L’EUFORIA DEL VOTO CONTAGIA I MERCATI

(una visione “contrarian” dello scenario positivo per le borse)

I mercati hanno oggi festeggiato, subito dopo la vittoria di Macron e dopo aver registrato lo schieramento in suo favore di due degli altri quattro candidati maggiori (cosa che gli darebbe la vittoria al ballottaggio se bastasse una dichiarazione dei leaders politici per realizzare un pieno trasferimento di preferenze).

Tutto va su, fin troppo su se me lo permettete, dal momento che i principali beneficiari dell’euforia del voto fin da questa mattina sono stati gli istituti di credito, primi fra tutti quelli italiani, che notoriamente non hanno fatto ancora completamente ordine in casa propria.
Persino l’Euro sale di slancio e tende verso quella fatidica soglia di 1,10 Dollari che molti avevano in precedenza indicato come obiettivo di medio termine.

Ovviamente la notizia (soprattutto dopo una lunga tornata di sedute positive dei mercati di tutto il mondo ma in particolare di quelli europei, che attendevano con ansia la prova elettorale) ha tutta una serie di risvolti positivi per l’economia, così come li avrebbe avuti in senso opposto se i mercati invece fossero precipitati.
Con il prolungato rialzo delle borse infatti :

– i portafogli degli investitori sono più ricchi e di conseguenza più propensi agli investimenti produttivi;
– i tassi di interesse impliciti scendono (anche se marginalmente) e favoriscono dunque anche i consumi;
– la maggior propensione alla spesa dei risparmiatori che vedono accresciuta la loro ricchezza può dare un contributo positivo alla lotta contro la deflazione dei prezzi (tutt’ora presente in un vasto paniere di beni);
– i mercati europei si allineano a quelli asiatici e d’oltre Atlantico e questo rafforza un teorema che a tutt’oggi resta difficile da dimostrare: che gli attuali livelli di valutazione delle aziende sono “quasi” fisiologici;
– i tassi di cambio con il Dollaro sono decisamente migliorati per l’Euro ma per la Banca Centrale Europea questa non è necessariamente una bella notizia: la ripresa economica europea è oggi fortemente condizionata dall’andamento positivo delle esportazioni, visto che i consumi non crescono affatto al sud e poco nel nord del vecchio continente. Le esportazioni potrebbero risultarne danneggiate e La BCE potrebbe decidere qualche altra manovra espansiva per contrastare l’apprezzamento della divisa unica. Manovra che avrebbe peraltro tutta una serie di ulteriori connotazioni positive per le nostre economie.

Fin qui tutti i (numerosi) risvolti positivi dovuti all’euforia post elettorale, ma non possiamo non tenere conto anche di una serie di considerazioni pratiche che potrebbero -nel caso- contribuire a “rovinare la festa” cui oggi assistiamo:

– il fenomeno della forte ascesa dei corsi di borsa non può che essere letto anche come un aumento della volatilità implicita dei corsi azionari, volatilità che può fornire qualche grattacapo agli operatori più prudenti, i quali si stavano progressivamente orientando all’azionario per sostituire i rendimenti quasi inesistenti del reddito fisso;
– l’euforia rischia di essere un sentimento passeggero e talvolta, dopo un lasso di tempo, lascia il posto alla delusione ;
– sebbene sia molto probabile l’ascesa di Macron allo scranno presidenziale francese, l’ultima parola non è ancora stata detta e, come minimo, al realizzarsi di ciò, ci troveremmo una Francia fortemente divisa (con posizioni politiche invertite ma divisa ugualmente quanto lo è stata l’America dopo l’avvento di Trump), dove magari una esigua maggioranza di elettori “statalisti ed europeisti” potrebbe risultare avversata da una folla inferocita di contadini e operai alle prese con un’immigrazione selvaggia che mette sotto pressione i salari minimi e contro un governo di “banchieri” in cui non si riconosce;
– un’eventualità infine non troppo improbabile è che nelle prossime due settimane la Francia continui ad essere colpita da bombe  e attentatori islamisti (così come è successo sino ad oggi) e che questo mobiliti la popolazione verso un sentimento di forte ribellione al sistema, con il possibile risultato di un ribaltamento della situazione attuale.

Ovviamente sono considerazioni solamente teoriche, del tutto prive di certezze e, tutto sommato, persino nell’improbabile caso di vittoria al fotofinish di Marine Le Pen, le medesime potrebbero risultare incapaci di mobilitare una vera e propria crisi del mercato finanziario, per molti motivi.
Ma che i prossimi giorni possano veder crescere la volatilità dei mercati è probabile, se non quasi sicuro!

Il sistema europeo potrà infatti difficilmente essere scosso e cambiato dal suo interno, a motivo del fatto che dietro gli attuali meccanismi ci sono importanti interessi economici e finanziari.
Se Macron si rivelerà essere un altro Renzi, solo fintamente rottamatore e di fatto troppo vicino alle logiche finanziarie e alle posizioni tedesche (è noto il suo endorsement fornito da Schauble, una specie di bacio di Giuda), allora la Francia sarà percorsa da ondate ancora maggiori di populismo e così con essa anche il resto d’Europa.

In particolare l’Italia sarà comunque sensibile a ciò che avverrà nei prossimi mesi oltr’Alpe e, si sa, le prossime elezioni politiche in Italia potrebbero arrivare in qualsiasi momento anche prima dell’anno che rimane alla normale scadenza della legislatura.
Se uno scossone all’Europa invece che la Francia dovesse darlo l’Italia, l’esito per il sistema e per la sua stabilità sarebbe anche peggiore.

Rimangono infine due innegabili fenomeni statistici che possono giocare a favore di una maggior volatilità dei mercati finanziari :

– il primo è che da Maggio a Settembre le borse performano molto peggio che negli altri sei mesi dell’anno. Questo ovviamente rende più difficile (statisticamente parlando) che le borse possano proseguire la loro corsa nei prossimi sei mesi;
– il secondo è relativo all’importante stacco di dividendi riferibili agli utili del 2016, che quest’anno saranno particolarmente copiosi e, dopo il quale, le quotazioni dei titoli azionari non potranno che discendere fisiologicamente al livello che pareggia i dividendi pagati.

Questi fatti “tecnici” potrebbero contribuire a movimentare le borse (tutte le borse) ben al di là di quanto sino ad oggi si è visto nei sei mesi precedenti, dall’epoca appunto dell’elezione di Donald Trump, momento che è infatti coinciso con il notevole rialzo tutt’ora in essere.

È in parte il normale “respiro” dei mercati che, nonostante al momento non si possa che brindare ai guadagni in corso, si sa che non possono mai andare esclusivamente e perennemente all’insù, nemmeno quando tutte le congiunture fondamentali appaiono positive.

Non aspettiamoci perciò che questa volta le borse facciano un tonfo già a Maggio o in Agosto (come detto, soprattutto per le borse europee i fondamentali appaiono solidissimi)bensì che possano movimentarsi -da questo momento in avanti- ben di più di ciò che sembrava diventata la “nuova normalità”.

E se mi è permessa qualche analogia “nautica”, quando arrivano le ondate le navi imbarcano sempre un po’ d’acqua, mentre le performance di chi investe in borsa dipendono molto più di prima dal momento in cui si “entra” su uno o più titoli”: se quel momento è favorevole i guadagni sono amplificati, se si dimostra sfavorevole si possono realizzare delle belle perdite in conto capitale, persino quando -mediamente- i livelli complessivi dovessero permanere intorno ai massimi di questi giorni.
Qualora il mare magnum dei mercati dovesse andare in tempesta infatti non sarebbe così strano per qualcuno perdere l’orientamento, persino con il cielo sereno e il vento in poppa com’è adesso…

 

Stefano di Tommaso

 




SELL IN MAY & SAIL AWAY

(la borsa consente più facili guadagni a coloro che ne rispettano la stagionalità dimostrata dalla statistica qui riportata)

Torna, come tutti gli anni precedenti, il tormentone di primavera riportato nel titolo di questa breve nota: se in Borsa non vuoi rischiare, “vendi in maggio e vai in vacanza !”

Con le eccezioni del 2000 (scoppio della bolla della new economy) e del 2007/2008, non solo il metodo ha sempre fornito un ritorno positivo e decisamente superiore all’andamento cumulativo del macro-indice della borsa americana (nel grafico riferito all’acquisto ipotetico di un paniere di azioni che rispecchiano l’indice Standard &Poor 500 al 30 Settembre dell’anno precedente con successiva rivendita del medesimo al 30 Aprile) ma soprattutto risulta in oltre 20 anni essere un modo di investire in borsa senza curarsi delle altalene del mercato, mantenendo un rendimento medio elevato assimilabile -per bassa volatilità- a quello nel reddito fisso.

PERCHÉ ACCADE

Il motivo è di una semplicità sconcertante: si è notato (ed è comprovato dal grafico per quella americana) che le borse durante l’anno rispettano incredibilmente una forte stagionalità, fatta di una crescita nel periodo invernale e di una decrescita in quello estivo!

Limitandosi a “comprare l’indice” e tenerne conto senza fare alcunché di altro ci si può attendere (negli anni) un ottimo risultato. Ovviamente questa è la teoria, dal momento che l’indice preso in considerazione cambia nel tempo la sua composizione (e ovviamente le statistiche valgono se se ne rispecchia l’andamento e la larga base: 500 titoli azionari diversi) e che ciò che è successo in passato non rispecchia necessariamente quel che avverrà in futuro.

NESSUNA CERTEZZA

Non è nemmeno facile affermare se questa è poi una previsione su come si comporteranno le borse valori nei prossimi mesi, dal momento che gli analisti possono osservarne i valori fondamentali e le determinanti strategiche (che possono indurre ottimismo , in generale oggi) oppure possono interpretarne il “sentimento” attraverso le statistiche o i grafici, ma non possono comunque non tenere conto della incredibile stagionalità qui segnalata (che invece indurrebbe alla prudenza).

IO SONO PIÙ BRAVO…

Va infine segnalata la componente “ludica” dell’investimento azionario (che con il metodo in questione sparirebbe) e quella “professionale ” (o meglio: di autocelebrazione delle proprie capacità) di chi pretende che “quest’anno è diverso”… Perciò è difficile fornire consigli per gli acquisti (o per le vendite) sono in troppi quelli che ne rimarrebbero delusi o offesi nell’onore, soprattutto se non si pone questa metodologia nella giusta luce di un investimento rigorosamente passivo e pluriennale.

Certo non si può nemmeno ignorarne la portata pratica: è più difficile, statisticamente parlando, fare guadagni da Maggio a Settembre!

 

Stefano di Tommaso

 




NUOVI STRUMENTI DI FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE, ALTERNATIVI AL SISTEMA BANCARIO

Negli ultimi sette-otto anni il processo di deleveraging (riduzione della leva finanziaria) che ha interessato l’intero sistema creditizio da un lato ha permesso alle Banche di contenere il livello di stress finanziario, dall’altro ha ridotto notevolmente la disponibilità delle stesse alla concessione del credito, contribuendo a generare il cosiddetto “credit crunch” che ha fatto tanti danni all’economia italiana.

Il management delle banche però ne è solo parzialmente responsabile: l’intero settore del credito infatti, dovendo avviarsi a rispettare i requisiti sempre più stringenti di capitale e liquidità dettati da Basilea III, non poteva che ridurre la leva finanziaria.

Inoltre, osservando la domanda di finanziamenti, le politiche economiche di austerity volte a ridurre il deficit pubblico hanno a loro volta agito negativamente su di essa. L’effetto combinato della morosità sui crediti precedentemente concessi (dovuto alla recessione economica che ha seguito la crisi finanziaria internazionale del 2008-2009) e delle citate nuove normative di politica fiscale e monetaria, ha avuto come diretta conseguenza una brusca contrazione dei prestiti offerti e domandati.

L’impatto sull’economia reale, consumatosi negli anni in cui il nostro Paese avrebbe dovuto riprendersi dalla recessione del 2008-2009, si è rivelato per l’Italia a dir poco catastrofico, portando a una diminuzione dei consumi come degli investimenti e allo strangolamento finanziario di molte imprese tra quelle meno capitalizzate.

La riduzione del credito si è peraltro accompagnata ad una generale riduzione della disponibilità e di velocità della circolazione di moneta liquida in Italia che a sua volta si deve principalmente alla fuga generalizzata di capitali, in buona parte comprensibile se si pensa all’inasprimento fiscale degli anni successivi alla recessione.

In un contesto generale così deteriorato dal punto di vista delle risorse finanziarie è divenuto necessario per gli imprenditori valutare ogni forma alternativa di finanziamento o capitalizzazione delle aziende, anche per ridurre la forte dipendenza dal canale bancario che ha da sempre caratterizzato le imprese italiane. Eccone alcune tra le più utilizzate:

I FONDI DI PRIVATE DEBT E I MINIBOND

Il “private debt” è uno strumento innovativo per lo sviluppo delle PMI in rapida crescita e rappresenta un canale diretto di collegamento tra il mercato dei capitali e l’impresa. Fino a qualche anno fa era tuttavia praticato soltanto dai grandi gestori di internazionali di risparmio e fondi pensione, così come da grandi gruppi assicurativi, principalmente esteri dunque e, per tale motivo, interessati quasi solo alle imprese italiane medio-grandi.

Un punto di svolta si è verificato con l’introduzione di una normativa specifica riguardante l’introduzione dei “Minibond” in Italia, il cui trattamento fiscale è stato equiparato per molti versi ai finanziamenti a medio termine.

Con tale innovazione un ruolo importante è stato poi ricoperto dai gestori di fondi di Private Equity, i quali avevano già sviluppato competenze e know-how fondamentali nella valutazione dell’opportunità di ingresso nelle realtà imprenditoriali e di affiancamento nella definizione di strategie di sviluppo, nonché nella conduzione della delicata fase di fundraising e si sono rivelati quindi come i soggetti ideali per sviluppare, a fianco al loro core business, anche fondi specializzati nella sottoscrizione di strumenti di debito (tra cui i Minibond) nonché strumenti ibridi (capitale/finanziamento) che, tenendo conto di prospettive e piani di sviluppo, possono prescindere talvolta dalle garanzie reali e dal limitato livello di capitalizzazione delle imprese.

Secondo i dati raccolti da Aifi, nel 2016, in Italia il settore del private debt ha registrato una crescita del 65% rispetto all’anno precedente e la raccolta si è aggirata attorno ai 632 milioni di euro. Il settore non ha ancora raggiunto numeri significativi ed è ancora piuttosto ristretto ma questo trend di crescita lascia ben sperare.
Nel corso del 2016 sono stati collocati 221 mini bond per un controvalore di 8,6 miliardi di euro.

I mini bond costituiscono uno strumento di accesso al credito alternativo al sistema bancario per le PMI che necessitano di liquidità per perseguire i loro obiettivi strategici. Sono titoli di debito con un orizzonte di medio-lungo termine attraverso i quali le imprese reperiscono fondi dagli investitori (sia istituzionali che altri soggetti qualificati), dietro il pagamento di un tasso di interesse sotto forma di cedola.
I requisiti tipici di emissione sono un fatturato superiore ai 2 milioni di euro ovvero la presenza di almeno 10 collaboratori dipendenti. Inoltre normalmente il bilancio delle imprese emittenti deve essere certificato da una società di revisione.

Nell’emissione di Minibond, tra le figure chiave spicca il ruolo dell’Advisor, il quale si occupa di supportare l’impresa sin dalla prima fase in cui viene presa la decisione di farvi ricorso, aiutandola ad analizzare e completare il business plan, predisponendo l’information memorandum e definendo con i possibili sottoscrittori le condizioni di emissione dei titoli.

IL CROWDFUNDING

La raccolta di capitali online è ai primordi in Italia ma inizia a rappresentare un’opportunità concreta per le imprese più innovative e capaci di mostrare formidabili opportunità di sviluppo. In particolare per le start-up tecnologiche che per finanziare i loro progetti difficilmente riescono ad accedere a forme di finanziamento più tradizionali o più strutturate.

Si tratta di una forma di micro-finanziamento basato sulla rete internet e che parte dal concetto “bottom-up”, che consiste nel ricorso a piattaforme online che fungono da intermediari tra imprenditori e potenziali finanziatori.

É quindi una forma di accesso a risorse finanziarie perfettamente in linea con l’evoluzione digitale che sta interessando l’attività delle imprese e l’approccio al business e ovviamente si adatta alle imprese che per qualche motivo sono maggiormente in grado di catalizzare l’attenzione dei cibernauti più evoluti che sono normalmente quelli più pronti ad investirvi.

I fundraiser (gli imprenditori interessati a raccogliere fondi) per raggiungere i loro obiettivi tipicamente si rivolgono a una piattaforma specializzata  che fornisce un’ampia varietà di soluzioni a disposizione.
Trattandosi di una soluzione recente, per lo più diffusa nei paesi più evoluti, è probabilmente necessario attendere una maggior diffusione di questo strumento, che contribuisce più di ogni altro al processo di disintermediazione bancaria, perché diventi uno strumento davvero utilizzabile dalle imprese che ritengono di averne i requisiti.

SPAC

Le SPAC o special purpose acquisition company sono nuove forme di società per azioni nate una decina di anni fa negli Stati Uniti e il loro successo è stato tale da farle approdare anche in Italia negli ultimi anni.

La SPAC è un veicolo societario di investimento, una scatola vuota insomma nel cui attivo è presente solamente cassa. È costituita con lo scopo di reperire risorse finanziarie sul mercato dei capitali e poi richiedere la propria quotazione in Borsa prima ancora di raggiungere lo scoop per il quale viene generata, che è quello di fondersi con una società target non quotata.

I fondatori detengono tipicamente una partecipazione del 10-20% nella SPAC e ricoprono il ruolo di manager. La loro buona reputazione è fondamentale ai fini del successo dell’operazione.

La SPAC subito dopo essere stata costituita dai suoi fondatori viene quotata sul mercato azionario con lo scopo di reperire liquidità per il restante 80-90% dagli altri sottoscrittori. Il collocamento delle azioni di nuova emissione avviene tramite IPO (initial public offering: l’offerta di pubblica sottoscrizione) e riguarda in genere solo titoli azionari e correlati warrant gratuiti.

Una volta raccolte le risorse finanziarie la SPAC ha a disposizione 18 – 24 mesi (in funzione delle regole che le hanno dato i suoi fondatori) per l’individuazione dell’impresa “target” con la quale celebrare le proprie nozze. Individuata quest’ultima la SPAC avvia il processo di fusione che permette all’impresa selezionata di ottenere le risorse liquide presenti nella SPAC nonché di ritrovarsi quotata alla Borsa Valori.
Si tratta di un veicolo di investimento di tipo “one-shot” in quanto normalmente effettua un unico investimento con il denaro raccolto.

Dopo aver individuato l’azienda target la candidatura di quest’ultima viene sottoposta all’assemblea dei soci della SPAC e, in caso di accettazione da parte dei suoi sottoscrittori, si procede alla fusione tra SPAC e target. In caso contrario, i sottoscrittori hanno facoltà di recedere dall’investimento e il capitale precedentemente investito verrà loro restituito.
I vantaggi della SPAC sono il basso profilo di rischio dal momento che si rivolge ad imprese qualificate per fondersi con un veicolo societario quotato, mentre le potenzialità di profitto per gli investitori dipendono dall’apprezzamento in Borsa dei titoli da essi sottoscritti , dopo la fusione con la società target.

PIR

A partire dal 2017 in Italia sono stati introdotti i PIR o piani individuali di risparmio. Si tratta di una forma di investimento a medio-lungo termine che ha come obiettivo quello di canalizzare parte dei risparmi verso le PMI italiane, nelle quali i PIR devono investire una quota significativa del capitale raccolto (70% di cui il 30% in imprese non appartenenti al Ftse MIB).
I PIR sono gestiti da intermediari finanziari e assicurazioni che hanno il compito di investire le somme ricevute garantendo così la diversificazione del portafoglio.
I PIR prevedono un trattamento fiscale agevolato, infatti se gli investimenti sono mantenuti in portafoglio per almeno cinque anni non verrà applicato alcun prelievo fiscale sul capital gain per il sottoscrittore.
È il primo segnale di un impegno concreto del Governo a favore del mercato dei capitali.

CONCLUSIONI

Come si può notare, le novità introdotte nell’ambito delle fonti alternative di finanziamento sono molteplici e variegate ma per selezionarle e potervi accedere è auspicabile in parallelo anche un cambiamento nella cultura finanziaria d’impresa.

Con l’ausilio di un qualificato advisor finanziario ogni impresa può oggi immaginare di sopperire ampiamente alla minor disponibilità di credito del sistema bancario individuando, tra quelle disponibili, le soluzioni più adatte alle proprie esigenze.

 

Marta Sironi

 




SARÀ IL MERCATO DEI CAPITALI A FINANZIARE LE IMPRESE?

Per anni il mondo occidentale si è posto il problema di come conciliare la necessità di ricapitalizzazione e una migliore regolamentazione del settore bancario con quella di evitare la diminuzione di credito disponibile per le imprese (senza peraltro riuscire a trovare la soluzione). Il risultato è stato un deciso arretramento dell’attività caratteristica delle banche, le quali si sono adoperate nella ricerca di un maggior reddito da commissioni di servizio.

La principale vittima del meccanismo anzidetto però sono state le piccole e medie imprese, dal momento che molte banche hanno deciso di concentrare i propri impieghi verso le imprese di maggiori dimensioni per via di una migliore qualità del credito che queste potevano assicurargli.

In particolare l’Italia ha sofferto più di molte altre economie avanzate la carenza di credito a causa della piccola dimensione e bassa capitalizzazione delle proprie imprese e dell’impossibilità dunque di finanziarne gli investimenti con fonti diverse dal credito bancario.

Parallelamente tuttavia il mercato dei capitali, sulla scorta di recenti esperienze positive nel settore del “private debt” (finanziamenti erogati da fondi di investimento a capitale privato), ha trovato terreno fertile nel vuoto di mercato lasciato dal sistema bancario, estendendo le proprie attività anche alle imprese di minori dimensioni, alla ricerca di buoni rendimenti e, soprattutto, di nuovi spazi di impiego delle proprie crescenti disponibilità finanziarie, dopo che i ritorni  derivanti dagli investimenti nei soliti titoli a reddito fisso (quotati o con elevato rating) erano arrivati a zero o addirittura sotto zero.

In tale direzione (il “private debt”) è evidente il vantaggio per chi si ritrova a dover investire anche nel reddito fisso importi crescenti di capitali (fondi pensione, compagnie di assicurazione, family offices…) :
negli scorsi anni il tasso di interesse relativo alla sottoscrizione di bond aziendali non quotati ha spesso toccato e superato la soglia del 10%, mentre sul fronte tradizionale il rendimento standard del reddito fisso planava verso lo zero.

Niente male come ritorni se chi proponeva queste forme di finanziamento “alternativo” poteva anche selezionare con cura i piani industriali delle imprese più promettenti cui elargire il proprio credito (e magari ottenere anche buone garanzie reali). Inutile dire che sono stati fatti buoni affari dai primi arrivati ad occupare il vuoto lasciato dalle banche con poche risorse a disposizione per nuovi prestiti, lente e burocratiche anche perché vessate dagli innumerevoli obblighi derivanti dalla vigilanza.

Nel nostro Paese inoltre la normativa recente sui “Minibond” ha contribuito in maniera decisiva allo sviluppo del credito proveniente dal mercato dei capitali.

Gli ottimi risultati ottenuti hanno ovviamente richiamato attenzione da parte degli altri investitori: si stima che a fine 2016 le risorse gestite in tutto il mondo dai fondi destinati al “private debt” abbiano raggiunto la strabiliante cifra di 600 miliardi di Dollari, con un incremento di poco meno di 100 miliardi nel solo ultimo anno!

Oggi però un numero crescente di operatori del mercato dei capitali sta iniziando a rivolgere la propria attenzione anche al mercato del “private debt”, con due importanti (quanto ovvie) conseguenze pratiche:

– La discesa dei rendimenti
– La progressiva estensione del bacino di imprese cui proporsi a quelle più piccole e con minore qualità del merito di credito.

I tassi di rendimento medio dei “corporate bonds” senza rating ufficiale sottoscritti dagli investitori privati è sceso dal 10% circa degli anni 2010-2011 al 7-8% del 2014 fino al 5-6% del 2016, anno in cui (soprattutto nel nostro Paese) si è registrata un’importante espansione del numero di emissioni. Allo stesso modo si sono visti ridurre l’importo medio per singola operazione e il fatturato medio delle imprese beneficiarie.

Ora è chiaro che un tale “boom” porta con sé il rischio di una parallela discesa dell’attenzione verso il rischio e la qualità delle operazioni. Così come una maggior concorrenza tra gli operatori. Inoltre più si abbassa la dimensione dei prestiti erogati meno saranno liquidi sul mercato secondario i relativi bond emessi.

Questo non significa necessariamente che assisteremo presto ad un incremento significativo dei tassi di mancato rimborso di quei finanziamenti, tanto per il fatto che l’economia mondiale sembra aver imboccato di nuovo un percorso di crescita, quanto per la natura di tali operazioni: un esame attento del piano industriale e una “diligence” sui conti (in Italia condotta solitamente da società di audit iscritte all’albo CONSOB) permettono a chi sottoscrive tali finanziamenti un deciso approfondimento sulle caratteristiche dell’attività dei beneficiari.

Certo però non possiamo non prendere atto del successo di uno strumento (quello dei Minibond) che fino a ieri sembrava destinato a pochissimi interlocutori e dell’ampiezza a livello planetario di un fenomeno (quello del “private debt”) che sta passando da una “nicchia” di mercato a dimensioni decisamente più ampie, coinvolgendo un maggior numero di operatori (che potrebbero non essere tutti di lunga esperienza) e tornando a proporre una concorrenza sul mercato del credito che, fino a ieri, sembrava sopita per sempre!

 
Stefano di Tommaso