FANNO BENE LE IMPRESE A QUOTARSI IN BORSA?

L’IPO (Initial Public Offering) si sa, non è mai stato un passo facile per le imprese italiane: le numerose procedure, i controlli e la volatilità dei mercati spesso le hanno “spaventate” nell’affrontare la scelta di aprirsi al mercato dei capitali. Nonostante ciò, nel 2015 il numero di IPO (quotazioni in borsa di nuove aziende) ha raggiunto livelli simili a quelli precedenti al crack della Lehman Brothers.

Questo è stato visto come un segnale di fiducia e di rinnovato interesse nei confronti della Borsa, non solo dalle grandi imprese ma anche dalle PMI, che rappresentano il core della nostra economia e che hanno rappresentato il 76% ed il 66% degli IPO rispettivamente nel 2014 e nel 2015 andando a popolare il Listino AIM.

2016: UN ANNO DI ESITAZIONI

Dopo 3 anni di crescita, nel 2016 i Listini hanno subito un’inversione di tendenza con un numero di IPO che è passato da 27 a 14 con le performance peggiori registrate sul segmento STAR (-5 le aziende quotate con 0 IPO) e AIM (-7 le aziende quotate e 11 IPO). Per comprendere se ci troviamo di fronte ad una cristi del “terzo anno” (la crisi che nelle relazioni moderne ha preso il posto di quella del settimo) o ad una vera e propria inversione di tendenza, bisogna sia analizzare le motivazioni e i fatti che stanno alla base dei movimenti sui mercati avvenuti nel 2016 che i segnali di “riappacificazione” riscontrati nei primi mesi di questo anno.

Il 2016, con un tasso di crescita del -48% è il peggiore dal 2008, caratterizzato da un -79% su Piazza Affari. Ma ciò era già stato previsto dagli analisti a causa dell’elevata volatilità dei mercati.

LE RAGIONI PER QUOTARSI

Per comprendere il ridotto numero di matricole in Borsa bisogna considerare le ragioni che inducono le società a quotarsi.

In primo luogo vi sono fattori interni quali: future prospettive di crescita da finanziare con reperimento di capitale di rischio, realizzazione di una exit strategy per investitori istituzionali e/o privati (come nel caso di ricambi generazionali) e infine questioni di standing e reputazione sul mercato di cui godono le società quotate.

Ma vi sono anche fattori esterni relativi alle attuali condizioni macroeconomiche e macrofinanziarie  come ad esempio il tasso di crescita economica, la volatilità dei mercati, il livello di risk-premium richiesto, i regimi fiscali e soprattutto le aspettative relative a questi fattori da parte degli investitori.

Infatti come risulta dal sito di Borsa Italiana:

• la quotazione aiuta a mantenere nel tempo gli elevati tassi di sviluppo di cui godono le società quotate: pre-ipo il fatturato ha un tasso di crescita annuo di circa 22% e post-ipo del 18%
• 4 imprese su 5 dichiarano che senza la quotazione il tasso di sviluppo aziendale sarebbe stato inferiore a quello di cui sopra
• il 40% delle risorse raccolte in sede di Initial Public Offering vengono destinate all’attività di crescita per linee esterne: il 70% delle imprese effettua almeno un’acquisizione e mediamente si osservano 4 acquisizioni, post IPO, per impresa
• in corrispondenza dell’accesso al mercato azionario il tasso di investimento annuo passa dal 15% al 23%.

Il risultato negativo nell’ultimo anno sembra essere principalmente giustificato dalle deboli condizioni macroeconomiche e macrofinanziarie infatti, come riportato dal Rapporto sulla stabilità finanziaria del 2016 della Banca d’Italia, i prezzi delle materie prime hanno raggiunto i minimi storici. Questo fenomeno ha generato un indebolimento delle economie emergenti e pressioni deflazionistiche per le economie avanzate con conseguente rallentamento dell’economia mondiale superiore alle previsioni.

Ma soprattutto bisogna considerare che il 2016 è stato un anno di forte incertezza politica, eventi quali: Brexit, referendmum costituzionale italiano ed elezioni presidenziali americane hanno senza dubbio creato un atteggiamento “attendista” sia tra imprese, advisor ed investitori (come riscontrato anche dai rumors di listings poi non realizzati e/o rimandati es. Ferrovie dello Stato, Kairos Group, Valvitalia, Industrie de Nora, Sia, Idea Real Estate ma anche la nota vicende della B. Pop. Vicenza).

La combinazione di queste condizioni ha “regalato” al 2016 un ambiente sfavorevole alle IPO con conseguente inversione di tendenza.

Ciononostante abbiamo assistito ad una serie di 14 IPO, di cui 3 nell’MTA e 11 nel segmento AIM, con una serie di elementi rilevanti:

• SPAC (Special Purpose Acquisition Company): altre due IPO, Innova Italy 1 e Industrial Stars Of Italy 2, che confermano l’interesse per questa tipologia di operazione.
• Settore Digital: con Dominion Hosting Holding e Vetrya, a conferma dell’interesse per l’innovazione IT da parte delle nostre aziende.
• Design e Made in Italy: Fopa ed Energica Motor Company, la prima è un’azienda orafa italiana operante nella gioielleria di alta gamma mentre la seconda si occupa della produzione e design di moto elettriche.
• Internalizzazione: Technogym, Fopa, Smre, b&t Group ed Energica Motor Company sono tutte spinte all’internalizzazione operando in vari mercati oltre a quello italiano.
• Performance a 6 mesi: Smre +183,48%, Technogym +40,78%, Energica Motor Company +44,96%, Abitare In +35,23%.

2017: UN RINNOVATO ENTUSIASMO

Il 2017 è iniziato con il piede giusto, si sono già contate tre quotazioni, tutte nel segmento AIM: Health Italia (sanità), Telesia (Telematica), Crescita (SPAC) e sono previste nei prossimi mesi Avio, Unieuro, Ferrovie dello Stato, Beta Utensili, iGuzzini, Mutti, Eataly, Furla e in un prossimo futuro Valentino.
A questo va aggiunto anche il sentiment che si respira tra gli addetti ai lavori, dove il numero dossier di aziende interessate alla quotazione è in crescita.
Partendo dal presupposto che la storia insegna che nulla è certo, il 2017 dovrebbe essere un anno di rinnovato entusiasmo vero le quotazioni in Borsa dove sono attese anche 30 debuttanti.

LA BORSA È SOLO PER LE GRANDI ?

No, se state pensando che la vostra azienda è troppo piccola per quotarsi in Borsa, vi sbagliate. Certo, come in ogni attività il concetto di dimensione è relativo. Se si fa riferimento all’MTA bisogna rispettare determinati requisiti, non solo formali ma anche sostanziali in quanto quello che conta alla fine è quotarsi per accrescere il proprio valore, e per far ciò bisogna attrarre gli investitori. Ma da diversi anni esiste il listino AIM focalizzato sulle PMI, ovvero il cuore del nostro tessuto produttivo.

I vantaggi di una quotazione su questo segmento sono molteplici, da quelli puramente finanziari come l’accesso al mercato di capitali in un momento in cui il sistema bancario non li concede più come una volta, a quelli reputazionali anche a livello internazionale, passando per una semplificazione degli obblighi e procedure per quotarsi (con effetti positivi sul contenimento dei relativi costi).

Attenzione però, questa semplificazione non va intesa come una apertura al mercato per chiunque, anzi, la tendenza è quella di effettuare sempre più controlli sulla “quotabilità” delle società, cosa che in passato, purtroppo, non sempre è stata fatta ed ha prodotto effetti negativi sull’intero listino. Viceversa questo trend porterà ad una crescita di qualità delle emittenti con evidenti benefici sull’intero comparto.

Ma perché il piccolo-medio imprenditore dovrebbe quotarsi? Come dicevamo prima, uno dei motivi è il reperimento di Capitale attraverso altri canali da quello bancario, infatti la Borsa permette l’ingresso di risorse finanziarie con una differenza importante rispetto alle operazioni di Private Equity cioè il controllo, che nella maggior parte dei casi resta all’imprenditore/soci iniziali mentre solitamente il Fondo di Private Equity entra in maggioranza (tranne alcuni casi) e pensa all’exit.

Un altro grande vantaggio è il rafforzamento del Brand e il riconoscimento sui mercati internazionali. Non per nulla si ritiene l’IPO un’attività di marketing.
Anche l’organizzazione interna e la struttura ne traggono beneficio. Gli obblighi di informativa, controllo e gestione che spesso sono visti come un elemento ostico dall’imprenditore, nel medio periodo producono indubbi vantaggi sulle performance aziendali.

Valorizzazione degli sforzi fatti, infatti l’IPO non è solo un’operazione di aumento di capitale tramite la sottoscrizione di nuove azioni (OPS) ma può includere una parte di vendita delle azioni possedute (OPV).
La quotazione della piccola-media impresa è una scelta che l’imprenditore deve fare consapevolmente in quanto essa presenta notevoli vantaggi, ma che per ottenerli dovrà attraversare un percorso che più che essere complesso, risulta spesso psicologicamente difficile, soprattutto se l’impresa è sempre stata gestita in un determinato modo.

Emerge quindi l’importanza di un advisor professionale che deve essere in grado di accompagnare l’imprenditore durante questa fase in cui risulta fondamentale non solo l’aspetto strettamente economico/finanziario della società, ma anche la sua struttura e la preparazione dei manager che dovranno prepararsi a guidare un’azienda che, per usare una metafora, sarà come un’auto da corsa che se guidata bene ti permetterà di andare più veloce, ma se non si è pronti, si corre il rischio di schiantarsi.

…Ma senza il rischio non vi è impresa, e gli imprenditori italiani sono sempre stati grandi piloti da corsa!

Vittoria Roà
Sebastiano Signò




La ripresa globale si consolida

Che dipenda dalle manovre economiche seguite alle importanti modificazioni politiche accadute nel 2016 in Gran Bretagna e America, o che dipenda invece da tendenze di lungo periodo derivanti da quelle precedenti (ognuno è libero di pensare ciò che preferisce), un fatto è certo: la prima parte del 2017 registra indici economici globali che tendono tutti -e per la prima volta sincronicamente- verso l’alto.

 

LA SINCRONIZZAZIONE DEGLI INDICATORI

Le ragioni per le quali il fenomeno della ripresa sembra essersi consolidato risiedono innanzitutto nella sincronizzazione degli indicatori economici mondiali: nonostante che il ciclo economico di ciascuna regione del pianeta risulti da tempo piuttosto sfalsato rispetto agli altri (ad esempio sono in molti a ritenere che il ciclo economico giapponese abbia preceduto di un anno o due quello americano, e che quest’ultimo sia costantemente rimasto avanti a quello europeo di circa tre anni), questa volta è diverso: tutte le principali macroaree del mondo sembrano marciare all’unisono.

Addirittura molti Paesi Emergenti, che si temeva potessero subire ulteriori problemi conseguenti alla rivalutazione del Dollaro e alla ripresa dei tassi di interesse, sembrano quest’anno impostati verso un ritorno alla crescita economica. Tra loro anche colossi come il Brasile e la Russia dovrebbero rivedere il segno positivo, dopo un anno o due di contrazione.

 

INDIA E CINA TUTT’ALTRO CHE PREOCCUPATE

Discorso diverso -ma non troppo- per l’India e la Cina. I due giganti asiatici (1,3 e 1,4 miliardi di abitanti, rispettivamente) non hanno mai smesso di crescere -economicamente e demograficamente- ad un ritmo poderoso, ma in molti momenti si è temuto che la loro marcia verso il benessere collettivo implodesse sotto il giogo di un potere politico eccessivamente centralizzato, o si arrestasse sotto il peso dei debiti e della dissoluzione dei loro instabili sistemi bancari e finanziari.
Tutto il contrario invece! Nonostante l’elezione di Donald Trump possa aver creato qualche grattacapo ai rispettivi governi per l’aspro confronto che il nuovo presidente americano ha intrapreso sul tema della bilancia commerciale, essa è stata comunque salutata positivamente da quegli stessi governi che avrebbero dovuto temerla.

Al di là delle spiegazioni di tale fenomeno di carattere geo-politico che portano a conclusioni piuttosto diverse da quelle fornite dalla maggioranza dei grandi organi di informazione internazionali ma che sarebbero troppo lunghe da riportare, resta il fatto inconfutabile che l’insieme dei Paesi Emergenti sembra essere molto rasserenato dalla congiuntura economica e politica mondiale e che questo si riflette sul loro andamento economico.

 

LA RIPRESA DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Lo scorso Febbraio la Corea del Sud (un paese piccolo ma fortemente avanzato dal punto di vista culturale e tecnologico, spesso visto come indicatore avanzato dell’andamento complessivo delle economie del Sud-Est asiatico o addirittura del commercio mondiale) ha incrementato le proprie esportazioni di oltre il 20%. Andamenti simili hanno avuto Vietnam, Taiwan, eccetera.

Anche in Europa si vede una ripresa superiore alle magre aspettative che erano seguite al voto della Gran Bretagna e alla crescente insoddisfazione politica dei cittadini dell’Unione, sfociata in una crescita generalizzata del voto di protesta.
Ma quest’anno la ripresa lambisce anche le sue periferie meno in salute come l’Italia e il Portogallo e la Germania addirittura fa registrare un attivo commerciale record che porta i risultati delle sue imprese in territori ampiamente positivi.

 

ANCHE L’EUROPA MIGLIORA, MA IN SILENZIO

Ciò che resta indietro è sicuramente la dinamica salariale, sotto pressione anche a causa dell’elevata disoccupazione e dell’immigrazione che incalza, come pure la spesa pubblica e privata per infrastrutture, limitata da molti fattori politici e di interessi lobbistici, ma anche e soprattutto dall’incombere dell’elevato debito pubblico complessivo, circa il quale l’Unione non può ignorare la necessità di una gestione collegiale “de facto” se vuole salvaguardare la sua sopravvivenza, sebbene quel debito sia più concentrato nella periferia dell’Unione stessa.

Di qui la reiterata tolleranza (talvolta sinanco insofferente nei paesi germanici) nei confronti degli acquisti di titoli pubblici da parte della Banca Centrale Europea, anche adesso che stanno scomparendo i timori di deflazione e stagnazione secolare, e la necessità di mantenere tassi bassi e relativamente debole la Divisa Unica europea, contrariamente alla dinamica estremamente positiva della sua bilancia dei pagamenti con il resto del mondo.

 

VIA LO SPAURACCHIO DEL PROTEZIONISMO E QUALCHE DUBBIO SUL COSIDDETTO “QUARTO POTERE”

Quanto durerà la “cuccagna” delle borse e di un nuovo ciclo economico positivo?
È impossibile per chiunque oggi cercare di prevederlo, anche perché il mondo si muove in territori nuovi e inesplorati dal punto di vista della storia economica. Rimangono infatti molte imprescindibili perplessità, prima fra tutte la già pianificata progressiva riduzione della liquidità globale, che potrà essere rimpiazzata soltanto da una maggiore velocità della circolazione della moneta.

Ma i timori di nuove guerre commerciali e valutarie, conseguenti alle politiche (spesso riportate dai principali “media” con forte o malevola imprecisione) dei nuovi conservatori inglesi e americani sembrano oggi rassomigliare più a minacce evocate da slogan giornalistici ed elettorali dei partiti tradizionali e della stampa loro vicina, che non a argomenti presi davvero sul serio dagli operatori finanziari e industriali.

Quale che ne sia la ragione e checchè ne disputino gli intellettuali, il barometro economico continua a volgere al bello, gettando qualche ombra in più sull’oggettività e l’indipendenza dei principali organi di informazione globalizzati.

 
Stefano di Tommaso




ISTAT: occupazione in crescita nel 2016

Il 2016 “si caratterizza per un nuovo e più sostenuto aumento dell’occupazione – sia nei valori assoluti sia nel corrispondente tasso – che coinvolge anche i giovani di 15-34 anni”.

Inoltre “un elemento rilevante nel 2016 è costituto dalla diminuzione degli inattivi di circa 410 mila unità”. Lo sottolinea l’Istat nell’analisi periodica del mercato del lavoro in cui segnala tuttavia come il trend di crescita dell’occupazione ha “mostrato un significativo indebolimento nella seconda metà dell’anno, caratterizzato da una sostanziale stabilità complessiva, seppure in un quadro di andamenti differenziati delle diverse tipologie”.

E se “gli ultimi tre mesi dello scorso anno hanno visto l’economia italiana registrare un aumento congiunturale del Pil dello 0,2%, e una crescita tendenziale dell’1%” il trimestre ha registrato “una più accentuata dinamica positiva dell’input di lavoro, con un aumento delle ore complessivamente lavorate dello 0,4% sul trimestre precedente e dell’1,6% su base annua”.

Nel quarto trimestre 2016 – continua l’analisi dell’Istat – “l’occupazione mostra un andamento congiunturale solo lievemente positivo (+32 mila, 0,1%), a sintesi della ripresa del lavoro indipendente (+28 mila, 0,5%), dell’ulteriore aumento dei dipendenti a termine (+22 mila, 0,9%) e del lieve calo dei dipendenti a tempo indeterminato (-17 mila, -0,1%)”.

Il tasso di occupazione cresce di 0,1 punti rispetto al trimestre precedente mentre “le tendenze più recenti misurate dai dati mensili di gennaio 2017 mostrano, al netto della stagionalità, un lieve aumento degli occupati concentrato tra gli indipendenti a fronte della stabilità dei dipendenti”.

Nel quarto trimestre 2016 – segnala l’Istat – prosegue l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro, con una consistente diminuzione degli inattivi di 15-64 anni (stimata in -455 mila in un anno) e del corrispondente tasso di inattività.

Su base annua “il calo dell’inattività è diffuso per genere e sul territorio, è concentrato tra gli adulti, e riguarda sia quanti vogliono lavorare (-197 mila le forze di lavoro potenziali, specie tra le donne) sia la componente più distante dal mercato del lavoro (-258 mila chi non cerca e non è disponibile)”.

Tra il quarto trimestre 2016 e lo stesso periodo del 2015, si registra una crescita di 252 mila occupati (+1,1%) che riguarda soltanto i dipendenti, sia a termine sia a tempo indeterminato, a fronte della stabilità degli indipendenti, sottolinea ancora l’Istat.

Nel quarto trimestre 2016 il tasso di disoccupazione è aumentato di 0,2 punti percentuali sia rispetto al trimestre precedente sia in confronto a un anno prima, con una crescita tendenziale di 108 mila disoccupati

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Redazione Impresa e Lavoro




Nuovo rilancio nella corsa alla self driving car

Intel acquisisce l’israeliana Mobileye per $15,3 miliardi

La corsa verso la “self driving car” si arricchisce di un nuovo, quasi inaspettato e importante partecipante: INTEL,  he da qualche tempo sta facendo ogni sforzo per entrare nei settori limitrofi al proprio, tra quelli a più alto fattore di crescita.

Mobileye è stata fondata a Gerusalemme nel 1999 ed era quotata a Wall Street. L’offerta è arrivata a quasi 64 Dollari, il 34% in più del valore di capitalizzazione, per un acquisto secco in contanti da parte del colosso californiano che sborserà quasi intero i 15 miliardi in contanti attingendo alle proprie riserve di cassa liquida, buona parte delle quali giaceva all’estero e sarebbe stata oggetto di attenzione da parte dell’Amministrazione Trump che mira a portare in America le risorse accumulate all’esterno dalle aziende americane in ridotto regime di tassazione.

La società Mobileye è specializzata nello sviluppo di sistemi per l’analisi dei dati visuali, nella localizzazione, e l’assistenza alla guida per le vetture di ogni genere e sviluppa soluzioni hardware/software per la mobilità intelligente con particolare focus sui sistemi di guida autonoma.
Mobileye aveva già avviato diverse collaborazioni con produttori di automobili, tra cui BMW e fornitori di servizi, come HERE. Intel realizza tra gli altri anche chip in grado di elaborare in tempo reale i dati raccolti dai vari sensori installati nelle automobili.

Di qui la sinergia: l’acquisizione consente di unire le migliori tecnologie offerte dalle due aziende: connettività, computer vision, data center, machine learning e intelligenza artificiale.

L’accordo che la riguarda è il più importante di sempre per il mondo high-tech israeliano e consente a Intel di farsi largo con alle spalle non solo una realtà consolidata bensì anche l’intero ambiente accademico di quel Paese, in un mercato che si stima possa raggiungere un giro d’affari di $70 miliardi entro il 2030

 

Stefano di Tommaso