Faremo shopping solo su Amazon?

Negli ultimi tempi c’è allarme generale riguardo alla sopravvivenza dei supermercati e negozi al dettaglio: se il commercio si sposta sullo spazio virtuale c’è ancora ragion d’essere per il commercio “tradizionale”?
E se nessuno occuperà più gli spazi fisici degli empori tradizionali (tanto per le strade del centro città quanto tra i corridoi dei centri commerciali), allora il valore di quegli immobili e di quelle vetrine da essi utilizzati resterà quello di prima?

La prima risposta che viene in mente è che no: il cambiamento non avverrà in un giorno, ma è altrettanto vero che esso è inesorabile.
Così come inesorabilmente la grande distribuzione e la distribuzione organizzata hanno in buona parte soppiantato i negozi alimentari della signora Maria che ricordiamo da bambini, allo stesso modo le edicole dei giornalai stanno progressivamente scomparendo e, quando sopravvivono, vendono soprattutto schede del telefono, coltellini, patatine e biglietti del tram.

 

IL CREPUSCOLO DEGLI EMPORI

Avevamo già vissuto le avvisaglie della fine del commercio tradizionale con la scomparsa (o quasi) dei grossisti, dei negozietti famigliari (rimpiazzati da catene almeno regionali di negozi -nemmeno troppo piccoli- magari con il commesso multilingue).
Avevamo iniziato a fare shopping quasi solo nei centri commerciali e qualche volta anche on-line, magari solo quando volevamo la pizza pronta all’ultimo istante.
Ma adesso sembra proprio che persino i centri commerciali siano divenuti roba del passato, e che se via internet troviamo i migliori prezzi e la scelta più ampia, è solo questione di tempo prima che per la maggior parte delle nostre abitudini di consumo ce ne staremo seduti comodi a casa davanti allo schermo (o altrove in panciolle con il maxi-smartphone in mano).

 

LE IMPLICAZIONI DI VALORE

Cosa significa da un punto di vista finanziario? Che dovremmo vendere i titoli delle aziende commerciali quotate in borsa e comperare quelli di chi produce poltrone e sedute? Che dovremmo attenderci un calo dei valori immobiliari legati alla vendita al dettaglio e un innalzamento di quelli connessi alla logistica e al trasporto verso “l’ultimo miglio”?
Probabilmente sì. Ma non solo.

La verità (completa) è che difficilmente il lusso vero (per quel che ne resterà) sarà venduto dal cellulare senza l’ausilio di splendide commesse nelle vie del centro, che difficilmente l’emozione di entrare da un concessionario di automobili che vi fa provare l’ultimo modello e supervaluta l’usato potrà essere sostituita dalla migliore offerta di un sito cinese che vi offre la Mahindra a prezzi di saldo.

Difficile che l’acquisto dell’ultimo grido di prodotti cosmetici o di lucida-labbra non avvenga ancora in un piacevole salone dove le signore possono prima provarne un paio di dozzine, nelle varie nuances di colore e di profumo…

 

VINCANO I PIÙ SIMPATICI!

In tutti quei casi cioè dove prevale l’interazione umana (e dove ce lo si può permettere), lo spazio virtuale è perdente. L’uomo ha bisogno di trovare calore e “comunità”. L’altro ieri erano: la sezione XY del partito, il bar sport, il circolo cittadino oppure la serata rotariana, domani sarà probabilmente qualcos’altro, ma il bisogno di interagire è innato in noi. “L’uomo è un animale sociale” scriveva Aristotele nel IV secolo avanti Cristo!

Quindi non basta l’esplosione di “pet”, ovvero cani, gatti e altri pelosetti in giro per la casa, spesso al posto dei bambini e degli anziani. Quando usciamo di casa vogliamo incontrare qualcuno, discutere di qualcosa e provare emozioni… tra cui lo shopping!

Alcuni analisti suggeriscono che sarà il concetto di “comunità ” a farsi strada nelle nostre scelte, anche perché in un mondo sempre più complesso ci risulta difficile fidarci di qualcuno.

 

IL FUTURO È DIFFICILE DA GESTIRE

Poi però cercheremo ugualmente di risparmiare (anche perché arrivano cose nuove a risucchiare il nostro budget), cercheremo ugualmente di evitare luoghi noiosi, sporchi o male illuminati o anche solo troppo difficili da raggiungere.

Ma il piacere qualche ora di passeggiata per le vie del centro o dei mall più simpatici, con gli animatori che ci intrattengono o gli spazi-gioco per i bambini probabilmente non scomparirà mai.

Se invece proviamo a gettare uno sguardo nel futuro e più profondo, allora gli oracoli parlano di realtà aumentata e virtuale, di intelligenza artificiale, di robot domestici… potrebbero anche essere cose che arrivano domani mattina ma oggi sarebbe difficile costruirci sopra qualche ragionamento di puro business.
Accontentiamoci allora soltanto della prospettiva (c’è chi è disposto a pagare bene per averne una davanti a casa propria!).

Morale: lo shopping cambia, si virtualizza, è soggetto a selezione naturale e a un processo inesorabile di erosione dei margini unitari. Non c’è dubbio.
E dal punto di vista dei valori in gioco, delle dimensioni aziendali, del prezzo degli immobili non potremo non tenerne conto.

 

MA LA VITA VA AVANTI… E IL COMMERCIO PURE !

Ma la vita va avanti, la selezione severa lascia emergere le catene di dettaglio più simpatiche, più “fidelizzanti” (nessuno ammazzerà mai i “ricchi premi e cotillons”), più pronte all’uso e meno invadenti.

E poi l’economia cresce, il nostro potere d’acquisto (insospettabilmente) pure, e la scelta di articoli e “luoghi” dello shopping che avremo davanti a noi nei prossimi anni è probabilmente destinata ad ampliarsi.
Le nuove generazioni vengono considerate come “native digitali” ma non disdegnano nemmmeno loro le emozioni.
Sono perciò piuttosto sicuro che ci sarà spazio per tutti (coloro che se lo meritano).
Basta riuscire a capire dove e a quali condizioni..!

 
Stefano di Tommaso




Un mondo esponenziale

Per chi avesse voglia di farci caso, le nostre condizioni generali di vita sono molto cambiate, a partire dagli angoli più affluenti del pianeta, dai centri cittadini delle maggiori metropoli e soprattutto tra le nuove generazioni che vi si affacciano, con l’impronta digitale già alla nascita.
Le nuove generazioni vivono per prime in un mondo decisamente più opulento, tecnologico, interconnesso, pieno di opportunità e di alternative ma, come vedremo più avanti, forse anche più stressante, incerto e complesso. Questo determina molti cambiamenti nelle abitudini della gente.


LE CONTINUE ONDATE DI NUOVE TECNOLOGIE : AFFASCINANTI E MINACCIOSE

Ogni nuova tecnologia che oggi si affaccia alla ribalta della piattaforma digitale dalla quale oramai le nuove generazioni guardano il mondo, comunicano, si esprimono e interagiscono, promette loro nuove meraviglie, fornisce nuovi servizi gratuiti e automatizza nuove funzioni.
Ma al tempo stesso essa è destinata a impigrirle e a cambiare il modo di chiunque ne usufruisce di fare le cose, di apprendere, di lavorare.
Il commercio che si svolge on-line per esempio, abbassa i prezzi e moltiplica l’offerta di beni e servizi, ma al tempo stesso desertifica i centri cittadini, provoca la chiusura di taluni grandi magazzini e cancella dei posti di lavoro.
Le nuove ondate tecnologiche sono insomma il progresso, ma sono anche un frutto avvelenato, un’arma a doppio taglio, un’opportunità da godere e al tempo stesso una minaccia per tutto ciò che era prima, ivi compresi il nostro posto di lavoro e i nostri risparmi. Per certi versi esse perciò ci costringono ad adeguarci a loro anche senza volerlo.


LA CRESCENTE VELOCITÀ DEL CAMBIAMENTO : CARATTERISTICA DEI TEMPI ATTUALI

Possiamo dunque affermare che il cambiamento continuo, impetuoso e meraviglioso che ogni nuova ondata tecnologica porta con se, a volte è persino scomodo? E se non bastasse: anche la velocità del cambiamento è perennemente in crescita ed è divenuta la vera caratteristica del mondo in cui viviamo.
Il cambiamento una volta era visto solamente come l’avvento di nuove tecnologie al servizio dell’uomo, oggi è percepito sempre più come minaccia per il nostro ambiente di lavoro, per i nostri piani pensionistici, e per l’imprevedibilità delle tendenze di fondo.
Un esempio per tutti della nuova schiavizzazione è la relativa obbligatorietà della partecipazione al mondo digitale e alla “schedatura” che fanno di noi i social networks (la piazza virtuale): in molti casi l’apertura di una posizione per il noleggio di un’automobile piuttosto che la partecipazione al dibattito su quale spesa effettuare nel condominio, sino al forum dei vecchi compagni di scuola che si ritrovano dopo tanti anni, sono spesso eventi cui possiamo partecipare soltanto se siamo dotati di un telefonino intelligente, dove trovano posto le nostre iscrizioni a Facebook, WhatsApp, LinkedIn, o anche solo a diverse comunità digitali che si scambiano immagini, video, posta elettronica o messaggistica di qualche nuovo tipo.


IL MONDO ESPONENZIALE: COMPLESSO, DINAMICO, MA SOPRATTUTTO IMPREVEDIBILE ED AMBIGUO

La differenza dunque con i tempi in cui il futuro era visto come un mondo di sogno nel quale le macchine avrebbero fatto tutto quello che avevamo bisogno di fare è che oggi il cambiamento indotto dalla tecnologia è spesso comodo e gratuito, ma anche insidioso e fonte di stress, anche perché risulta sempre più invadente e irrinunciabile.
Il mondo globalizzato del futuro quotidiano in cui vivono le nuove generazioni (mentre le altre per il momento ci gettano solo uno sguardo) è un vero e proprio turbine di innovazione, cambiamento, opportunità e anche minacce, a causa del fatto che la digitalizzazione ha rimosso le barriere allo sviluppo dei nuovi business.
Se una nuova tecnologia ha successo, essa si diffonde oggi con un andamento, appunto, “esponenziale” generando nuova ricchezza e nuove tendenze, mentre accelera progressivamente.
Il mondo che ne consegue, senza più i limiti fisici del passato, appare perciò dinamico, portentoso, ma è anche difficile prevederne ex-ante le tendenze, proprio a causa dell’andamento “esponenziale” della diffusione di queste nuove tecnologie.


LA FINANZA ESPONZIALE : OTTIMISTI E PESSIMISTI A CONFRONTO

Anche la finanza segue questi andamenti esponenziali, ad esempio nelle valutazioni delle start-up che hanno avuto successo tra gli investitori, facendo spesso gridare allo scandalo tra gli analisti che per prevederne i flussi di cassa possono solo guardare alle prime fasi della curva esponenziale (vedi immagine) senza troppe certezze circa l’evoluzione della medesima.
C’è infatti un forte dibattito in corso riguardo alla sostenibilità degli attuali livelli delle quotazioni di Wall Street, giunte ai massimi di sempre e vicine -con le dovute proporzioni – a livelli da vera e propria bolla speculativa che si erano visti solo qualche istante prima della crisi del 1929.


I PESSIMISTI

Questo accade peraltro solo un anno dopo che la McKinsey aveva lanciato un allarme sulla sostenibilità degli utili aziendali (fondamentale tassello nella determinazione del valore d’impresa), secondo la quale i profitti degli ultimi anni si erano potuti realizzare solo a causa della coincidenza di un grande numero di circostanze favorevoli quanto irripetibili e pertanto sarebbero stati destinati a ridursi decisamente negli anni a venire.
Anzi: la stessa capacità di non andare in perdita per molte imprese attive nei settori “tradizionali” era stata messa fortemente in discussione in un ambiente economico che sarebbe stato scosso alle sue radici dalla diffusione della digitalizzazione, fenomeno che, in presenza di una progressiva deflazione dei prezzi e in prospettiva di una “stagnazione secolare”, avrebbe azzerato i loro margini e generato disoccupazione a causa della minore domanda di fattore-lavoro delle imprese basate su internet.
È bastato un anno per prendere atto dell’esatto opposto tra tutti gli scenari evolutivi possibili: la disoccupazione è andata ai suoi limiti fisiologici inferiori proprio nel Paese che più ha cavalcato l’economia digitale, l’America; l’inflazione ha rifatto capolino e i profitti delle imprese quotate (buona parte delle quali attive nei settori tradizionali) sono tornati a crescere, smentendo quelle previsioni o quantomeno rimandandone la verifica a periodi decisamente più lontani negli anni.


GLI OTTIMISTI

Se vogliamo provare a sintetizzare in una sola la motivazione per cui la borsa è invece cresciuta e anche gli utili aziendali sono migliorati, essa si può trovare nella fiducia verso il futuro che le imprese hanno mostrato continuando a investire (creando le premesse per ulteriori profitti) e che i loro azionisti hanno tradotto in valutazioni ancora superiori.
L’impatto delle nuove tecnologie insomma sembra invece aver aiutato sino ad oggi la crescita economica ed essere in grado di generare quell’effetto moltiplicativo che si era già visto ai tempi della prima rivoluzione industriale, con l’avvento delle macchine che prendevano il posto dei lavoratori nelle fabbriche. Effetto che i luddisti negavano e che gli imprenditori hanno invece poi cavalcato, generando ricchezza per tutti.


COSA DEDURNE : VOLATILITÀ INNANZITUTTO

Di certezze per il futuro ovviamente non ce ne sono affatto, anzi! La finanza esponenziale moltiplica la pericolosità dell’investimento in borsa e riduce l’appetibilità dell’investimento nei titoli a reddito fisso (dal momento che i titoli azionari offrono prospettive di guadagno completamente diverse).
In borsa pericolo può risultare sinonimo di incertezza, e generare di conseguenza della volatilità, che sino ad oggi invece è calata, parallelamente al crescere dei listini.
Non è impossibile pertanto che, man mano che l’entusiasmo unidirezionale degli investitori lascerà il posto al dibattito tra di essi, la volatilità dei listini di borsa possa tornare a crescere, anche a causa della progressiva incertezza della tenuta delle quotazioni azionarie, mano mano che raggiungono livelli sempre più stellari.


REDDITO FISSO?

Fino ad oggi è andata bene per la borsa e, paradossalmente, assai male per i bond, dal momento che i tassi di interesse reali sono scesi e quelli nominali sono saliti, erodendo il loro valore. Con la prospettiva di deflazione di un anno fa era invece tutto all’opposto: i tassi nominali bassi risultavano comunque appetibili in termini reali a causa delle aspettative di inflazione negativa.
Sperare che i titoli a reddito fisso riprendano valore e lanciarsi in quella direzione è perciò oggi una scelta difficile, perché bisogna immaginare che l’incremento dei tassi di interesse nominali (che è pilotato dalle banche centrali) possa superare quello dell’inflazione attesa.
E con un livello così alto come quello attuale dei debiti pubblici la loro scelta risulterebbe quantomeno bislacca.


SELETTIVITÀ

L’investimento azionario ai livelli attuali a sua volta è sempre più una scommessa. Riuscire a prevedere quali titoli “high-tech” potranno continuare la loro corsa anche in futuro è quasi impossibile.
Eppure qualcuno di essi potrà beneficiare “esponenzialmente” dello spazio economico digitale che si amplia, qualcun altro sarà acquistato da imprese tradizionali che vorranno acquisire le nuove tecnologie. E in entrambi i casi l’occasione può essere ghiotta.
Al contrario l’entusiasmo verso le nuove tecnologie ha sicuramente trascinato al rialzo anche qualcuno dei giganti del passato, senza alcuna certezza che esse gioveranno anche ai loro profitti.
É vero anzi il contrario: la digitalizzazione può ridurre i margini di profitto delle imprese tradizionali e il mercato potrebbe accorgersene presto penalizzandone la valutazione.


LA LIQUIDITÀ DEL MERCATO SI RIDUCE

Per questo motivo la vera impresa dei risparmiatori e di chi lavora per loro sarà riuscire a discernere meglio tra le occasioni di investimento azionario, probabilmente molto più che in passato, quando la marea di liquidità cresceva e trascinava verso l’alto tutto ciò che incontrava.
Oggi invece da un lato sembra che le banche centrali stiano riducendo i loro interventi e dunque la massa di denaro sul mercato, mentre dall’altro lato le occasioni di diversificazione degli investimenti sono cresciute: l’oro sembra tornato in spolvero, l’immobile anche e l’arte continua ad attrarre risorse come mai in passato.
Tutti fattori che tendono a ridurre la liquidità disponibile per l’investimento azionario.
Almeno per il prossimo futuro una quasi-certezza sembra dunque esservi: con la tendenza a ridursi della liquidità del mercato è difficile che la marea cresca ancora, la rotazione dei titoli invece aumenterà e con essa una relativa volatilità.
Tenetevi forte allora!

 
Stefano di Tommaso




La fatica di Uber

L’ingresso di Uber sul mercato -è risaputo- ha rovinato il sonno a molte categorie di interessi, a molti lobbisti e a molti concorrenti.

Uber per prima ha concepito l’idea di cambiare il paradigma del trasporto urbano privato. Anche per questo è la società che più di ogni altra è riuscita a raccogliere molto denaro senza ancora quotarsi in Borsa.

Ad oggi infatti finanziatori e investitori privati le hanno profuso quasi 13 miliardi di dollari e nell’ultimo aumento di capitale Uber è stata valutata quasi 68 miliardi di dollari, un terzo in più della capitalizzazione di General Motors e un multiplo di FCA.

Con il successo di Uber non è soltanto la categoria (protetta) dei tassisti a rischiare le proprie tariffe da favola (in Italia più alte che a New York o a Londra), bensì anche i corrieri espressi, i giganti del commercio elettronico e addirittura quelli dell’industria automobilistica.

Uber ha infatti rivolto cospicui investimenti in direzione dell’automobile che guida da sola, scavalcando nella sua corsa non soltanto i produttori di componentistica, bensì anche calibri come Intel (che controlla da poco Mobileye), Google (che controlla Waymo) e Tesla e provocando la loro avversità.

Ciò nonostante Uber aveva coraggiosamente annunciato l’hanno scorso di essere in procinto di avviare un servizio di taxi con elevato livello di autonomia.

I tentativi di incastrarne il leader con un processo per molestie sessuali, le proteste poste dai luddisti conducenti, gli ostacoli sopraggiunti dai regolatori, l’esodo di personale infedele che ha preferito farsi pagare caro per passare alla concorrenza e mille altre trappole non l’avevano finora fermata nella sua corsa per rivoluzionare le strade del mondo.

Ma venerdì sera è accaduto dell’altro: uno scontro tra un’auto sperimentale di Uber e una privata le fa rischiare l’ennesima battaglia legale, che si porterà dietro uno stop ulteriore nelle sperimentazioni.

Non ci sarebbe nulla di strano, se l’accurata ripresa audiovideo dell’incidente effettuata dal veicolo automatico non lasciasse chiaramente supporre che il guidatore del veicolo privato che si è scontrato con l’auto sperimentale Uber abbia lui inequivocabilmente (e stranamente)determinato l’incidente.

Che l’abbia fatto apposta non riuscirà forse nemmeno una perizia psichiatrica a provarlo ma -è risaputo- a pensar male si fa peccato, però…

 

Stefano di Tommaso




FANNO BENE LE IMPRESE A QUOTARSI IN BORSA?

L’IPO (Initial Public Offering) si sa, non è mai stato un passo facile per le imprese italiane: le numerose procedure, i controlli e la volatilità dei mercati spesso le hanno “spaventate” nell’affrontare la scelta di aprirsi al mercato dei capitali. Nonostante ciò, nel 2015 il numero di IPO (quotazioni in borsa di nuove aziende) ha raggiunto livelli simili a quelli precedenti al crack della Lehman Brothers.

Questo è stato visto come un segnale di fiducia e di rinnovato interesse nei confronti della Borsa, non solo dalle grandi imprese ma anche dalle PMI, che rappresentano il core della nostra economia e che hanno rappresentato il 76% ed il 66% degli IPO rispettivamente nel 2014 e nel 2015 andando a popolare il Listino AIM.

2016: UN ANNO DI ESITAZIONI

Dopo 3 anni di crescita, nel 2016 i Listini hanno subito un’inversione di tendenza con un numero di IPO che è passato da 27 a 14 con le performance peggiori registrate sul segmento STAR (-5 le aziende quotate con 0 IPO) e AIM (-7 le aziende quotate e 11 IPO). Per comprendere se ci troviamo di fronte ad una cristi del “terzo anno” (la crisi che nelle relazioni moderne ha preso il posto di quella del settimo) o ad una vera e propria inversione di tendenza, bisogna sia analizzare le motivazioni e i fatti che stanno alla base dei movimenti sui mercati avvenuti nel 2016 che i segnali di “riappacificazione” riscontrati nei primi mesi di questo anno.

Il 2016, con un tasso di crescita del -48% è il peggiore dal 2008, caratterizzato da un -79% su Piazza Affari. Ma ciò era già stato previsto dagli analisti a causa dell’elevata volatilità dei mercati.

LE RAGIONI PER QUOTARSI

Per comprendere il ridotto numero di matricole in Borsa bisogna considerare le ragioni che inducono le società a quotarsi.

In primo luogo vi sono fattori interni quali: future prospettive di crescita da finanziare con reperimento di capitale di rischio, realizzazione di una exit strategy per investitori istituzionali e/o privati (come nel caso di ricambi generazionali) e infine questioni di standing e reputazione sul mercato di cui godono le società quotate.

Ma vi sono anche fattori esterni relativi alle attuali condizioni macroeconomiche e macrofinanziarie  come ad esempio il tasso di crescita economica, la volatilità dei mercati, il livello di risk-premium richiesto, i regimi fiscali e soprattutto le aspettative relative a questi fattori da parte degli investitori.

Infatti come risulta dal sito di Borsa Italiana:

• la quotazione aiuta a mantenere nel tempo gli elevati tassi di sviluppo di cui godono le società quotate: pre-ipo il fatturato ha un tasso di crescita annuo di circa 22% e post-ipo del 18%
• 4 imprese su 5 dichiarano che senza la quotazione il tasso di sviluppo aziendale sarebbe stato inferiore a quello di cui sopra
• il 40% delle risorse raccolte in sede di Initial Public Offering vengono destinate all’attività di crescita per linee esterne: il 70% delle imprese effettua almeno un’acquisizione e mediamente si osservano 4 acquisizioni, post IPO, per impresa
• in corrispondenza dell’accesso al mercato azionario il tasso di investimento annuo passa dal 15% al 23%.

Il risultato negativo nell’ultimo anno sembra essere principalmente giustificato dalle deboli condizioni macroeconomiche e macrofinanziarie infatti, come riportato dal Rapporto sulla stabilità finanziaria del 2016 della Banca d’Italia, i prezzi delle materie prime hanno raggiunto i minimi storici. Questo fenomeno ha generato un indebolimento delle economie emergenti e pressioni deflazionistiche per le economie avanzate con conseguente rallentamento dell’economia mondiale superiore alle previsioni.

Ma soprattutto bisogna considerare che il 2016 è stato un anno di forte incertezza politica, eventi quali: Brexit, referendmum costituzionale italiano ed elezioni presidenziali americane hanno senza dubbio creato un atteggiamento “attendista” sia tra imprese, advisor ed investitori (come riscontrato anche dai rumors di listings poi non realizzati e/o rimandati es. Ferrovie dello Stato, Kairos Group, Valvitalia, Industrie de Nora, Sia, Idea Real Estate ma anche la nota vicende della B. Pop. Vicenza).

La combinazione di queste condizioni ha “regalato” al 2016 un ambiente sfavorevole alle IPO con conseguente inversione di tendenza.

Ciononostante abbiamo assistito ad una serie di 14 IPO, di cui 3 nell’MTA e 11 nel segmento AIM, con una serie di elementi rilevanti:

• SPAC (Special Purpose Acquisition Company): altre due IPO, Innova Italy 1 e Industrial Stars Of Italy 2, che confermano l’interesse per questa tipologia di operazione.
• Settore Digital: con Dominion Hosting Holding e Vetrya, a conferma dell’interesse per l’innovazione IT da parte delle nostre aziende.
• Design e Made in Italy: Fopa ed Energica Motor Company, la prima è un’azienda orafa italiana operante nella gioielleria di alta gamma mentre la seconda si occupa della produzione e design di moto elettriche.
• Internalizzazione: Technogym, Fopa, Smre, b&t Group ed Energica Motor Company sono tutte spinte all’internalizzazione operando in vari mercati oltre a quello italiano.
• Performance a 6 mesi: Smre +183,48%, Technogym +40,78%, Energica Motor Company +44,96%, Abitare In +35,23%.

2017: UN RINNOVATO ENTUSIASMO

Il 2017 è iniziato con il piede giusto, si sono già contate tre quotazioni, tutte nel segmento AIM: Health Italia (sanità), Telesia (Telematica), Crescita (SPAC) e sono previste nei prossimi mesi Avio, Unieuro, Ferrovie dello Stato, Beta Utensili, iGuzzini, Mutti, Eataly, Furla e in un prossimo futuro Valentino.
A questo va aggiunto anche il sentiment che si respira tra gli addetti ai lavori, dove il numero dossier di aziende interessate alla quotazione è in crescita.
Partendo dal presupposto che la storia insegna che nulla è certo, il 2017 dovrebbe essere un anno di rinnovato entusiasmo vero le quotazioni in Borsa dove sono attese anche 30 debuttanti.

LA BORSA È SOLO PER LE GRANDI ?

No, se state pensando che la vostra azienda è troppo piccola per quotarsi in Borsa, vi sbagliate. Certo, come in ogni attività il concetto di dimensione è relativo. Se si fa riferimento all’MTA bisogna rispettare determinati requisiti, non solo formali ma anche sostanziali in quanto quello che conta alla fine è quotarsi per accrescere il proprio valore, e per far ciò bisogna attrarre gli investitori. Ma da diversi anni esiste il listino AIM focalizzato sulle PMI, ovvero il cuore del nostro tessuto produttivo.

I vantaggi di una quotazione su questo segmento sono molteplici, da quelli puramente finanziari come l’accesso al mercato di capitali in un momento in cui il sistema bancario non li concede più come una volta, a quelli reputazionali anche a livello internazionale, passando per una semplificazione degli obblighi e procedure per quotarsi (con effetti positivi sul contenimento dei relativi costi).

Attenzione però, questa semplificazione non va intesa come una apertura al mercato per chiunque, anzi, la tendenza è quella di effettuare sempre più controlli sulla “quotabilità” delle società, cosa che in passato, purtroppo, non sempre è stata fatta ed ha prodotto effetti negativi sull’intero listino. Viceversa questo trend porterà ad una crescita di qualità delle emittenti con evidenti benefici sull’intero comparto.

Ma perché il piccolo-medio imprenditore dovrebbe quotarsi? Come dicevamo prima, uno dei motivi è il reperimento di Capitale attraverso altri canali da quello bancario, infatti la Borsa permette l’ingresso di risorse finanziarie con una differenza importante rispetto alle operazioni di Private Equity cioè il controllo, che nella maggior parte dei casi resta all’imprenditore/soci iniziali mentre solitamente il Fondo di Private Equity entra in maggioranza (tranne alcuni casi) e pensa all’exit.

Un altro grande vantaggio è il rafforzamento del Brand e il riconoscimento sui mercati internazionali. Non per nulla si ritiene l’IPO un’attività di marketing.
Anche l’organizzazione interna e la struttura ne traggono beneficio. Gli obblighi di informativa, controllo e gestione che spesso sono visti come un elemento ostico dall’imprenditore, nel medio periodo producono indubbi vantaggi sulle performance aziendali.

Valorizzazione degli sforzi fatti, infatti l’IPO non è solo un’operazione di aumento di capitale tramite la sottoscrizione di nuove azioni (OPS) ma può includere una parte di vendita delle azioni possedute (OPV).
La quotazione della piccola-media impresa è una scelta che l’imprenditore deve fare consapevolmente in quanto essa presenta notevoli vantaggi, ma che per ottenerli dovrà attraversare un percorso che più che essere complesso, risulta spesso psicologicamente difficile, soprattutto se l’impresa è sempre stata gestita in un determinato modo.

Emerge quindi l’importanza di un advisor professionale che deve essere in grado di accompagnare l’imprenditore durante questa fase in cui risulta fondamentale non solo l’aspetto strettamente economico/finanziario della società, ma anche la sua struttura e la preparazione dei manager che dovranno prepararsi a guidare un’azienda che, per usare una metafora, sarà come un’auto da corsa che se guidata bene ti permetterà di andare più veloce, ma se non si è pronti, si corre il rischio di schiantarsi.

…Ma senza il rischio non vi è impresa, e gli imprenditori italiani sono sempre stati grandi piloti da corsa!

Vittoria Roà
Sebastiano Signò