LA WOODSTOCK DEL CAPITALISMO

Chi di voi non ricorda (tra quelli che sono almeno degli anni ’60) quante emozioni aveva sollevato il famoso Woodstock Music Festival?

Quel Festival di provincia dell’agosto 1969 in una cittadina rurale dello stato di NewYork è passato alla storia della musica e del costume per la sua grande carica simbolica: accolse inaspettatamente un pubblico di un milione di persone, i musicisti più famosi si alternarono sul palco a tutte le ore del giorno e della notte e vennero consumate quantità enormi di marjuana e lsd.
Il discorso di apertura fu tenuto dal guru indiano Swami Satchidananda che definì la musica “the celestial sound that controls the whole universe”. La forza emozionale che riuscì a evocare in tutto il mondo ha ancora oggi una forte eco.


Bè, questo weekend un gruppo di otta-novantenni pimpanti e straricchi ha celebrato, in un’altra incredibile atmosfera di ebbrezza ed emozioni con quasi 40.000 ospiti in persona e oltre un milione di altri “fans” collegati online, un festival tra i più bislacchi che si possa immaginare: quello dell’assemblea annuale degli azionisti (e seguaci spirituali) di uno dei più grandi “guru” dei nostri tempi, l’Oracolo di Omaha (come viene chiamato Warren Buffett) che, con soli 24 adepti, governa un esercito di 350.000  lavoratori delle imprese della sua holding “Berkshire Hathaway”, che opera in 70 diverse attività e vale a Eall Street 410 miliardi di dollari!

UN FESTIVAL MILIARDARIO

Il discorso di apertura del festival Buffet invece di recitarlo sul palco lo invia per posta, molte settimane prima, a casa: la sua lettera agli azionisti viene spedita a tutti e poi ripresa ogni anno da praticamente tutte le testate economiche del pianeta. Ma le sue credenziali sono notevoli: se qualcuno avesse investito i suoi denari con lui alla nascita di un figlio -diciamo oggi arrivato a 21 anni di età- avrebbe guadagnato il 650%, contro una rivalutazione dell’indice SP500 di Wall Street di solo il 220%.

Prima di Warren Buffett  nessuno era mai riuscito a far guadagnare alla sua azienda così tanti milioni di dollari in occasione della sua assemblea degli azionisti e, soprattutto, a trasformarla in un evento dalla carica emozionale così forte!

Non solo è possibile ascoltare i racconti e la filosofia (di vita come di selezione delle persone e delle opportunità) di Buffet e dei suoi leaders, ma inoltre di tutte le aziende partecipate sono esposti (e venduti copiosamente ai presenti) i prodotti nonché i loro titoli azionari, tutti cresciuti molte volte di valore da quando è arrivato lui!

http://video.foxbusiness.com/v/5423466936001/?#sp=show-clips

Qualcuno potrà obiettare che in questo prosaico scorcio di nuovo millennio la poesia musicale delle sfere celestiali che ispirava Woodstock ha lasciato il posto a quella del fruscio delle banconote dei risparmiatori che celebrano il loro divo, ma gli stessi giornalisti che “coprono” l’evento sono pronti a giurare che è difficile trasmettere la strana atmosfera emozionale che si respira in quei capannoni , dove molti genitori per questo accompagnano i loro figli ad ascoltarne i discorsi e comprano per loro un pacchetto di azioni di quella holding, il cui valore unitario è passato  in 52 anni da 19 a 250.000 dollari!

LA CERCHIA DELLA “FIDUCIA MERITATA”

Nonostante la sostanzialità degli argomenti trattati in questo festival del capitalismo post-contemporaneo, la gente non si reca fino a quella sperduta cittadina del Nebraska che risponde al Omaha per sperare di vincere alla roulette delle borse, bensì per respirare quello spirito di “fiducia meritata” che viene celebrata dalla cerchia (oramai molto allargata) degli adepti di Warren Buffet. Per ricordarsi dei valori fondamentali della vita e assorbire una sorta di filosofia di saggezza che l’uomo della strada vuole tornare a cercare in lui.

Quella saggezza che, probabilmente, i media e i loro nuovi rumorosi eroi (attori, campioni, veline e incantatori) con tutte le altre celebrazioni degli eccessi del consumismo moderno, non riescono nemmeno a concepire!

 
Stefano di Tommaso




GLI INTERESSI DIETRO LA QUESTIONE NORD-COREANA

Il puzzle geopolitico del Sud Est Asiatico in questi giorni è stato oggetto di molti, troppi commenti perché possa ai più risultare interessante leggerne un altro. Vorrei invece proporre una insolita chiave di interpretazione della vicenda sebbene sia chiaro che nessuno può davvero vantare di conoscere le intenzioni dei leader politici (e dei loro mandanti) che si confrontano in quel delicato intreccio di interessi e minacce che gli stanno intorno.

 

L’America di Donald Trump dice basta ai test nucleari condotti dalla Corea del Nord e lo fa mostrando i muscoli: portaerei, cacciabombardieri e fregate nei mari antistanti e dichiarazioni di condanna insolite e quantomai decise.

FAUTORI E DETRATTORI DI TRUMP

Ma con l’apertura del dossier i detrattori di Trump  (sono davvero molti e molto potenti, il che che me lo rende istintivamente simpatico) hanno sùbito approfittato del rischio di arrivare al conflitto nucleare, per rivolgergli le solite accuse, senza affermare mai cosa invece andrebbe fatto esattamente.
Indirettamente lo hanno dunque accusato di “svegliare il cane che dorme”, salvo il fatto che quel bamboccione che manda in galera i concittadini che osano camminare fuori casa senza il distintivo con il suo ritratto e che sembra uscito da un film dell’orrore lancia invece ogni due per tre qualche altro missile in giro affermando di poter minacciare la catastrofe globale.

I fautori di Trump sostengono la tesi che la questione della minaccia nucleare di Kim Yong-Sun era stata troppo a lungo colpevolmente ignorata da Obama e andava sollevata comunque, visto che sul tavolo c’è la necessità di ribilanciare di tutti i rapporti in essere con la Cina, all’ombra della quale indiscutibilmente la dittatura si è posta.
Trump tuttavia non ha ancora voluto mostrare alcuna chiara linea di azione nei confronti di Kim Jong-Sun se non una assai indiretta: quella di voler fare pressione sulla Cina perché lo “scarichi”, per poi coalizzare tutti i suoi vicini (a partire da Giappone e Sud Corea) in una stretta mortale nei confronti di quel regime. È probabile invece che in realtà egli abbia obiettivi relativamente diversi.

Che però le sanzioni economiche non funzionino quasi mai è risaputo e, anzi, normalmente esse vengono imposte (da chi non ne ha un proprio nocumento) ai propri alleati che hanno rapporti con il paese sanzionato e che invece, nell’applicarle, ci rimettono anche loro (dunque con il mugugno che ne consegue).
I giochi inoltre non sono mossi da detrattori o fautori di Donald Trump, bensì dai cospicui interessi in ballo (molti dei quali restano inconfessabili quando si tratta di conflitti) nonché dalla teorica necessità di sventare una minaccia, quella atomica, che si è sempre rivelata per quello che non può essere: un’opzione davvero concreta.

UNA GUERRA NUCLEARE È PIÙ CHE IMPROBABILE

L’opzione nucleare nella storia è stata anzi attivata esclusivamente dagli americani contro il Giappone e soltanto in un particolarissimo periodo storico che oggi è difficilmente confrontabile con quello attuale.
È quasi impossibile infatti pensare che lo sgancio di un’atomica da parte di chicchessia tra le grandi potenze possa trovare un largo consenso popolare tra gli elettori e, come non bastasse, il rischio di un’escalation globale per ritorsione fa sì che nessuno pensi davvero di sganciarla e di riuscire poi anche a salvarsi dalle conseguenze di quell’atto.

Queste semplici considerazioni portano a riflettere sul fatto che quando si parla di conflitto nucleare si deve pensare a qualcosa che può servire come deterrente ma che solo un pazzo potrebbe pensare di scatenare sul serio.
E forse nemmeno questo è vero: è infatti già “operativo” il sistema antimissile americano Thaad dispiegato in Corea del Sud per rispondere alle minacce nordcoreane. Lo ha reso noto il portavoce delle forze americane in Corea, colonnello Rob Manning, secondo cui il sistema “ha la capacità di intercettare i missili nordcoreani e di difendere la Repubblica di Corea (del Sud)”. L’installazione del Thaad, Terminal High Altitude Area Defence, è in un ex campo da golf nella provincia di Gyeongsang.

Le minacce agli altri Paesi dell’area del dittatore della parte nord della penisola coreana è dunque probabile che cadano nel vuoto quanto a conseguenze pratiche persino nel caso improbabile in cui si trasformino in realtà!
Chi non ricorda l’azione clamorosa dei missili antimissile “Patriot” dispiegati in Israele ai tempi dell’ultimo vero attacco subìto da quest’ultimo?

E poi Kim sembra matto ma non “fesso” e capisce bene che se attivasse l’opzione nucleare egli fornirebbe al resto del mondo la scusa per radere letteralmente il suo paese al suolo (probabilmente senza nemmeno usare bombe atomiche). Cosa che peraltro gli Stati Uniti d’America non si augurano ugualmente sia perché di certezze quanto all’efficacia del sistema Thaad nessuno può fornirne, come pure perché l’esperienza in Vietnam è un ricordo ancora troppo vivo per i suoi cittadini per andare a infognarsi una seconda volta!

Dunque la Corea settentrionale non è davvero probabile che scateni un’offensiva su chicchessia bensì che agiti la minaccia nucleare per poter giustificare impianti di produzione energia da una fonte relativamente a buon mercato.
Ma nemmeno è pensabile che l’America, dopo aver sventato una minaccia missilistica muova alla conquista di Pyongyang e vada in galera modo a cercarsi oggi un nuovo Vietnam. Sarebbe davvero difficile spiegarne le ragioni a chi ha votato “America a First”!

Ci sono dunque buone ragioni per credere che da domani mattina nessun conflitto militare si scateni davvero, salvo magari qualche colpo di cannone, qualche missile magicamente inceppato, qualche spavento mediatico insomma, per tenere alta l’attenzione internazionale sulla questione.

PARLARE A NUORA PERCHÉ SUOCERA INTENDA

Insomma Trump sembra urlare a nuora “perché suocera intenda”! E di suocere in giro sembra ce ne siano diverse (non solo la Cina quindi): il Giappone ad esempio potrebbe cogliere la palla al balzo per mettere fine a un articolo della sua attuale costituzione democratica che da un settantennio mette al bando il proprio intervento militare all’estero, pressato anzi dagli americani che intendono perseguire una politica di maggior spesa militare da parte dei propri alleati, cosa che farebbe bene alle loro esportazioni di tecnologie belliche e ridurrebbe l’onere (oggi tutto a loro carico) delle “missioni” che essi conducono in giro per il mondo.

Probabile che anche Shinzo Abe ne sarebbe a sua volta lieto, per rivendicare un ruolo più importante per il suo paese nelle grandi questioni geopolitiche che nascondono sempre un risvolto economico.

Il “perché suocera intenda”, oltre a Cina e Giappone, potrebbe riguardare la Russia, che sembra oggi poco interessata alla partita del sud-est asiatico ma i cui confini (quelli da penisola Kamchatka) sono a due passi dai razzi di Kim Jong-Sun e che non vede affatto di buon occhio un riarmo generale del resto del mondo occidentale perché alla lunga esso ridurrebbe il proprio vantaggio strategico militare sul resto del mondo. Per quanto a Putin chiaramente non interessi alcun conflitto che dissanguerebbe l’economia già precaria, la sua intelligenza lo ha spinto ad avventurarsi in Siria anche perché ha così potuto mostrare i muscoli ai suoi concittadini, ai suoi alleati storici (Iran compreso, oggi divenuto quantomai scomodo) e al resto del mondo.

La Russia non sarebbe felice di vedere oggi riuscita agli americani una delicata partita geopolitica in Corea, non subito quantomeno, perché la Cina è un suo storico alleato ma anche uno scomodissimo vicino di casa e i suoi rapporti con l’Unione Europea non sono ancora migliorati.

I VANTAGGI GEO-POLITICI PER TRUMP

Oggi con la nuova prospettiva geopolitica dettata da Trump e dalle sue portaerei nei mari antistanti la Corea, la Cina si è subito dichiarata più interessata a dialogare di più con l’America sulla cooperazione economica e sul ribilanciamento dei suoi rapporti commerciali, nonché sulla sua storica alleanza con la Russia, che resta ancora una superpotenza bellica.

L’America potrebbe dunque cogliere diversi obiettivi contemporaneamente denunciando i test nucleari del regime nord-coreano, ma soprattutto ci sarebbero in testa quelli economici. La Cina potrebbe sembrare soccombere a tale confronto, ma deve anche lei liberarsi di una scomoda minaccia dietro casa e poi potrebbe trovare il modo di beneficiare anche lei di un’alleanza di lungo termine con gli americani, finance qualora oggi ne dovesse sopportare qualche onere.

Trump perciò nell’impegnarsi in una guerra tutta mediatica contro il pericoloso dittatore di un minuscolo staterello confinante con Cina, Giappone e Russia, nello spaventare seriamente il mondo al riguardo e nel voler proporre infine magicamente al mondo una soluzione “pacifica” al dilemma coreano potrebbe guadagnare una decisa convenienza economica per gli interessi americani, dimostrando peraltro ai suoi oppositori che il clan dei Clinton (Obama incluso, ovviamente) nell’aver dissennatamente favorito eccessivamente i rapporti con la Corea del Sud (per guadagnarci non poco privatamente, tra l’altro) avevano commesso un gigantesco errore strategico, di cui ha beneficiato soprattutto la Cina, dichiarandosene nemica.

FOLLOW THE MONEY

I mercati finanziari guarda caso non risultano affatto intimoriti dalle minacce di guerra nei mari del Sud-Est Asiatico e non incorporano nelle loro quotazioni alcuna conseguenza economica di alcun conflitto militare, men che meno di natura nucleare!
Anzi, casomai essi fanno l’esatto contrario: ottimisticamente già prospettano i buoni risultati economici per l’America della strategia di pressione politica che l’Amministrazione Trump sta esercitando sul resto del mondo al riguardo.

Anche in questo caso potrebbe dunque risultare “illuminante” quel vecchio adagio che usano gli Inglesi (che se ne intendono) quando la questione diviene difficile da interpretare : “follow the money “! In tal modo di solito ci si prende…

 
Stefano di Tommaso




IL VALORE DELLA “BRAND IMAGE” OVVERO COSA CONTA DI PIÙ : LA PERCEZIONE O LA REALTÀ DEI FATTI?

La presentazione, il Marchio e la Comunicazione sono tutto per l’impresa e per i suoi prodotti.  Senza di essi nemmeno la miglior performance al mondo riuscirà mai a far percepire il suo valore.  È intorno a questo concetto che gira la maggior parte delle strategie di qualunque azienda nel mondo, senza nulla togliere alla sua validità ed economicità industriali.

 

È noto l’esperimento organizzato di recente dal Washington Post con alcuni ricercatori scientifici che indagano sulla percezione umana degli eventi, i gusti e le priorità della gente, per dimostrare questo concetto  (cosa conta di più: la percezione o la realtà dei fatti?) in maniera assolutamente plateale: la performance che uno dei più grandi musicisti al mondo: Joshua Bell, ha fornito lo scorso gennaio ad un pubblico di migliaia e migliaia di persone che passavano dalla metropolitana di Whashington D.C., seduto in un angolo senza farsi riconoscere.

L’ESPERIMENTO DEL WASHINGTON POST

Violinist Joshua Bell turns train station into concert hall

 

Non solo Joshua è riconosciuto come uno dei più grandi esecutori contemporanei, ma ha anche suonato quel giorno sei pezzi di Johann Sebastian Bach tra i più difficili da eseguire mai scritti nella storia della musica per un totale di poco meno di un’ora, con un violino del valore di oltre tre milioni e mezzo. Persino la posizione, in un angolo della stazione, da cui suonava, era stata studiata per ottenere uno splendido effetto acustico.

Inutile dire che praticamente nessuno si è accorto di lui quel giorno, nessuno tra le moltissime persone di ogni età che sono transitate ha riconosciuto il suo talento e la sua mirabile esecuzione artistica, nonostante quella stazione della metropolitana fosse una delle più affollate del mondo, nonostante a quell’ora (di punta) fossero diverse migliaia le persone che vi si affollavano, nonostante che egli, due giorni prima, in uno dei principali teatri di Boston, avesse fatto il tutto esaurito e ottenuto un enorme successo per la medesima esecuzione musicale.

Due giorni prima infatti la sua fama internazionale, il risalto sulla stampa della serata in programma e un’organizzazione mirabile dell’evento avevano fatto si che i posti in teatro non solo fossero andati esauriti ma anche che fossero costati al numerosissimo pubblico non meno di 100 dollari l’uno !

Due giorni dopo il medesimo “prodotto” e il suo medesimo “produttore”, spogliati di ogni notorietà (Joshua suonava in incognito e con un cappellino da baseball in testa), di ogni comunicazione e di ogni organizzazione a supporto, hanno trovato nel pubblico ben poca attenzione e racimolato mancine complessive per una misera trentina di dollari.

Forse cento anni addietro un musicista del livello di Joshua Bell persino in una piazza affollata da gente di tutti i tipi sarebbe comunque riuscito a farsi notare e a riscuotere il successo che merita.

L’ASSOLUTA PREVALENZA DEL MARKETING

Ma oggi il mondo è molto molto più complesso: la gente ha una vita molto più organizzata, riceve migliaia di stimoli e di messaggi di ogni genere e tende a concentrare la sua attenzione soltanto su talune determinate priorità, seguendo sempre più spesso in modo disattento quasi solo i grandi mezzi di comunicazione di massa.

Il risultato è la vittoria assoluta di marketing e comunicazione sulla sostanza delle cose, soprattutto nelle società civili più evolute, soprattutto oggi che la digitalizzazione, la pluralità delle fonti di informazione (ivi compresi i nuovi numerosissimi canali comparsi su internet) e il bombardamento pubblicitario continuo determinano la quasi impossibilità di venire notati senza un adeguato armamentario mediatico.
Vale per le persone, sinanco le più famose e geniali, come per l’economia, l’industria, i servizi e le informazioni.

È la definizione dell’immagine di ogni concetto, cosa o persona, più che il concetto in sé, la cosa o la persona stessa, a decretarne il successo e il profilo pubblico.
Con le evidenti storture che ne derivano quando si arriva agli eccessi citati.

Gli imprenditori, i loro consulenti e i loro responsabili commerciali ne prendano la giusta contezza: la necessità di imponenti organizzazioni, di rilevanti budget di comunicazione e di uno staff di marketing che -probabilmente- conta di più (e costa altrettanto di più) di chi sviluppa prodotti e servizi, orienta moltissimo le strategie aziendali e la dimensione minima necessaria per poter competere in un mondo globalizzato e “multi-canale”!

 
Stefano di Tommaso




ARRIVA IL ROBO-INDEX

Nell’ultimo trimestre quasi tutte le categorie di investimento hanno guadagnato valore, ma nessuna di esse è cresciuta così tanto (+32% su base annua) come il Global Robotics & Automation Index (http://roboglobal.com) l’indice globale relativo alle aziende di robotica e automazione industriale (che per adesso monitora 82 imprese nel mondo).

 

La performance borsistica delle aziende che si occupano di robotica e automazione industriale è risultata, proprio nel periodo migliore degli ultimi tre-quattro anni per le borse, nettamente superiore a quella di tutte le altre categorie di società quotate.
Circa il doppio dell’indice azionario globale MSCI e quasi tre volte lo S&P500  (che a sua volta non registrava una performance come questa dalla fine del 2013). “Tanta roba” dunque !


Le motivazioni sono ovvie: non ci sono praticamente comparti industriali che non siano stati pesantemente travolti dall’incalzare delle tecnologie di automazione e robotica e, di conseguenza, è montato decisamente anche l’interesse di qualunque grande impresa o investitore ad acquisire, incorporare, quotare in borsa o finanziare le imprese che sono attive i questi campi.

Questo è anche il principale motivo per il quale è nato in America un indice che le censisce e le riguarda : siamo di fronte ad un vero e proprio punto di svolta della storia dell’economia industriale dal punto di vista dell’avanzamento tecnologico e della riduzione dei costi connessi allo sviluppo della robotica in praticamente ogni applicazione.

Tuttavia come si può leggere nella tabella sopra riportata, di possibili campi di applicazione della robotica ne sono stati censiti 13 con l’evidenza di uno spaccato delle performances dell’ultimo trimestre relative alle aziende quotate nel mondo principalmente attive in ciascuno di tali campi.

I MIGLIORI RISULTATI ARRIVANO DALL’INTERAZIONE CON IL MONDO REALE E DALL’ELABORAZIONE  DELLE IMMAGINI


Ebbene il settore dell’automazione che ha riportato le migliori performance è quello dell’attuazione, cioè dell’interazione della robotica con il mondo reale: vi appartengono per esempio aziende come l’israeliana MOBILEYE, recentemente acquisita a caro prezzo da INTEL, che si occupa del controllo della guida e dell’evitare le collisioni alle vetture senza guidatore, più avanti in media rispetto alle aziende che si occupano di processing (elaborazione delle informazioni quali ad esempio la realtà virtuale o l’eleaborazione in tempo reale delle immagini e delle parole percepite), ma anche più performanti di quelle attive nell’automazione dei processi industriali, oggi sulla bocca di tutti grazie all’avvento della cosiddetta “industry 4.0”.

Se il momento è particolarmente positivo per le aziende innovative e per le tecnologie in generale insomma, la punta avanzata di quelle aziende è senza dubbio la robotica, perché essa si applica a praticamente qualsiasi ambito e forse perché la digitalizzazione e l’interconnessione hanno raggiunto il loro apice e dunque consentono una sua relativamente facile applicazione e gestione.

PERCHÉ LA ROBOTICA PERFORMA DI PIÙ

L’avvento di internet 2.0 e dell’interazione tra gli oggetti che essa consente ha posto infatti le basi per un incremento della loro automazione , ma anche l’avvio di un profondo rinnovamento di ogni comparto industriale in quanto a costi di produzione e distribuzione.
Non solo dunque la robotica assolve all’ovvia necessità -per chi può permetterselo- di semplificarsi la vita quotidiana, ma soprattutto propone alle aziende le migliori risposte all’esigenza di maggior efficienza gestionale, per evitare di ritrovarsi i margini azzerati dalla concorrenza globale sui prezzi.

È noto il caso della Adidas, grande multinazionale dell’abbigliamento sportivo, che dopo un lungo percorso di delocalizzazione delle produzioni di scarpe, ha infine creato uno stabilimento-modello completamente automatico in Germania, dove gli unici operai che vanno in giro per la fabbrica sono i pochissimi tecnici e ingegneri altamente qualificati che ne assicurano il funzionamento.
Ovviamente i costi di produzione di quell’azienda sono competitivi con quelli dei paesi asiatici a più basso costo del lavoro!

Il galoppo delle innovazioni tecnologiche in ogni direzione infine completa il quadretto: le imprese che forniscono soluzioni robotiche e di automazione non hanno che da scegliere ogni giorno quali nuove tecnologie incorporare nei loro apparati, rinnovando continuamente l’offerta e migliorandone continuamente le performances. Nel loro caso dunque i margini industriali sono assai elevati perché l’integrazione di quelle tecnologie in sistemi complessi e fortemente autonomi è -per ora- un mestiere che sanno fare in pochissimi.

L’invito implicito da parte di chi ha sviluppato il ROBO-INDEX è dunque quello di preferire l’investimento nelle aziende che sviluppano i vari campi della robotica e dell’automazione, non solo perché al momento sono quelle che promettono i maggiori guadagni, ma soprattutto che scatenano i maggiori appetiti per venire acquisite dalle grandi multinazionali dei settori più tradizionali -primo fra tutti il comparto dell’ “Automotive”- che vedono in esse il modo per fare un deciso passo avanti nel rinnovamento dei propri prodotti e delle proprie tecnologie produttive.

È una rivoluzione industriale e dei consumi simile a quella che ha seguito la diffusione dei personal computers e degli apparati digitali: il mondo intero è stato costretto ad adeguarsi, sebbene -visto in prospettiva- non sarà neanche in questo caso così scontato che siano i pionieri del settore quelli che ci guadagneranno di più.

 
Stefano di Tommaso