economia globale è stata truccata per favorire quelli che stanno già in alto a spese di tutti gli altri. E sono arrabbiate.

Milioni di persone lavorano sempre di più per salari sempre più bassi rispetto a 40 anni fa, sia negli Stati Uniti che in molti altri paesi. Osservano la situazione, sentendosi indifesi di fronte ai pochi potenti che comprano le elezioni e a una élite politica ed economica che diventa sempre più ricca, mentre il futuro dei loro figli diventa sempre più cupo.

Al centro di tutta questa disparità economica, il mondo assiste a un’avanzata allarmante dell’autoritarismo e dell’estremismo di destra – che alimenta, sfrutta e amplifica il risentimento di coloro che sono stati lasciati indietro, e soffia sul fuoco dell’odio etnico e razziale.

Adesso, più che mai, quelli di noi che credono nella democrazia e nei governi progressisti devono unire i lavoratori e le persone a basso reddito di tutto il mondo dietro a programmi che riflettano i loro bisogni. Invece dell’odio e delle divisioni, dobbiamo offrire un messaggio di speranza e di solidarietà. Dobbiamo sviluppare un movimento internazionale che affronti l’avidità e l’ideologia della classe miliardaria e che porti a un mondo di giustizia economica, sociale e ambientale. Sarà una lotta facile, questa? Ovviamente no. Ma è una lotta che non possiamo evitare. La posta in gioco è troppo alta.

Come ha detto giustamente Papa Francesco in un discorso in Vaticano nel 2013: “Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano”. E poi: “Oggi è tutto assoggettato alle leggi della competizione e della sopravvivenza del più adatto, dove i potenti si nutrono di coloro che non hanno potere. Di conseguenza, masse di persone si ritrovano escluse e marginalizzate: senza lavoro, senza possibilità, senza mezzi per fuggire”.

Un nuovo e internazionale movimento progressista deve impegnarsi a contrastare le disuguaglianze strutturali sia fra che dentro le nazioni. Un movimento del genere deve superare le mentalità del “culto del denaro” e la “sopravvivenza del più adatto” contro cui ci ha messo in guardia il Papa. Deve supportare politiche nazionali e internazionali finalizzate ad aumentare gli standard di vita delle persone povere e della classe operaia – piena occupazione, un salario dignitoso, istruzione superiore e sanità universalistiche, accordi di commercio equo e solidale. Inoltre, dobbiamo tenere sotto controllo il potere delle grosse aziende e impedire la distruzione ambientale del nostro pianeta come conseguenza dei cambiamenti climatici.

Questo è solo un esempio di ciò che dobbiamo fare. Un paio di anni fa, Tax Justice Network ha calcolato che le persone più ricche e le aziende più grosse del mondo hanno ammassato almeno 21-32 trilioni di dollari in paradisi fiscali offshore per evitare di pagare le tasse. Se lavoriamo insieme per eliminare gli abusi fiscali offshore, il gettito fiscale generato potrebbe mettere fine alla fame nel mondo, creare centinaia di milioni di nuovi posti di lavoro e sostanzialmente ridurre le estreme disuguaglianze di reddito e ricchezza. Potrebbe essere utilizzato per portarci con decisione verso un’agricoltura sostenibile e per accelerare la trasformazione del nostro sistema energetico, portandoci lontano dai combustibili fossili e verso fonti di energia rinnovabili.

Affrontare la cupidigia di Wall Street, il potere delle multinazionali giganti e l’influenza della classe miliardaria globale non è solo l’unica cosa morale da fare – è un imperativo strategico geopolitico. Ricerche del programma di sviluppo delle Nazioni Unite hanno mostrato che la percezione dei cittadini delle disuguaglianze, della corruzione e dell’esclusione sono fra i segnali più affidabili sulla possibilità che le comunità supportino l’estremismo di destra e gruppi violenti. Quando le persone sentono che tutto è in loro sfavore e non vedono possibilità di cambiare le cose, è molto più probabile che si rivolgano a soluzioni pericolose che non fanno altro che esacerbare il problema.

Questo è un momento cruciale nella storia mondiale. Con l’esplosione della tecnologia avanzata e i progressi che questa ha portato, abbiamo la capacità di aumentare notevolmente la ricchezza globale in maniera equa. Abbiamo tutti i mezzi a nostra disposizione per eliminare la povertà, aumentare le aspettative di vita e creare un sistema energetico globale economico e non inquinante.

Questo è quello che possiamo fare se avremo il coraggio di unirci e affrontare gli interessi particolari dei più potenti che vogliono solo di più per loro stessi. Questo è ciò che dobbiamo fare per il bene dei nostri figli, dei nostri nipoti e per il futuro del nostro pianeta.

BERNIE SANDERS

(The Guardian, 14 Gennaio 2018)




GUERRA ALLE CRIPTO VALUTE?

La Cina, la Corea e molti altri Paesi con forti restrizioni alla circolazione internazionale dei capitali sono stati sino ad oggi il principale motore di espansione della diffusione di Bitcoin e, di conseguenza, le quotazioni di quest’ultimo sono cresciute in funzione della domanda che trovava un’offerta plafonata a precise regole dettate dalla Blockchain. Ma senza il fondamentale apporto della domanda di Bitcoin da parte delle popolazioni più vessate dalle restrizione alla circolazione di capitali non ci sarebbe stata la poderosa ascesa cui abbiamo assistito in tutto il 2017.

Oggi (all’inizio del nuovo anno) sta succedendo l’opposto: a causa delle forti restrizioni che vengono introdotte per frenare il travaso di capitali da un regime controllato a uno libero (le cripto valute non hanno frontiere e poi sono anonime) non ci sono nuovi compratori (quasi tutti provenienti dai Paesi Emergenti) e viceversa chi aveva ottenuto mirabolanti guadagni sta pensando bene di monetizzarli nel timore del peggio. E le quotazioni scendono.

Sicuramente ciò alimenta la volatilità dei corsi della cripto valuta più diffusa al mondo, e di conseguenza rischia di riuscire a minare la sua caratteristica di riserva di valore (nell’anonimato e al riparo da vincoli e tassazioni). Ma è credibile che il mondo riesca a dichiarare guerra al libero scambio di Bitcoin e altre valute svincolate da quelle “ufficiali”? La mia risposta è no, ma solo se si guarda al medio-lungo periodo (è difficile dichiarare guerra al libero scambio: esistono sempre modi di aggirare i vincoli), Evidentemente nel breve termine il discorso può essere molto diverso.

Oggi il Bitcoin scende principalmente perché era salito troppo e troppo velocemente. Scende perché la domanda “naturale” di gruzzoletto al riparo dagli scherzi del fisco e dello stato-tiranno viene fatta abortire per legge, mentre chi ne aveva profittato per tempo oggi preferisce fare cassa in attesa degli sviluppi. Ma fino a che punto chi li aveva comperati nel corso del 2017 (la maggior parte dei detentori attuali) è disposto a svenderlo?

Avrei scommesso sarebbero stati ancor meno di quelli che si sono rivelati oggi, ma l’effetto psicologico del forte e repentino apprezzamento è destinato a scomparire presto. Dopo resterà la legge della domanda e dell’offerta e la mia previsione è che la domanda tornerà a superare l’offerta, magari più gradualmente e mano mano che si esauriscono gli speculatori puri, cioè coloro che avevano solo l’obiettivo di cavalcare l’onda (che saranno stati probabilmente anche i primi a tirare i remi in barca).

In una visione strettamente utilitaristica del fenomeno il Bitcoin è visto dai più come riserva di valore e pertanto se oscilla troppo o subisce troppe restrizioni rischia di perdere quella (principale) caratteristica. Ma in una visione più idealistica del fenomeno le criptovalute rappresentano la vittoria del mondo libero, del cittadino che lascia le sue risorse nel Paese che gli permette di trarne il miglior profitto (o la miglior tranquillità) e che viene tassato per i suoi consumi, non per i risparmi accumulati. In un Paese di tal fatta il Bitcoin può circolare a pieno titolo, non meno di ogni altro titolo finanziario. Se qualcuno si accanisce contro una categoria di valori finanziari che non è quella controllata dal regime è perché il regime non lascia liberi i propri cittadini. Ma sino ad oggi quei regimi hanno tutti avuto vita breve, o si sono presto riconvertiti a forza al libero mercato, prima di veder prosciugare le proprie risorse interne perchè -alla lunga- queste trovano sempre il modo di svincolarsi da lacci e lacciuoli, mentre cercano di dirigersi dove non li trovano.

Possono i regimi autocratici del sud-est asiatico lasciare a lungo ingabbiati i capitali dei propri cittadini? Forse si, ma rischiano di pagare cara quella scelta. La storia a volte torna sui propri passi, ma non così a lungo. E la storia ci ha insegnato che le cripto valute sono la risposta naturale di chi cerca di svincolarsi alle restrizioni dei movimenti di capitali e alla loro tassazione. Mentre questi ultimi vengono impiegati (e generano frutti) dove sono più liberi e meno tartassati. Il Bitcoin è un tramite che può anche venire soppresso per legge in qualche Paese, ma se non intercorreranno altri problemi (tecnici o di migliori alternative) difficilmente i decreti ministeriali -da chiunque arrivino- ne sanciranno la fine!

Stefano di Tommaso

 




LE BORSE SONO SOPRAVVALUTATE?

Negli ultimi otto anni e in particolare nel corso del 2017 le borse di ogni paese hanno toccato continuamente nuovi massimi, allarmando gli investitori di ogni genere circa la possibilità che il mondo si trovi oggi nel bel mezzo di una gigantesca e ingiustificata bolla speculativa.

 

LA RICERCA DI BENI RIFUGIO NON HA SORTITO EFFETTI CALMIERATORI

L’eventualità che la bolla scoppi è più che concreta, dal momento che, da qualunque angolazione si provi a guardare il fenomeno della corsa dei valori mobiliari, esso appare aver sconfinato nell’eccesso, e da tempo provoca reazioni di ogni genere: dalla ricerca di coperture del rischio di crollo dei mercati attraverso strumenti derivativi di ogni genere, fino alla spasmodica ricerca di diversificare i risparmi in beni rifugio, quali immobili di pregio, beni artistici, metalli preziosi e cripto-valute.

Peró la ricerca di alternative da parte di investitori e risparmiatori avrebbe dovuto limare gli eccessi dei mercati finanziari e invece non ha ancora sortito alcun effetto calmieratorio, né relativamente ai corsi di titoli azionari e obbligazionari (e nonostante anche il programmato rialzo dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, da tempo dichiarato e in parte già attuato), né sui volumi di scambio quotidiani delle borse valori e nemmeno sugli investimenti alternativi sopra citati, visti come riserva di valore da un lato, ma sicuramente dall’altro lato “pesati” dagli operatori professionali tanto quanto più o meno tutte le principali categorie di investimento (“asset class”): cioè comunque fortemente correlati agli andamenti di azioni e obbligazioni (quindi con una limitata capacità di sortire una vera diversificazione).

MA L‘ASSET CLASS PIÙ A RISCHIO È QUELLA DEI TITOLI AZIONARI

Ovviamente la categoria percepita più a rischio da chiunque è quella dei titoli azionari quotati alle borse valori, che sono continuamente “prezzati” sulla base dei rendimenti attesi, dei rischi potenziali e, altrettanto ovviamente, sull’appetibilitá degli investimenti alternativi. Molti analisti di mercato si interrogano sull’irragionevolezza delle quotazioni raggiunte ma, come dimostra la storia recente, nessuno al mondo può vantare alcuna certezza al riguardo.

Molti sistemi di calcolo sono stati escogitati per tenere conto non soltanto del rendimento attuale, ma soprattutto di quello prospettico, di quello storico e dei rendimenti alternativi più o meno rischiosi sulla base dei quali costruire delle ipotesi razionali.

Purtroppo occorre anticipare che sembrano non esistere ipotesi razionali di alcuna sorta capaci di “spiegare” il presupposto razionale delle attuali quotazioni, e ciò sebbene siano da tempo al lavoro fior di matematici, premi Nobel e interi dipartimenti universitari per riuscire a comprendere quanto il mondo possa essersi avvicinato alla possibilità di una decisa correzione della crescita in atto delle quotazioni borsistiche, apparentemente infinita.

NON ESISTONO TEORIE ECONOMICHE QUANTITATIVE PER INDICARE VALIDE PREVISIONI

Comunque si giri la frittata il risultato che viene fuori in termini di giustificazione delle valutazioni esistenti è apparentemente privo di senso, più rischioso di quanto non lo fosse ai tempi dello scoppio delle peggiori bolle speculative degli ultimi secoli, e per di più in un contesto di eccesso di indebitamento globale e di prefigurata riduzione della liquidità esistente per effetto di lungamente preannunciate politiche monetarie tendenzialmente restrittive !

Eppure gli operatori non sembrano accorgersene e anzi, con il senno di poi affermano che gli stessi avvertimenti da analisti ed economisti sono giunti loro già un anno e mezzo fa e che, se li avessero ascoltati, oggi avrebbero mancato mostruose opportunità di guadagno. Difficile peraltro smentire il “furor di popolo” e la saggezza collettiva con sofisticate inferenze statistiche e altre diavolerie matematiche che i più non leggerebbero nemmeno.

Qualcuno afferma (probabilmente a ragione) che l’ossatura teorica sottostante ai modelli economici utilizzati è oramai obsoleta, qualcun altro fa notare che essa, quantomeno nel breve e medio periodo è stata smentita dai fatti, mentre “nel lungo periodo”… torna alla mente il memorabile aforisma di John Maynard Keynes: “…saremo tutti morti”!

LE CONSIDERAZIONI “QUALITATIVE”

Ma se gli attuali metodi quantitativi di valutazione delle azioni non sembrano lasciare alcun barlume di speranza nel fornire valide indicazioni per il prossimo futuro sui mercati, proviamo allora ad elencare quelli qualitativi, giusto per non lasciare alcunché di intentato.

Ecco allora che ci si interroga sugli effetti (non sappiamo se solo apparentemente virtuosi) della digitalizzazione di produzione, distribuzione e finanza dell’economia globale, come pure sugli effetti dell’eradicazione di talune pandemie nei paesi emergenti o infine sul semplice loro (vistoso) miglioramento in termini di tenore di vita medio dell’umanità, che sta innalzando il prodotto globale lordo tanto quanto lo sta innalzando la crescita demografica, imputabile anch’essa per lo più ai medesimi paesi emergenti. È evidente infatti che se l’economia globale cresce più rapidamente anche i profitti aziendali accelerano. O infine ci si interroga sugli effetti moltiplicativi della progressiva riduzione della tassazione dei profitti, della liberalizzazione dei mercati, della progressiva globalizzazione e delle nuove flessibilità nel mondo del lavoro.

Tali effetti, unitamente ad un regime globale di tassi bassi come non se ne vedevano da quasi un secolo, inciderebbero non poco sulla stima della corretta capitalizzazione dei profitti aziendali di molte delle società quotate e sulle aspettative della loro ulteriore crescita, riflettendosi indirettamente su un nuovo approccio alla valutazione dei titoli azionari delle medesime. Una prova indiretta di ciò la si può trovare nell’incremento senza precedenti dell’attivitá globale di fusioni e acquisizioni tra imprese, con valutazioni che rispecchiano quelle borsistiche.

L’EFFETTO SULLE VALUTAZIONI DELLA PREVALENZA DI TITOLI TECNOLOGICI

Quanto ai primi fattori sopra elencati (digitalizzazione e globalizzazione) si può riscontrare una progressiva prevalenza sui listini e sugli indici di borsa dei titoli collegati alle nuove tecnologie digitali, molti dei quali sono accreditati di sempre più rapida capacità di crescita e pertanto per questi ultimi i profitti attesi collegati ai titoli azionari andrebbero capitalizzati con fattori di sconto decisamente più contenuti, a causa del correttivo legato alla maggior crescita attesa dei profitti.

Dunque il combinato disposto della crescita attesa dei profitti e della maggior incidenza dei titoli tecnologici sul totale dei listini azionari rende oggettivamente poco paragonabili le quotazioni degli attuali indici di borsa a quelle di anche soltanto dieci o vent’anni fa, e dunque chi si limitasse ad accostare “sic et simpliciter” i moltiplicatori degli utili di ieri e quelli di oggi sbaglierebbe di diverse lunghezze, dati:

  • il minor livello dei tassi di interesse, atteso tale anche per il prossimo futuro,
  • la crescita degli utili derivante dall’impennata dell’attività economica globale
  • l’elevata incidenza dei titoli tecnologici (che scontano attese di forti accelerazioni negli utili previsti) sul totale del listino.

Quanto ai fattori generali (demografia in aumento, riduzione della tassazione e bassi tassi di interesse) non possiamo non notare che la vera differenza sui profitti aziendali attesi (e sulle aspettative di ulteriori crescite degli stessi) arriva dal cospicuo incremento della capacità di spesa e di investimento dei paesi emergenti, la quale attiva le esportazioni dai paesi più ricchi verso quelli più poveri e dunque una crescita indotta anche laddove la demografia resta statica, con ovvia e più forte accelerazione polarizzata nei paesi più avanzati (perché attirano più risorse finanziarie) e in quelli più retrogradi (perché demograficamente e come capacità di spesa crescono più velocemente).

Basteranno questi fattori qualitativi a individuare valide ragioni per giustificare gli attuali livelli ultra-speculativi dei titoli azionari oppure alla fine qualcuno premerà il grilletto e, come o peggio che nel 2008, una parte consistente della ricchezza globale sarà risucchiata da una nuova crisi finanziaria?

Nessuna risposta è breve né certa. Proverò a fornire la mia nel prossimo articolo.

Stefano di Tommaso