Red Shift

Potrebbe essere arrivato il momento di osservare i mercati finanziari attraverso un diverso metodo, dal momento che quello tradizionale con il quale interpretiamo i risultati dell’analisi “fondamentale” basandola sull’andamento delle principali variabili macroeconomiche, ci fornisce invece un quadro assai contraddittorio, che sinora è stato capace di ingannare la maggior parte degli analisti finanziari.

 

IL CANTO DELLE CORNACCHIE

Sono infatti almeno sei mesi (dopo la fine del 2016 quando la borsa è salita in funzione del cosiddetto “Trump trade”) che ci sentiamo ripetere che i listini azionari sono sopravvalutati, che -compiuti i fatidici sette anni- il ciclo economico positivo non può che volgere al suo naturale termine (almeno in America), che il “tapering” delle banche centrali occidentali restringerà la liquidità in circolazione e tornerà ad alzare i tassi (sebbene per quelle orientali il discorso sia, almeno per il momento, assai diverso) e che dunque sia destinata a sgonfiarsi la gigantesca bolla speculativa che ha favorito i listini e pompato anche i valori dei titoli a reddito fisso.

Sembra sopita per il momento persino la speranza di essere entrati in una nuova epoca che -a partire dal mondo anglosassone- inauguri un deciso taglio alle tasse e un forte incremento degli investimenti per infrastrutture, due fattori che avrebbero il potere di  rilanciare decisamente la crescita economica globale.

Eppure i mercati finanziari non sembrano affatto averla presa male. Restano a galleggiare tranquillamente sui massimi di sempre, assorbendo sinanco l’impatto (oramai dato per scontato) del secondo turno di rialzo dei tassi USA a metà Giugno e, anzi, il corso del Dollaro sembra incamminato verso una china discendente nonostante la Federal Reserve abbia chiaramente indicato che i rendimenti del biglietto verde saliranno tre volte ancora, dopo quello imminente.

LA CRESCITA DEGLI UTILI NON PLACA I TIMORI

Aggiungiamo che i profitti delle società quotate che compongono i principali indici di borsa nell’anno in corso sembrano ulteriormente destinati a crescere: del 24% nell’Eurozona e dell’11% in USA. L’America sembra inoltre veder crescere il suo Prodotto Interno Lordo del 2,3-2,5% quest’anno, contro un 1,6% medio dell’Europa (una crescita media che, senza alcune palle al piede di Paesi resilienti come l’Italia, sarebbe superiore al 2%).

Buone notizie, da piena ripresa economica, o da nuovo slancio del ciclo esistente. Ma secondo gli analisti queste cifre non bastano da sole a giustificare i nuovi massimi dei mercati azionari, non bastano per spiegarne il mancato ridimensionamento. Al contrario! Tutti si aspettano a breve qualche pericolo: un crollo delle borse o, quantomeno, una riduzione dei valori d’azienda espressi dai multipli dei profitti.

Sebbene sia quasi impossibile per chiunque formulare delle ipotesi accurate, lo è tanto più difficile quanto più si voglia navigare controcorrente in contrapposizione al coro generale degli analisti e strateghi di borsa che continuano a guardare la quiete dei mercati quale precursore di tempeste che -nella mia umile opinione- non si materializzano forse mai.

Il mio punto di osservazione mi porta invece a vedere un ordinato dispiegamento di fattori di crescita e di consolidamento dell’economia globale, soprattutto nel continente asiatico, nell’ambito di un mondo che -nel complesso- vede espandere la sua popolazione e la sua produzione di servizi digitali (spesso gratuiti ma che generano comunque importanti valori aziendali) a ritmi ben superiori alle risibili percentuali di crescita economica dell’Occidente.

IL “RED SHIFT” DELL’ECONOMIA MONDIALE

Nell’osservazione dell’Universo, il “red shift” (ovvero lo “spostamento verso il rosso” delle onde elettromagnetiche ricevute) è la constatazione dell’effetto “Doppler” relativo all’allontanamento delle galassie da cui esse provengono, effetto tanto più marcato quanto più sono distanti. Il “red shift” è perciò divenuto nel tempo il sinonimo dell’espansione dell’Universo, misurato in frazioni infinitesimali se proviamo a usare il nostro tempo (anni) e il nostro metro (multipli di chilometri), ma di portata inimmaginabile se lo computiamo su base cosmica, cioè osservando gli oggetti più lontani.

Ed è proprio a partire dall’osservazione degli oggetti più lontani che vorrei argomentare la mia personale spiegazione degli eventi economici globali: la crescita economica che si materializza soprattutto in Asia, con i suoi 5 miliardi di abitanti (quasi dieci volte quelli di USA e Eurozona insieme), i quali in massima parte stanno uscendo adesso dalla condizione di indigenza, è un bradisismo espansivo che trova limitato riscontro nelle statistiche ufficiali, innanzitutto per due motivi:

1) La crescita economica è espressa in valori monetari denominati in divise relativamente deboli rispetto a Dollaro e Euro (si dice che il P.I.L. della Cina avrebbe superato quello americano già nel 2012 se lo Yuan non si fosse svalutato ben di più);
2) una parte consistente della crescita economica è invece basata sulla generazione di contenuti e valori digitali, a partire da quello del Bitcoin, che non trovano posto nelle statistiche ufficiali ma che esprimono valori di accelerazione ben superiori a quelli ufficialmente rilevati.

Si legga ad esempio il saggio di Brookings “l’espansione senza precedenti della classe media nel mondo” nel link qui di seguito: https://www.brookings.edu/wp-content/uploads/2017/02/global_20170228_global-middle-class.pdf.

I BENEFICI PER L’OCCIDENTE

Di una parte di questa crescita si avvantaggiano ovviamente le economie occidentali (ecco che le esportazioni europee crescono ben più delle importazioni, e così si rivaluta l’Euro), un’altra parte di quella crescita va a compensare le esigenze della base demografica che si allarga, una parte di essa infine alimenta l’economia sommersa.
Dunque una parte non trascurabile della “crescita che non si vede” va a ingrassare i profitti delle grandi corporations euro-americane i cui certificati azionari compongono gli indici di borsa. Ed è questo il motivo per il quale i loro profitti crescono oggi ad un ritmo che è dieci volte quello delle economie di loro appartenenza.

Con la crescita dell’economia digitale inoltre i valori inespressi generati dal world-wide web sono probabilmente più elevati di quanto evidenzino le relativamente poche aziende tecnologiche ancora quotate nelle borse valori, la cui maggioranza dei titoli non riguarda l’economia digitale.
Prova ne è la maggior crescita -rispetto agli indici di borsa generali- del listini “tecnologici” come quello del NASDAQ, o meglio ancora gli indici dei valori riferiti alle aziende ipertecnologiche, come il “Robo-Index” (si legga al riguardo un mio recente articolo:  http://giornaledellafinanza.it/2017/05/01/arriva-il-robo-index/ ).

IL RISCHIO DI INCEPPO E LO SPAURACCHIO GEO-POLITICO

È chiaro che la crescita dei valori in gioco e dei profitti (attuali e futuri) che li sostengono può teoricamente portare a incendiare la dinamica salariale, può creare una crisi di liquidità se in parallelo non si diffonderanno ulteriormente strumenti di pagamento alternativi come -appunto- quello del BitCoin, arrivando a generare in definitiva un possibile panico per gli investitori ma, come si dice nell’ambiente aeronautico, “un aereo dentro l’hangar è sempre più sicuro di uno in volo, ma non è nato per restarci”!

Così possiamo prendere in considerazione nelle nostre analisi la probabilità di scossoni stagionali nell’estate, di quelli congiunturali derivanti dal rialzo dei tassi, di quelli prospettici dovuti al ritardo con il quale verranno varate le riforme fiscali e i nuovi grandi investimenti infrastrutturali.
Ma se la crescita economica globale mantiene il suo ritmo attuale, allora le prospettive finanziarie resteranno nonostante tutto fortemente positive!
Questo è anche il motivo per cui tutti si preoccupano per le Borse ma nessuno liquida i propri titoli. E se lo avesse già fatto negli ultimi mesi avrebbe senz’altro sbagliato.

Cosa resta da temere allora? A mio modesto avviso un vero spauracchio, in questa ottica, resta eccome, anzi si dilata, perché può uccidere il vero motore della crescita globale e, indirettamente, silurare i livelli attuali dei listini azionari: è quello della variabile geo-politica!
Il partito della guerra ha sempre tanti sostenitori, troppi, forse, ora che in ballo c’è un’espansione economica come in passato non se ne erano mai viste! Un’espansione corroborata dalla scienza, da un crescente rispetto dell’ambiente, da una relativa pacificazione globale.

Dopo l’astronomia allora è doveroso citare anche la fisica delle particelle: insieme al “red-shift” ci vuole insomma un vero e proprio “quantum leap” (salto quantico) nella qualità della politica internazionale, al fine di riuscire a mantenere le sfere in movimento verso un mondo più complesso sicuramente, ma nel complesso anche migliore.

 

Stefano di Tommaso




CHI FA SOLDI CON LE SCIAGURE INFORMATICHE

Tanium, tra le più grandi start-up tecnologiche della Silicon Valley è forse anche quella che più ha beneficiato dell’ondata di paura che ha seguito l’avvento di WannaCry, il famoso cyber-attacco che ha recentemente mandato K.O. i computer di mezzo mondo.

 

Condotta da un mercuriale amministratore delegato -Orion Hindawi- pronto ad ogni colpo basso e fondata da suo padre, noto genio dei sistemi di sicurezza, Tanium ha sviluppato sistemi di sicurezza informatica impareggiati e unici nel loro genere, perché garantiscono un controllo estensivo e completo di ogni possibile sistema informatico aziendale complesso, impedendone l’hackeraggio anche dall’ultimo dei terminali. Tra i suoi clienti si annoverano le più grandi multinazionali del pianeta e addirittura molti enti governativi.


Non soltanto Tanium è da tempo in odore di una quotazione multi-miliardaria alla borsa di Wall Street. Essa è inoltre uno dei pochissimi “Unicorni” (le start-up valutate dagli investitori più di un miliardo di dollari) capace di generare cassa (pare ne abbia per oltre 300 milioni di dollari) e di raddoppiare ogni anno il proprio giro d’affari (il 2016 lo ha chiuso con un fatturato di 360 milioni di dollari e anche per l’anno in corso ci si aspetta un raddoppio, in parte dovuto al l’ampliamento della sua base di clientela e in parte a causa dell’incremento generalizzato del budget di spesa delle grandi aziende per la propria sicurezza informatica.

L’azienda, spesso citata per il ruvido stile di gestione dell’accoppiata padre-figlio che l’ha fondata (i quali ancor oggi ne controllano la maggioranza del capitale -i signori David e Orion Hindawi- già fondatori di BigFix) non è nuova a scandali e improvvise sterzate di gestione ed è forse anche per questo che è stata di recente additata come la Uber della sicurezza informatica.

Ebbene, tanto per non smentire la sua fama, Tanium ha approfittato dell’occasione del timore generalizzato riguardante la sicurezza informatica generato dal recente attacco globale del virus “WannaCry” per racimolare dai propri investitori ancora un “round” di aumento di capitale (l’ottavo, sembra, dalla sua fondazione) da 100 milioni, sfiorando con quest’ultimo la mirabolante valutazione implicita di quasi 4 miliardi di dollari, rimandando con ciò nuovamente ad una tempistica indefinita la propria quotazione a Wall Street ed incamerando nuova benzina per la propria crescita senza dover minimamente dipendere dalle sorti dei mercati azionari.


L’operazione ha colto tutti di sorpresa non solo perché nessuno pensava che Tanium ne avesse bisogno, ma anche per il fatto che molto di recente gli stessi Hindawi, suoi principali azionisti citati spesso dalla stampa per aver rimpiazzato senza tanti scrupoli numerosi propri dirigenti aziendali di lungo corso quasi solo allo scopo di poter imporre il loro stile di gestione e così controllare meglio la loro società, si erano invece espressi pubblicamente a favore di una grande quotazione in borsa della società, contraddicendo con ciò un sentimento comune di relativa avversità ai mercati finanziari tra le aziende ipertecnologiche della Silicon Valley , che spesso li considerano soltanto un “male necessario” alla propria sopravvivenza.

Ciò nonostante che il mercato finanziario dei titoli “high-tech” quotati a Wall Street abbia registrato nella prima parte dell’anno una performance da capogiro, pari al 20% (oltre il 50% su base annua lizzati), contro un misero 5% degli altri titoli che compongono l’indice Standard&Poor500.

La storia di questo gioiello tecnologico di quell’America dell’America che è la California odierna non è poi molto diversa da quella di numerose altre grandi imprese americane, mirabilmente capaci di dominare una sofisticata e al tempo stesso pronte a ogni manovra pur di difendere la propria autonomia e identità aziendale, ivi compreso il trarre ottimi profitti dalle disgrazie altrui!

Stefano di Tommaso




IL LUXURY FASHION CEDE ALLE LUSINGHE DELL’E-COMMERCE

Il mercato dei servizi digitali sta cambiando le nostre abitudini nel modo più profondo e pervasivo che avremmo mai potuto immaginare.

 

C’era una volta il commercio elettronico, iniziato con la libreria di Amazon, poi piano piano esteso a praticamente ogni merceologia si possa immaginare. Quello che forse nessuno poteva prevedere era il repentino trapasso dell’intero mondo digitale al mobile, integrando la messaggistica, i social networks, i sistemi di pagamento, e persino il controllo della salute.

Ovviamente l’estendersi a macchia d’olio del fenomeno del commercio elettronico sta rivoluzionando non solo la distribuzione organizzata, la logistica e la comunicazione, ma anche tutti gli altri business ad esso collegati, ivi compresi quelli avanzati di molti dei grandi pionieri del web e dei colossi delle comunicazioni.
Già perché non solo stanno cambiando -più o meno velocemente- le nostre abitudini, ma ci sono intere popolazioni , come quelle del sud-est asiatico, che si sono adattate più in fretta delle altre ai nuovi standard digitali e il business sulla rete da quelle parti rischia di correre molto più velocemente di quanto accada nei paesi OCSE, quelli ricchi per intenderci. E in Asia, si sa, vivono oltre 5 miliardi di individui. Se queste popolazioni si adattano più velocemente di noi ai nuovi modelli di business, è probabile che anche le loro aziende trarranno maggior benefici dalla rete!

In Cina oramai il numero dei telefonini cellulari (oltre 800 milioni) ha soppiantato quello dei televisori e -complice la relativa carenza di altre infrastrutture- molte delle esigenze di consumo o di servizio della popolazione passano oggi dalla rete mobile. È questa la prima ragione del grande successo di Tencent, nome occidentalizzato di Téngxùn Kònggǔ Yǒuxiàn Gōngsī (alla lettera: informazione crescente): oggi l’azienda di maggior capitalizzazione in Cina (340 miliardi di dollari) e con il maggior numero di utenti: ben 770 milioni di persone in tutto il mondo. Tencent è la titolare del servizio di messaggistica online “WeChat” (alla lettera “noi chiacchieriamo”, in cinese Weixin) e dell’omonimo servizio di pagamenti elettronici cui aderiscono oltre 300 milioni di utenti nel mondo.

La vera notizia è che WeChat non soltanto ha iniziato a vendere online apparecchi vari, accessori e abbigliamento, bensì sta corteggiando i giganti del lusso, forte della sua vastissima base clienti e di una proposta innovativa: agire da canale diretto di comunicazione tra di essi e il grande pubblico (con una piccola percentuale a suo favore). Il mercato del lusso e della moda era fino a ieri confinato nelle strade più esclusive delle metropoli del pianeta, circondato da un’aula magica di fascino, stile e discrezione, inarrivabile per i più, aspirazionale per molti altri.

Oggi il tentativo delle major del commercio elettronico è quello di attrarre il maggior numero dei “vendor” tra le proprie maglie, perché più efficienti e più diretti alle specifiche esigenze di ogni loro utente, del quale conoscono un gran numero di preferenze e caratteristiche. Ma c’è una differenza tra gli altri grandi operatori e Tencent: nessuno degli altri (come Alibaba, Zalando o Amazon) ospita sulla propria rete i discorsi privati del pubblico di potenziali acquirenti! Nessuno è sempre collegato con loro.

Inoltre fino a ieri ciascuna catena di shopping online si configurava come un potenziale acquirente dei prodotti del fashion e del lusso, non come un canale per dialogare direttamente con l’utente finale!
Alibaba ha fatto un passaggio importante nel cercare di integrare nella sua rete un sistema proprietario di pagamenti (Alipay), così come lo hanno fatto altri grandi operatori (esempio: Apple Pay), ma non ospita già sui suoi server le comunicazioni dei propri potenziali acquirenti.
Infatti la quota di mercato di Alipay in Cina è passata in un anno dall’80% al 54%, grazie alla “discesa in campo” di WeChat.

 

Potranno gli acquirenti più esigenti rinunciare all’emozione delle vetrine dell’ “high street”? Probabilmente si per gli articoli di minor valore.
Cederanno i giganti del lusso alle lusinghe della rete?  Accetteranno le maison del lusso di vedersi recapitare a casa dei loro clienti i lussuosi pacchetti che le contraddistinguono? Anche qui la risposta è probabile che sia positiva, per un motivo assai banale: già oggi buona parte degli sforzi di immagine e di pubblicità delle grandi case si rivolgono alla rete. E dalla presenza in rete alle vendite in rete il passo è breve.

 
Stefano di Tommaso




I MERCATI NON CREDONO NEL “LICENZIAMENTO” DI TRUMP

Le preoccupazioni che ci trasmettono i giornali relativa al rischio di nuovi scandali, guerre e sconvolgimenti geopolitici non coincidono con la lettura che delle medesime fanno i mercati finanziari

 

Sono state giornate concitate, le ultime. Non soltanto per l’attentato terroristico costato la vita a così tanti giovanissimi a Manchester, ma anche e soprattutto per le notizie che la stampa internazionale ha riportato con insistenza circa la possibile defenestrazione del 45.mo Presidente d’America, con lo shock emotivo ed economico che il rischio di un nuovo scandalo Watergate ha procurato a chiunque volesse prendere in considerazione quella narrativa.

C’è stata però un’altra narrazione al tempo stesso, quella dei numeri dell’economia, dei mercati finanziari e dei risultati borsistici, che dovrebbe far riflettere le cornacchie pronte a scommettere in una nuova apocalisse politica americana. Quella delle borse valori sembra infatti provenire da un altro pianeta, un mondo assai meno dominato dalla potenza (e dall’orientamento politico quasi unanime) dei grandi media che suonano la grancassa.

Proviamo perciò, prima di credere pedissequamente a tutto ciò che i telegiornali ci propinano (soprattutto quando evocano scenari apocalittici) a fare ciò che gli Inglesi consigliano da sempre: “follow the money”!

UNA DIVERSA NARRATIVA

Ecco che dunque i mercati finanziari negli stessi ultimi giorni di angoscia e panico della stampa restano invece tranquillamente sui valori massimi, a cominciare dall’ampio Indice di borsa Standard&Poor500 (Wall Street):


Come pure per gli indici europei, in particolare il FTSE MIB della Borsa Italiana:


Anche per quanto riguarda l’indice azionario globale (l’equivalente dello SP500 riferito alle borse di tutto il mondo) la situazione è la medesima: ai massimi storici di sempre!

Chiaramente la cosa non si spiegherebbe se non ci fossero degli elementi che nel tamtam giornalistico rimangono puntualmente lasciati indietro: ad esempio il fatto che la svolta di Novembre 2016 (quando appunto il controverso Donald Trump è stato eletto) ha rappresentato l’inaugurazione di una stagione completamente nuova non solo per le borse ma anche per l’intera economia mondiale!

Ed è paradossalmente in Europa che da quel momento in poi è cambiata la musica, come dimostrano i dati relativi all’andamento economico delle Piccole e Medie Imprese pubblicati ieri da Markit riguardo l’Eurozona.

Si potrebbe obiettare che il tasso di cambio del Dollaro in compenso sia in decisa discesa, che gli indici economici americani non sono altrettanto fortemente positivo come quelli del resto del mondo, ma non dimentichiamoci cos’è successo fino all’altro ieri: il Dollaro è stato per molto tempo in decisa e costante crescita e l’economia americana comunque sta ancora oggi viaggiando a ritmi migliori di quelli europei. Dopo una lunga corsa entrambi possono ben giustificare un riallineamento a favore di un vecchio continente che continua a sua volta a macinare risultati eccellenti sotto il profilo dell’export e che sembrava avere accumulato un deciso ritardo -rispetto a Wall Street- riguardo alle valutazioni delle imprese quotate.

COSA SUCCEDE DUNQUE: LE PROSPETTIVE ECONOMICHE GLOBALI SONO POSITIVE O NEGATIVE?

Con il raffeddarsi delle relazioni tra Cina, Russia e America nonché con l’escalation militare in corso davanti alle acque della Corea e in Medio Oriente stiamo correndo verso la terza guerra mondiale oppure è anche questa una manfrina che ci propina la stampa? L’America si appresta a far fuori il suo neo-eletto Presidente o questi finalmente darà seguito alle importanti promesse elettorali riguardo la riduzione della tassazione, la riforma della sanità e la revisione dei trattati commerciali USA con il resto del mondo?

Ovviamente nessuno possiede una sfera di cristallo perfettamente funzionante! Nessuno può prevedere con certezza come evolverà lo scenario geopolitico globale. Ci sono anzi importanti e preoccupanti segnali di possibili crisi all’orizzonte. Ma lasciatemi proseguire: ci sono come sempre d’altronde!

ORO E PETROLIO INVECE NON RIFLETTONO ALCUNA PREOCCUPAZIONE

Se guardiamo agli indicatori economici reali, come la quotazione dell’oro, per esempio, che in qualità di bene rifugio ha storicamente ha raggiunto straordinari livelli di parallelismo con le preoccupazioni degli investitori, troviamo le sue quotazioni ad una sostanziale bassezza, esplicitando solo una lieve tendenza a risalire a partire dalla data delle elezioni presidenziali americane:

Una lieve crescita in linea peraltro con le accresciute (ma limitate) attese di inflazione, lungamente ed esplicitamente desiderate dalle banche centrali di tutto il mondo che, fino a quel momento, temevano di vedere l’economia globale ricadere nello spettro di una stagnazione e deflazione secolare.

Non molto diverso (anzi pressoché identico) lo scenario nello stesso arco di un quinquennio relativo ad un altro indicatore globale di preoccupazione degli operatori economici: il prezzo del petrolio, di cui tutti hanno bisogno.

Se fossero davvero preoccupati, gli operatori economici avrebbero avuto negli ultimi sei mesi un atteggiamento completamente diverso!

Dal momento che però non possiamo prolungare questo discorso all’infinito (né possiamo conoscere davvero il futuro), non resta che porsi un’ultima, grande domanda: i mercati finanziari si trovano realmente in una situazione di “ipercomprato”, oppure i fatti nascondono verità diverse da quelle sbandierate dai media?

WALL STREET È DAVVERO SOPRAVVALUTATA?

Per provare a rispondere ho trovato un’interessante analisi dell’andamento di Wall Street (che, come si è visto sopra, è ai massimi ma non è andata troppo diversamente dall’indice azionario globale) misurato, invece che in Dollari, in oro. Vale a dire mostrando l’andamento del medesimo indice SP500 in relazione al prezzo dell’oro (cercando cioè di riferirla a un valore indipendente dalla valuta in cui è espresso):

 


Interessante, vero? Siamo a meno della metà del suo picco massimo raggiunto alla fine degli anni ’90 al momento dell’esplosione della bolla speculativa riferita alla “new economy” e addirittura al di sotto delle quotazioni raggiunte a metà degli anni 2000, prima della grande crisi del 2007, che nel grafico risulta molto evidente (le aree grigie indicano i periodi storici di recessione dell’economia americana).

Secondo questo particolarissimo metro dunque, la borsa americana ha ancora spazio per correre, sebbene il medesimo non possa -da solo- costituire un elemento determinante.

DIFFICOLTÀ POLITICHE, MA NON L’IMPEACHMENT

D’altra parte la firma da parte americana di numerosissimi accordi commerciali in corso, la ripresa dei profitti delle piccole e medie imprese (che in America erano molto depresse) e la relativa stabilità registrata negli ultimi tempi per i mercati dei paesi emergenti, unitamente ad una situazione generale di tassi bassi, limitata inflazione e stabilità dei prezzi delle materie prime, lasciano ben sperare in un’accelerazione della crescita economica globale, cosa che non può che favorire i paesi più sviluppati, esportatori netti di impianti e tecnologie. E finché la barca va, è probabile che nessuno in America si sogni di ammazzare davvero la gallina dalle uova d’oro, ovvero la presidenza Trump. È più probabile che i giochi politici cerchino di limitarne i risultati, in vista delle elezioni del Congresso che potrebbero ribaltare l’attuale monopolio istituzionale repubblicano.

La morale di questa diversa narrativa ognuno di noi può provare a derivarla autonomamente. La mia è semplicemente una constatazione di fatti, cercando di non inficiarli con le opinioni.


Stefano di Tommaso