I SIGNORI DEL CIBO E DELL’AMBIENTE

Se c’è un settore economico che tutti gli studiosi additano come il più strategico per le sorti dell’umanità nei prossimi decenni, è sicuramente quello dell’alimentazione. Le grandi aggregazioni in corso potrebbero addirittura risultare dannose all’ambiente e al progresso scientifico…

 

Quando si parla di agricoltura e cibo vengono subito in mente i 570 milioni di operatori economici che si stima siano presenti nel settore in tutto il mondo, con oltre 7 miliardi di consumatori (l’intera popolazione del pianeta). Già solo questo enorme numero esprime le possibili conseguenze di un progressivo processo di integrazione in poche forti mani. Milioni di operatori agricoli in meno nel mondo (già solo a causa della progressiva meccanizzazione delle operazioni) possono significare milioni di disoccupati.

GLI OPERATORI PIÙ IMPORTANTI

Per esplorare la portata delle affermazioni radicali che riporta questo articolo occorre tenere presente che la filiera delle produzioni chimiche, agricole, alimentari e di accessori per le loro produzioni è vastissima ed è fortemente condizionata da tre grandi gruppi economici globali:

– La prima potenza industriale nel comparto agricolo risulta sicuramente la Monsanto (il primo produttore al mondo di sementi) con un fatturato 2016 di 74 miliardi di dollari, operatore che però è in corso di fusione con la Bayer, primo produttore al mondo di pesticidi e fitofarmaci (oltre che di farmaci e prodotti chimici), che da sola è giunta alla soglia dei 55 miliardi di dollari;

– al secondo posto nell’agricoltura c’è il gruppo chimico Dow-DuPont che nel totale fattura oltre 130 miliardi di dollari;

– Alla terza posizione nel comparto agricolo il gruppo cinese ChemChina che ha appena acquisito Syngenta per 47 miliardi di dollari. Insieme questi tre operatori (tutti con fortissime radici nella chimica) controllano oltre il 60% delle produzioni globali di sementi per l’agricoltura e la sola “BaySanto” dopo l’integrazione di fatto risulterà proprietaria dei diritti intellettuali riguardanti quasi ogni coltura agricola geneticamente modificata nel mondo.


Per non parlare del settore agrotecnico, nel quale la sola Deere&Co. (quella dei trattori John Deere), esprime un fatturato di quasi 30 miliardi di dollari.

La dimensione conta in questo ambito perché l’intero mondo agricolo sta per entrare in una fase di profonda digitalizzazione, che comporta la necessità di grandi investimenti, quando saranno i droni a diffondere medicine, controllare le coltivazioni e riconoscere eventuali anomalie delle piante, grazie all’intelligenza artificiale, saranno sistemi completamente automatizzati a gestire gli allevamenti, la loro macellazione, lo stoccaggio e le lavorazioni successive.


Ovviamente man mano che l’automazione industriale coinvolgerà anche l’alimentazione, tutti i piccoli operatori spariranno per far posto a pochi grandi ed efficientissimi produzioni, assai integrate verticalmente, dalla chimica di base alla distribuzione degli alimenti pronti.

UNO SCENARIO COMPLESSO

Quello dell’alimentazione è tuttavia il settore economico che più di ogni altro può incidere nella sanità della specie umana e sulla salvaguardia dell’ambiente naturale. È contemporaneamente il più esposto alla raffica di scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche nonché quello che peggio sta vivendo un forte processo di concentrazione a scapito dei piccoli operatori e a vantaggio del grande capitale che piano piano sta esercitando il suo potere di mercato per costituire dei monopoli quasi in ogni ambito.

La cosa di per sé potrebbe risultare quasi “normale” se voliamo consideriamo quel settore “maturo” e dunque caratterizzato da un eccesso di capacità produttiva, da scarsa innovazione di prodotto e da una forte prevalenza delle problematiche distributive, tali da incidere grandemente sulla marginalità economica dei suoi operatori, costringendoli ad aggregazioni.

UN SETTORE TUTT’ALTRO CHE MATURO

In effetti ciò che accade è tuttavia quasi l’opposto:

– la scienza ha fatto al riguardo dell’agricoltura e delle produzioni alimentari in generale dei grandissimi passi in avanti, non tutti i quali sono sempre stati correttamente comunicati e diffusi dai mezzi di informazione di massa;

– le cosiddette “esternalità” produttive (cioè i costi a carico della comunità che I produttori di alimenti generano) sono elevatissime per la filiera alimentare, figuriamoci per quella della chimica! La filiera economica globale dell’alimentazione è infatti inscindibilmente legata a quella della chimica (diserbanti, concimi, fitofarmaci, ecc…) ed è perciò anche inevitabilmente connessa alle sorti dell’ambiente, dal momento che l’uso di tali prodotti può incidere in modo molto pesante sulle sorti della vivibilità del pianeta;

– le conseguenze del forzoso processo di aggregazione degli operatori economici con lo spiazzamento di quelli piccoli, non solo genera disoccupazione e flussi migratori verso i centri urbani di quella forza lavoro che prima era presente nell’agricoltura (per essere progressivamente rimpiazzata dalle macchine e dall’automazione),

– ma soprattutto questa tendenza alla smisurata crescita dimensionale degli operatori industriali agricoli e alimentari rischia di contrapporsi all’applicazione delle più recenti scoperte scientifiche che tendono a rivalutare l’efficienza economica delle colture non intensive accoppiando la crescita di specie diverse di vegetali che si rafforzano a vicenda (com’è sempre avvenuto in natura) e a denunciare gli effetti disastrosi per l’ambiente del disboscamento, dell’uso intensivo della chimica, dell’eccesso di acqua utilizzata a fini industriali alimentari e dell’eccesso di anidridi carboniche immesse nell’aria per molte produzioni.

LA CONCENTRAZIONE DEL SETTORE ALIMENTARE GENERA DISECONOMIE AMBIENTALI


Per questi e molti altri motivi le grandi fusioni e incorporazioni di aziende del settore agricolo e alimentare che stanno avvenendo a ritmo accelerato potrebbero meritare di essere invece disincentivate.

La concentrazione in pochi grandissimi operatori economici di un macrosettore industriale quale quello dell’alimentazione (che spazia dalla chimica di base, all’agricoltura, alla produzione di trattori e strumenti di trattamento forestale, alla zootecnia, alla macellazione, fino al trattamento e alla conservazione dei cibi pronti e alla loro distribuzione al dettaglio) a uno sguardo più attento protrebbe risultare cosa assai contraria agli interessi dell’umanità!

Quello dell’alimentazione non soltanto appare dunque un settore strategico per le sorti della specie umana, ma è anche un ambito che, con la riscoperta delle filiere biologiche, con gli ultimi progressi in campo biochimico e con le nuove catene distributive che derivano dalla digitalizzazione globale, potrebbe invece vivere una stagione di grande rinnovamento e sanificazione, nel quale troverebbero posto moltissimi nuovi piccoli operatori super-specializzati in qualche nicchia. Ma di fatto tale possibilità è avversata dai detentori di giganteschi interessi al riguardo.

Quella concentrazione in poche mani della filiera alimentare può dunque generare non solo disoccupazione e di conseguenza dannosi flussi migratori e sconvolgere gli equilibri ambientali, ma anche impedire (o esprimere interessi a non far diffondere) il progresso scientifico. Essa promuove invece (per motivi di convenienza) le mono-agricolture intensive ed automatizzate, generando in tale modo immense “esternalità” a carico del resto dell’umanità.

IL RUOLO DEI “REGOLATORI”

Da sempre infine la politica è intervenuta pesantemente a tutela delle sorti dei coltivatori agricoli, degli allevatori, dei produttori di generi di prima necessità. Oggi invece -probabilmente anche a causa delle forti contribuzioni ricevute dalle lobby che esprimono il maggior potere economico- la politica al riguardo tace in maniera “assordante”!

Le campagne a favore dell’ambiente, della salvaguardia dell’aria che respiriamo e della gestione delle risorse idriche risultano invece sostanziarsi in soli slogan privi di contenuto pratico, la manipolazione delle risorse forestali non viene nemmeno denunciata e, soprattutto, il settore dalle gestione ambientale e del riciclo dei rifiuti risulta essere (a causa di un’impostazione assai errata) uno dei più profittevoli al mondo.


Molti equilibri rischiano di rompersi quando si vuole applicare l’industria 4.0 al trattamento delle risorse naturali e alimentari, se nessuno interviene affrontando il fenomeno da altri punti di vista, come quello di tutti coloro che risultano affetti da malattie che originano da cattive abitudini alimentari o come quello degli 800 milioni di esseri umani nel mondo che risultano ancora a rischio di morire di fame…

Stefano di Tommaso




PERCHE’ PENSO CHE AMAZON CAMBIERA’ LA NOSTRA VITA E L’INTERO MONDO DEL CONSUMER BUSINESS

Dopo aver fatto un passaggio basilare nell’aggiungere alla propria catena distributiva i supermercati bio “Whole Food” (cibo integrale) oggi Amazon si appresta a lanciare un’altro di quei servizi che solo lei può offrire: “Prime Wardrobe”, quello di prova a casa di abiti e degli accessori scelti online senza obbligo di acquisto

 

https://youtu.be/EIQh0O3wOdM

 

La pubblicità è accattivante: uno scatolone viene lasciato davanti alla porta di casa dell’utente che ha selezionato alcuni capi da visionare, questi li prova quando vuole, ne trattiene qualcuno se crede, e poi lascia il resto visionato nello scatolone che richiude con uno speciale adesivo con il codice che aveva trovato al suo interno, limitandosi a poggiare di nuovo lo scatolone fuori della sua porta. Un incaricato lo ritirerà a sue spese.

Perché solo Amazon può offrire un tale servizio?

•quasi solo Amazon può contare su una completa completa conoscenza delle abitudini e dei gusti del consumatore, dal momento che gli vende di tutto
•solo Amazon ne ha precedentemente valutato la solvenza e le preferenze con la diffusione capillare dell’abbonamento al servizio “Prime” (consegna in una o due ore nelle principali città del pianeta) e con il controllo dei propri sistemi di pagamento,
•solo Amazon può stoccare in ogni Paese del mondo una montagna di centinaia di migliaia di articoli nei propri magazzini per poterli avere pronti all’uso in un istante,
•solo Amazon può conseguentemente vantare un controllo globale della catena logistica e distributiva fino al furgoncino che effettua il giro della clientela Prime “a prescindere” da cosa deve consegnare o ritirare,
•ma soprattutto solo Amazon può integrare tutto ciò in un’unica imbattibile offerta!

Siamo veramente arrivati a un passo dal Grandee Fratello descritto settanta anni fa da George Orwell! E ci siamo arrivati con il sorriso sulle labbra per il solletico che ci fa nell’incarcerarci dietro le sbarre dorate della nostra nuova gabbia (l’abitazione), con lo scintillio delle sue campanelline e la felicità di sentirsi più pronti ad effettuare acquisti e noleggi.

Mettere insieme informazioni fondamentali circa le nostre misure delle scarpe, delle camicie, insieme a quelle che Amazon ha acquisito già dal momento in cui andavamo su internet a cercare gli articoli che preferiamo, dalle mutande , dallo spazzolino da denti, dal cibo che preferiamo fino tipo di cuffie Bluetooth che ci piacciono o di televisori che preferiamo, di giochi online che selezioniamo, di libri che leggiamo o di film che noleggiamo, farà di Amazon il cugino stretto del Grande Fratello. Con sistemi inferenziali di quelle informazioni che sono già correntemente state sviluppate da molti operatori informatici Amazon potrà disporre di una catalogazione del fenotipo di ciascuno di noi da far invidia ai servizi segreti! E tutto ciò per miliardi di utenti…

 Un’immagine suggestiva del film “1984”di Michael Redford tratto dall’omonimo romanzo di Orwell

Di lì a controllare anche i media e le agenzie di pubblicità online il passo sarà davvero breve. E a quel punto anche la manipolazione delle menti risulterebbe un obiettivo facilmente raggiungibile !

Ma Amazon può a questo punto andare molto oltre anche sotto il profilo del “business”: obbligare praticamente chiunque altro voglia raggiungere i “suoi” consumatori a passare dalla propria piattaforma (e a pagare pedaggio). Obbligare chiunque voglia produrre degli articoli e sperare di riuscire a distribuirli globalmente a farli come dice e al prezzo che dice lei, dal momento che quasi solo lei ne conoscerà davvero il corretto posizionamento competitivo. Obbligare chiunque voglia fare logistica e distribuzione a lavorare per lei. Costringere l’intero sistema bancario globale a passare dalle proprie griglie di conoscenza della capacità di credito degli individui e a confrontarsi un acerrimo concorrente che, grazie ai propri sistemi informatici e alle proprie piattaforme di pagamento, risulterebbe quasi imbattibile.

Amazon ha -in teoria- la forza finanziaria, la diffusione capillare e l’intelligenza gestionale di fare tutto ciò sotto il naso di un bel po’ di bellimbusti che oggi credono di essere i padroni del mondo, di un bel po’ di politici che fanno finta di difendere i loro elettori, di un bel po’ di intellettuali che pensano di immaginare un mondo diverso… Bisogna vedere se glielo lasceranno fare, ma prima aspettiamoci che il suo titolo, quotato a Wall Street, possa fare ancora l’ennesima bella galoppata al rialzo, magari al di sopra di Google e Apple!

Chi aveva in animo di lanciare l’ennesima start-up online, magari con l’ambizione di farla diventare la prossima SnapChat o la prossima Foodora, adesso ha un problema in più: come potrebbe fare a meno dell’organizzazione capillare che Amazon può vantare? dei magazzini sempre pronti? del corriere che passa già dall’indirizzo della clientela selezionata? della conoscenza della capacità finanziaria del consumatore e, soprattutto, della profilazione sempre più puntuale dei gusti, delle abitudini, degli orari e delle competenze del consumatore ideale?

 

Stefano di Tommaso




AMAZON PIGLIA TUTTO

Con l’ultima acquisizione annunciata: la più famosa catena di americana di supermercati per cibi biologici, il gigante del commercio online Amazon, una delle società con la maggior capitalizzazione al mondo, mostra la sua voglia di ridefinire il commercio online arrivando anche a vendere cibo di ottima qualità a due passi dall’abitazione della maggior parte dei suoi clienti americani.

 

Adesso che un operatore commerciale come Amazon, caratterizzato da una gamma vastissima di prodotti, da prezzi bassi (in virtù del fatto che lavora tramite internet) da un dialogo diretto con la propria clientela registrata e, per questo, da una grande conoscenza della medesima, salta il confine della distribuzione fisica per divenire un concorrente diretto delle altre grandi catene di supermercati, il mercato finanziario sembra pronto a scommettere che per queste ultime i giorni sono davvero contati!

Esistevano in passato delle segmentazioni commerciali che distinguevano tre tipi di operatori della GDO (grande distribuzione organizzata): i negozi di cibi biologici (i migliori e più cari), i supermercati e gli ipermercati (con una gamma molto ampia di prodotti e prezzi medi) e i discount stores (che offrono una scelta ridotta, una qualità non eccelsa e i prezzi più bassi). Immaginate un operatore che si propone con il meglio di ciascuna categoria: una gamma vastissima di prodotti, i prezzi più bassi del mercato e la miglior qualità possibile. Eccezionale nevvero?

Ecco cosa potrebbe significare per la sua diretta concorrenza la combinazione che Amazon intende proporre al numero sterminato di suoi affezionati clienti che già la utilizzano come banca (ovviamente online), che già la utilizzano per i servizi di internet e cloud computing, che già ne apprezzano l’offerta televisiva, l’immensa libreria online, tutte le altre proposte commerciali che vanno dagli elettrodomestici all’abbigliamento, con i servizi di consegna a domicilio in una o due ore (per ora solo nelle grandi città).

Ecco anche quale modello dovrebbero seguire i suoi concorrenti se volessero azzardarsi a contrastarla, a tutto beneficio del consumatore che può trovare ogni genere di risposta alle sue esigenze quotidiane praticamente con un solo operatore come Amazon.

Adesso si spiegano meglio gli enormi investimenti in logistica che Amazon ha dispiegato in tutti i principali paesi del mondo, senza i quali sarebbe più difficile mantenere le proprie promesse di efficienza e convenienza. Si inizia a vedere la prospettiva completa della strategia “piglia tutto” di Amazon: ridefinire le modalità e i sistemi distributivi nel mondo civile unificandoli sotto un’unica insegna per allargarne la sfera di azione e guadagnare dal dialogo diretto con i consumatori e dai costi più bassi che il nuovo sistema può consentirle.

Ovviamente l’occupazione non potrà che calare nella distribuzione organizzata (come nelle banche, negli altri negozi, nei servizi online di peggior qualità e nell’immobiliare), per far posto a magazzini sempre più efficienti e automatici e a un maggior numero di bloggers, tecnici informatici ed elettronici, e costruttori di nuovi sistemi di trasporto automatico.

Ma questo è il progresso, ragazzi! La battaglia dei Luddisti è sempre stata persa in partenza. Il dilemma sta tutto nella scelta tra l’accettarlo, il conviverci e cercare di guadagnarci, oppure scansarlo, rimandarlo, rifiutarne gli svantaggi e, alla fine, inevitabilmente perderci!

 

Stefano di Tommaso




IL DILEMMA DEI MERCATI

Tanto tuonò che piovve: le borse si avviano a una correzione. Ma quanto importante?

 

Le borse europee tengono botta galleggiando su di un sostrato di maggior liquidità e ottimismo, quelle asiatiche e americane sentono tuttavia franare il terreno sotto i piedi e, soprattutto, i titoli più colpiti dal bradisismo della correzione dei mercati sono quelli che sino a ieri avevano dato le maggiori soddisfazioni: i tecnologici. Per assurdo la loro parabola ha seguito da vicino quella delle fortune politiche di Donald Trump, che -se vogliamo ascoltare i media- sembrava invece il loro più acerrimo rivale.

 

Persino le banche centrali, che negli ultimi mesi stanno facendo di tutto per rendersi prevedibili, affidabili e di supporto alla crescita economica, stavolta deludono il mercato, dal momento che tirano dritto per la loro strada anche quando -dato il momento di dubbi, soprattutto geo-politici- ci si poteva aspettare anche da parte loro qualche dubbio o qualche temporeggiamento in più sulla fine degli stimoli monetari e il ritorno a un livello di tassi di interesse più elevati del “quasi zero” che è andato in onda per qualche anno.

I banchieri centrali sanno di avere pochi strumenti a disposizione per il momento in cui la fine del ciclo economico positivo si manifesterà. E per questo motivo (oltre che per far contenti i loro azionisti: i banchieri commerciali) vogliono riportare più in alto l’asticella dei tassi. Ovviamente non possono farlo con una “doccia fredda” come dicono gli Inglesi e -per descrivere il programma di normalizzazione intrapreso- la Yellen l’altro ieri si è lasciata scappare una metafora tipicamente anglosassone, dicendo che: sarà noioso come “osservare la vernice che si asciuga”. La stessa cosa succederà ai mercati finanziari?

Ma se l’inflazione indietreggia, il prezzo dell’energia rimane più stabile di un monolite di granito, la dinamica salariale non s’incendia, la crescita economica mantiene il suo ritmo e, addirittura, i rendimenti dei titoli obbligazionari scendono, i mercati si chiedono per quale motivo le banche centrali dovrebbero tirar dritto “a prescindere”? Qui però le cose si complicano perché-si sa- i banchieri perseguono tutti il mito della “forward guidance” cioè della capacità di influenzare il corso degli aventi sulla base della credibilità dei propri annunci e, se avevano annunciato per tempo qualcosa per l’intero 2017, allora vogliono far vedere che non scherzavano. Nemmeno quando il “mood” è cambiato e quel programma non piace più.

LA VERA QUESTIONE RIGUARDA LA CRESCITA ECONOMICA GLOBALE

La delusione che proviene dai banchieri centrali tuttavia può contribuire a intonare negativamente gli animi, può alimentare l’aspettativa che si ridurrà la grande liquidità che sino ad oggi ha sostenuto i mercati, ma non può spiazzare gli investitori più di tanto se il resto del quadro economico generale non cambia davvero. Anche perché la liquidità dei mercati è alimentata comunque in modo consistente dal flusso rilevante di profitti e dal moltiplicatore globale del credito.

E qui però casca l’asino! Quali sono dunque le reali prospettive per l’economia globale? Gli analisti finanziari ritengono che il destino delle borse nei prossimi mesi dipenda principalmente dalla risposta che la maggioranza degli operatori riuscirà a darà su questa domanda. Il sottoscritto piuttosto di recente si è espresso inequivocabilmente in termini positivi al riguardo (si legga l’articolo “Red Shift” cliccando sul seguente link: http://giornaledellafinanza.it/2017/06/05/red-shift/).


Ma il dibattito scende poi in profondità in relazione all’impatto che le nuove tecnologie potranno avere in termini di spiazzamento dei lavoratori che dovrebbero riuscire a riorientarsi per da seguito alle esigenze dei datori di lavoro da una parte e in termini di avanzamento della produttività del lavoro dall’altra. Anzi: gli interrogativi proseguono in termini di impatto inflazionistico che ne può conseguire e arriva a toccare l’affidabilità delle rilevazioni statistiche su cui si basano le politiche economiche e la loro capacità di tener conto dei fenomeni della sharing economy o del commercio online.

E qui la nostra narrazione si ferma: se accettiamo il principio che nell’immediato non conta tanto ciò che sta succedendo davvero bensì quello che la maggioranza degli operatori ritiene plausibile, ecco che il dilemma dei mercati si materializza in tutta la sua consistenza, lasciando ulteriormente spazio ad un corollario: l’indeterminatezza del movimento dei mercati in corso sussisterà sino a quando non potranno emergere informazioni più complete circa le tendenze economiche di fondo.

WHAT NEXT?

Aspettiamoci perciò un’estate intera di tentennamenti anche se, a modesto avviso di chi scrive, non ci sono catastrofi all’orizzonte. È chiaro che se l’oceano pacifico dei mercati si increspa un po’, allora i risultati delle puntate di Borsa dipenderanno moltissimo dal momento in cui si è entrati su un titolo e da quello in cui se ne esce. Ben più di un operatore sta solo aspettando infatti qualche storno per trovare buone occasioni d’acquisto e questa mi fa ragionevolmente pensare che il mio ottimismo non sia del tutto arbitrario!

 
Stefano di Tommaso