Il C.A.P.E. dice che la bolla di Wall Street non scoppierà domani

Una pericolosa bolla speculativa

Da qualunque angolatura li si guardi, i mercati borsistici hanno superato, a tre mesi dal voto americano e dopo un mese di presidenza Trump ogni precedente record, con Wall Street che ovviamente guida tanto i rialzi quanto le valutazioni aziendali implicite ai livelli raggiunti e le altre borse di tutto il mondo che la seguono più o meno a ruota.

Sebbene gli investitori abbiano solidi motivi per rimanere ottimisti circa l’andamento dell’economia mondiale, sebbene le azioni abbiano tratto beneficio dalle attese di rialzo dei tassi di interesse che hanno spinto in molti a disinvestire dal reddito fisso per adire alle scommesse borsistiche, ad ogni movimento e ad ogni ciclo di borsa si oppone sempre un limite, di ragionevolezza come pure di riscontro con le variabili dell’economia reale.

Per questo motivo non c’è osservatore al mondo che non si chiede quando scoppierà la bolla speculativa degli indici azionari che continuano a gonfiarsi.

Sia chiaro che non crediamo che ciò succeda da un giorno all’altro.


Le ragioni dell’ottimismo

Ci sono, come dicevamo, molte buone ragioni per comprare azioni: dalle buone (e in parte inaspettate) notizie sugli utili aziendali, alle ventilate riduzioni e rimodulazioni delle tasse in America (che non potranno che dettare il passo anche al resto del mondo), a quelle sull’andamento delle vendite al dettaglio, degli investimenti e delle materie prime, tutto lascia supporre che stiamo vivendo un momento magico di ulteriore ripresa economica proprio quando una serie di indicatori potevano invece far pensare all’esaurimento di un ciclo economico rialzista, alle nefaste conseguenze della Brexit e all’acuirsi delle instabilità geo-politiche che potevano derivare dagli intenti neo-populisti dei nuovi eletti in Occidente.

Persino gli annunci di tre-quattro-cinque rialzi dei tassi da parte della Federal Reserve sono stati incredibilmente digeriti senza colpo ferire dagli operatori che da un lato hanno dato poco credito (a causa dei modesti movimenti precedenti) alle parole dei banchieri centrali, dall’altro hanno considerato quegli annunci come un’ottima conferma del buono stato di salute dell’economia.

Le buone notizie peraltro non si fermano qui.
Il “capital adjusted price/earnings ratio” e i dubbi sul prosieguo della corsa delle borse

Se guardiamo infatti all’effettiva sopravvalutazione dei titoli azionari che compongono i listini troviamo che i moltiplicatori del reddito, essi non sono poi così elevati.

L’indice, elaborato nel 1988 da Robert Schiller e John Campbell a scopo predittivo, mostra oggi un livello elevato del rapporto Prezzo/Utile dei titoli azionari quotati in borsa, aggiustato per l’inflazione, ma ancora lontano dai picchi raggiunti con la crisi del 1929 e in quella della New Economy della fine degli anni ’90 (https://en.m.wikipedia.org/wiki/Cyclically_adjusted_price-to-earnings_ratio )
Se teniamo poi conto del ricalcolo che sarà opportuno fare in funzione della riduzione della tassazione promessa da Donald Trump, ecco che rischia di suonare ancora del tutto ragionevole, tenuto conto dei bassi tassi d’interesse attuali e prospettici.

Tuttavia il famoso giornalista ed economista britannico Larry Elliot dalle colonne della rubrica che tiene per il Guardian, ha molti dubbi.

Dal suo punto di vista la psicologia dei mercati è divenuta quella tipica dei momenti di cieca euforia: le cattive notizie non interessano più a nessuno!
I rischi di una guerra protezionistica globale non spaventano, i timori di una vittoria in Francia ed Olanda dei partiti più radicalmente contrari all’Unione Europea non intimoriscono, la prospettiva di ulteriori rivalutazioni del Dollaro non interessano.

Elliot ci fa notare che secondo John Mainard Keynes le bolle speculative dei mercati borsistici non scoppiano e possono continuare le loro corse irrazionali ben più tardi di quando gli operatori divengono insolventi.


Le cassandre sino ad oggi hanno fallito

È troppo difficile peraltro per qualsiasi investitore professionale pensare di uscire dal mercato proprio mentre esso continua ad inanellare nuovi record e d’altronde, se qualcuno avesse dato retta alle cassandre che dicevano le stesse cose già tre o quattro mesi fa, avrebbe mancato uno dei più spettacolari rialzi in borsa della storia economica moderna!

Oggi i mercati non arrestano la propria corsa perché i tassi di interesse reali sono oramai in territorio negativo (l’inflazione è più alta dei tassi) e perché gli investitori sono drogati dalla prospettiva di ricalcolare al ribasso l’imposizione fiscale sugli utili aziendali.

Domani tuttavia, quando i tassi torneranno a salire in maniera più consistente, quando il problema dell’insostenibilità dei debiti pubblici tornerà a assillare i mercati, quando si inizieranno a fare i conti dell’impatto delle nuove barriere doganali sui profitti delle grande imprese, lo sconforto o più semplicemente una piccola delusione potrebbe prendere prendere il sopravvento sull’attuale euforia, determinando un assestamento se non addirittura un crollo (difficile stimarne l’entità, dato il livello molto elevato cui sono giunti i mercati).

Altra variabile che può determinare un calo futuro delle borse è la progressiva riduzione della liquidità disponibile sui mercati, della quale non hanno sino ad oggi risentito solo perché i titoli azionari hanno attirato i capitali in fuga dal reddito fisso, con un effetto netto addirittura positivo.

Ma più di ogni altra variabile ciò che può davvero cambiare l’umore dei mercati borsistici è l’eventualità che parte delle riduzioni fiscali promesse dall’amministrazione Trump risultino per qualche verso impraticabili. Cosa peraltro oggi improbabile e, sicuramente, non all’ordine del giorno nel breve periodo.
Più le borse salgono però andando verso l’irrazionale e più evidentemente c’è il rischio che la discesa sarà brusca.

Godiamoci perciò questo momento di grazia, sapendo tuttavia che non può durare troppo a lungo e che pertanto, da questo momento in poi, ogni occasione può essere buona per monetizzare le plusvalenze, acquistando casomai negli intervalli di debolezza, aumentando il margine di manovra man mano che passano le settimane.

 

Stefano di Tommaso




Le tecnologie che rivoluzioneranno il nostro futuro

 1) LEGGE DI MOORE, INTERNET DELLE COSE E BIG DATA

Già oggi miliardi di sensori autonomamente collegati alla rete tramite le tecnologie conosciute collettivamente sotto il nominativo di “internet delle cose” ci permettono di creare sistemi automatici di gestione delle abitazioni (domotica), delle automobili (self-driving cars), degli ambienti produttivi (industry 4.0), della salute (cardio-fitness bracelets) eccetera.

È una rivoluzione silenziosa e capillare che però va ben oltre quel che si può immaginare comunemente perché non è costituita da una nuova tecnologia, innovativa e dirompente. Si tratta bensì del risultato sconvolgente che può scaturire dal combinato disposto di :

• più potenti sistemi di computers (la famosa legge di Moore predice per difetto un’impennata esponenziale nella capacità di calcolo disponibile);

• nuove e inaspettate configurazioni dei personal computers (si pensi all’impatto che hanno già creato sino ad oggi i tablets e gli smartphones nella nostra vita quotidiana per comprendere quanto diversi potranno essere in futuro i computers che utilizzeremo al posto degli attuali desktop e laptop) che incrementeranno l’utilizzo di sistemi basati sulla realtà virtuale;

• nuovi supercomputers e grandi sistemi di elaborazione collettiva dei dati saranno accessibili dalle “server farms” in via remota anche dal più piccolo dei sistemi mobili;

• rivoluzionari nuovi software e più in generale nuovi sistemi di gestione delle miriadi di informazioni che provengono da quei sensori tutti collegati ad internet che troviamo oramai in qualsiasi oggetto (big data analytics) consentiranno di ottenere ed elaborare informazioni di qualsiasi tipo (dalle previsioni del tempo per ogni ora di ogni luogo agli andamenti della borsa e degli eventi sociali e sportivi, per incrociare dati statistici e predire eventi di qualunque genere, ivi comprese malattie e crimini).

 2) L’IMPATTO CUMULATIVO (E IL CONTROLLO) SULLA SOCIETÀ CIVILE

Il nuovo paradigma con il quale dovremo perciò confrontarci non è dunque soltanto il semplice impatto di tali innovazioni sulle abitudini umane e sul funzionamento della società civile.

Non parliamo solo delle numerose piccole innovazioni che permetteranno il miglior controllo dei siti produttivi, dell’inquinamento degli ambienti in cui viviamo e della nostra stessa salute, bensì di una rivoluzione “digitale” ben più profonda che può discendere dall’avvento della cosiddetta “intelligenza artificiale”, capace di apportare un cambiamento generale nelle abitudini ben più difficile da digerire di quanto lo possano essere la robotica, la domotica o l’auto intelligente.

• Il primo concetto da assimilare per calarsi negli sviluppi tecnologici prossimi venturi sarà quello di vivere in una società altamente interconnessa.  Miliardi di interazioni tra persone, idee, cose e sistemi, costituiranno un fortissimo stimolo per l’evoluzione della nostra mente ma potrebbero opporre anche potentissimi limiti nei riguardi degli altri aspetti della vita umana che appartengono alla sfera spirituale, dei sentimenti, della psicologia e della sociologia.

In altre parole l’eccesso di attenzione all’onnipotenza materiale che possono conferirci le nuove automazioni avanzate potrebbe configurare scenari apocalittici nei quali i fortissimi stimoli di questo nuovo ambiente in direzione della logica a noi necessaria e della costante interazione umana potrebbero costituire per la vita quotidiana una schiavitù più che una liberazione.

• Il secondo concetto forte da meditare al riguardo dell’irruzione delle nuove tecnologie nella vita riguarderà di conseguenza l’ulteriore forte riduzione della “privacy” di cui fino a ieri godevamo più o meno tutti noi.

Sino ad oggi la nostra partecipazione ai “social networks” è stato un fenomeno che ha solo parzialmente impattato sulla nostra vita quotidiana e che ha costituito sostanzialmente una nostra scelta: potevamo rinunciare volontariamente ad una parte della nostra privacy in cambio del calore dell’interazione umana e delle informazioni che essi ci offrivano.

Il problema si acuirebbe quando invece l’intera società civile se ne avvalesse, dal momento in cui essi dunque non costituirebbero più una scelta volontaria bensì un aspetto irrinunciabile della vita sociale perché a quel punto della privacy rimarrebbe solo un vago ricordo.

La questione dell’impatto sulla privacy dell’intelligenza artificiale prossima ventura non riguarda dunque soltanto il desiderio innato di poter isolare agli occhi e alle informazioni altrui la parte più intima della nostra vita, bensì anche e soprattutto l’aspetto sociale della medesima: i nostri orientamenti ideologico-politici, culturali, sessuali e sinanco religiosi saranno con ogni probabilità dei libri aperti per chi volesse utilizzare le numerosissime informazioni che riguardano la nostra vita per controllarli e indirizzarli.
Per non parlare dell’economia, della finanza e dell’influenza che i nuovi media potranno raggiungere sulle nostre abitudini di ogni sorta.

Il grande fratello è dunque in agguato più che mai. Non troppo diverso da come lo dipingeva George Orwell in “1984” (data che evidentemente risultava troppo ottimistica di poco meno di mezzo secolo) ma anche molto più insidioso, sottile, evanescente e al tempo stesso ancora più pervasivo e onnipresente di come era stato romanzescamente immaginato.

 3) I VANTAGGI E GLI SCENARI PIÙ ARDITI CHE DERIVANO DALLA DIFFUSIONE DELLE NUOVE TECNOLOGIE

Per essere onesti sino in fondo non possiamo tuttavia solo osservare gli aspetti potenzialmente più funesti della rivoluzione tecnologica oggi più o meno silenziosamente in corso, senza rimarcarne anche i prodigi ed i vantaggi pratici che essa potrà procurarci, a partire dal controllo della salute e dalla prevenzione delle malattie sino all’esplorazione scientifica e all’economia:

• innanzitutto al riguardo della medicina si possono immaginare molti scenari meravigliosi che discenderanno dall’avvento diffuso dell’intelligenza artificiale.
Dai braccialetti (o sensori sottocutanei) che potranno aiutarci a tenere sotto controllo tutti i maggiori parametri vitali fino alla cura delle malattie o all’utilizzo della robotica per la maggior parte degli interventi chirurgici nonché per la generazione, l’applicazione e la personalizzazione di protesi di ogni sorta, è facile predire che molte di queste innovazioni potranno rendersi immediatamente disponibili a costi progressivamente decrescenti, migliorando la qualità della vita;

• c’e poi da tenere presente che i sistemi di produzione di oggetti, servizi, macchine e impianti potranno -grazie all’automazione- risultare sempre più economici e maggiormente diffusi sul territorio, inaugurando una nuova stagione del “low cost” che oggi facciamo ancora fatica ad immaginare;

• per non parlare del possibile impatto delle tecnologie a basso costo sulla qualità della vita nel terzo mondo: sebbene non esistano certezze al riguardo, è possibile ipotizzare che un mondo fortemente interconnesso possa nel tempo ridurre le differenze socio-economiche oggi esistenti, diffondere più efficacemente e a bassissimo costo il sapere e dunque migliorare le condizioni di vita più che proporzionalmente nei paesi che sono oggi a più basso reddito;

• c’è infine da tenere presente l’enorme generazione di valore che può discendere dalla diffusione di massa dell’intelligenza artificiale: dalla produzione di nuovi sistemi di calcolo, all’elaborazione di nuovi sistemi di software fino ai risparmi di costo o alla massimizzazione della produttività in ogni campo (dall’alimentare all’energia) che possono derivare dall’applicazione di massa di sistemi di controllo di ogni genere, c’è da attendersi una progressione geometrica non soltanto della scienza ma anche della finanza, delle valutazioni aziendali e dei ritorni del capitale investito.

Che tutto ciò possa generare una miglior distribuzione del reddito o una ancora più pervicace concentrazione della ricchezza in poche mani in futuro non è invece facile da comprendere, o forse è proprio impossibile da prevedere oggi.

E tuttavia piuttosto probabile che, se si moltiplicano le occasioni di profitto, calano costi di produzione e prezzi di vendita e migliorano si sistemi che curano la salute, anche le condizioni sociali collettive avranno spazio per migliorare.
Lo scenario che ne deriva non è poi così oscuro, anzi!
Stefano di Tommaso




Il paradosso del sistema bancario tedesco

L’economia globale non si è mai ripresa del tutto dallo shock del 2008 nè, a maggior ragione, si è mai risollevato granché il commercio internazionale dopo quel periodo, anche a causa di molti altri fattori che ne hanno ridotto stabilmente i volumi.

In tale situazione il settore dei trasporti navali non ha tardato a confrontarsi con una crescente concorrenza e con prezzi dei noli in deciso ribasso. L’offerta sul mercato internazionale ha semplicemente prevalso con preponderanza sulla domanda, portando le aziende di trasporto meno grandi e meno competitive al tracollo dei propri margini.

In particolare l’Europa ha tardato più di altre zone a riprendersi dal crollo del commercio globale e uno dei modi in cui la Germania ha pensato bene di rispondere alla crisi è stato proprio quello di incrementare le proprie esportazioni al di fuori del vecchio continente.

Le spedizioni navali da quel Paese dunque hanno sofferto decisamente di meno di quelle di altri e anzi, la minore incidenza dei costi di trasporto sembrava favorire l’aggressiva politica di incremento delle esportazioni tedesche.

Tuttavia questo ha fatto credere alle grandi compagnie navali -soprattutto tedesche- di poter godere di un proprio vantaggio competitivo, da utilizzare per spiazzare la concorrenza internazionale anche a causa della concomitanza di tassi di interesse prossimi allo zero, per finanziare la costruzione di gigantesche nuove navi porta-container con costi impliciti di esercizio significativamente più bassi.
Anche l’apertura del nuovo canale di Panama giustificava questa mossa lasciando ritenere che l’intero sistema avrebbe raggiunto un’efficienza molto maggiore.

La strategia suddetta però si basava su un assunto, in generale quantomai ovvio, riguardante la -seppur prolungata- temporaneità del calo del commercio internazionale. Non il suo crollo strutturale che stiamo oramai registrando.

Negli ultimi anni perciò il settore del trasporto navale internazionale, invece di ridurre il numero di navi in circolazione in attesa di caricare merci, lo ha visto incrementare.
Con l’ovvia conseguenza di una letale guerra dei prezzi, che hanno toccato il loro minimo storico verso la metà del 2016, anno in cui persino i grandi nomi storici dello shipping come Maersk o Cosco hanno registrato perdite record!

Dunque ciò che è stato positivo per l’industria tedesca (minore incidenza dei costi di trasporto sulle vendite internazionali e un avanzo primario delle esportazioni sulle importazioni di 270 miliardi di dollari nel 2016) non lo è stato invece per le banche tedesche, molte delle quali sono risultate decisamente esposte a gravi perdite proprio sullo shipping.

Le compagnie tedesche di trasporto controllano infatti quasi un terzo della capacità di trasporto globale su container, mentre le banche tedesche sono esposte su più di un quarto di tutti i crediti navali concessi nel mondo (circa 90 miliardi di dollari). Una cosa coerente con il fatto che il prodotto interno lordo tedesco si regge per il 47% sulle proprie esportazioni, ma tale da destabilizzare non poco la solidità del sistema bancario.

Prima la Deutsche Bank poi la Commerzbank hanno già annunciato pesanti perdite economiche nel settore del finanziamento navale, ma c’è da attendersi che esse si estendano a banche più piccole come DekaBank, che ha già annunciato una cospicua riduzione dei profitti 2016 a causa degli accantonamenti necessari per le perdite sul comparto navale.
Altre banche tra le medie e grandi hanno registrato problemi nel medesimo settore già negli anni precedenti, come ad esempio DVB Bank e HSH Nordbank.

E dopo di ciò non è più così certo per il mercato che le perdite e gli accantonamenti dichiarati dalle banche tedesche corrispondano all’entità completa delle perdite realizzate.

Un servizio televisivo recente, per esempio, ipotizzava un intervento pubblico di almeno 20 miliardi di euro a favore delle banche delle regioni settentrionali della Germania, le più esposte ai rischi derivanti dalle garanzie concesse sul credito navale.
Un numero molto diverso dal totale delle perdite e degli accantonamenti dichiarati !

Una bella grana per quei politici tedeschi che continuano a mostrare il grugno duro in sede Europea quando si parla di trasparenza…
Stefano di Tommaso




È partita la corsa per l’auto intelligente

La notizia è fresca di stampa: la Ford è pronta ad investire un miliardo di dollari nei prossimi cinque anni in Argo AI (Artificial Intelligence) una start-up innovativa di Pittsburgh da lei controllata che sarà autonomamente gestita dai suoi fondatori: Bryan Salesky amministratore delegato e Peter Rander direttore generale, entrambi alumni del Carnegie Mellon National Robotics Engineering Center e entrambi leader delle squadre che lavorano ad analoghi progetti di automobili autoguidate rispettivamente presso Google e Uber.

Di seguito il link all’articolo: https://media.ford.com/content/fordmedia/fna/us/en/news/2017/02/10/ford-invests-in-argo-ai-new-artificial-intelligence-company.html.

Il commento del presidente Ford, Mark Fields ad un’iniziativa così importante è stato : “I prossimi dieci anni si caratterizzeranno per l’automazione del trasporto privato, che avrà un impatto rilevante nella vita di tutti i giorni così come è successo cento anni fa quando alla Ford fu inaugurata la prima catena di montaggio”.
E poi ancora: “Noi crediamo che investire nel l’intelligenza artificiale possa creare valore per gli azionisti arrivando per primi a proporre al pubblico veicoli auto-guidati e licenziando la nostra tecnologia alle altre case automobilistiche”.

In realtà anche altri grandi gruppi hanno programmato investimenti intorno al miliardo di dollari per la stessa finalità, come la General Motors che lo ha già speso un anno fa per acquisire la Cruise, una start-up di San Francisco che aveva sviluppato un kit per trasformare automobili tradizionali come le Audi A4/S4 in veicoli semi-autonomi. Quello stesso kit, noto come Super Cruise, sarà installato dalla GM nel suo primo modello di Cadillac CT6, un veicolo destinato a uscire quest’anno, le cui funzioni primarie sono semi-automatiche.

Anche Toyota si è impegnata per lo stesso importo nel 2015, aprendo dei propri laboratori di ricerca nella Silicon Valley. E all’ultimo salone dell’elettronica di consumo di Las Vegas ha già presentato una concept car (Concept-I) capace di guidare da sola e dotata di un robot -chiamato Yui- capace di dialogare con i passeggeri parlando con loro e presentandosi come una piccola palla di luce.

Difficile dire se davvero sarà una rivoluzione per la vita di tutti i giorni, ma adesso siamo certi di poter affermare che è partita la corsa all’oro per l’auto intelligente ed essa ha già creato i suoi primi vincitori: le start-up pagate a peso d’oro dalle grandi case automobilistiche tradizionali!
Stefano di Tommaso