ISTAT: occupazione in crescita nel 2016

Il 2016 “si caratterizza per un nuovo e più sostenuto aumento dell’occupazione – sia nei valori assoluti sia nel corrispondente tasso – che coinvolge anche i giovani di 15-34 anni”.

Inoltre “un elemento rilevante nel 2016 è costituto dalla diminuzione degli inattivi di circa 410 mila unità”. Lo sottolinea l’Istat nell’analisi periodica del mercato del lavoro in cui segnala tuttavia come il trend di crescita dell’occupazione ha “mostrato un significativo indebolimento nella seconda metà dell’anno, caratterizzato da una sostanziale stabilità complessiva, seppure in un quadro di andamenti differenziati delle diverse tipologie”.

E se “gli ultimi tre mesi dello scorso anno hanno visto l’economia italiana registrare un aumento congiunturale del Pil dello 0,2%, e una crescita tendenziale dell’1%” il trimestre ha registrato “una più accentuata dinamica positiva dell’input di lavoro, con un aumento delle ore complessivamente lavorate dello 0,4% sul trimestre precedente e dell’1,6% su base annua”.

Nel quarto trimestre 2016 – continua l’analisi dell’Istat – “l’occupazione mostra un andamento congiunturale solo lievemente positivo (+32 mila, 0,1%), a sintesi della ripresa del lavoro indipendente (+28 mila, 0,5%), dell’ulteriore aumento dei dipendenti a termine (+22 mila, 0,9%) e del lieve calo dei dipendenti a tempo indeterminato (-17 mila, -0,1%)”.

Il tasso di occupazione cresce di 0,1 punti rispetto al trimestre precedente mentre “le tendenze più recenti misurate dai dati mensili di gennaio 2017 mostrano, al netto della stagionalità, un lieve aumento degli occupati concentrato tra gli indipendenti a fronte della stabilità dei dipendenti”.

Nel quarto trimestre 2016 – segnala l’Istat – prosegue l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro, con una consistente diminuzione degli inattivi di 15-64 anni (stimata in -455 mila in un anno) e del corrispondente tasso di inattività.

Su base annua “il calo dell’inattività è diffuso per genere e sul territorio, è concentrato tra gli adulti, e riguarda sia quanti vogliono lavorare (-197 mila le forze di lavoro potenziali, specie tra le donne) sia la componente più distante dal mercato del lavoro (-258 mila chi non cerca e non è disponibile)”.

Tra il quarto trimestre 2016 e lo stesso periodo del 2015, si registra una crescita di 252 mila occupati (+1,1%) che riguarda soltanto i dipendenti, sia a termine sia a tempo indeterminato, a fronte della stabilità degli indipendenti, sottolinea ancora l’Istat.

Nel quarto trimestre 2016 il tasso di disoccupazione è aumentato di 0,2 punti percentuali sia rispetto al trimestre precedente sia in confronto a un anno prima, con una crescita tendenziale di 108 mila disoccupati

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Redazione Impresa e Lavoro




Nuovo rilancio nella corsa alla self driving car

Intel acquisisce l’israeliana Mobileye per $15,3 miliardi

La corsa verso la “self driving car” si arricchisce di un nuovo, quasi inaspettato e importante partecipante: INTEL,  he da qualche tempo sta facendo ogni sforzo per entrare nei settori limitrofi al proprio, tra quelli a più alto fattore di crescita.

Mobileye è stata fondata a Gerusalemme nel 1999 ed era quotata a Wall Street. L’offerta è arrivata a quasi 64 Dollari, il 34% in più del valore di capitalizzazione, per un acquisto secco in contanti da parte del colosso californiano che sborserà quasi intero i 15 miliardi in contanti attingendo alle proprie riserve di cassa liquida, buona parte delle quali giaceva all’estero e sarebbe stata oggetto di attenzione da parte dell’Amministrazione Trump che mira a portare in America le risorse accumulate all’esterno dalle aziende americane in ridotto regime di tassazione.

La società Mobileye è specializzata nello sviluppo di sistemi per l’analisi dei dati visuali, nella localizzazione, e l’assistenza alla guida per le vetture di ogni genere e sviluppa soluzioni hardware/software per la mobilità intelligente con particolare focus sui sistemi di guida autonoma.
Mobileye aveva già avviato diverse collaborazioni con produttori di automobili, tra cui BMW e fornitori di servizi, come HERE. Intel realizza tra gli altri anche chip in grado di elaborare in tempo reale i dati raccolti dai vari sensori installati nelle automobili.

Di qui la sinergia: l’acquisizione consente di unire le migliori tecnologie offerte dalle due aziende: connettività, computer vision, data center, machine learning e intelligenza artificiale.

L’accordo che la riguarda è il più importante di sempre per il mondo high-tech israeliano e consente a Intel di farsi largo con alle spalle non solo una realtà consolidata bensì anche l’intero ambiente accademico di quel Paese, in un mercato che si stima possa raggiungere un giro d’affari di $70 miliardi entro il 2030

 

Stefano di Tommaso




A gonfie vele

Pur tra mille timori il vecchio continente naviga bene

 

Fugati i timori legati al discorso di Mario Draghi (il Governatore della Banca Europea) i dati positivi sulla crescita economica dell’Eurozona sono stati perlopiù osservati sotto un’altra luce: l’inflazione subito dopo quel discorso sembra non preoccupare più nessuno (almeno per il momento, sino a quando non arriverà a mordere davvero il freno) e nel frattempo le revisioni al rialzo delle attese di crescita per l’anno in corso (poco meno del 2% di incremento del Prodotto Lordo) forniscono motivi di euforia ai mercati e alle quotazioni di banche, assicurazioni e servizi finanziari.

Draghi insomma è stato cauto ma ottimista ed è stato preso molto sul serio dai mercati, che hanno potuto celebrare così l’ennesimo successo di uno dei migliori banchieri centrali degli ultimi decenni.

I FATTORI DI OTTIMISMO

Questa volta sembra che oltre al dato (vero) sull’inflazione, anche un certo numero di ulteriori fattori positivi (da verificare) stiano congiurando per assicurarci una prima parte del 2017 relativamente in discesa, elezioni europee permettendo :

– Un Dollaro non troppo precipitoso (nonostante i ripetuti rialzi dei tassi annunciati) nel rivalutarsi sull’Euro;

– Un petrolio che difficilmente sfonderà soglie critiche, dato l’eccesso di offerta che ancora si riversa sulla relativamente scarsa domanda industriale ;

– Una moderata ripresa dei prezzi delle materie prime alimentari e il conseguente vantaggio per i Paesi Emergenti e i loro mercati finanziari;

– La miglior capacità degli stessi di pagare investimenti ed importazioni “made in Europe” crea una dinamica più che positiva per le imprese esportatrici ;

– L’assimilazione delle nuove tecnologie nelle imprese europee crea efficienza e produttività (già verificate negli USA dove sono arrivate in anticipo);

– La speranza che venga varato un programma di investimenti in infrastrutture comunitarie;

– L’ipotesi che in Italia parta un programma “tagliadebito” che scongiuri il peggioramento del rating nazionale.

Non è eccessivo ottimismo. È semplicemente (nonché sorprendentemente) la realtà dei fatti: il barometro dell’Eurozona sta salendo, con buona pace per tutte le polemiche che impazzano e per i Paesi come la Grecia (e in parte anche l’Italia) che, gravati da una serie di problemi, rischiano di non accorgersene nemmeno!

I MOTIVI DI FONDO

La prima causa ovviamente è l’innestarsi di un nuovo e più robusto ciclo positivo a livello mondiale, dopo che l’esaurimento del precedente, più timido e incerto, sembrava condurre verso una nuova recessione globale.
Scongiurato il pericolo invece, ogni indicatore sembra oggi mostrare che siamo entrati in un nuovo periodo di crescita.

La seconda è la pesante eredità del recente passato: rispetto alle dinamiche economiche di Asia e America, l’Europa ha vissuto un ritardo che ora sta recuperando. Lo stesso vale per le borse e per i tassi di interesse. Meno per l’inflazione, dal momento che la forte tassazione continentale non può che limitare decisamente la ripresa dei consumi.

I “CAVEAT”

Ovviamente l’ottimismo che si registra tanto sui mercati finanziari quanto tra le imprese va soppesato: la storia ci insegna che non esistono le favole a lieto fine. Ci sono invece molti possibili eventi che potrebbero rovinarci la festa:

– Una bella crisi di fiducia nel mercato americano: gli indici di Wall Street sono sostenuti dal buon andamento di pochi fortissimi titoli. Non si può escludere alcuna sorpresa anche perché la borsa non può salire sempre. Le conseguenze in termini di fiducia nella ripresa si ripercuoterebbero in tutto il mondo;

– Una crisi politica U.S.A. potrebbe fare anche peggio: se si legge la stampa, si capisce che sono molti quelli che vorrebbero tendere una trappola a Donald Trump e bloccare sul nascere le sue riforme;

– Il prevalere dei falchi tedeschi nel determinare le prossime politiche monetarie europee può ridurre o azzerare le prospettive di crescita e spaccare politicamente l’Unione;

– L’insorgere di nuovi conflitti in giro per il mondo o più semplicemente una recrudescenza del terrorismo può far rimandare gli investimenti previsti, pregiudicando le prospettive;

– Nuovi problemi del sistema bancario cinese, da tempo in situazione di precario equilibrio, potrebbe provocare una svalutazione del Renminbi e una riduzione della competitività delle imprese europee, oltre che innescare una nuova guerra delle valute;

– Il “contagio” di nuovi problemi economici nei Paesi Emergenti, vuoi per un Dollaro troppo forte, vuoi per un’eccessiva discesa dei prezzi di petrolio e materie prime, pregiudicherebbe anch’esso le esportazioni europee.

NESSUNA CERTEZZA DUNQUE MA SOLO UNA BUONA CONGIUNTURA

Il positivo momento congiunturale andrebbe colto per rinsaldare i bilanci pubblici, per ridurre i debiti, per riformare le normative eccessivamente burocratiche di tutta l’Unione. In fondo le politiche monetarie attuate dovevano servire a questo: guadagnare tempo per promuovere le riforme. Ma non v’è alcuna certezza che i governi in carica lo faranno davvero.

Ciò nonostante, anche grazie all’abbondante liquidità ancora immessa dalla Banca Centrale Europea, tra le borse si festeggia allo scampato pericolo di una nuova fiammata inflazionistica.
Poi nel prosieguo si vedrà meglio se sarà stato giusto dare credito al cauto ottimismo di Draghi.
E come si potrebbe -d’altronde – fare diversamente?

 

Stefano di Tommaso




Quale inflazione è davvero in arrivo?

Quando l’indicatore dell’aumento dei prezzi in Germania ha segnato un +2,2% a Febbraio (su base annua) sono stati in molti a fare un sussulto, non perché non se lo aspettassero, ma per la misura del balzo in avanti, superiore peraltro in Germania alla crescita del paniere dei prezzi in buona parte del resto d’Europa.

Le ultime proiezioni significative degli uffici studi a fine 2016 indicavano attese medie di inflazione nel 2017 per non più dell’1,3%, con una variazione massima attesa dell’1% (dallo 0,8% all’1,8%).

È  chiaro che la misura dell’inflazione ha impatto su molte dinamiche economiche, da quelle salariali a quelle della politica monetaria europea. E scatena molti interessi. Ora ad esempio ci sarà da attendersi che i falchi della Germania si scaglino di nuovo contro il QE della Banca Centrale Europea.


L’INFLAZIONE PER CIASCUNA CATEGORIA DI BENI E SERVIZI

Ma per comprendere la dinamica dei prezzi al rialzo è illuminante andare a scomporre il paniere che viene usato per il calcolo, notando che buona parte del balzo inflazionistico di Febbraio è dovuto per il 10% all’aumento del 9,2% della componente “prezzo dell’energia”, che dunque ha inciso da solo per uno 0,92% sul totale del 2,2% misurato.

Anche i prezzi delle commodities sono cresciuti in maniera considerevole a Febbraio: i soli prezzi dei beni alimentari non lavorati sono cresciuti del 5,2% e pesano nel paniere convenzionale dell’inflazione per il 7,5%, andando a comporre un altro 0,39% sul totale   del 2,2% totale misurato pertanto.

Dunque i prezzi di prodotti energetici e alimentari non lavorati hanno contribuito a quel 2,2% per  quasi il 60% del totale, spostando da soli l’indice complessivo al rialzo dell’1,31%. Come dire che la crescita dei prezzi di tutto il resto dei beni che compongono il paniere ha registrato in media un mero più 0,89%  a Febbraio, ben al di sotto dunque del target del 2% che si era dato la BCE.

Per chi volesse saperne ancora di più su come è composto quel più 0,89% dei prezzi di tutti gli altri beni (al netto dell’incremento dei prezzi di derrate e energia) segnaliamo solo gli estremi della graduatoria : i prezzi dei beni industriali sono saliti solo dello 0,2% mentre quelli dei servizi (spesso erogati in regime protetto dalla concorrenza internazionale) hanno registrato un più 1,3%.


EFFETTI POSITIVI E NEGATIVI DELL’INFLAZIONE

Ora, se da un lato il risveglio dell’inflazione è un segnale di vitalità dell’economia e quindi va salutato positivamente quando si manifesta in modo limitato e dopo un lungo periodo di deflazione reale, dall’altro lato dobbiamo proprio notare che questo concetto si applica soprattutto ai beni lavorati e alle produzioni industriali e in generale laddove nell’aumento dei prezzi vi sia un sufficiente livello di valore aggiunto che possa comportare una dinamica positiva sui redditi disponibili .

Se invece l’aumento dei prezzi riguarda solo gli “altri beni” (cioè quelli quasi privi di valore aggiunto), allora non possiamo che notare l’effetto opposto: la dinamica inflazionistica di quei prezzi affligge negativamente la salute economica dell’Euro-Zona, dal momento che riduce i redditi disponibili, oltre che ridurre la competitività delle sue esportazioni (che nel mese di Febbraio non è quasi peggiorata solo perché parallelamente si è svalutato l’Euro sul Dollaro).

Dunque se ne può dedurre che il segnale positivo per l’economia Europea si limita ad un mero +0,89% su base annua, ben al di sotto del livello atteso e getta un’ombra sulle reali prospettive di crescita della medesima oltre le attese iniziali.


LA GERMANIA CORRE DI PIÙ

Tornando quindi all’inflazione registrata e ai suoi effetti, guarda caso è in Germania che essa è cresciuta maggiormente, in parallelo con i rendimenti dei titoli di stato tedeschi: il Bund decennale è arrivato allo 0,25%, salendo più dei BTP italiani e, per una piccola frazione di punto, riducendo lo spread a “soli” 184 punti base (cioè allo 0,184%).

L’inflazione media registrata ci rende perciò una fotografia molto nitida delle fatidiche “due velocità” dell’Europa di cui parlano i politici ed è per noi tutto sommato una buona notizia il fatto che non cresca davvero molto nei suoi fattori meno congiunturali, cosa che ci fornisce la speranza di una maggior durata dell’ “ombrello” della BCE sulle emissioni di nuovi titoli pubblici italiani.


UN PICCOLO FUOCO DI PAGLIA O PIÙ SEMPLICEMENTE UN SEGNALE POSITIVO PER L’EUROPA

Ma soprattutto l’inflazione registrata a Febbraio sarà probabilmente da archiviare negli annali futuri come un piccolo fuoco di paglia, strettamente congiunturale, dal momento che per numerosi motivi non sono probabili nei prossimi mesi ulteriori forti impennate dei prezzi di commodities e materie prime energetiche.

Non c’è quindi ragionevolmente da attendersi un gran polverone dei prezzi nei prossimi mesi.

Resta viceversa il dato positivo: l’impostazione al rialzo (seppur limitata) dei prezzi è comunque un segnale robusto della buona salute dell’economia mondiale nel 2017, dopo gli annunci catastrofici che invece erano seguiti alla Brexit e all’elezione di Donald Trump, oltre che un campanello d’allarme relativo alle “deviazioni” di certa stampa e di taluni uffici studi quando si proiettano previsioni e scenari (che si ripetono adesso che c’è il rischio che venga eletta Marie Le Pen).

La crescita economica può riservare anzi buone sorprese proprio al continente europeo, che a partire dalla crisi del 2009 fino all’anno scorso aveva invece arrancato nei confronti di Asia e America!


Stefano di Tommaso