NELL’ERA DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE IL MONDO SPENDE 100 MILIARDI DI DOLLARI PER VIDEOGIOCHI E SPORTS ONLINE

È notizia fresca di questi giorni (Financial Times del 6/6) per la PlayStation4 di Sony l’aver toccato il record di 60 milioni di unità vendute nei tre anni e mezzo passati da quando è stata lanciata, con 10 milioni di unità vendute da Natale ad oggi.

 

IL TRIONFO DELLA PLAYSTATION 4

Sony ha lavorato duramente per mantenere la sua leadership su una agguerrita concorrenza popolata di giganti tra i quali Microsoft e Nintendo, aggiungendo continuamente nuovi servizi online al suo pubblico di affezionati utenti, come lo streaming di contenuti TV tramite la piattaforma PlayStation Vue o come la piattaforma a pagamento PlayStation Plus, che offre la possibilità di scaricare vecchi giochi e che conta la bellezza di 26 milioni di sottoscrittori.

Ma la vera notizia non riguarda gli eccezionali risultati della piattaforma Sony, che pure ha incrementato in un anno di quasi il 50% i ricavi provenienti dalla vendita di contenuti online, bensì il settore dei videogiochi in generale, dal momento che anche Nintendo sta performando meglio del previsto con la sua console portatile Nintendo Switch. Lanciata in Marzo le sue vendite sono sempre state superiori alle disponibilità di stock, creando sino ad oggi lunghe code di attesa.

il mercato del gaming infatti continua a crescere a tassi decisamente interessanti e chiude il 2016 con un giro d’affari stimato di quasi $ 100 miliardi, tra acquisti convenzionali, pagamenti in app e pubblicità, con un balzo del+8.5% rispetto l’anno precedente. Se esperienze come Pokemon Go dimostrano le brevità delle aspettative di popolarità per questa categoria di contenuti digitali, a trainarne la crescita rimangono comunque gli smartphones, per i quali la diffusione dei videogiochi registra un’impressionante +24% dal 2015 al 2016.

UN PARADOSSO INTERESSANTE

Ecco un paradosso interessante che -se approfondito- rivela quanto il mondo digitale stia cambiando le abitudini di tutti: dai consumatori agli operatori del settore e sinanco di quelle realtà imprenditoriali che all’apparenza rimangono distanti dall’industria videoludica: ai nostri giorni mentre i dispositivi mobili sono divenuti indispensabili per la vita lavorativa della quasi totalità delle persone, i giochi ad essi destinati godono di un mercato in grande espansione e fortemente diversificato!

I videogames diventano strumenti interattivi e, al tempo stesso, potenti veicoli di pubblicità a disposizione di ogni azienda qualunque sia il settore in cui essa opera. Se ciò è vero in parte per tutte le piattaforme dei giochi virtuali, quella degli smartphone offre in realtà un vantaggio in più: la possibilità di raggiungere in modo più efficace quella fascia di nuovi consumatori, i cosiddetti millennials, che resta ormai quasi immune alle politiche di marketing tradizionali.

Quelli che seguono sono i dati pubblicati da Newzoo sul mercato globale previsto in forte espansione anche nel prossimo futuro. Un mercato che nel complesso è previsto in crescita di almeno il 6% annuo fino al 2019. L’importanza dei dispositivi mobili si conferma perciò dominante con una quota di mercato che si attende superi il 45% del totale, tra smartphone e tablet.

Ma il trend positivo abbraccia anche console e giochi per PC (rispettivamente +2% e +3% annui). Il 2016 verrà ricordato come un anno di progresso tecnologico nella virtual reality con l’introduzione sul mercato di numerosi accessori per console e computer con un significativo miglioramento nella qualità dell’esperienza.
Parliamo di prodotti quali PlayStation VR, Oculus Rift e HTC Vive che hanno ampiamente superato le prestazioni delle offerte precedenti (Samsung VR) ma ad un costo decisamente elevato.

La sfida dell’anno in corso quindi rimane la spinta delle vendite di questi nuovi prodotti, che nel 2016 sono state limitate non solo dai prezzi ma anche dalla scarsa compatibilità con i giochi già in commercio. Cosa ci aspettiamo dunque dal 2017?

Se la maggior parte degli operatori sarà impegnata ad intraprendere un percorso di sviluppo dei giochi esclusivi per la virtual reality, non mancheranno i tentativi di integrare i tradizionali sistemi con la realtà aumentata, un approccio con rischi minori per il business che incontra anche la necessità di non sconvolgere del tutto le abitudini dei giocatori.

L’AVANZATA DEGLI E-SPORTS

Se il lato dell’offerta si concentra sull’avanzamento tecnologico, dal lato della domanda uno dei fenomeni di massa più interessanti degli ultimi decenni è senza dubbio quello degli “e-Spors” (sport virtuali). Il perché è duplice.

Innanzitutto gli eSports ben riflettono il cambiamento nel profilo del giocatore, ad oggi non più solo un appassionato che si rifugia nella realtà virtuale per evadere da ciò che lo circonda, bensì anche un player interattivo che vuole confrontarsi con i suoi simili e cerca nelle proprie vittorie tanto popolarità quanto gratificazioni virtuali e monetarie. Un protagonista disposto anche a spendere ingenti quantità di denaro per mostrare le proprie abilità alla community.

Non meno importante poi risulta la sempre più corposa fetta di popolazione coinvolta, ora non esclusivamente legata al mondo dei videogame.

400 MILIONI DI FANS

Sono infatti circa 400 milioni i fans degli eSports, un mercato di audience potenziale estremamente interessante disposto a seguire competizioni e a scommettere su di esse.
I tornei hanno ormai iniziato a diffondersi a macchia d’olio in tutto il mondo, si moltiplicano gli eventi itineranti, seguitissime sono le piattaforme streaming come Twitch, Azubu o il canale dedicato di Youtube, i montepremi crescono tanto da sfondare nel 2016 la quota di $20 milioni (The International di Dota2).

Un mercato possiamo dire ancora agli esordi che già raggiunge numeri a cui nessuno guarda con indifferenza. Anche le reti televisive internazionali stanno progressivamente lasciando più spazio a tali eventi e numerose sono le ricerche per lo sviluppo di piattaforme che introducano giocatori e spettatori nel mondo degli eSports. Il commercio dei diritti mediatici sta diventando un business importante ed è atteso crescere sette volte nei prossimi 4 anni dai soli $50 milioni del 2016 ai $340 milioni nel 2020.

Tali aspettative non possono non richiamare l’attenzione in primis dei club e delle leghe sportive che riconoscono nel mondo virtuale un’opportunità da cogliere al volo. Prendiamo ad esempio il caso dell’Olanda, tra le prime nazione a creare una lega FIFA dove gli eTeams prendono il nome delle tradizionali squadre calcistiche.

IL MERCATO PUBBLICITARIO

Ma non è solo il mondo sportivo ad alimentare il mercato degli sponsor. Anche brands che poco o nulla c’entrano con i videogiochi puntano sugli eSports, investendo nel 2016 circa $350 milioni tra diritti, pubblicità e sponsorship. Grandi nomi, da Intel a Samsung fino a Coca-Cola e Mastercard, spiccano tra gli sponsor nell’eSports per raggiungere un pubblico con un età inferiore ai 35 anni (80% degli appassionati), con un’alta concentrazione di millennials ed con una capacità di spesa mediamente elevata.

Dunque anche un settore che già appare lontano dalla tradizione dei videogames sta attualmente attraversando un periodo di radicale cambiamento, passando da una dimensione privata e personale ad una forma di intrattenimento collettivo.

Ma l’evoluzione non si arresta mai. Secondo il parere degli esperti infatti ci sono ancora alcune mancanze che devono essere colmate per portate l’utente (gamer/spettatore) al centro della scena per fidelizzarlo agli eSports. Il tema delle gratificazioni è dunque ciò su cui bisogna puntare: ad oggi sono ancora pochi i giocatori che hanno la possibilità di guadagnare sfruttando le proprie capacità competitive mentre buona parte degli spettatori tende ad avere un ruolo ancora passivo.

I prossimi passi? E’ difficile a dirsi in un settore fortemente dinamico come questo. Le nuove tecnologie giocheranno sicuramente un ruolo importante ma sono le idee a contare davvero perché in grado di colmare quelle lacune nel mercato potenziale ad oggi ancora non del tutto esplorato.


Stefano di Tommaso e Federica Cardone




Red Shift

Potrebbe essere arrivato il momento di osservare i mercati finanziari attraverso un diverso metodo, dal momento che quello tradizionale con il quale interpretiamo i risultati dell’analisi “fondamentale” basandola sull’andamento delle principali variabili macroeconomiche, ci fornisce invece un quadro assai contraddittorio, che sinora è stato capace di ingannare la maggior parte degli analisti finanziari.

 

IL CANTO DELLE CORNACCHIE

Sono infatti almeno sei mesi (dopo la fine del 2016 quando la borsa è salita in funzione del cosiddetto “Trump trade”) che ci sentiamo ripetere che i listini azionari sono sopravvalutati, che -compiuti i fatidici sette anni- il ciclo economico positivo non può che volgere al suo naturale termine (almeno in America), che il “tapering” delle banche centrali occidentali restringerà la liquidità in circolazione e tornerà ad alzare i tassi (sebbene per quelle orientali il discorso sia, almeno per il momento, assai diverso) e che dunque sia destinata a sgonfiarsi la gigantesca bolla speculativa che ha favorito i listini e pompato anche i valori dei titoli a reddito fisso.

Sembra sopita per il momento persino la speranza di essere entrati in una nuova epoca che -a partire dal mondo anglosassone- inauguri un deciso taglio alle tasse e un forte incremento degli investimenti per infrastrutture, due fattori che avrebbero il potere di  rilanciare decisamente la crescita economica globale.

Eppure i mercati finanziari non sembrano affatto averla presa male. Restano a galleggiare tranquillamente sui massimi di sempre, assorbendo sinanco l’impatto (oramai dato per scontato) del secondo turno di rialzo dei tassi USA a metà Giugno e, anzi, il corso del Dollaro sembra incamminato verso una china discendente nonostante la Federal Reserve abbia chiaramente indicato che i rendimenti del biglietto verde saliranno tre volte ancora, dopo quello imminente.

LA CRESCITA DEGLI UTILI NON PLACA I TIMORI

Aggiungiamo che i profitti delle società quotate che compongono i principali indici di borsa nell’anno in corso sembrano ulteriormente destinati a crescere: del 24% nell’Eurozona e dell’11% in USA. L’America sembra inoltre veder crescere il suo Prodotto Interno Lordo del 2,3-2,5% quest’anno, contro un 1,6% medio dell’Europa (una crescita media che, senza alcune palle al piede di Paesi resilienti come l’Italia, sarebbe superiore al 2%).

Buone notizie, da piena ripresa economica, o da nuovo slancio del ciclo esistente. Ma secondo gli analisti queste cifre non bastano da sole a giustificare i nuovi massimi dei mercati azionari, non bastano per spiegarne il mancato ridimensionamento. Al contrario! Tutti si aspettano a breve qualche pericolo: un crollo delle borse o, quantomeno, una riduzione dei valori d’azienda espressi dai multipli dei profitti.

Sebbene sia quasi impossibile per chiunque formulare delle ipotesi accurate, lo è tanto più difficile quanto più si voglia navigare controcorrente in contrapposizione al coro generale degli analisti e strateghi di borsa che continuano a guardare la quiete dei mercati quale precursore di tempeste che -nella mia umile opinione- non si materializzano forse mai.

Il mio punto di osservazione mi porta invece a vedere un ordinato dispiegamento di fattori di crescita e di consolidamento dell’economia globale, soprattutto nel continente asiatico, nell’ambito di un mondo che -nel complesso- vede espandere la sua popolazione e la sua produzione di servizi digitali (spesso gratuiti ma che generano comunque importanti valori aziendali) a ritmi ben superiori alle risibili percentuali di crescita economica dell’Occidente.

IL “RED SHIFT” DELL’ECONOMIA MONDIALE

Nell’osservazione dell’Universo, il “red shift” (ovvero lo “spostamento verso il rosso” delle onde elettromagnetiche ricevute) è la constatazione dell’effetto “Doppler” relativo all’allontanamento delle galassie da cui esse provengono, effetto tanto più marcato quanto più sono distanti. Il “red shift” è perciò divenuto nel tempo il sinonimo dell’espansione dell’Universo, misurato in frazioni infinitesimali se proviamo a usare il nostro tempo (anni) e il nostro metro (multipli di chilometri), ma di portata inimmaginabile se lo computiamo su base cosmica, cioè osservando gli oggetti più lontani.

Ed è proprio a partire dall’osservazione degli oggetti più lontani che vorrei argomentare la mia personale spiegazione degli eventi economici globali: la crescita economica che si materializza soprattutto in Asia, con i suoi 5 miliardi di abitanti (quasi dieci volte quelli di USA e Eurozona insieme), i quali in massima parte stanno uscendo adesso dalla condizione di indigenza, è un bradisismo espansivo che trova limitato riscontro nelle statistiche ufficiali, innanzitutto per due motivi:

1) La crescita economica è espressa in valori monetari denominati in divise relativamente deboli rispetto a Dollaro e Euro (si dice che il P.I.L. della Cina avrebbe superato quello americano già nel 2012 se lo Yuan non si fosse svalutato ben di più);
2) una parte consistente della crescita economica è invece basata sulla generazione di contenuti e valori digitali, a partire da quello del Bitcoin, che non trovano posto nelle statistiche ufficiali ma che esprimono valori di accelerazione ben superiori a quelli ufficialmente rilevati.

Si legga ad esempio il saggio di Brookings “l’espansione senza precedenti della classe media nel mondo” nel link qui di seguito: https://www.brookings.edu/wp-content/uploads/2017/02/global_20170228_global-middle-class.pdf.

I BENEFICI PER L’OCCIDENTE

Di una parte di questa crescita si avvantaggiano ovviamente le economie occidentali (ecco che le esportazioni europee crescono ben più delle importazioni, e così si rivaluta l’Euro), un’altra parte di quella crescita va a compensare le esigenze della base demografica che si allarga, una parte di essa infine alimenta l’economia sommersa.
Dunque una parte non trascurabile della “crescita che non si vede” va a ingrassare i profitti delle grandi corporations euro-americane i cui certificati azionari compongono gli indici di borsa. Ed è questo il motivo per il quale i loro profitti crescono oggi ad un ritmo che è dieci volte quello delle economie di loro appartenenza.

Con la crescita dell’economia digitale inoltre i valori inespressi generati dal world-wide web sono probabilmente più elevati di quanto evidenzino le relativamente poche aziende tecnologiche ancora quotate nelle borse valori, la cui maggioranza dei titoli non riguarda l’economia digitale.
Prova ne è la maggior crescita -rispetto agli indici di borsa generali- del listini “tecnologici” come quello del NASDAQ, o meglio ancora gli indici dei valori riferiti alle aziende ipertecnologiche, come il “Robo-Index” (si legga al riguardo un mio recente articolo:  http://giornaledellafinanza.it/2017/05/01/arriva-il-robo-index/ ).

IL RISCHIO DI INCEPPO E LO SPAURACCHIO GEO-POLITICO

È chiaro che la crescita dei valori in gioco e dei profitti (attuali e futuri) che li sostengono può teoricamente portare a incendiare la dinamica salariale, può creare una crisi di liquidità se in parallelo non si diffonderanno ulteriormente strumenti di pagamento alternativi come -appunto- quello del BitCoin, arrivando a generare in definitiva un possibile panico per gli investitori ma, come si dice nell’ambiente aeronautico, “un aereo dentro l’hangar è sempre più sicuro di uno in volo, ma non è nato per restarci”!

Così possiamo prendere in considerazione nelle nostre analisi la probabilità di scossoni stagionali nell’estate, di quelli congiunturali derivanti dal rialzo dei tassi, di quelli prospettici dovuti al ritardo con il quale verranno varate le riforme fiscali e i nuovi grandi investimenti infrastrutturali.
Ma se la crescita economica globale mantiene il suo ritmo attuale, allora le prospettive finanziarie resteranno nonostante tutto fortemente positive!
Questo è anche il motivo per cui tutti si preoccupano per le Borse ma nessuno liquida i propri titoli. E se lo avesse già fatto negli ultimi mesi avrebbe senz’altro sbagliato.

Cosa resta da temere allora? A mio modesto avviso un vero spauracchio, in questa ottica, resta eccome, anzi si dilata, perché può uccidere il vero motore della crescita globale e, indirettamente, silurare i livelli attuali dei listini azionari: è quello della variabile geo-politica!
Il partito della guerra ha sempre tanti sostenitori, troppi, forse, ora che in ballo c’è un’espansione economica come in passato non se ne erano mai viste! Un’espansione corroborata dalla scienza, da un crescente rispetto dell’ambiente, da una relativa pacificazione globale.

Dopo l’astronomia allora è doveroso citare anche la fisica delle particelle: insieme al “red-shift” ci vuole insomma un vero e proprio “quantum leap” (salto quantico) nella qualità della politica internazionale, al fine di riuscire a mantenere le sfere in movimento verso un mondo più complesso sicuramente, ma nel complesso anche migliore.

 

Stefano di Tommaso




CHI FA SOLDI CON LE SCIAGURE INFORMATICHE

Tanium, tra le più grandi start-up tecnologiche della Silicon Valley è forse anche quella che più ha beneficiato dell’ondata di paura che ha seguito l’avvento di WannaCry, il famoso cyber-attacco che ha recentemente mandato K.O. i computer di mezzo mondo.

 

Condotta da un mercuriale amministratore delegato -Orion Hindawi- pronto ad ogni colpo basso e fondata da suo padre, noto genio dei sistemi di sicurezza, Tanium ha sviluppato sistemi di sicurezza informatica impareggiati e unici nel loro genere, perché garantiscono un controllo estensivo e completo di ogni possibile sistema informatico aziendale complesso, impedendone l’hackeraggio anche dall’ultimo dei terminali. Tra i suoi clienti si annoverano le più grandi multinazionali del pianeta e addirittura molti enti governativi.


Non soltanto Tanium è da tempo in odore di una quotazione multi-miliardaria alla borsa di Wall Street. Essa è inoltre uno dei pochissimi “Unicorni” (le start-up valutate dagli investitori più di un miliardo di dollari) capace di generare cassa (pare ne abbia per oltre 300 milioni di dollari) e di raddoppiare ogni anno il proprio giro d’affari (il 2016 lo ha chiuso con un fatturato di 360 milioni di dollari e anche per l’anno in corso ci si aspetta un raddoppio, in parte dovuto al l’ampliamento della sua base di clientela e in parte a causa dell’incremento generalizzato del budget di spesa delle grandi aziende per la propria sicurezza informatica.

L’azienda, spesso citata per il ruvido stile di gestione dell’accoppiata padre-figlio che l’ha fondata (i quali ancor oggi ne controllano la maggioranza del capitale -i signori David e Orion Hindawi- già fondatori di BigFix) non è nuova a scandali e improvvise sterzate di gestione ed è forse anche per questo che è stata di recente additata come la Uber della sicurezza informatica.

Ebbene, tanto per non smentire la sua fama, Tanium ha approfittato dell’occasione del timore generalizzato riguardante la sicurezza informatica generato dal recente attacco globale del virus “WannaCry” per racimolare dai propri investitori ancora un “round” di aumento di capitale (l’ottavo, sembra, dalla sua fondazione) da 100 milioni, sfiorando con quest’ultimo la mirabolante valutazione implicita di quasi 4 miliardi di dollari, rimandando con ciò nuovamente ad una tempistica indefinita la propria quotazione a Wall Street ed incamerando nuova benzina per la propria crescita senza dover minimamente dipendere dalle sorti dei mercati azionari.


L’operazione ha colto tutti di sorpresa non solo perché nessuno pensava che Tanium ne avesse bisogno, ma anche per il fatto che molto di recente gli stessi Hindawi, suoi principali azionisti citati spesso dalla stampa per aver rimpiazzato senza tanti scrupoli numerosi propri dirigenti aziendali di lungo corso quasi solo allo scopo di poter imporre il loro stile di gestione e così controllare meglio la loro società, si erano invece espressi pubblicamente a favore di una grande quotazione in borsa della società, contraddicendo con ciò un sentimento comune di relativa avversità ai mercati finanziari tra le aziende ipertecnologiche della Silicon Valley , che spesso li considerano soltanto un “male necessario” alla propria sopravvivenza.

Ciò nonostante che il mercato finanziario dei titoli “high-tech” quotati a Wall Street abbia registrato nella prima parte dell’anno una performance da capogiro, pari al 20% (oltre il 50% su base annua lizzati), contro un misero 5% degli altri titoli che compongono l’indice Standard&Poor500.

La storia di questo gioiello tecnologico di quell’America dell’America che è la California odierna non è poi molto diversa da quella di numerose altre grandi imprese americane, mirabilmente capaci di dominare una sofisticata e al tempo stesso pronte a ogni manovra pur di difendere la propria autonomia e identità aziendale, ivi compreso il trarre ottimi profitti dalle disgrazie altrui!

Stefano di Tommaso




IL LUXURY FASHION CEDE ALLE LUSINGHE DELL’E-COMMERCE

Il mercato dei servizi digitali sta cambiando le nostre abitudini nel modo più profondo e pervasivo che avremmo mai potuto immaginare.

 

C’era una volta il commercio elettronico, iniziato con la libreria di Amazon, poi piano piano esteso a praticamente ogni merceologia si possa immaginare. Quello che forse nessuno poteva prevedere era il repentino trapasso dell’intero mondo digitale al mobile, integrando la messaggistica, i social networks, i sistemi di pagamento, e persino il controllo della salute.

Ovviamente l’estendersi a macchia d’olio del fenomeno del commercio elettronico sta rivoluzionando non solo la distribuzione organizzata, la logistica e la comunicazione, ma anche tutti gli altri business ad esso collegati, ivi compresi quelli avanzati di molti dei grandi pionieri del web e dei colossi delle comunicazioni.
Già perché non solo stanno cambiando -più o meno velocemente- le nostre abitudini, ma ci sono intere popolazioni , come quelle del sud-est asiatico, che si sono adattate più in fretta delle altre ai nuovi standard digitali e il business sulla rete da quelle parti rischia di correre molto più velocemente di quanto accada nei paesi OCSE, quelli ricchi per intenderci. E in Asia, si sa, vivono oltre 5 miliardi di individui. Se queste popolazioni si adattano più velocemente di noi ai nuovi modelli di business, è probabile che anche le loro aziende trarranno maggior benefici dalla rete!

In Cina oramai il numero dei telefonini cellulari (oltre 800 milioni) ha soppiantato quello dei televisori e -complice la relativa carenza di altre infrastrutture- molte delle esigenze di consumo o di servizio della popolazione passano oggi dalla rete mobile. È questa la prima ragione del grande successo di Tencent, nome occidentalizzato di Téngxùn Kònggǔ Yǒuxiàn Gōngsī (alla lettera: informazione crescente): oggi l’azienda di maggior capitalizzazione in Cina (340 miliardi di dollari) e con il maggior numero di utenti: ben 770 milioni di persone in tutto il mondo. Tencent è la titolare del servizio di messaggistica online “WeChat” (alla lettera “noi chiacchieriamo”, in cinese Weixin) e dell’omonimo servizio di pagamenti elettronici cui aderiscono oltre 300 milioni di utenti nel mondo.

La vera notizia è che WeChat non soltanto ha iniziato a vendere online apparecchi vari, accessori e abbigliamento, bensì sta corteggiando i giganti del lusso, forte della sua vastissima base clienti e di una proposta innovativa: agire da canale diretto di comunicazione tra di essi e il grande pubblico (con una piccola percentuale a suo favore). Il mercato del lusso e della moda era fino a ieri confinato nelle strade più esclusive delle metropoli del pianeta, circondato da un’aula magica di fascino, stile e discrezione, inarrivabile per i più, aspirazionale per molti altri.

Oggi il tentativo delle major del commercio elettronico è quello di attrarre il maggior numero dei “vendor” tra le proprie maglie, perché più efficienti e più diretti alle specifiche esigenze di ogni loro utente, del quale conoscono un gran numero di preferenze e caratteristiche. Ma c’è una differenza tra gli altri grandi operatori e Tencent: nessuno degli altri (come Alibaba, Zalando o Amazon) ospita sulla propria rete i discorsi privati del pubblico di potenziali acquirenti! Nessuno è sempre collegato con loro.

Inoltre fino a ieri ciascuna catena di shopping online si configurava come un potenziale acquirente dei prodotti del fashion e del lusso, non come un canale per dialogare direttamente con l’utente finale!
Alibaba ha fatto un passaggio importante nel cercare di integrare nella sua rete un sistema proprietario di pagamenti (Alipay), così come lo hanno fatto altri grandi operatori (esempio: Apple Pay), ma non ospita già sui suoi server le comunicazioni dei propri potenziali acquirenti.
Infatti la quota di mercato di Alipay in Cina è passata in un anno dall’80% al 54%, grazie alla “discesa in campo” di WeChat.

 

Potranno gli acquirenti più esigenti rinunciare all’emozione delle vetrine dell’ “high street”? Probabilmente si per gli articoli di minor valore.
Cederanno i giganti del lusso alle lusinghe della rete?  Accetteranno le maison del lusso di vedersi recapitare a casa dei loro clienti i lussuosi pacchetti che le contraddistinguono? Anche qui la risposta è probabile che sia positiva, per un motivo assai banale: già oggi buona parte degli sforzi di immagine e di pubblicità delle grandi case si rivolgono alla rete. E dalla presenza in rete alle vendite in rete il passo è breve.

 
Stefano di Tommaso