UNA LIRA RISPARMIATA… È UNA LIRA GUADAGNATA!

Intervista a Luca Pieroni, partner di DGPA Rational Management

 

Al termine di un convegno dei Family Offices in cui, tra gli altri, si e’ sviluppato un dibattito sull’”Ebitda Sano” abbiamo occasione di un breve confronto con Luca Pieroni, partner di DGPA Rational Management che opera in Italia sul licenza di Expense Reduction Analysts, gruppo inglese fondato nel’92 da Fred Marfleet il cui core business, avvalendosi di 700 specialisti, e’ l’ottimizzazione dei costi generali ovvero la gestione attiva dei fornitori, che annovera tra i propri clienti realtà del calibro di Deborah, Sundek, Samsung, Soleko, Calearo, Generali,  Hugo Boss e molte altre.
L’idea portata avanti da Pieroni è quella di aiutare le aziende ad ottimizzare i costi, con un impatto diretto sul margine (pari appunto alla conquista di nuovo fatturato), migliorando il risultato complessivo e aumentando le risorse per lo sviluppo perché la riduzione dei costi normalmente ha effetto diretto sul “cash-out”. In pratica mentre l’azienda si concentra su fatturato e crescita, gli specialisti della riduzione dei costi la aiutano ad amplificarne l’effetto in termini di margini e a ridurre le uscite di cassa.

 Il Prof. Luca Pieroni


(D) CI È APPARSO DALLE SUE OSSERVAZIONI CHE LEI HA PORTATO UN TEMA STRETTAMENTE INDUSTRIALE IN UN CONTESTO FORTEMENTE FINANZIARIO. COME MAI?

(R) In effetti appartengo ad una delle ultime generazioni che prima di arrivare alla finanza sono dovuti passare dall’industria, anche perche’ la finanza era, diciamo, “essenziale”.  L’”Ebitda Sano”, e’ un ottimo pay-off perche’ sintetizza bene la necessita’ del ritorno alla logica industriale e di una crescita che non deve avvenire esclusivamente un’attività di spinta sul mercato, o sfruttando al massimo la leva finanziaria, ma può avere un interessante contributo anche agendo sul “saving”.


(D) SE DOVESSE DARE LA SUA DEFINIZIONE DI “EBITDA SANO”?

(R) Faccio riferimento a un insieme di interventi tesi a recuperare efficienza dal punto di vista operativo e organizzativo, in modo che l’ebitda risultante sia frutto effettivo della qualita’ dei prodotti e dei processi. Un ritorno a privilegiare la “leva operativa” e a considerare quella finanziaria come servizio, consolidando la qualita’ del business.
Tutti abbiamo studiato la leva operativa a suo tempo ma, siamo sinceri, negli ultimi tre lustri forse quattro, se ne era un po’ persa la traccia.  Era cosi’ comodo costruire i rendimenti attraverso la leva finanziaria, privilegiare il ROE sul ROI, etc … era rapido, pulito, portava le discussioni e le negoziazioni dalle aziende alle banche e, grazie alle condizioni di mercato, quindi a fattori esogeni alla stretta gestione del business, si ottenevano risultati interessanti. La cosa ha funzionato sempre meno, perche’ il contesto e’ mutato.
Fa quindi piacere constatare che qualcuno nel mercato riporta l’attenzione “sull’azienda” come fattore primario, ottimizzandola e accompagnandone lo sviluppo, recuperando i fattori strutturali della stessa per garantire la stabilita’ dell’espansione. Se fossi un investitore sarei contento.
Non con quanto sopra che la leva finanziaria sia “il male” e la leva operativa “il bene”, ma, siamo sinceri, molte realta’ cresciute impetuosamente, a volte sorprendenti, si sono poi rivelate eccessivamente alimentate dal supporto finanziario, richiedendo poi radicali ristrutturazioni del debito.


(D) COME INTERVIENE UN TEAM PER LA RIDUZIONE DEI COSTI ?

(R) Con diversi professionisti di livello, ognuno dei quali con un know-how specifico per progetto, noi suddividiamo l’intervento per area di costo.
Tra le principali categorie che abbiamo piu’ frequentemente affrontato in Italia troviamo: viaggi e trasferte del personale, trasporti e la logistica, energia & gas, telecomunicazioni, flotta e POP (Point of Purchase). Certo, qualche imprenditore mi dice ancora “ma voi tirate il collo ai fornitori, e poi ci trattano male …”: non e’ cosi’, ci limitiamo a portare a conoscenza dell’azienda tariffe che gia’ sono sul mercato solo che senza un canale attrezzato mai sarebbero arrivate alla stessa. I mercati non sono ancora completamente trasparenti, ma siccome sono molto piu’ trasparenti di qualche tempo fa, lo “sembrano”. Quindi non tiriamo il collo a nessuno, ma rendiamo disponibili a tutti la nostra consapevolezza del fatto che si puo’ spendere meno e mantenere ottimi rapporti con I fornitori aiutando essi stessi a fare efficienza. È come indurre a una dieta che può risultare sana e bilanciata.


(D) E TUTTO QUESTO FUNZIONA?

(R) Ogni anno vengono complessivamente analizzati nel mondo un totale di circa 2 miliardi di euro di progetti ottenendo un risparmio medio di circa il 20% (dall’8% ad oltre il 45% a seconda delle categorie). In Italia generiamo decine di milioni di euro di risparmi all’anno con un impatto diretto sul margine, migliorando sensibilmente la “leva operativa”, accrescendo il risultato complessivo e aumentando le risorse per lo sviluppo.
Nel mondo si genera quasi mezzo miliardo di maggior ebitda solo agendo sulla “filiera secondaria”, quella non strategica.
Come detto, per il private equity dovrebbe essere un “must”: un dubbio del tipo “abbiamo 3-4 milioni di costi generali, li lasciamo li o vediamo se ne ricaviamo risorse ?” sarebbe un dubbio sano.
Anche perche’ poi, alla fine, la way-out e’ spesso legata a multipli dell’ebitda, e quindi il “valore” che si genera e’ a sua volta “multiplo”. Non e’ proprio irrilevante per le aziende, per i fondi e per gli investitori.


(D) I FONDI DI INVESTIMENTO SONO UN OTTIMO VEICOLO PER LE AZIENDE CHE VOGLIONO CRESCERE MA SONO MOLTO ESIGENTI IN TERMINI DI REDDITIVITÀ. POTETE AIUTARE LE AZIENDE A PERFORMARE MEGLIO?

(R) Certo, le aziende e i fondi stessi.  I Fondi di investimento che siano Private Equity o Venture Capital, sono sicuramente un partner interessante per le aziende italiane, soprattutto in questo periodo storico caratterizzato dal difficile dialogo con le banche. È vero, loro sono interessati al valore dell’azienda ed al suo incremento, per prassi parametrato alla dinamica dell’ebitda. L’impatto sui costi è chiaramente importante perché ha effetti tanto sull’Ebitda prospettico quanto sui flussi di cassa attesi.
In presenza di un piano industriale credibile tale intervento aumenta il valore dell’azienda per azionisti e investitori fin dal “tempo zero”.


(D) PUÒ FARE UN ESEMPIO NUMERICO?

(R) Prendiamo un’azienda generica che chiameremo Alfa, con un fatturato di 39,7 milioni di euro, un’Ebitda di 6,2 milioni pari al 15,61%. Per aumentarne il valore si può intervenire sul fatturato per farlo crescere, ma anche sul cost saving: per proseguire nell’esempio, se il nostro intervento giungesse a portare un risparmio sui costi anche solo di €100.000, il nuovo Ebitda di 6,3 milioni di euro sarebbe comunque migliorato dell’1,5%. Poiche’ il mercato dei Fondi opera sulla base di multipli dell’Ebitda, da 4 a 7 nella norma, e fino a 10-12 in alcuni casi, il valore creato diventa sensibile (da mezzo milione a un milione di euro). E volendo c’e’ il tema dell’efficienza gestionale.


(D) COSA INTENDE ?

(R) Beh, in genere per aumentare il fatturato, a meno che ci si trovi in particolari condizioni di forza di mercato, ma e’ infrequente, diventa necessario attuare delle politiche commerciali aggressive in termini di prezzo praticato o di natura finanziaria. In realta’ il rischio di vedere aumentare l’Ebitda in valore assoluto ma di vederlo ridurre in termini percentuali non e’ remoto. In altri termini, si cresce in termini dimensionali ma si peggiora la marginalita’ e quel che è peggio è che se la cassa generata non sale corrispondentemente, si peggiora il fabbisogno di circolante e si appesantisce la leva finanziaria.
Il “nostro” intervento invece e’ “netto”: produce un beneficio assoluto a parita’ di condizioni, e migliora la “leva operativa” ben piu’ sana della leva finanziaria. Alcune volte produce anche miglioramenti organizzativi. Ecco cosa intendo con “efficienza gestionale”.


(D) TRA LE CITATE CI SONO AZIENDE MOLTO NOTE E. INTROLLATE DA FONDI DI INVESTIMENTO, COME KICKOFF, LICENZIATARIA DEL MARCHIO SUNDEK. QUALE È STATO L’INTERVENTO?

(R) Kickoff voleva effettuare un’analisi dei costi indiretti aziendali, con specifica attenzione alle spese di “Trasporto & Logistica”, dal momento che rivestono un’importanza particolare per il tipo di prodotto. I tempi e i livelli di servizio richiesti, la distribuzione capillare nei punti vendita delle località turistiche o presso i centri logistici specializzati, richiedono fornitori di standard elevato capaci di soddisfare ogni particolare esigenza del cliente. Nel loro caso sono stati individuati tre principali segmenti di analisi: il segmento “import” (mare/aria) dal Far East, il segmento “trasporti su vendite nazionali” e infine quello relativo ai “trasporti su vendite Internazionali”. Per queste tre aree di costo l’intervento ha individuato specifiche soluzioni di risparmio che hanno generato una riduzione dei costi del 22%.


(D) PUÒ FARE ALTRI ESEMPI DI TAGLIO AI COSTI INDIRETTI?

 

(R) Vale ricordare Building Energy, un produttore indipendente di energia da fonti rinnovabili con un ampio portfolio di impianti -in esercizio, in costruzione e in sviluppo- con una pipeline complessiva di oltre 1000 MW in Europa, Africa, America centrale e Stati Uniti. Da questa descrizione si comprende come la struttura dei costi indiretti della società sia particolarmente complessa. Abbiamo lavorato in due direzioni, la telefonia e i viaggi, centri di costo importanti vista l’organizzazione aziendale.
Per la telefonia si sono ottenuti risultati mediamente superiori al 45%. Si è lavorato in maniera estremamente rigorosa sul profilo di spending di ogni singolo utente: i manager ed i tecnici-commerciali di Building Energy viaggiano in vari continenti e hanno naturalmente esigenze specifiche di connessione voce e dati. Ad ogni utente è stata data una risposta precisa con la scelta più adatta di piani tariffari.
Per i viaggi si è lavorato da un lato su fattori come le tariffe e gli accordi con le compagnie aeree per le tratte più ricorrenti, ottenendo risultati che, trimestre dopo trimestre, si attestano intorno al 25% di risparmio medio. E dall’altro sulle prenotazioni alberghiere, cambiando i fornitori precedentemente utilizzati e aggiornando le convenzioni. Chiaramente in condizioni di forte sviluppo dell‘azienda e di budget crescenti, l‘effetto leva ha consentito di ottenere significativi riduzioni di costo in termini assoluti.


(D) SI PUÒ AFFERMARE CHE IMPRENDITORI E FONDI DI INVESTIMENTO ABBIANO UN SOSTANZIALE VANTAGGIO NELLA RIDUZIONE DEI COSTI?

(R) Soprattutto in coincidenza con una discontinuità nella gestione aziendale e’ innegabile che una sforbiciata sui costi produce vantaggi a 2 livelli, per l’azienda in sè e, implicitamente, per l’azionista. Per l’impresa le risorse vengono ottimizzate, viene migliorata la leva operativa, si “difende” la marginalita’, si dirottano le uscite finanziarie.
Per l’azionista individuare miglioramenti dell’Ebitda senza appesantire, anzi migliorando la posizione finanziaria, rende piu’ appetibile l’azienda, tanto per la ricerca di capitali quanto per la way-out, ritrovandosi in più con il maggior valore creato dall’applicazione dei moltiplicatori all’Ebitda.
Oggettivamente non vedo controindicazioni a valutare un intervento: se si verificasse che non c’è nulla o quasi dove intervenire, il management aziendale avrebbe la consapevolezza di avere i costi ad uno standard coerente con il proprio benchmark, e il Fondo un ottimo argomento da presentare agli investitori.

 

Stefano di Tommaso

 




Faremo shopping solo su Amazon?

Negli ultimi tempi c’è allarme generale riguardo alla sopravvivenza dei supermercati e negozi al dettaglio: se il commercio si sposta sullo spazio virtuale c’è ancora ragion d’essere per il commercio “tradizionale”?
E se nessuno occuperà più gli spazi fisici degli empori tradizionali (tanto per le strade del centro città quanto tra i corridoi dei centri commerciali), allora il valore di quegli immobili e di quelle vetrine da essi utilizzati resterà quello di prima?

La prima risposta che viene in mente è che no: il cambiamento non avverrà in un giorno, ma è altrettanto vero che esso è inesorabile.
Così come inesorabilmente la grande distribuzione e la distribuzione organizzata hanno in buona parte soppiantato i negozi alimentari della signora Maria che ricordiamo da bambini, allo stesso modo le edicole dei giornalai stanno progressivamente scomparendo e, quando sopravvivono, vendono soprattutto schede del telefono, coltellini, patatine e biglietti del tram.

 

IL CREPUSCOLO DEGLI EMPORI

Avevamo già vissuto le avvisaglie della fine del commercio tradizionale con la scomparsa (o quasi) dei grossisti, dei negozietti famigliari (rimpiazzati da catene almeno regionali di negozi -nemmeno troppo piccoli- magari con il commesso multilingue).
Avevamo iniziato a fare shopping quasi solo nei centri commerciali e qualche volta anche on-line, magari solo quando volevamo la pizza pronta all’ultimo istante.
Ma adesso sembra proprio che persino i centri commerciali siano divenuti roba del passato, e che se via internet troviamo i migliori prezzi e la scelta più ampia, è solo questione di tempo prima che per la maggior parte delle nostre abitudini di consumo ce ne staremo seduti comodi a casa davanti allo schermo (o altrove in panciolle con il maxi-smartphone in mano).

 

LE IMPLICAZIONI DI VALORE

Cosa significa da un punto di vista finanziario? Che dovremmo vendere i titoli delle aziende commerciali quotate in borsa e comperare quelli di chi produce poltrone e sedute? Che dovremmo attenderci un calo dei valori immobiliari legati alla vendita al dettaglio e un innalzamento di quelli connessi alla logistica e al trasporto verso “l’ultimo miglio”?
Probabilmente sì. Ma non solo.

La verità (completa) è che difficilmente il lusso vero (per quel che ne resterà) sarà venduto dal cellulare senza l’ausilio di splendide commesse nelle vie del centro, che difficilmente l’emozione di entrare da un concessionario di automobili che vi fa provare l’ultimo modello e supervaluta l’usato potrà essere sostituita dalla migliore offerta di un sito cinese che vi offre la Mahindra a prezzi di saldo.

Difficile che l’acquisto dell’ultimo grido di prodotti cosmetici o di lucida-labbra non avvenga ancora in un piacevole salone dove le signore possono prima provarne un paio di dozzine, nelle varie nuances di colore e di profumo…

 

VINCANO I PIÙ SIMPATICI!

In tutti quei casi cioè dove prevale l’interazione umana (e dove ce lo si può permettere), lo spazio virtuale è perdente. L’uomo ha bisogno di trovare calore e “comunità”. L’altro ieri erano: la sezione XY del partito, il bar sport, il circolo cittadino oppure la serata rotariana, domani sarà probabilmente qualcos’altro, ma il bisogno di interagire è innato in noi. “L’uomo è un animale sociale” scriveva Aristotele nel IV secolo avanti Cristo!

Quindi non basta l’esplosione di “pet”, ovvero cani, gatti e altri pelosetti in giro per la casa, spesso al posto dei bambini e degli anziani. Quando usciamo di casa vogliamo incontrare qualcuno, discutere di qualcosa e provare emozioni… tra cui lo shopping!

Alcuni analisti suggeriscono che sarà il concetto di “comunità ” a farsi strada nelle nostre scelte, anche perché in un mondo sempre più complesso ci risulta difficile fidarci di qualcuno.

 

IL FUTURO È DIFFICILE DA GESTIRE

Poi però cercheremo ugualmente di risparmiare (anche perché arrivano cose nuove a risucchiare il nostro budget), cercheremo ugualmente di evitare luoghi noiosi, sporchi o male illuminati o anche solo troppo difficili da raggiungere.

Ma il piacere qualche ora di passeggiata per le vie del centro o dei mall più simpatici, con gli animatori che ci intrattengono o gli spazi-gioco per i bambini probabilmente non scomparirà mai.

Se invece proviamo a gettare uno sguardo nel futuro e più profondo, allora gli oracoli parlano di realtà aumentata e virtuale, di intelligenza artificiale, di robot domestici… potrebbero anche essere cose che arrivano domani mattina ma oggi sarebbe difficile costruirci sopra qualche ragionamento di puro business.
Accontentiamoci allora soltanto della prospettiva (c’è chi è disposto a pagare bene per averne una davanti a casa propria!).

Morale: lo shopping cambia, si virtualizza, è soggetto a selezione naturale e a un processo inesorabile di erosione dei margini unitari. Non c’è dubbio.
E dal punto di vista dei valori in gioco, delle dimensioni aziendali, del prezzo degli immobili non potremo non tenerne conto.

 

MA LA VITA VA AVANTI… E IL COMMERCIO PURE !

Ma la vita va avanti, la selezione severa lascia emergere le catene di dettaglio più simpatiche, più “fidelizzanti” (nessuno ammazzerà mai i “ricchi premi e cotillons”), più pronte all’uso e meno invadenti.

E poi l’economia cresce, il nostro potere d’acquisto (insospettabilmente) pure, e la scelta di articoli e “luoghi” dello shopping che avremo davanti a noi nei prossimi anni è probabilmente destinata ad ampliarsi.
Le nuove generazioni vengono considerate come “native digitali” ma non disdegnano nemmmeno loro le emozioni.
Sono perciò piuttosto sicuro che ci sarà spazio per tutti (coloro che se lo meritano).
Basta riuscire a capire dove e a quali condizioni..!

 
Stefano di Tommaso




Un mondo esponenziale

Per chi avesse voglia di farci caso, le nostre condizioni generali di vita sono molto cambiate, a partire dagli angoli più affluenti del pianeta, dai centri cittadini delle maggiori metropoli e soprattutto tra le nuove generazioni che vi si affacciano, con l’impronta digitale già alla nascita.
Le nuove generazioni vivono per prime in un mondo decisamente più opulento, tecnologico, interconnesso, pieno di opportunità e di alternative ma, come vedremo più avanti, forse anche più stressante, incerto e complesso. Questo determina molti cambiamenti nelle abitudini della gente.


LE CONTINUE ONDATE DI NUOVE TECNOLOGIE : AFFASCINANTI E MINACCIOSE

Ogni nuova tecnologia che oggi si affaccia alla ribalta della piattaforma digitale dalla quale oramai le nuove generazioni guardano il mondo, comunicano, si esprimono e interagiscono, promette loro nuove meraviglie, fornisce nuovi servizi gratuiti e automatizza nuove funzioni.
Ma al tempo stesso essa è destinata a impigrirle e a cambiare il modo di chiunque ne usufruisce di fare le cose, di apprendere, di lavorare.
Il commercio che si svolge on-line per esempio, abbassa i prezzi e moltiplica l’offerta di beni e servizi, ma al tempo stesso desertifica i centri cittadini, provoca la chiusura di taluni grandi magazzini e cancella dei posti di lavoro.
Le nuove ondate tecnologiche sono insomma il progresso, ma sono anche un frutto avvelenato, un’arma a doppio taglio, un’opportunità da godere e al tempo stesso una minaccia per tutto ciò che era prima, ivi compresi il nostro posto di lavoro e i nostri risparmi. Per certi versi esse perciò ci costringono ad adeguarci a loro anche senza volerlo.


LA CRESCENTE VELOCITÀ DEL CAMBIAMENTO : CARATTERISTICA DEI TEMPI ATTUALI

Possiamo dunque affermare che il cambiamento continuo, impetuoso e meraviglioso che ogni nuova ondata tecnologica porta con se, a volte è persino scomodo? E se non bastasse: anche la velocità del cambiamento è perennemente in crescita ed è divenuta la vera caratteristica del mondo in cui viviamo.
Il cambiamento una volta era visto solamente come l’avvento di nuove tecnologie al servizio dell’uomo, oggi è percepito sempre più come minaccia per il nostro ambiente di lavoro, per i nostri piani pensionistici, e per l’imprevedibilità delle tendenze di fondo.
Un esempio per tutti della nuova schiavizzazione è la relativa obbligatorietà della partecipazione al mondo digitale e alla “schedatura” che fanno di noi i social networks (la piazza virtuale): in molti casi l’apertura di una posizione per il noleggio di un’automobile piuttosto che la partecipazione al dibattito su quale spesa effettuare nel condominio, sino al forum dei vecchi compagni di scuola che si ritrovano dopo tanti anni, sono spesso eventi cui possiamo partecipare soltanto se siamo dotati di un telefonino intelligente, dove trovano posto le nostre iscrizioni a Facebook, WhatsApp, LinkedIn, o anche solo a diverse comunità digitali che si scambiano immagini, video, posta elettronica o messaggistica di qualche nuovo tipo.


IL MONDO ESPONENZIALE: COMPLESSO, DINAMICO, MA SOPRATTUTTO IMPREVEDIBILE ED AMBIGUO

La differenza dunque con i tempi in cui il futuro era visto come un mondo di sogno nel quale le macchine avrebbero fatto tutto quello che avevamo bisogno di fare è che oggi il cambiamento indotto dalla tecnologia è spesso comodo e gratuito, ma anche insidioso e fonte di stress, anche perché risulta sempre più invadente e irrinunciabile.
Il mondo globalizzato del futuro quotidiano in cui vivono le nuove generazioni (mentre le altre per il momento ci gettano solo uno sguardo) è un vero e proprio turbine di innovazione, cambiamento, opportunità e anche minacce, a causa del fatto che la digitalizzazione ha rimosso le barriere allo sviluppo dei nuovi business.
Se una nuova tecnologia ha successo, essa si diffonde oggi con un andamento, appunto, “esponenziale” generando nuova ricchezza e nuove tendenze, mentre accelera progressivamente.
Il mondo che ne consegue, senza più i limiti fisici del passato, appare perciò dinamico, portentoso, ma è anche difficile prevederne ex-ante le tendenze, proprio a causa dell’andamento “esponenziale” della diffusione di queste nuove tecnologie.


LA FINANZA ESPONZIALE : OTTIMISTI E PESSIMISTI A CONFRONTO

Anche la finanza segue questi andamenti esponenziali, ad esempio nelle valutazioni delle start-up che hanno avuto successo tra gli investitori, facendo spesso gridare allo scandalo tra gli analisti che per prevederne i flussi di cassa possono solo guardare alle prime fasi della curva esponenziale (vedi immagine) senza troppe certezze circa l’evoluzione della medesima.
C’è infatti un forte dibattito in corso riguardo alla sostenibilità degli attuali livelli delle quotazioni di Wall Street, giunte ai massimi di sempre e vicine -con le dovute proporzioni – a livelli da vera e propria bolla speculativa che si erano visti solo qualche istante prima della crisi del 1929.


I PESSIMISTI

Questo accade peraltro solo un anno dopo che la McKinsey aveva lanciato un allarme sulla sostenibilità degli utili aziendali (fondamentale tassello nella determinazione del valore d’impresa), secondo la quale i profitti degli ultimi anni si erano potuti realizzare solo a causa della coincidenza di un grande numero di circostanze favorevoli quanto irripetibili e pertanto sarebbero stati destinati a ridursi decisamente negli anni a venire.
Anzi: la stessa capacità di non andare in perdita per molte imprese attive nei settori “tradizionali” era stata messa fortemente in discussione in un ambiente economico che sarebbe stato scosso alle sue radici dalla diffusione della digitalizzazione, fenomeno che, in presenza di una progressiva deflazione dei prezzi e in prospettiva di una “stagnazione secolare”, avrebbe azzerato i loro margini e generato disoccupazione a causa della minore domanda di fattore-lavoro delle imprese basate su internet.
È bastato un anno per prendere atto dell’esatto opposto tra tutti gli scenari evolutivi possibili: la disoccupazione è andata ai suoi limiti fisiologici inferiori proprio nel Paese che più ha cavalcato l’economia digitale, l’America; l’inflazione ha rifatto capolino e i profitti delle imprese quotate (buona parte delle quali attive nei settori tradizionali) sono tornati a crescere, smentendo quelle previsioni o quantomeno rimandandone la verifica a periodi decisamente più lontani negli anni.


GLI OTTIMISTI

Se vogliamo provare a sintetizzare in una sola la motivazione per cui la borsa è invece cresciuta e anche gli utili aziendali sono migliorati, essa si può trovare nella fiducia verso il futuro che le imprese hanno mostrato continuando a investire (creando le premesse per ulteriori profitti) e che i loro azionisti hanno tradotto in valutazioni ancora superiori.
L’impatto delle nuove tecnologie insomma sembra invece aver aiutato sino ad oggi la crescita economica ed essere in grado di generare quell’effetto moltiplicativo che si era già visto ai tempi della prima rivoluzione industriale, con l’avvento delle macchine che prendevano il posto dei lavoratori nelle fabbriche. Effetto che i luddisti negavano e che gli imprenditori hanno invece poi cavalcato, generando ricchezza per tutti.


COSA DEDURNE : VOLATILITÀ INNANZITUTTO

Di certezze per il futuro ovviamente non ce ne sono affatto, anzi! La finanza esponenziale moltiplica la pericolosità dell’investimento in borsa e riduce l’appetibilità dell’investimento nei titoli a reddito fisso (dal momento che i titoli azionari offrono prospettive di guadagno completamente diverse).
In borsa pericolo può risultare sinonimo di incertezza, e generare di conseguenza della volatilità, che sino ad oggi invece è calata, parallelamente al crescere dei listini.
Non è impossibile pertanto che, man mano che l’entusiasmo unidirezionale degli investitori lascerà il posto al dibattito tra di essi, la volatilità dei listini di borsa possa tornare a crescere, anche a causa della progressiva incertezza della tenuta delle quotazioni azionarie, mano mano che raggiungono livelli sempre più stellari.


REDDITO FISSO?

Fino ad oggi è andata bene per la borsa e, paradossalmente, assai male per i bond, dal momento che i tassi di interesse reali sono scesi e quelli nominali sono saliti, erodendo il loro valore. Con la prospettiva di deflazione di un anno fa era invece tutto all’opposto: i tassi nominali bassi risultavano comunque appetibili in termini reali a causa delle aspettative di inflazione negativa.
Sperare che i titoli a reddito fisso riprendano valore e lanciarsi in quella direzione è perciò oggi una scelta difficile, perché bisogna immaginare che l’incremento dei tassi di interesse nominali (che è pilotato dalle banche centrali) possa superare quello dell’inflazione attesa.
E con un livello così alto come quello attuale dei debiti pubblici la loro scelta risulterebbe quantomeno bislacca.


SELETTIVITÀ

L’investimento azionario ai livelli attuali a sua volta è sempre più una scommessa. Riuscire a prevedere quali titoli “high-tech” potranno continuare la loro corsa anche in futuro è quasi impossibile.
Eppure qualcuno di essi potrà beneficiare “esponenzialmente” dello spazio economico digitale che si amplia, qualcun altro sarà acquistato da imprese tradizionali che vorranno acquisire le nuove tecnologie. E in entrambi i casi l’occasione può essere ghiotta.
Al contrario l’entusiasmo verso le nuove tecnologie ha sicuramente trascinato al rialzo anche qualcuno dei giganti del passato, senza alcuna certezza che esse gioveranno anche ai loro profitti.
É vero anzi il contrario: la digitalizzazione può ridurre i margini di profitto delle imprese tradizionali e il mercato potrebbe accorgersene presto penalizzandone la valutazione.


LA LIQUIDITÀ DEL MERCATO SI RIDUCE

Per questo motivo la vera impresa dei risparmiatori e di chi lavora per loro sarà riuscire a discernere meglio tra le occasioni di investimento azionario, probabilmente molto più che in passato, quando la marea di liquidità cresceva e trascinava verso l’alto tutto ciò che incontrava.
Oggi invece da un lato sembra che le banche centrali stiano riducendo i loro interventi e dunque la massa di denaro sul mercato, mentre dall’altro lato le occasioni di diversificazione degli investimenti sono cresciute: l’oro sembra tornato in spolvero, l’immobile anche e l’arte continua ad attrarre risorse come mai in passato.
Tutti fattori che tendono a ridurre la liquidità disponibile per l’investimento azionario.
Almeno per il prossimo futuro una quasi-certezza sembra dunque esservi: con la tendenza a ridursi della liquidità del mercato è difficile che la marea cresca ancora, la rotazione dei titoli invece aumenterà e con essa una relativa volatilità.
Tenetevi forte allora!

 
Stefano di Tommaso




La fatica di Uber

L’ingresso di Uber sul mercato -è risaputo- ha rovinato il sonno a molte categorie di interessi, a molti lobbisti e a molti concorrenti.

Uber per prima ha concepito l’idea di cambiare il paradigma del trasporto urbano privato. Anche per questo è la società che più di ogni altra è riuscita a raccogliere molto denaro senza ancora quotarsi in Borsa.

Ad oggi infatti finanziatori e investitori privati le hanno profuso quasi 13 miliardi di dollari e nell’ultimo aumento di capitale Uber è stata valutata quasi 68 miliardi di dollari, un terzo in più della capitalizzazione di General Motors e un multiplo di FCA.

Con il successo di Uber non è soltanto la categoria (protetta) dei tassisti a rischiare le proprie tariffe da favola (in Italia più alte che a New York o a Londra), bensì anche i corrieri espressi, i giganti del commercio elettronico e addirittura quelli dell’industria automobilistica.

Uber ha infatti rivolto cospicui investimenti in direzione dell’automobile che guida da sola, scavalcando nella sua corsa non soltanto i produttori di componentistica, bensì anche calibri come Intel (che controlla da poco Mobileye), Google (che controlla Waymo) e Tesla e provocando la loro avversità.

Ciò nonostante Uber aveva coraggiosamente annunciato l’hanno scorso di essere in procinto di avviare un servizio di taxi con elevato livello di autonomia.

I tentativi di incastrarne il leader con un processo per molestie sessuali, le proteste poste dai luddisti conducenti, gli ostacoli sopraggiunti dai regolatori, l’esodo di personale infedele che ha preferito farsi pagare caro per passare alla concorrenza e mille altre trappole non l’avevano finora fermata nella sua corsa per rivoluzionare le strade del mondo.

Ma venerdì sera è accaduto dell’altro: uno scontro tra un’auto sperimentale di Uber e una privata le fa rischiare l’ennesima battaglia legale, che si porterà dietro uno stop ulteriore nelle sperimentazioni.

Non ci sarebbe nulla di strano, se l’accurata ripresa audiovideo dell’incidente effettuata dal veicolo automatico non lasciasse chiaramente supporre che il guidatore del veicolo privato che si è scontrato con l’auto sperimentale Uber abbia lui inequivocabilmente (e stranamente)determinato l’incidente.

Che l’abbia fatto apposta non riuscirà forse nemmeno una perizia psichiatrica a provarlo ma -è risaputo- a pensar male si fa peccato, però…

 

Stefano di Tommaso