BERNIE SANDERS: LIBERIAMOCI DALLO STRAPOTERE DEI MILIARDARI!

Ecco a che punto siamo come pianeta nel 2018: dopo tutte le guerre, le rivoluzioni e i summit internazionali degli ultimi cento anni, viviamo in un mondo dove un gruppo minuscolo di individui incredibilmente ricchi può esercitare un controllo spropositato sulla vita economica e politica della comunità globale.

Nonostante sia difficile da capire, la verità è che le sei persone più ricche del mondo adesso possiedono più ricchezza della parte più povera della popolazione mondiale – 3,7 miliardi di persone. Inoltre, l’1% più benestante adesso ha più soldi del restante 99%. Nel frattempo, mentre i miliardari ostentano la loro ricchezza, quasi una persona su sette cerca di sopravvivere con meno di un dollaro e 25 al giorno e – orribile – circa 29.000 bambini muoiono ogni giorno per cause totalmente prevedibili come la diarrea, la malaria e la polmonite.

Al contempo, in tutto il mondo élite corrotte, oligarchi e monarchie anacronistiche spendono miliardi nelle stravaganze più assurde. Il sultano del Brunei possiede 500 Roll Royce e vive in uno dei più grandi palazzi al mondo con 1788 camere, valutato 350 milioni di dollari. In Medio Oriente, che vanta cinque dei dieci monarchi più ricchi al mondo, giovani reali fanno la bella vita in giro per il mondo mentre la regione soffre per il tasso di disoccupazione giovanile più alto del mondo e almeno 29 milioni di bambini vivono in povertà senza avere accesso ad alloggi decenti, acqua pulita e cibo nutriente. Inoltre, mentre centinaia di milioni di persone vivono in condizioni terribili, i mercanti d’armi diventano sempre più ricchi mentre i governi spendono migliaia di miliardi in armi.

Negli Stati Uniti, Jeff Bezos – fondatore di Amazon e attualmente la persona più ricca del mondo – ha un patrimonio netto di più di 100 miliardi. Possiede almeno quattro mansioni, che nel complesso valgono decine di milioni di dollari. E se questo non fosse abbastanza, sta spendendo 42 milioni di dollari per costruire un orologio all’interno di una montagna, in Texas, che dovrebbe funzionare per 10.000 anni. Ma nei magazzini di Amazon di tutto il paese, i suoi impiegati spesso lavorano per lunghe, estenuanti ore e ricevono salari così bassi che devono fare affidamento sulla Medicaid, sui buoni spesa e sugli alloggi popolari pagati dai contribuenti statunitensi.

Non solo, ma in un periodo di enorme disuguaglianze di ricchezza e di reddito, le persone di tutto il mondo stanno perdendo la fiducia nella democrazia – nei governi scelti dal popolo, per il popolo e del popolo. Le persone sono sempre più coscienti che l’economia globale è stata truccata per favorire quelli che stanno già in alto a spese di tutti gli altri. E sono arrabbiate.

Milioni di persone lavorano sempre di più per salari sempre più bassi rispetto a 40 anni fa, sia negli Stati Uniti che in molti altri paesi. Osservano la situazione, sentendosi indifesi di fronte ai pochi potenti che comprano le elezioni e a una élite politica ed economica che diventa sempre più ricca, mentre il futuro dei loro figli diventa sempre più cupo.

Al centro di tutta questa disparità economica, il mondo assiste a un’avanzata allarmante dell’autoritarismo e dell’estremismo di destra – che alimenta, sfrutta e amplifica il risentimento di coloro che sono stati lasciati indietro, e soffia sul fuoco dell’odio etnico e razziale.

Adesso, più che mai, quelli di noi che credono nella democrazia e nei governi progressisti devono unire i lavoratori e le persone a basso reddito di tutto il mondo dietro a programmi che riflettano i loro bisogni. Invece dell’odio e delle divisioni, dobbiamo offrire un messaggio di speranza e di solidarietà. Dobbiamo sviluppare un movimento internazionale che affronti l’avidità e l’ideologia della classe miliardaria e che porti a un mondo di giustizia economica, sociale e ambientale. Sarà una lotta facile, questa? Ovviamente no. Ma è una lotta che non possiamo evitare. La posta in gioco è troppo alta.

Come ha detto giustamente Papa Francesco in un discorso in Vaticano nel 2013: “Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano”. E poi: “Oggi è tutto assoggettato alle leggi della competizione e della sopravvivenza del più adatto, dove i potenti si nutrono di coloro che non hanno potere. Di conseguenza, masse di persone si ritrovano escluse e marginalizzate: senza lavoro, senza possibilità, senza mezzi per fuggire”.

Un nuovo e internazionale movimento progressista deve impegnarsi a contrastare le disuguaglianze strutturali sia fra che dentro le nazioni. Un movimento del genere deve superare le mentalità del “culto del denaro” e la “sopravvivenza del più adatto” contro cui ci ha messo in guardia il Papa. Deve supportare politiche nazionali e internazionali finalizzate ad aumentare gli standard di vita delle persone povere e della classe operaia – piena occupazione, un salario dignitoso, istruzione superiore e sanità universalistiche, accordi di commercio equo e solidale. Inoltre, dobbiamo tenere sotto controllo il potere delle grosse aziende e impedire la distruzione ambientale del nostro pianeta come conseguenza dei cambiamenti climatici.

Questo è solo un esempio di ciò che dobbiamo fare. Un paio di anni fa, Tax Justice Network ha calcolato che le persone più ricche e le aziende più grosse del mondo hanno ammassato almeno 21-32 trilioni di dollari in paradisi fiscali offshore per evitare di pagare le tasse. Se lavoriamo insieme per eliminare gli abusi fiscali offshore, il gettito fiscale generato potrebbe mettere fine alla fame nel mondo, creare centinaia di milioni di nuovi posti di lavoro e sostanzialmente ridurre le estreme disuguaglianze di reddito e ricchezza. Potrebbe essere utilizzato per portarci con decisione verso un’agricoltura sostenibile e per accelerare la trasformazione del nostro sistema energetico, portandoci lontano dai combustibili fossili e verso fonti di energia rinnovabili.

Affrontare la cupidigia di Wall Street, il potere delle multinazionali giganti e l’influenza della classe miliardaria globale non è solo l’unica cosa morale da fare – è un imperativo strategico geopolitico. Ricerche del programma di sviluppo delle Nazioni Unite hanno mostrato che la percezione dei cittadini delle disuguaglianze, della corruzione e dell’esclusione sono fra i segnali più affidabili sulla possibilità che le comunità supportino l’estremismo di destra e gruppi violenti. Quando le persone sentono che tutto è in loro sfavore e non vedono possibilità di cambiare le cose, è molto più probabile che si rivolgano a soluzioni pericolose che non fanno altro che esacerbare il problema.

Questo è un momento cruciale nella storia mondiale. Con l’esplosione della tecnologia avanzata e i progressi che questa ha portato, abbiamo la capacità di aumentare notevolmente la ricchezza globale in maniera equa. Abbiamo tutti i mezzi a nostra disposizione per eliminare la povertà, aumentare le aspettative di vita e creare un sistema energetico globale economico e non inquinante.

Questo è quello che possiamo fare se avremo il coraggio di unirci e affrontare gli interessi particolari dei più potenti che vogliono solo di più per loro stessi. Questo è ciò che dobbiamo fare per il bene dei nostri figli, dei nostri nipoti e per il futuro del nostro pianeta.

BERNIE SANDERS

(The Guardian, 14 Gennaio 2018)




GUERRA ALLE CRIPTO VALUTE?

La Cina, la Corea e molti altri Paesi con forti restrizioni alla circolazione internazionale dei capitali sono stati sino ad oggi il principale motore di espansione della diffusione di Bitcoin e, di conseguenza, le quotazioni di quest’ultimo sono cresciute in funzione della domanda che trovava un’offerta plafonata a precise regole dettate dalla Blockchain. Ma senza il fondamentale apporto della domanda di Bitcoin da parte delle popolazioni più vessate dalle restrizione alla circolazione di capitali non ci sarebbe stata la poderosa ascesa cui abbiamo assistito in tutto il 2017.

Oggi (all’inizio del nuovo anno) sta succedendo l’opposto: a causa delle forti restrizioni che vengono introdotte per frenare il travaso di capitali da un regime controllato a uno libero (le cripto valute non hanno frontiere e poi sono anonime) non ci sono nuovi compratori (quasi tutti provenienti dai Paesi Emergenti) e viceversa chi aveva ottenuto mirabolanti guadagni sta pensando bene di monetizzarli nel timore del peggio. E le quotazioni scendono.

Sicuramente ciò alimenta la volatilità dei corsi della cripto valuta più diffusa al mondo, e di conseguenza rischia di riuscire a minare la sua caratteristica di riserva di valore (nell’anonimato e al riparo da vincoli e tassazioni). Ma è credibile che il mondo riesca a dichiarare guerra al libero scambio di Bitcoin e altre valute svincolate da quelle “ufficiali”? La mia risposta è no, ma solo se si guarda al medio-lungo periodo (è difficile dichiarare guerra al libero scambio: esistono sempre modi di aggirare i vincoli), Evidentemente nel breve termine il discorso può essere molto diverso.

Oggi il Bitcoin scende principalmente perché era salito troppo e troppo velocemente. Scende perché la domanda “naturale” di gruzzoletto al riparo dagli scherzi del fisco e dello stato-tiranno viene fatta abortire per legge, mentre chi ne aveva profittato per tempo oggi preferisce fare cassa in attesa degli sviluppi. Ma fino a che punto chi li aveva comperati nel corso del 2017 (la maggior parte dei detentori attuali) è disposto a svenderlo?

Avrei scommesso sarebbero stati ancor meno di quelli che si sono rivelati oggi, ma l’effetto psicologico del forte e repentino apprezzamento è destinato a scomparire presto. Dopo resterà la legge della domanda e dell’offerta e la mia previsione è che la domanda tornerà a superare l’offerta, magari più gradualmente e mano mano che si esauriscono gli speculatori puri, cioè coloro che avevano solo l’obiettivo di cavalcare l’onda (che saranno stati probabilmente anche i primi a tirare i remi in barca).

In una visione strettamente utilitaristica del fenomeno il Bitcoin è visto dai più come riserva di valore e pertanto se oscilla troppo o subisce troppe restrizioni rischia di perdere quella (principale) caratteristica. Ma in una visione più idealistica del fenomeno le criptovalute rappresentano la vittoria del mondo libero, del cittadino che lascia le sue risorse nel Paese che gli permette di trarne il miglior profitto (o la miglior tranquillità) e che viene tassato per i suoi consumi, non per i risparmi accumulati. In un Paese di tal fatta il Bitcoin può circolare a pieno titolo, non meno di ogni altro titolo finanziario. Se qualcuno si accanisce contro una categoria di valori finanziari che non è quella controllata dal regime è perché il regime non lascia liberi i propri cittadini. Ma sino ad oggi quei regimi hanno tutti avuto vita breve, o si sono presto riconvertiti a forza al libero mercato, prima di veder prosciugare le proprie risorse interne perchè -alla lunga- queste trovano sempre il modo di svincolarsi da lacci e lacciuoli, mentre cercano di dirigersi dove non li trovano.

Possono i regimi autocratici del sud-est asiatico lasciare a lungo ingabbiati i capitali dei propri cittadini? Forse si, ma rischiano di pagare cara quella scelta. La storia a volte torna sui propri passi, ma non così a lungo. E la storia ci ha insegnato che le cripto valute sono la risposta naturale di chi cerca di svincolarsi alle restrizioni dei movimenti di capitali e alla loro tassazione. Mentre questi ultimi vengono impiegati (e generano frutti) dove sono più liberi e meno tartassati. Il Bitcoin è un tramite che può anche venire soppresso per legge in qualche Paese, ma se non intercorreranno altri problemi (tecnici o di migliori alternative) difficilmente i decreti ministeriali -da chiunque arrivino- ne sanciranno la fine!

Stefano di Tommaso

 




LE BORSE SONO SOPRAVVALUTATE?

Negli ultimi otto anni e in particolare nel corso del 2017 le borse di ogni paese hanno toccato continuamente nuovi massimi, allarmando gli investitori di ogni genere circa la possibilità che il mondo si trovi oggi nel bel mezzo di una gigantesca e ingiustificata bolla speculativa.

 

LA RICERCA DI BENI RIFUGIO NON HA SORTITO EFFETTI CALMIERATORI

L’eventualità che la bolla scoppi è più che concreta, dal momento che, da qualunque angolazione si provi a guardare il fenomeno della corsa dei valori mobiliari, esso appare aver sconfinato nell’eccesso, e da tempo provoca reazioni di ogni genere: dalla ricerca di coperture del rischio di crollo dei mercati attraverso strumenti derivativi di ogni genere, fino alla spasmodica ricerca di diversificare i risparmi in beni rifugio, quali immobili di pregio, beni artistici, metalli preziosi e cripto-valute.

Peró la ricerca di alternative da parte di investitori e risparmiatori avrebbe dovuto limare gli eccessi dei mercati finanziari e invece non ha ancora sortito alcun effetto calmieratorio, né relativamente ai corsi di titoli azionari e obbligazionari (e nonostante anche il programmato rialzo dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, da tempo dichiarato e in parte già attuato), né sui volumi di scambio quotidiani delle borse valori e nemmeno sugli investimenti alternativi sopra citati, visti come riserva di valore da un lato, ma sicuramente dall’altro lato “pesati” dagli operatori professionali tanto quanto più o meno tutte le principali categorie di investimento (“asset class”): cioè comunque fortemente correlati agli andamenti di azioni e obbligazioni (quindi con una limitata capacità di sortire una vera diversificazione).

MA L‘ASSET CLASS PIÙ A RISCHIO È QUELLA DEI TITOLI AZIONARI

Ovviamente la categoria percepita più a rischio da chiunque è quella dei titoli azionari quotati alle borse valori, che sono continuamente “prezzati” sulla base dei rendimenti attesi, dei rischi potenziali e, altrettanto ovviamente, sull’appetibilitá degli investimenti alternativi. Molti analisti di mercato si interrogano sull’irragionevolezza delle quotazioni raggiunte ma, come dimostra la storia recente, nessuno al mondo può vantare alcuna certezza al riguardo.

Molti sistemi di calcolo sono stati escogitati per tenere conto non soltanto del rendimento attuale, ma soprattutto di quello prospettico, di quello storico e dei rendimenti alternativi più o meno rischiosi sulla base dei quali costruire delle ipotesi razionali.

Purtroppo occorre anticipare che sembrano non esistere ipotesi razionali di alcuna sorta capaci di “spiegare” il presupposto razionale delle attuali quotazioni, e ciò sebbene siano da tempo al lavoro fior di matematici, premi Nobel e interi dipartimenti universitari per riuscire a comprendere quanto il mondo possa essersi avvicinato alla possibilità di una decisa correzione della crescita in atto delle quotazioni borsistiche, apparentemente infinita.

NON ESISTONO TEORIE ECONOMICHE QUANTITATIVE PER INDICARE VALIDE PREVISIONI

Comunque si giri la frittata il risultato che viene fuori in termini di giustificazione delle valutazioni esistenti è apparentemente privo di senso, più rischioso di quanto non lo fosse ai tempi dello scoppio delle peggiori bolle speculative degli ultimi secoli, e per di più in un contesto di eccesso di indebitamento globale e di prefigurata riduzione della liquidità esistente per effetto di lungamente preannunciate politiche monetarie tendenzialmente restrittive !

Eppure gli operatori non sembrano accorgersene e anzi, con il senno di poi affermano che gli stessi avvertimenti da analisti ed economisti sono giunti loro già un anno e mezzo fa e che, se li avessero ascoltati, oggi avrebbero mancato mostruose opportunità di guadagno. Difficile peraltro smentire il “furor di popolo” e la saggezza collettiva con sofisticate inferenze statistiche e altre diavolerie matematiche che i più non leggerebbero nemmeno.

Qualcuno afferma (probabilmente a ragione) che l’ossatura teorica sottostante ai modelli economici utilizzati è oramai obsoleta, qualcun altro fa notare che essa, quantomeno nel breve e medio periodo è stata smentita dai fatti, mentre “nel lungo periodo”… torna alla mente il memorabile aforisma di John Maynard Keynes: “…saremo tutti morti”!

LE CONSIDERAZIONI “QUALITATIVE”

Ma se gli attuali metodi quantitativi di valutazione delle azioni non sembrano lasciare alcun barlume di speranza nel fornire valide indicazioni per il prossimo futuro sui mercati, proviamo allora ad elencare quelli qualitativi, giusto per non lasciare alcunché di intentato.

Ecco allora che ci si interroga sugli effetti (non sappiamo se solo apparentemente virtuosi) della digitalizzazione di produzione, distribuzione e finanza dell’economia globale, come pure sugli effetti dell’eradicazione di talune pandemie nei paesi emergenti o infine sul semplice loro (vistoso) miglioramento in termini di tenore di vita medio dell’umanità, che sta innalzando il prodotto globale lordo tanto quanto lo sta innalzando la crescita demografica, imputabile anch’essa per lo più ai medesimi paesi emergenti. È evidente infatti che se l’economia globale cresce più rapidamente anche i profitti aziendali accelerano. O infine ci si interroga sugli effetti moltiplicativi della progressiva riduzione della tassazione dei profitti, della liberalizzazione dei mercati, della progressiva globalizzazione e delle nuove flessibilità nel mondo del lavoro.

Tali effetti, unitamente ad un regime globale di tassi bassi come non se ne vedevano da quasi un secolo, inciderebbero non poco sulla stima della corretta capitalizzazione dei profitti aziendali di molte delle società quotate e sulle aspettative della loro ulteriore crescita, riflettendosi indirettamente su un nuovo approccio alla valutazione dei titoli azionari delle medesime. Una prova indiretta di ciò la si può trovare nell’incremento senza precedenti dell’attivitá globale di fusioni e acquisizioni tra imprese, con valutazioni che rispecchiano quelle borsistiche.

L’EFFETTO SULLE VALUTAZIONI DELLA PREVALENZA DI TITOLI TECNOLOGICI

Quanto ai primi fattori sopra elencati (digitalizzazione e globalizzazione) si può riscontrare una progressiva prevalenza sui listini e sugli indici di borsa dei titoli collegati alle nuove tecnologie digitali, molti dei quali sono accreditati di sempre più rapida capacità di crescita e pertanto per questi ultimi i profitti attesi collegati ai titoli azionari andrebbero capitalizzati con fattori di sconto decisamente più contenuti, a causa del correttivo legato alla maggior crescita attesa dei profitti.

Dunque il combinato disposto della crescita attesa dei profitti e della maggior incidenza dei titoli tecnologici sul totale dei listini azionari rende oggettivamente poco paragonabili le quotazioni degli attuali indici di borsa a quelle di anche soltanto dieci o vent’anni fa, e dunque chi si limitasse ad accostare “sic et simpliciter” i moltiplicatori degli utili di ieri e quelli di oggi sbaglierebbe di diverse lunghezze, dati:

  • il minor livello dei tassi di interesse, atteso tale anche per il prossimo futuro,
  • la crescita degli utili derivante dall’impennata dell’attività economica globale
  • l’elevata incidenza dei titoli tecnologici (che scontano attese di forti accelerazioni negli utili previsti) sul totale del listino.

Quanto ai fattori generali (demografia in aumento, riduzione della tassazione e bassi tassi di interesse) non possiamo non notare che la vera differenza sui profitti aziendali attesi (e sulle aspettative di ulteriori crescite degli stessi) arriva dal cospicuo incremento della capacità di spesa e di investimento dei paesi emergenti, la quale attiva le esportazioni dai paesi più ricchi verso quelli più poveri e dunque una crescita indotta anche laddove la demografia resta statica, con ovvia e più forte accelerazione polarizzata nei paesi più avanzati (perché attirano più risorse finanziarie) e in quelli più retrogradi (perché demograficamente e come capacità di spesa crescono più velocemente).

Basteranno questi fattori qualitativi a individuare valide ragioni per giustificare gli attuali livelli ultra-speculativi dei titoli azionari oppure alla fine qualcuno premerà il grilletto e, come o peggio che nel 2008, una parte consistente della ricchezza globale sarà risucchiata da una nuova crisi finanziaria?

Nessuna risposta è breve né certa. Proverò a fornire la mia nel prossimo articolo.

Stefano di Tommaso




LE BORSE SONO SOPRAVVALUTATE? (seguito articolo precedente)

Le considerazioni qualitative fatte nell’articolo precedente (tassi di interesse bassi, crescita economica dei paesi emergenti e loro demografia, miglioramento dei profitti aziendali e maggior incidenza dei titoli tecnologici sul paniere dei listini di borsa) portano a pensare che nell’osservare gli sviluppi dei mercati azionari ci si trovi di fronte ad un cambiamento di paradigma nel valutare le aziende, quantomeno quelle che corrono di più. Difficile però generalizzare, dal momento che queste ultime non sono equamente distribuite in tutte le Borse e che anzi, le altre (quelle operanti sui mercati più maturi) possano per lo stesso motivo avere vita sempre più dura.

 

I LISTINI CRESCONO DI PIÙ DOVE CI SONO TITOLI TECNOLOGICI

Wall Street corre anche perché sul totale di quel listino è più elevato il “peso” percentuale dei titoli tecnologici -quelli che oggi sviluppano la maggior capitalizzazione- i quali evidentemente godono di valutazioni molto superiori al normale.

Amazon ad esempio, come si può dedurre dai due grafici qui riportati, venerdì scorso capitalizzava 629 miliardi di dollari con un prezzo dell’azione giunto a 1300 dollari, ma secondo alcuni analisti potrebbe valere quasi l’8% in più (1400 dollari), perché il prezzo obiettivo precedente, di 1200 dollari, non solo è stato superato dai fatti, ma implicava un moltiplicatore dell’EBITDA (margine operativo lordo) di appena 15 volte, mentre quello corretto (atteso per il 2019) si situerebbe intorno a 18 volte.


Qual è la ratio? Ovviamente quella della velocità di crescita degli utili, che per Amazon tende a situarsi intorno al 33% e dunque al di sopra della media di mercato ma anche di quella degli altri cosiddetti FANG (Facebook 28%, Amazon 33%, Netflix30% Google 17%). Ma quanto varrebbe Amazon senza le aspettative di crescita al 33% composto annuo dei suoi profitti? Probabilmente neanche i due terzi di quel numero.


COSA SE NE PUÒ DEDURRE REGIONE PER REGIONE

Dalle osservazioni riportate derivano perciò molte considerazioni pratiche:

  • non è possibile generalizzare circa la sostenibilità degli attuali livelli delle borse perché molto dipende dalla qualità dei titoli che ne compongono gli indici;
  • anzi possiamo immaginare che la selettività degli investitori sulla qualità dei singoli titoli quotati possa soltanto accrescersi nel tempo, accentuando anche -probabilmente- le differenze tra listino e listino;
  • la volatilità dei corsi tuttavia non è pensabile che si mantenga così bassa in eterno, soprattutto pensando a quanta parte delle valutazioni dei migliori titoli tecnologici dipende dal realizzarsi delle attese (un piccolo scostamento tendenziale può determinare una forte differenza di valore);
  • la periodica rotazione dei portafogli degli investitori nel corso del 2017 non ha quasi dato luogo a “sell-out” diffusi, anzi: possiamo affermare che non c’è quasi stata, data la scarsa appetibilità delle asset class alternative, ma neanche qui possiamo scommettere che la situazione non cambi;

AMERICA

Difficile dedurne elementi di pessimismo per i listini Americani (Wall Street e NASDAQ), visto che la corsa delle maggiori società tecnologiche americane non accenna a fermarsi e che questo fatto attira capitali sui mercati finanziari più liquidi del mondo.

Dal momento tuttavia che una buona parte dei guadagni in conto capitale si materializzano quando la liquidità è abbondante, bisogna anche chiedersi come questa cambierà nel corso del prossimo anno prima di emettere un giudizio che derivi esclusivamente dalle considerazioni sopra esposte.

Se la Federal Reserve contrarrà (come ha promesso) la liquidità disponibile sul mercato per contrastare sul nascere i possibili focolai di inflazione, allora saranno soltanto la generazione di cassa fresca delle imprese e i flussi di capitali in entrata a poter sorreggere le borse, buona parte dell’effetto dei quali è già tuttavia risucchiato dal deficit commerciale strutturale americano.

I mercati temono poi l’eventualità che il Presidente emarginato o addirittura rimosso per motivo di salute mentale. Non è una cosa molto probabile, ma grandi forze si stanno commentando nel disegno e, se dovessero farcela, le aspettative di riduzione delle tasse andrebbero in fumo, così come una bella parte della capitalizzazione delle borse.

EUROPA

In Europa ci sono pochi titoli tecnologici quotati in borsa (se escludiamo il Regno Unito), ma le aspettative sulla crescita dei consumi e l’elevata immissione di liquidità (tutt’ora in corso) da parte delle banche centrali ha favorito i listini azionari, mentre due fattori li hanno invece penalizzati (seppur meno che proporzionalmente) : il cambio dell’Euro contro Dollaro e la crescita della bolletta energetica.

Se da un lato non ci si attende né che il Dollaro continui a svalutarsi contro Euro e nemmeno che il prezzo del petrolio continui a salire, dall’altro lato la Banca Centrale Europea ha chiaramente lasciato intendere che non proseguirà in eterno con il Quantitative Easing. Dunque dal punto di vista strutturale non si materializza un’aspettativa per l’Europa di forti crescite delle proprie borse. Qualora tuttavia il piano Macron per l’Europa dovesse trasformarsi in realtà allora sicuramente le borse accompagnerebbero l’accresciuto livello di fiducia degli investitori.

ASIA

In Asia il discorso è diverso, ma più difficile è dedurne una chiara indicazione: la crescita economica, quella dei consumi, dell’industria locale e dei commerci fa da traino al resto del mondo e continuerà probabilmente ancora a lungo a farlo. Le borse non possono che celebrare questo momento dorato e dunque corrono, unitamente alla crescita progressiva del risparmio gestito e della percentuale di quest’ultimo che finisce sui mercati mobiliari.

Ma l’instabilità finanziaria della Cina e, conseguentemente, di molti altri Paesi emergenti limitrofi continua ad aumentare e non è possibile non tenerne conto.

Quanto peserà perciò il rischio finanziario sulle aspettative degli investitori? Quali probabilità ci sono che potrà trasformarsi in panico e conseguenti vendite generalizzate di titoli e valute locali ? Poche, in assoluto, ma non zero.

CONCLUSIONI E CIGNI NERI (O BIANCHI) ALL’ORIZZONTE

L’indagine sulla sopravvalutazione delle Borse non ha portato a grandi motivi per ritenerle semplici vittime di bolle speculative ed eccessi di liquidità, anzi: abbiamo trovato motivi relativamente validi per ritenere che esista una giustificazione razionale ai livelli raggiunti. Non possiamo tuttavia affermare che dal punto di vista macroeconomico esistano altrettante giustificazioni razionali alle attese di ulteriori, mirabolanti impennate dei listini di Borsa, in nessuna parte del mondo.

Esiste in realtà una forza potente che potrebbe scatenare la prossima volata delle borse, che è l’avvio delle prime applicazioni commerciali dell’intelligenza artificiale. Ma bisogna vedere se, quando arriverà, tale forza non dovrà scontrarsi con altri problemi delle borse, ad esempio la mancata tempestiva monetizzazione del debito pubblico globale.

IL POSSIBILE RITORNO DELLO “STOCK PICKING” E DEI TITOLI “VALUE”

La morale delle morali è però tutt’altra: se è difficile generalizzare e formulare previsioni attendibili sui listini globali (dato che dipendono da troppe variabili) è però ipotizzabile che, dopo la grande abbuffata, gli investitori torneranno a optare per un maggior rigore nella selezione dei titoli e che tra questi sceglieranno soprattutto quelli “value” (meno ciclici e con un maggior contenuto di valore intrinseco). Ed è probabilmente lì che potranno realizzarsi buone performances a prescindere da ciò che avviene a livello planetario, soprattutto qualora a tale livello non succederà proprio alcunché.

Stefano di Tommaso