LA CINA STA CAMBIANDO IL PARADIGMA GLOBALE DELLA CRESCITA ECONOMICA

Perché dovremmo preoccuparci della Cina se è così lontana e così diversa da noi? Ricorre spesso questa domanda nella nostra mente: praticamente tutte le volte che leggiamo qualche roboante notizia sulla seconda economia mondiale! Eppure dovremmo farci più attenzione…

 

Le notizie che arrivano a noi dalla Cina spesso sono solo quelle roboanti, perché le altre non vengono nemmeno riprese dai più comuni organi di informazione. Inoltre le notizie cinesi sono spesso roboanti perché le dimensioni di quella nazione spesso sfuggono alla nostra capacità di fare paragoni: non bastano infatti il miliardo e quattrocento milioni di abitanti per ricordarci che la popolazione dell’intera Italia è il 4,3% di quella cinese, cioè meno di un ventitreesimo, ma bisogna tenere conto di altre “dimensioni”.

LA TECNOLOGIA GALOPPA

Quella tecnologica innanzitutto: oggi gli strumenti di pagamento elettronico in Cina hanno superato i 425 milioni di persone, cioè il 65% del totale degli utenti di telefoni cellulari. Per fare un paragone l’utilizzo della moneta elettronica è 55 volte più diffuso che negli Stati Uniti d’America!

È notizia di oggi sul Financial Times che “JINRI TOUTIAO” (che tradotto significa “le principali notizie di oggi” o “Today’s Headlines”), la piattaforma più diffusa al mondo di articoli di stampa e video, ha raggiunto i 600 milioni di utenti (di cui 78 milioni in media attivi ogni giorno), sforna ogni giorno dell’anno più di 200.000 contenuti, ed è stata valutata da un gruppo di venture capitalists americani guidati da SEQUOIA CAPITAL la bellezza di 11 miliardi di Dollari nel suo ultimo round di finanziamento. JT non è altro che una app per smartphones che aggrega e seleziona notizie e video interessanti. Dunque impiega pochissimo personale e funziona in maniera quasi automatica, ma ciò nonostante ha raggiunto una valutazione che è più di venti volte quella ottenuta nel suo primo round di finanziamento internazionale, nel 2014 ed è nata nel 2012. Un modello di business che ha recentemente portato Tencent, la WhatsApp cinese più nota con il marchio WeChat, ai vertici della capitalizzazione mondiale.

LA PATRIA DELLA “SHARING ECONOMY”

Probabilmente in Cina la televisione è meno diffusa e i cellulari sono divenuti lo strumento di diffusione dei media più popolare, anche perché essi servono anche a fare tante altre cose. Basti pensare a colossi del commercio elettronico come Baidu, Tencent e Alibaba (tutti cinesi) per comprendere quanto “profondo” può diventare il mercato online in un Paese in rapida crescita economica: giovane, coeso e dove la sharing economy può attecchire molto più velocemente che laddove deve vincere la concorrenza degli strumenti più tradizionali.

La sharing economy non fa quasi fatturato (distribuendo gratuitamente buona parte del suo “prodotto”) ma crea enormi valori finanziari come si può riscontrare dalla classifica delle società di maggior valore al mondo.

IL CALO DEL PETROLIO HA MATRICE CINESE

Una notizia passata quasi inosservata è quella del brusco calo del prezzo del petrolio negli ultimi giorni (che, unità a quella della rivalutazione dell’Euro, avrebbe dovuto provocare una discesa importante del costo dei carburanti, ma nel ns.paese questo è quasi impossibile). Ebbene: pare che il principale motivo questa volta sia non più l’eccesso di offerta del greggio, bensì il calo della sua domanda cinese, in un contesto di ridotta crescita economica (sebbene sempre superiore al 6% annuo) e soprattutto di un ancor più vistoso calo degli investimenti produttivi. In pratica un’oscillazione della domanda in quel Paese è capace di influenzare il prezzo della principale risorsa energetica del Paese. Non succede nemmeno con gli Stati Uniti d’America!

È perché la Cina compra meno petrolio? Pare che la causa principale sia l’eccesso di debito privato e il conseguente stato di crisi del suo sistema finanziario-ombra (una sorta di contro-sistema bancario), sino ad oggi assai tollerato dalle autorità centrali perché favoriva il finanziamento dello sviluppo economico. Un’eventuale scossone al sistema finanziario cinese potrebbe provocare enormi ripercussioni nel resto del mondo, ma i nostri giornalisti con enorme negligenza quasi non ne parlano!

LA CRISI DELLO “SHADOW BANKING”

Il governo cinese è di recente intervenuto con una stretta creditizia che rischia però di essere tardiva, esponendo il sistema finanziario cinese al rischio sistemico di un crollo generalizzato. Ne è un esempio la forte discesa del valore di capitalizzazione delle due borse cinesi negli ultimi mesi, proprio mentre nel resto del mondo accadeva il contrario. Anche il valore dei titoli obbligazionari cinesi sta scendendo regolarmente, suggerendo un pervasivo timore di shock finanziario. La cosa peraltro rischia di danneggiare presto anche molte altre economie emergenti, nonché le loro borse e le loro valute.

Con le sue grandi dimensioni e le sue specificità la Cina sta insomma cambiando il paradigma mondiale della crescita economica, ma sta anche mettendo a rischio il resto del pianeta.

Ma quella della Cina nel restare l’economia più regolamentata al mondo e nel perseguire il suo autonomo modello di crescita rimane tuttavia estremamente osmotica al commercio internazionale, estremamente proiettata al futuro, alle tecnologie e all’innovazione, ed estremamente permeata dai capitali occidentali e dai valori che essi coltivano. Da quelle parti una coalizione di politici, imprenditori, finanzieri e tecnologi sta forgiando anche il nostro futuro, ma per i media nazionali l’argomento è ancora spesso relegato alle seconde linee.

IL BATTITO D’ALI DI UNA FARFALLA…

La digitalizzazione e la globalizzazione sembrano avere improvvisamente realizzata quell’antica profezia, secondo cui il battito d’ali di una farfalla può scatenare un uragano dall’altra parte del mondo…

 

Stefano di Tommaso

 

 

 




MERCATI FINANZIARI: LIQUIDITÀ INNANZITUTTO!

Contrordine: avanti tutta! A volte bisogna ammettere di aver sbagliato e rivedere criticamente le proprie analisi: la liquidità dei mercati finanziari -già da tempo ai massimi- invece di iniziare a scendere cresce ancora e può dunque alimentare un ulteriore slancio verso nuovi massimi.

 

Con la vittoria di Macron alle presidenziali francesi non si può non prendere nota del rilascio ancora una volta di forti dosi di endorfine da parte del sistema finanziario globale, oramai da molti mesi, dopo l’estate 2016, subito a valle dello spavento (durato invero assai poco) conseguito dopo la vittoria della Brexit e in contemporanea all’elezione del più populista di tutti i leaders politici: Donald Trump.

UN FORTE E PROLUNGATO RILASCIO DI ENDORFINE

L’Unione Europea guadagna, con le elezioni francesi, uno dei suoi maggiori sostenitori di uno dei maggiori Paesi “centrali”, quelli che ne potevano avviare la disgregazione e che invece ne sosterranno l’evoluzione. Un messaggio politico importante (di stabilità) che non potrà non trasmettersi ai mercati finanziari, da tempo “dopati” da questo e da molti altri segnali favorevoli allo sviluppo dell’economia mondiale.

Quelle endorfine degli investitori hanno generato uno dei rialzi più sensibili delle borse mondiali nell’ultimo semestre, nonostante esso fosse anche uno dei più improbabili della storia economica, perché arrivato al termine di un lungo ciclo di crescita durato otto anni dal 2008, anno di deflagrazione della crisi di Wall Street, dopo due vittorie politiche “anti-sistema” come la Brexit e Trump, dopo un deciso calmieramento dei prezzi di petrolio e materie prime e in contemporanea ad un forte rimpatrio dei capitali verso i Paesi più sviluppati, cosa che aveva fatto temere per forti conseguenze nei confronti delle economie emergenti.

Invece anche in periferia del mondo è successo l’esatto contrario: le borse dei paesi emergenti sono salite (molto) e le loro valute non ne hanno risentito più di tanto.
Morale: non soltanto i mercati ancora una volta gongolano e riposano su un letto di buone e rassicuranti notizie, ma lo fanno :
– dalla cima dell’Everest, cioè nonostante si trovassero già in situazione di ipercomprato;
– contro ogni previsione con una contemporanea discesa dell’indice di volatilità al livello più basso degli ultimi dieci anni!

MERCATI FINANZIARI: LA VOLATILITÀ SCENDE, LA LIQUIDITÀ SALE

Lo scorso 12 Aprile l’indice della volatilità (quello più noto, riferito all’indice di borsa americano Standard & Poor’s 500) aveva toccato un massimo relativo di periodo (circa quota 16), che faceva pensare all’inaugurazione di una nuova fase di dubbi e sussulti, tanto per il fatto che ai livelli raggiunti dalle borse molti investitori avrebbero iniziato ad alleggerire i loro portafogli, quanto perché solo un mese fa l’inflazione sembrava riprendere corpo e numerosi venti di guerra spiravano in tutte le direzioni del pianeta, alimentando tensioni geopolitiche e il timore di possibili rincari petroliferi.

Invece, soltanto un mese dopo, dobbiamo prendere atto che è successo l’esatto opposto: l’indice della volatilità è sceso a quota 10, i mercati hanno letteralmente ignorato i rischi geopolitici (si legga al riguardo il recente articolo del Giornale Della Finanza :http://giornaledellafinanza.it/2017/05/03/gli-interessi-dietro-la-questione-nord-coreana/ ) nonché le vertigini che potevano scaturire dal camminare su un filo teso tra le vette stratosferiche toccate dalle valutazioni aziendali implicite nei livelli raggiunti delle borse.

Anzi: la loro volatilità è discesa e la loro liquidità è cresciuta, complice anche il fatto che oggi tutte le opinioni sugli utili aziendali e quindi anche sul futuro dei mercati borsistici sembrano essere molto buone. E se il mercato ha esattamente metà dei suoi partecipanti che acquista e l’altra che vende, la sua liquidità cresce! Diverso sarebbe trovarsi in un mercato dove in un determinato istante tutti comprano o tutti vendono: in un tale mercato sarebbe più difficile liquidare la propria posizione o costruirne una, perché sarebbe difficile trovare una contropartita. In un tale mercato -a parità di tutto il resto- la liquidità sarebbe inferiore.

ADESSO COSA ACCADE

Chiaramente, dopo che l’ennesima buona notizia è andata a corroborare il “sentiment” dei mercati, tutti si chiedono cosa succederà dopo. La finanza tende ad anticipare sempre le notizie e non è affatto detto che, subito dopo il loro conclamarsi, esso ne anticipi invece altre di segno negativo, che le statistiche economiche registreranno soltanto molti mesi dopo. “Buy on rumors and sell on news” dicono le vecchie volpi!

È sempre possibile che adesso i mercati vadano giù, ma è relativamente improbabile per i motivi sopra segnalati e altro ancora:

– primo, perché il quadro generale è comunque positivo anche per i mesi a venire , dunque non tale da alimentare fughe repentine;
– secondo, perché la buona liquidità generale favorisce un basso livello di onde del mercato (le stesse registrate dall’indice di volatilità) e dunque il miglior assorbimento di qualunque iniziativa di investitori decisi ad andare controcorrente senza impatti significativi sulle quotazioni;
– terzo, perché i tassi bassi, la tendenza ad ulteriori discese di costi energetici e materie prime (che scoraggia l’inflazione) e il buon ritmo di crescita dell’economia globale sono tutti fattori che spingono dalla parte dell’ottimismo;
– quarto, perché persino gli spread tra centro e periferia d’Europa, così come quelli tra Bund e Bond (europei contro americani) tendono a restare stretti, nonostante il chiaro sfasamento tra l’economia americana e quella continentale;
– quinto, perché l’Euro, passato lo spavento della frattura dell’Unione, accoglie capitali (anche da oltreoceano) e sale oltre ogni aspettativa, superando di slancio quota 1,10 Dollari e dunque minimizzando il rischio che il rialzo di tassi americano possa determinare uno shock valutario e, anzi, alimentando le aspettative di ulteriori interventi della BCE in acquisto di titoli di ogni genere per contenerne la rivalutazione. Cosa che aumenterebbe al tempo stesso la liquidità in circolazione.

LA DISFATTA DEI “CONTRARIAN”

Quel che sembra accadere perciò è una disfatta del partito dei “contrarian”, una forte stabilizzazione delle maggiori variabili economiche, una grande liquidità dei mercati e una parata di buone notizie politiche. Di cigni neri all’orizzonte ne potrebbero apparire molti ancora, ma al momento sembra restare in onda lo spettacolo della “bambola dai riccioli d’oro” (né troppo né poco di tutto), destinato ad ulteriori numerose repliche. Ogni possibile sussulto dei mercati sembra dunque rimandato ancora una volta. All’estate, magari, per la quale manca ancora più di un mese. Un’eternità per i mercati!

 

Stefano di Tommaso




LA WOODSTOCK DEL CAPITALISMO

Chi di voi non ricorda (tra quelli che sono almeno degli anni ’60) quante emozioni aveva sollevato il famoso Woodstock Music Festival?

Quel Festival di provincia dell’agosto 1969 in una cittadina rurale dello stato di NewYork è passato alla storia della musica e del costume per la sua grande carica simbolica: accolse inaspettatamente un pubblico di un milione di persone, i musicisti più famosi si alternarono sul palco a tutte le ore del giorno e della notte e vennero consumate quantità enormi di marjuana e lsd.
Il discorso di apertura fu tenuto dal guru indiano Swami Satchidananda che definì la musica “the celestial sound that controls the whole universe”. La forza emozionale che riuscì a evocare in tutto il mondo ha ancora oggi una forte eco.


Bè, questo weekend un gruppo di otta-novantenni pimpanti e straricchi ha celebrato, in un’altra incredibile atmosfera di ebbrezza ed emozioni con quasi 40.000 ospiti in persona e oltre un milione di altri “fans” collegati online, un festival tra i più bislacchi che si possa immaginare: quello dell’assemblea annuale degli azionisti (e seguaci spirituali) di uno dei più grandi “guru” dei nostri tempi, l’Oracolo di Omaha (come viene chiamato Warren Buffett) che, con soli 24 adepti, governa un esercito di 350.000  lavoratori delle imprese della sua holding “Berkshire Hathaway”, che opera in 70 diverse attività e vale a Eall Street 410 miliardi di dollari!

UN FESTIVAL MILIARDARIO

Il discorso di apertura del festival Buffet invece di recitarlo sul palco lo invia per posta, molte settimane prima, a casa: la sua lettera agli azionisti viene spedita a tutti e poi ripresa ogni anno da praticamente tutte le testate economiche del pianeta. Ma le sue credenziali sono notevoli: se qualcuno avesse investito i suoi denari con lui alla nascita di un figlio -diciamo oggi arrivato a 21 anni di età- avrebbe guadagnato il 650%, contro una rivalutazione dell’indice SP500 di Wall Street di solo il 220%.

Prima di Warren Buffett  nessuno era mai riuscito a far guadagnare alla sua azienda così tanti milioni di dollari in occasione della sua assemblea degli azionisti e, soprattutto, a trasformarla in un evento dalla carica emozionale così forte!

Non solo è possibile ascoltare i racconti e la filosofia (di vita come di selezione delle persone e delle opportunità) di Buffet e dei suoi leaders, ma inoltre di tutte le aziende partecipate sono esposti (e venduti copiosamente ai presenti) i prodotti nonché i loro titoli azionari, tutti cresciuti molte volte di valore da quando è arrivato lui!

http://video.foxbusiness.com/v/5423466936001/?#sp=show-clips

Qualcuno potrà obiettare che in questo prosaico scorcio di nuovo millennio la poesia musicale delle sfere celestiali che ispirava Woodstock ha lasciato il posto a quella del fruscio delle banconote dei risparmiatori che celebrano il loro divo, ma gli stessi giornalisti che “coprono” l’evento sono pronti a giurare che è difficile trasmettere la strana atmosfera emozionale che si respira in quei capannoni , dove molti genitori per questo accompagnano i loro figli ad ascoltarne i discorsi e comprano per loro un pacchetto di azioni di quella holding, il cui valore unitario è passato  in 52 anni da 19 a 250.000 dollari!

LA CERCHIA DELLA “FIDUCIA MERITATA”

Nonostante la sostanzialità degli argomenti trattati in questo festival del capitalismo post-contemporaneo, la gente non si reca fino a quella sperduta cittadina del Nebraska che risponde al Omaha per sperare di vincere alla roulette delle borse, bensì per respirare quello spirito di “fiducia meritata” che viene celebrata dalla cerchia (oramai molto allargata) degli adepti di Warren Buffet. Per ricordarsi dei valori fondamentali della vita e assorbire una sorta di filosofia di saggezza che l’uomo della strada vuole tornare a cercare in lui.

Quella saggezza che, probabilmente, i media e i loro nuovi rumorosi eroi (attori, campioni, veline e incantatori) con tutte le altre celebrazioni degli eccessi del consumismo moderno, non riescono nemmeno a concepire!

 
Stefano di Tommaso




GLI INTERESSI DIETRO LA QUESTIONE NORD-COREANA

Il puzzle geopolitico del Sud Est Asiatico in questi giorni è stato oggetto di molti, troppi commenti perché possa ai più risultare interessante leggerne un altro. Vorrei invece proporre una insolita chiave di interpretazione della vicenda sebbene sia chiaro che nessuno può davvero vantare di conoscere le intenzioni dei leader politici (e dei loro mandanti) che si confrontano in quel delicato intreccio di interessi e minacce che gli stanno intorno.

 

L’America di Donald Trump dice basta ai test nucleari condotti dalla Corea del Nord e lo fa mostrando i muscoli: portaerei, cacciabombardieri e fregate nei mari antistanti e dichiarazioni di condanna insolite e quantomai decise.

FAUTORI E DETRATTORI DI TRUMP

Ma con l’apertura del dossier i detrattori di Trump  (sono davvero molti e molto potenti, il che che me lo rende istintivamente simpatico) hanno sùbito approfittato del rischio di arrivare al conflitto nucleare, per rivolgergli le solite accuse, senza affermare mai cosa invece andrebbe fatto esattamente.
Indirettamente lo hanno dunque accusato di “svegliare il cane che dorme”, salvo il fatto che quel bamboccione che manda in galera i concittadini che osano camminare fuori casa senza il distintivo con il suo ritratto e che sembra uscito da un film dell’orrore lancia invece ogni due per tre qualche altro missile in giro affermando di poter minacciare la catastrofe globale.

I fautori di Trump sostengono la tesi che la questione della minaccia nucleare di Kim Yong-Sun era stata troppo a lungo colpevolmente ignorata da Obama e andava sollevata comunque, visto che sul tavolo c’è la necessità di ribilanciare di tutti i rapporti in essere con la Cina, all’ombra della quale indiscutibilmente la dittatura si è posta.
Trump tuttavia non ha ancora voluto mostrare alcuna chiara linea di azione nei confronti di Kim Jong-Sun se non una assai indiretta: quella di voler fare pressione sulla Cina perché lo “scarichi”, per poi coalizzare tutti i suoi vicini (a partire da Giappone e Sud Corea) in una stretta mortale nei confronti di quel regime. È probabile invece che in realtà egli abbia obiettivi relativamente diversi.

Che però le sanzioni economiche non funzionino quasi mai è risaputo e, anzi, normalmente esse vengono imposte (da chi non ne ha un proprio nocumento) ai propri alleati che hanno rapporti con il paese sanzionato e che invece, nell’applicarle, ci rimettono anche loro (dunque con il mugugno che ne consegue).
I giochi inoltre non sono mossi da detrattori o fautori di Donald Trump, bensì dai cospicui interessi in ballo (molti dei quali restano inconfessabili quando si tratta di conflitti) nonché dalla teorica necessità di sventare una minaccia, quella atomica, che si è sempre rivelata per quello che non può essere: un’opzione davvero concreta.

UNA GUERRA NUCLEARE È PIÙ CHE IMPROBABILE

L’opzione nucleare nella storia è stata anzi attivata esclusivamente dagli americani contro il Giappone e soltanto in un particolarissimo periodo storico che oggi è difficilmente confrontabile con quello attuale.
È quasi impossibile infatti pensare che lo sgancio di un’atomica da parte di chicchessia tra le grandi potenze possa trovare un largo consenso popolare tra gli elettori e, come non bastasse, il rischio di un’escalation globale per ritorsione fa sì che nessuno pensi davvero di sganciarla e di riuscire poi anche a salvarsi dalle conseguenze di quell’atto.

Queste semplici considerazioni portano a riflettere sul fatto che quando si parla di conflitto nucleare si deve pensare a qualcosa che può servire come deterrente ma che solo un pazzo potrebbe pensare di scatenare sul serio.
E forse nemmeno questo è vero: è infatti già “operativo” il sistema antimissile americano Thaad dispiegato in Corea del Sud per rispondere alle minacce nordcoreane. Lo ha reso noto il portavoce delle forze americane in Corea, colonnello Rob Manning, secondo cui il sistema “ha la capacità di intercettare i missili nordcoreani e di difendere la Repubblica di Corea (del Sud)”. L’installazione del Thaad, Terminal High Altitude Area Defence, è in un ex campo da golf nella provincia di Gyeongsang.

Le minacce agli altri Paesi dell’area del dittatore della parte nord della penisola coreana è dunque probabile che cadano nel vuoto quanto a conseguenze pratiche persino nel caso improbabile in cui si trasformino in realtà!
Chi non ricorda l’azione clamorosa dei missili antimissile “Patriot” dispiegati in Israele ai tempi dell’ultimo vero attacco subìto da quest’ultimo?

E poi Kim sembra matto ma non “fesso” e capisce bene che se attivasse l’opzione nucleare egli fornirebbe al resto del mondo la scusa per radere letteralmente il suo paese al suolo (probabilmente senza nemmeno usare bombe atomiche). Cosa che peraltro gli Stati Uniti d’America non si augurano ugualmente sia perché di certezze quanto all’efficacia del sistema Thaad nessuno può fornirne, come pure perché l’esperienza in Vietnam è un ricordo ancora troppo vivo per i suoi cittadini per andare a infognarsi una seconda volta!

Dunque la Corea settentrionale non è davvero probabile che scateni un’offensiva su chicchessia bensì che agiti la minaccia nucleare per poter giustificare impianti di produzione energia da una fonte relativamente a buon mercato.
Ma nemmeno è pensabile che l’America, dopo aver sventato una minaccia missilistica muova alla conquista di Pyongyang e vada in galera modo a cercarsi oggi un nuovo Vietnam. Sarebbe davvero difficile spiegarne le ragioni a chi ha votato “America a First”!

Ci sono dunque buone ragioni per credere che da domani mattina nessun conflitto militare si scateni davvero, salvo magari qualche colpo di cannone, qualche missile magicamente inceppato, qualche spavento mediatico insomma, per tenere alta l’attenzione internazionale sulla questione.

PARLARE A NUORA PERCHÉ SUOCERA INTENDA

Insomma Trump sembra urlare a nuora “perché suocera intenda”! E di suocere in giro sembra ce ne siano diverse (non solo la Cina quindi): il Giappone ad esempio potrebbe cogliere la palla al balzo per mettere fine a un articolo della sua attuale costituzione democratica che da un settantennio mette al bando il proprio intervento militare all’estero, pressato anzi dagli americani che intendono perseguire una politica di maggior spesa militare da parte dei propri alleati, cosa che farebbe bene alle loro esportazioni di tecnologie belliche e ridurrebbe l’onere (oggi tutto a loro carico) delle “missioni” che essi conducono in giro per il mondo.

Probabile che anche Shinzo Abe ne sarebbe a sua volta lieto, per rivendicare un ruolo più importante per il suo paese nelle grandi questioni geopolitiche che nascondono sempre un risvolto economico.

Il “perché suocera intenda”, oltre a Cina e Giappone, potrebbe riguardare la Russia, che sembra oggi poco interessata alla partita del sud-est asiatico ma i cui confini (quelli da penisola Kamchatka) sono a due passi dai razzi di Kim Jong-Sun e che non vede affatto di buon occhio un riarmo generale del resto del mondo occidentale perché alla lunga esso ridurrebbe il proprio vantaggio strategico militare sul resto del mondo. Per quanto a Putin chiaramente non interessi alcun conflitto che dissanguerebbe l’economia già precaria, la sua intelligenza lo ha spinto ad avventurarsi in Siria anche perché ha così potuto mostrare i muscoli ai suoi concittadini, ai suoi alleati storici (Iran compreso, oggi divenuto quantomai scomodo) e al resto del mondo.

La Russia non sarebbe felice di vedere oggi riuscita agli americani una delicata partita geopolitica in Corea, non subito quantomeno, perché la Cina è un suo storico alleato ma anche uno scomodissimo vicino di casa e i suoi rapporti con l’Unione Europea non sono ancora migliorati.

I VANTAGGI GEO-POLITICI PER TRUMP

Oggi con la nuova prospettiva geopolitica dettata da Trump e dalle sue portaerei nei mari antistanti la Corea, la Cina si è subito dichiarata più interessata a dialogare di più con l’America sulla cooperazione economica e sul ribilanciamento dei suoi rapporti commerciali, nonché sulla sua storica alleanza con la Russia, che resta ancora una superpotenza bellica.

L’America potrebbe dunque cogliere diversi obiettivi contemporaneamente denunciando i test nucleari del regime nord-coreano, ma soprattutto ci sarebbero in testa quelli economici. La Cina potrebbe sembrare soccombere a tale confronto, ma deve anche lei liberarsi di una scomoda minaccia dietro casa e poi potrebbe trovare il modo di beneficiare anche lei di un’alleanza di lungo termine con gli americani, finance qualora oggi ne dovesse sopportare qualche onere.

Trump perciò nell’impegnarsi in una guerra tutta mediatica contro il pericoloso dittatore di un minuscolo staterello confinante con Cina, Giappone e Russia, nello spaventare seriamente il mondo al riguardo e nel voler proporre infine magicamente al mondo una soluzione “pacifica” al dilemma coreano potrebbe guadagnare una decisa convenienza economica per gli interessi americani, dimostrando peraltro ai suoi oppositori che il clan dei Clinton (Obama incluso, ovviamente) nell’aver dissennatamente favorito eccessivamente i rapporti con la Corea del Sud (per guadagnarci non poco privatamente, tra l’altro) avevano commesso un gigantesco errore strategico, di cui ha beneficiato soprattutto la Cina, dichiarandosene nemica.

FOLLOW THE MONEY

I mercati finanziari guarda caso non risultano affatto intimoriti dalle minacce di guerra nei mari del Sud-Est Asiatico e non incorporano nelle loro quotazioni alcuna conseguenza economica di alcun conflitto militare, men che meno di natura nucleare!
Anzi, casomai essi fanno l’esatto contrario: ottimisticamente già prospettano i buoni risultati economici per l’America della strategia di pressione politica che l’Amministrazione Trump sta esercitando sul resto del mondo al riguardo.

Anche in questo caso potrebbe dunque risultare “illuminante” quel vecchio adagio che usano gli Inglesi (che se ne intendono) quando la questione diviene difficile da interpretare : “follow the money “! In tal modo di solito ci si prende…

 
Stefano di Tommaso