CACCIA AI GESTORI DI PATRIMONI

SALE LA FEBBRE DELLE ACQUISIZIONI PER SOCIETÀ DI GESTIONE E IN PARTICOLARE PER QUELLE SPECIALIZZATE IN INVESTIMENTI ALTERNATIVI

Un certo numero di grandi gruppi finanziari ha stanziato negli ultimi tempi somme importanti per identificare e acquisire società di gestione dei patrimoni, banche specializzate nel settore “private” e compagnie assicurative del ramo “vita” in tutti i Paesi industrialmente più avanzati.

Sono oggetto di maggior interesse in particolare quelle europee e specializzate in forme di investimento alternative, nel private equity e negli investimenti immobiliari. Evidentemente quel che risulta chiaro agli attori di tali iniziative è che la crescita organica risulta troppo lenta o poco remunerativa in comparazione con la possibilità di crescere per linee esterne, cioè attraverso acquisizioni.

UNA PROSPETTIVA DI MERCATO INTERESSANTE MA IL SETTORE SI AVVIA AD ESSERE SEMPRE PIÙ CONCENTRATO IN POCHE FORTI MANI

I prossimi anni vedranno infatti un affollamento di pensionamenti dei “baby boomers” nati negli anni cinquanta e sessanta, ciascuno con il suo piccolo o grande malloppo di risparmi per la vecchiaia, mentre un sempre minor numero dei medesimi appare intenzionato a “fare da sè” nella gestione degli investimenti. Una prospettiva dunque in crescita e con margini apprezzabili, sebbene la sempre maggior concentrazione del mercato del risparmio gestito in pochi grandi “player” e la scarsità di società “obiettivo” non faccia che aumentare decisamente le valutazioni di queste ultime. È notizia fresca (Financial Times di venerdì 16/3) che anche Amundi (che l’anno scorso ha acquisito Pioneer in Italia) si sia lanciata nella corsa stanziando circa mezzo miliardo di euro, mentre sta per quotarsi in Borsa a Londra DWS, il ramo di private banking di Deutsche Bank mentre anche le americane Goldmann Sachs e Blackstone, l’australiana Challenger stanno partecipando alla corsa per acquisire tanto patrimoni in gestione quando competenze specialistiche e specificità territoriali mentre infine Elliot Management (la medesima al centro della querelle su TIM) si prepara a una mega-acquisizione della compagnia di assicurazioni “vita” americana Prosperity Life.

UNO SCENARIO COMPLESSIVO EVIDENTEMENTE RASSICURANTE MA ANCHE L’OPPORTUNITÀ DI UNA CRESCITA CONCATENATA

Evidentemente lo scenario dei mercati finanziari non appare a nessuno di questi grandi gruppi così preoccupante, la corsa alla risalita dei tassi un fenomeno non certo destabilizzante e le prospettive economiche non certamente tali da inibire valutazioni da capogiro e forti incentivi ai managers che ci lavorano. Si parla infatti di valori d’azienda compresi tra le 9 e le 11 volte il margine di intermediazione, con punte anche molto superiori. L’aspettativa implicita degli acquirenti è dunque che i mercati finanziari non vivranno a breve grandi sconvolgimenti, che i robo-advisers non devasteranno il mercato, che le commissioni di gestione non subiranno ulteriori riduzioni.

Bisogna d’altronde notare che il mercato del risparmio gestito continua la sua crescita e parallelamente prosegue la corsa alla sua concentrazione in poche grandi mani. Le acquisizioni in questione possono infatti riservare due differenti vantaggi ai loro promotori: crescere in velocità dimensionalmente, per raggiungere le opportune economie di scala in un settore – quello del risparmio gestito – sempre più globalizzato, ma anche eventualmente attivare un interessante gioco di scatole cinesi facendo si che ciascuna società o banca acquisita possa a sua volta utilizzare le risorse finanziarie in gestione per effettuare altre acquisizioni a valle, cogliendo un’opportunità di leva implicita in un settore che evidentemente rimane nonostante tutto ancora relativamente poco monitorato dalle autorità di vigilanza.

 

Stefano di Tommaso




TRE SGUARDI SULLA CINA

In questo momento di grande fermento, in particolare nel continente  asiatico, dove la crescita economica è più forte e la demografia è migliore che nel resto del mondo, la Cina è sotto i riflettori dei “media” in quanto crescente potenza mondiale. È in questo contesto che stanno maturando taluni bradisismi capaci di sovvertire gli equilibri precedentemente raggiunti in campo geopolitico, economico e finanziario. E in tutti e tre i campi qualcosa sta avvenendo, che spesso non piace ai commentatori occidentali ma che ha invece molto senso dal punto di vista strategico: in tutto il continente il potere politico sta riprendendo il sopravvento, in nome della stabilità.

 

XI JINPING AL COMANDO

Parliamo innanzitutto dei bradisismi che riguardano la politica, dei quali il più evidente di tutti appare senza dubbio l’abolizione del limite di due mandati presidenziali per l’attuale leader del partito popolare cinese, praticamente l’unico partito ammesso.

In una recente seduta del Parlamento egli ha ottenuto una vera e propria ovazione e (quasi) l’unanimitá nel richiedere che venisse rimosso il limite dei due mandati quinquennali per la stessa persona quale Presidente.

Un risultato importante, che mette il Paese al riparo dai giochi di potere che avrebbero potuto svilupparsi qualora la corsa per successione all’attuale leader fosse partita.

La stampa internazionale ha giudicato in modo molto diffuso questa notizia negativamente (magari strumentalmente all’affermazione della mancanza di democrazia in Cina) ma io vorrei avanzare in proposito qualche perplessità: rimuovere il limite dei due mandati al Presidente della Repubblica in un continente come quello asiatico non significa abdicare alla democrazia (che non c’è comunque, ma se fino ad oggi tutti hanno fatto affari con la Cina e nessuno se n’è scandalizzato un motivo ci sarà), perché esiste sempre la teorica possibilità che egli non venga rieletto.

Ma se questo Presidente ha tenuto a bada le lobby di influenza occidentale o ha fatto troppo ricco il Paese allora si che non è meglio che resti. Esattamente come sta avvenendo in Russia con Putin, che resta ben oltre i due mandati e non ci va esattamente con mano leggera, ma piace al suo popolo.

LA GUERRA COMMERCIALE CON GLI AMERICANI

Ma siamo sicuri che sia mai esistita? Una contrapposizione forte alla crescita economica cinese, giudicata allora pericolosa per la sicurezza nazionale, c’era ai tempi di Obama (e della Clinton segretario di Stato), ma adesso -se guardiamo ai fatti- è quasi il contrario. Non è passato molto tempo da quando Donald Trump ha invitato nella sua villa sul mare il Presidentissimo, e da quando di conseguenza si sono sviluppati numerosi accordi di collaborazione. È vero che Trump punta a difendere l’industria nazionale dal dumping delle fabbriche di stato e dalle politiche di cambio aggressive dei cinesi, ma questo deve ancora iniziare a costituire un vero problema nelle relazioni tra i due Paesi.

Qualcuno ha fatto notare che le importazioni a basso prezzo dalla Cina creano benessere per gli Americani, ma la verità è che il liberismo a senso unico (la Cina non lascia libera circolazione delle merci americane sul suo territorio) e soprattutto l’assenza di liberismo finanziario male si conciliano con quello mercantile. Persino l’Unione Europea qualche balzello alle importazioni americane lo ha sempre messo.

Notiamo inoltre che da qualche anno tutti i Paesi che avevano puntato sulla,delocalizzazione industriale, sulla finanza e sul commercio, stanno tornando a ripristinare l’apparato produttivo interno prima che sia troppo tardi.

In questa prospettiva l’accusa di protezionismo a Trump appare come l’ennesima occasione dei “media” occidentali per gettargli addosso del fango.

IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE FA PRESSIONI

Nemmeno sul versante finanziario l’Occidente ha dormito nel cercare di contrastare l’avanzata cinese quale prima potenza globale. Dal punto di vista economico lo sarebbe stata già dal 2012 se non fosse stato svalutato il Renminbi e, poiché la ricchezza delle nazioni si misura ancora in Dollari -per ora- essa resta al secondo posto.

Sono anni però che gli organismi sovranazionali premono perché l’erogazione del credito in Cina si riduca, adducendo problemi di stabilità del sistema finanziario che, se crollasse, creerebbe numerosi problemi anche al resto del mondo.

Ma sappiamo che il grosso dei prestiti ai privati in Cina avviene attraverso il sistema bancario-ombra, vale a dire attraverso il locale mercato dei capitali interno. Pericoloso anch’esso, certamente (a causa della scarsa capitalizzazione delle finanziarie private), ma sicuramente non finanziato con denaro di Stato se non in via molto indiretta. Dunque il fantomatico problema del sistema finanziario cinese si sposta sul denaro pubblico, quello che lo Stato potrebbe stampare in eccesso, avviando una pericolosa inflazione.

Ma la Cina batte propria moneta e dunque il disavanzo di Stato non può che scaricarsi sulla debolezza della moneta, contrastata dai controlli sui flussi di esportazione dei capitali ma che tutto sommato non dispiace a nessuno, dal momento che lascia molta competitività alle esportazioni cinesi.

Ecco perché a Trump non resta che alzare il prezzo delle merci che arrivano in America: perché ogni altra iniziativa sarebbe molto più ostile.

Stefano di Tommaso




QUANTO DURERÀ LA CRESCITA ECONOMICA?

Da un paio d’anni i dati statistici ci hanno abituati a rimanere ogni volta positivamente stupiti: da tempo infatti in America si paventa l’inversione del ciclo economico positivo e poi invece si finisce per prendere atto del suo rilancio. Si è detto che ciò accada grazie a Trump, al suo taglio fiscale e, adesso, a grazie alla prospettiva del lancio di grandi progetti infrastrutturali (anche se verosimilmente non prenderanno forma prima della fine dell’anno).

 

L’ALLUNGAMENTO DEL SUPER-CICLO ECONOMICO

Probabilmente le concause dell’allungamento del ciclo economico sono molto più numerose che non solo quelle politiche, ma è doveroso ricordare che era da molto tempo che il Presidente degli Stati Uniti non veniva preso così pesantemente a schiaffi dai media e viene da pensare che dunque almeno una parte delle accuse che gli vengono mosse dai grandi media (la quasi nostra unica fonte di notizie) non sia poi così fondata e imparziale. Se così fosse allora qualche merito della crescita ce l’avrebbe anche il Presidente, quantomeno in termini di iniezione di entusiasmo e ottimismo che sappiamo bene quanto possano giovare.

(Citiamo l’America a proposito delle tendenze del Prodotto Interno Lordo perché è arcinoto che quasi tutto quel che accade prima colá poi, con ritardo e moderazione, arriva anche in Europa. Ma negli ultimi anni tra le varie regioni del mondo è iniziato un certo sincronismo e pertanto il divario temporale tra quel che accade in America e quello che succede nel Vecchio Continente tende sempre più a ridursi, mentre addirittura è spesso e volentieri il Continente Asiatico quello che anticipa le nuove tendenze)

FANNO BENE LE BANCHE CENTRALI AD ALZARE I TASSI?

Ebbene in quasi tutto il mondo si inizia a prendere atto che la minaccia inflazionistica (così come era stato per quella deflazionistica prima del Quantitative Easing globale) non ha al momento consistenza e che dunque il pluriannunciato programma delle Banche Centrali di rialzo continuo dei tassi, di risucchio della liquidità immessa in passato e di nuove stringenti richieste di ulteriore capitalizzazione delle banche potrebbe essere fuori luogo e anzi estremamente dannoso.

Se così fosse, seppure non nell’immediato, l’investimento azionario tornerebbe ad essere sconsigliabile, mentre quello in titoli a reddito fisso non sarebbe più altrettanto rischioso. La prospettiva di calma piatta avvolgerebbe come una nebbia i mercati borsistici, riducendone le oscillazioni ma anche le prospettive.

Se questi ultimi non subiranno alcun tracollo però l’economia reale viceversa ci metterà molto più tempo a metabolizzare la riduzione delle prospettive di sviluppo, gli investimenti industriali proseguiranno ancora per tutto l’anno in corso così come i profitti aziendali godranno forse fino a tutta la primavera 2019 (epoca di bilanci) dell’onda lunga degli investimenti incrementali, mentre la dinamica salariale sospingerà la crescita dei consumi e -magari- i grandi investimenti infrastrutturali incrementali (se si paleseranno), potranno ulteriormente allungare il già lungo super-ciclo di crescita.

LO SVILUPPO PREVEDIBILE…

Morale: in questo scenario la ripresa economica globale potrebbe durare fino a tutto il 2019 mentre le borse, viceversa, potrebbero non crescere ma forse nemmeno subire grandi scossoni, geopolitica, petrolio e tenuta del sistema bancario permettendo.

Ma esiste un diverso scenario? Forse si, ed è quello di un sistema di banche e banchieri centrali che tenta troppo presto di “rimettere le leve al punto zero” riguardo a tassi (troppo bassi?) e (troppi) titoli in portafoglio acquistati per immettere liquidità sul mercato. Quel “troppo presto” può provocare lo scoramento degli investitori, degli imprenditori che pensavano di finanziare altri investimenti e dei manager che ipotizzano ancora oggi di finanziare i propri “buy-back” per guadagnare dalle ottime stock-option. In una parola: può provocare la recessione.

… SE I BANCHIERI CENTRALI NON FARANNO DANNI

È tuttavia inverosimile, sebbene nessuno possa davvero prevedere cosa ci riserva il prossimo futuro. Dunque buone notizie, nell’immediato, e poche chiacchiere con i banchieri centrali: questa volta per loro l’inventarsi un fantasma che non esiste rimarrà un esercizio decisamente più difficile !

Stefano di Tommaso




LA VITTORIA DI DRAGHI: L’ECONOMIA EUROPEA CRESCE AL RIPARO DALL’INFLAZIONE

A tutti i criticoni che si sperticavano nel prendersela con il Q.E. (Quantitative Easing : il programma di ampliamento della base monetaria che ha aiutato a ripristinare la liquidità in circolazione erosa dalla crisi economica) promosso dal governatore della B.C.E. (Banca Centrale Europea) Mario Draghi, ieri quest’ultimo ha risposto con i numeri: nel 2018 e nel 2019 l’inflazione media europea è attesa stabile all’1,4% mentre la crescita del Prodotto Interno Lordo (il P.I.L.) europeo è prevista al rialzo : 2,4% per il 2018 e 1,9% per il 2019.

 

Il Q.E. dunque non si tocca sino a Ottobre 2018 e probabilmente anche oltre, più esattamente sino a quando l’inflazione non avrà superato stabilimente il 2% . I “falchi” tedeschi potranno anche inventarsi delle storie, ma i fatti parlano chiaro: ha avuto ragione Draghi e perdipiù il principale beneficiario degli acquisti di titoli della BCE è stata proprio la Germania, il cui P.I.L. è atteso in crescita più che altrove: 2,6% per il 2018. Nonostante il Q.E. la moneta unica resta fortissima (1,24 volte un Dollaro) e le prospettive -non solo economiche ma anche quelle dei mercati finanziari- non accennano ad offuscarsi: le borse europee hanno reagito bene al discorso con una bella risalita di oltre l’1% medio e non sono viste particolarmente a rischio.

Un accenno al pericolo di instabilità politica in Italia ovviamente Draghi lo ha fatto: i Paesi ad elevato debito non possono permettersi pericolose oscillazioni governative. Come dire : attenzione alla tentazione di inventarvi un reddito di cittadinanza senza trovarne abbondante copertura.

Ovvio, come il fatto che il voto nella penisola nel suo complesso non è certo risultato favorevole alle politiche di Bruxelles. La morale è che con le sue misurate parole Draghi distilla anche un messaggio sottile ai suoi burocrati e ai falchi della Bundesbank candidati a guidare la BCE dopo di lui : senza le politiche monetarie accomodanti della BCE l’ultima tornata elettorale nell’Unione Europea sarebbe stata ancor più lacerante.

Chi vuol intendere intenda!

Stefano di Tommaso