La ripresa globale si consolida

Che dipenda dalle manovre economiche seguite alle importanti modificazioni politiche accadute nel 2016 in Gran Bretagna e America, o che dipenda invece da tendenze di lungo periodo derivanti da quelle precedenti (ognuno è libero di pensare ciò che preferisce), un fatto è certo: la prima parte del 2017 registra indici economici globali che tendono tutti -e per la prima volta sincronicamente- verso l’alto.

 

LA SINCRONIZZAZIONE DEGLI INDICATORI

Le ragioni per le quali il fenomeno della ripresa sembra essersi consolidato risiedono innanzitutto nella sincronizzazione degli indicatori economici mondiali: nonostante che il ciclo economico di ciascuna regione del pianeta risulti da tempo piuttosto sfalsato rispetto agli altri (ad esempio sono in molti a ritenere che il ciclo economico giapponese abbia preceduto di un anno o due quello americano, e che quest’ultimo sia costantemente rimasto avanti a quello europeo di circa tre anni), questa volta è diverso: tutte le principali macroaree del mondo sembrano marciare all’unisono.

Addirittura molti Paesi Emergenti, che si temeva potessero subire ulteriori problemi conseguenti alla rivalutazione del Dollaro e alla ripresa dei tassi di interesse, sembrano quest’anno impostati verso un ritorno alla crescita economica. Tra loro anche colossi come il Brasile e la Russia dovrebbero rivedere il segno positivo, dopo un anno o due di contrazione.

 

INDIA E CINA TUTT’ALTRO CHE PREOCCUPATE

Discorso diverso -ma non troppo- per l’India e la Cina. I due giganti asiatici (1,3 e 1,4 miliardi di abitanti, rispettivamente) non hanno mai smesso di crescere -economicamente e demograficamente- ad un ritmo poderoso, ma in molti momenti si è temuto che la loro marcia verso il benessere collettivo implodesse sotto il giogo di un potere politico eccessivamente centralizzato, o si arrestasse sotto il peso dei debiti e della dissoluzione dei loro instabili sistemi bancari e finanziari.
Tutto il contrario invece! Nonostante l’elezione di Donald Trump possa aver creato qualche grattacapo ai rispettivi governi per l’aspro confronto che il nuovo presidente americano ha intrapreso sul tema della bilancia commerciale, essa è stata comunque salutata positivamente da quegli stessi governi che avrebbero dovuto temerla.

Al di là delle spiegazioni di tale fenomeno di carattere geo-politico che portano a conclusioni piuttosto diverse da quelle fornite dalla maggioranza dei grandi organi di informazione internazionali ma che sarebbero troppo lunghe da riportare, resta il fatto inconfutabile che l’insieme dei Paesi Emergenti sembra essere molto rasserenato dalla congiuntura economica e politica mondiale e che questo si riflette sul loro andamento economico.

 

LA RIPRESA DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Lo scorso Febbraio la Corea del Sud (un paese piccolo ma fortemente avanzato dal punto di vista culturale e tecnologico, spesso visto come indicatore avanzato dell’andamento complessivo delle economie del Sud-Est asiatico o addirittura del commercio mondiale) ha incrementato le proprie esportazioni di oltre il 20%. Andamenti simili hanno avuto Vietnam, Taiwan, eccetera.

Anche in Europa si vede una ripresa superiore alle magre aspettative che erano seguite al voto della Gran Bretagna e alla crescente insoddisfazione politica dei cittadini dell’Unione, sfociata in una crescita generalizzata del voto di protesta.
Ma quest’anno la ripresa lambisce anche le sue periferie meno in salute come l’Italia e il Portogallo e la Germania addirittura fa registrare un attivo commerciale record che porta i risultati delle sue imprese in territori ampiamente positivi.

 

ANCHE L’EUROPA MIGLIORA, MA IN SILENZIO

Ciò che resta indietro è sicuramente la dinamica salariale, sotto pressione anche a causa dell’elevata disoccupazione e dell’immigrazione che incalza, come pure la spesa pubblica e privata per infrastrutture, limitata da molti fattori politici e di interessi lobbistici, ma anche e soprattutto dall’incombere dell’elevato debito pubblico complessivo, circa il quale l’Unione non può ignorare la necessità di una gestione collegiale “de facto” se vuole salvaguardare la sua sopravvivenza, sebbene quel debito sia più concentrato nella periferia dell’Unione stessa.

Di qui la reiterata tolleranza (talvolta sinanco insofferente nei paesi germanici) nei confronti degli acquisti di titoli pubblici da parte della Banca Centrale Europea, anche adesso che stanno scomparendo i timori di deflazione e stagnazione secolare, e la necessità di mantenere tassi bassi e relativamente debole la Divisa Unica europea, contrariamente alla dinamica estremamente positiva della sua bilancia dei pagamenti con il resto del mondo.

 

VIA LO SPAURACCHIO DEL PROTEZIONISMO E QUALCHE DUBBIO SUL COSIDDETTO “QUARTO POTERE”

Quanto durerà la “cuccagna” delle borse e di un nuovo ciclo economico positivo?
È impossibile per chiunque oggi cercare di prevederlo, anche perché il mondo si muove in territori nuovi e inesplorati dal punto di vista della storia economica. Rimangono infatti molte imprescindibili perplessità, prima fra tutte la già pianificata progressiva riduzione della liquidità globale, che potrà essere rimpiazzata soltanto da una maggiore velocità della circolazione della moneta.

Ma i timori di nuove guerre commerciali e valutarie, conseguenti alle politiche (spesso riportate dai principali “media” con forte o malevola imprecisione) dei nuovi conservatori inglesi e americani sembrano oggi rassomigliare più a minacce evocate da slogan giornalistici ed elettorali dei partiti tradizionali e della stampa loro vicina, che non a argomenti presi davvero sul serio dagli operatori finanziari e industriali.

Quale che ne sia la ragione e checchè ne disputino gli intellettuali, il barometro economico continua a volgere al bello, gettando qualche ombra in più sull’oggettività e l’indipendenza dei principali organi di informazione globalizzati.

 
Stefano di Tommaso




ISTAT: occupazione in crescita nel 2016

Il 2016 “si caratterizza per un nuovo e più sostenuto aumento dell’occupazione – sia nei valori assoluti sia nel corrispondente tasso – che coinvolge anche i giovani di 15-34 anni”.

Inoltre “un elemento rilevante nel 2016 è costituto dalla diminuzione degli inattivi di circa 410 mila unità”. Lo sottolinea l’Istat nell’analisi periodica del mercato del lavoro in cui segnala tuttavia come il trend di crescita dell’occupazione ha “mostrato un significativo indebolimento nella seconda metà dell’anno, caratterizzato da una sostanziale stabilità complessiva, seppure in un quadro di andamenti differenziati delle diverse tipologie”.

E se “gli ultimi tre mesi dello scorso anno hanno visto l’economia italiana registrare un aumento congiunturale del Pil dello 0,2%, e una crescita tendenziale dell’1%” il trimestre ha registrato “una più accentuata dinamica positiva dell’input di lavoro, con un aumento delle ore complessivamente lavorate dello 0,4% sul trimestre precedente e dell’1,6% su base annua”.

Nel quarto trimestre 2016 – continua l’analisi dell’Istat – “l’occupazione mostra un andamento congiunturale solo lievemente positivo (+32 mila, 0,1%), a sintesi della ripresa del lavoro indipendente (+28 mila, 0,5%), dell’ulteriore aumento dei dipendenti a termine (+22 mila, 0,9%) e del lieve calo dei dipendenti a tempo indeterminato (-17 mila, -0,1%)”.

Il tasso di occupazione cresce di 0,1 punti rispetto al trimestre precedente mentre “le tendenze più recenti misurate dai dati mensili di gennaio 2017 mostrano, al netto della stagionalità, un lieve aumento degli occupati concentrato tra gli indipendenti a fronte della stabilità dei dipendenti”.

Nel quarto trimestre 2016 – segnala l’Istat – prosegue l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro, con una consistente diminuzione degli inattivi di 15-64 anni (stimata in -455 mila in un anno) e del corrispondente tasso di inattività.

Su base annua “il calo dell’inattività è diffuso per genere e sul territorio, è concentrato tra gli adulti, e riguarda sia quanti vogliono lavorare (-197 mila le forze di lavoro potenziali, specie tra le donne) sia la componente più distante dal mercato del lavoro (-258 mila chi non cerca e non è disponibile)”.

Tra il quarto trimestre 2016 e lo stesso periodo del 2015, si registra una crescita di 252 mila occupati (+1,1%) che riguarda soltanto i dipendenti, sia a termine sia a tempo indeterminato, a fronte della stabilità degli indipendenti, sottolinea ancora l’Istat.

Nel quarto trimestre 2016 il tasso di disoccupazione è aumentato di 0,2 punti percentuali sia rispetto al trimestre precedente sia in confronto a un anno prima, con una crescita tendenziale di 108 mila disoccupati

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Redazione Impresa e Lavoro




Nuovo rilancio nella corsa alla self driving car

Intel acquisisce l’israeliana Mobileye per $15,3 miliardi

La corsa verso la “self driving car” si arricchisce di un nuovo, quasi inaspettato e importante partecipante: INTEL,  he da qualche tempo sta facendo ogni sforzo per entrare nei settori limitrofi al proprio, tra quelli a più alto fattore di crescita.

Mobileye è stata fondata a Gerusalemme nel 1999 ed era quotata a Wall Street. L’offerta è arrivata a quasi 64 Dollari, il 34% in più del valore di capitalizzazione, per un acquisto secco in contanti da parte del colosso californiano che sborserà quasi intero i 15 miliardi in contanti attingendo alle proprie riserve di cassa liquida, buona parte delle quali giaceva all’estero e sarebbe stata oggetto di attenzione da parte dell’Amministrazione Trump che mira a portare in America le risorse accumulate all’esterno dalle aziende americane in ridotto regime di tassazione.

La società Mobileye è specializzata nello sviluppo di sistemi per l’analisi dei dati visuali, nella localizzazione, e l’assistenza alla guida per le vetture di ogni genere e sviluppa soluzioni hardware/software per la mobilità intelligente con particolare focus sui sistemi di guida autonoma.
Mobileye aveva già avviato diverse collaborazioni con produttori di automobili, tra cui BMW e fornitori di servizi, come HERE. Intel realizza tra gli altri anche chip in grado di elaborare in tempo reale i dati raccolti dai vari sensori installati nelle automobili.

Di qui la sinergia: l’acquisizione consente di unire le migliori tecnologie offerte dalle due aziende: connettività, computer vision, data center, machine learning e intelligenza artificiale.

L’accordo che la riguarda è il più importante di sempre per il mondo high-tech israeliano e consente a Intel di farsi largo con alle spalle non solo una realtà consolidata bensì anche l’intero ambiente accademico di quel Paese, in un mercato che si stima possa raggiungere un giro d’affari di $70 miliardi entro il 2030

 

Stefano di Tommaso




A gonfie vele

Pur tra mille timori il vecchio continente naviga bene

 

Fugati i timori legati al discorso di Mario Draghi (il Governatore della Banca Europea) i dati positivi sulla crescita economica dell’Eurozona sono stati perlopiù osservati sotto un’altra luce: l’inflazione subito dopo quel discorso sembra non preoccupare più nessuno (almeno per il momento, sino a quando non arriverà a mordere davvero il freno) e nel frattempo le revisioni al rialzo delle attese di crescita per l’anno in corso (poco meno del 2% di incremento del Prodotto Lordo) forniscono motivi di euforia ai mercati e alle quotazioni di banche, assicurazioni e servizi finanziari.

Draghi insomma è stato cauto ma ottimista ed è stato preso molto sul serio dai mercati, che hanno potuto celebrare così l’ennesimo successo di uno dei migliori banchieri centrali degli ultimi decenni.

I FATTORI DI OTTIMISMO

Questa volta sembra che oltre al dato (vero) sull’inflazione, anche un certo numero di ulteriori fattori positivi (da verificare) stiano congiurando per assicurarci una prima parte del 2017 relativamente in discesa, elezioni europee permettendo :

– Un Dollaro non troppo precipitoso (nonostante i ripetuti rialzi dei tassi annunciati) nel rivalutarsi sull’Euro;

– Un petrolio che difficilmente sfonderà soglie critiche, dato l’eccesso di offerta che ancora si riversa sulla relativamente scarsa domanda industriale ;

– Una moderata ripresa dei prezzi delle materie prime alimentari e il conseguente vantaggio per i Paesi Emergenti e i loro mercati finanziari;

– La miglior capacità degli stessi di pagare investimenti ed importazioni “made in Europe” crea una dinamica più che positiva per le imprese esportatrici ;

– L’assimilazione delle nuove tecnologie nelle imprese europee crea efficienza e produttività (già verificate negli USA dove sono arrivate in anticipo);

– La speranza che venga varato un programma di investimenti in infrastrutture comunitarie;

– L’ipotesi che in Italia parta un programma “tagliadebito” che scongiuri il peggioramento del rating nazionale.

Non è eccessivo ottimismo. È semplicemente (nonché sorprendentemente) la realtà dei fatti: il barometro dell’Eurozona sta salendo, con buona pace per tutte le polemiche che impazzano e per i Paesi come la Grecia (e in parte anche l’Italia) che, gravati da una serie di problemi, rischiano di non accorgersene nemmeno!

I MOTIVI DI FONDO

La prima causa ovviamente è l’innestarsi di un nuovo e più robusto ciclo positivo a livello mondiale, dopo che l’esaurimento del precedente, più timido e incerto, sembrava condurre verso una nuova recessione globale.
Scongiurato il pericolo invece, ogni indicatore sembra oggi mostrare che siamo entrati in un nuovo periodo di crescita.

La seconda è la pesante eredità del recente passato: rispetto alle dinamiche economiche di Asia e America, l’Europa ha vissuto un ritardo che ora sta recuperando. Lo stesso vale per le borse e per i tassi di interesse. Meno per l’inflazione, dal momento che la forte tassazione continentale non può che limitare decisamente la ripresa dei consumi.

I “CAVEAT”

Ovviamente l’ottimismo che si registra tanto sui mercati finanziari quanto tra le imprese va soppesato: la storia ci insegna che non esistono le favole a lieto fine. Ci sono invece molti possibili eventi che potrebbero rovinarci la festa:

– Una bella crisi di fiducia nel mercato americano: gli indici di Wall Street sono sostenuti dal buon andamento di pochi fortissimi titoli. Non si può escludere alcuna sorpresa anche perché la borsa non può salire sempre. Le conseguenze in termini di fiducia nella ripresa si ripercuoterebbero in tutto il mondo;

– Una crisi politica U.S.A. potrebbe fare anche peggio: se si legge la stampa, si capisce che sono molti quelli che vorrebbero tendere una trappola a Donald Trump e bloccare sul nascere le sue riforme;

– Il prevalere dei falchi tedeschi nel determinare le prossime politiche monetarie europee può ridurre o azzerare le prospettive di crescita e spaccare politicamente l’Unione;

– L’insorgere di nuovi conflitti in giro per il mondo o più semplicemente una recrudescenza del terrorismo può far rimandare gli investimenti previsti, pregiudicando le prospettive;

– Nuovi problemi del sistema bancario cinese, da tempo in situazione di precario equilibrio, potrebbe provocare una svalutazione del Renminbi e una riduzione della competitività delle imprese europee, oltre che innescare una nuova guerra delle valute;

– Il “contagio” di nuovi problemi economici nei Paesi Emergenti, vuoi per un Dollaro troppo forte, vuoi per un’eccessiva discesa dei prezzi di petrolio e materie prime, pregiudicherebbe anch’esso le esportazioni europee.

NESSUNA CERTEZZA DUNQUE MA SOLO UNA BUONA CONGIUNTURA

Il positivo momento congiunturale andrebbe colto per rinsaldare i bilanci pubblici, per ridurre i debiti, per riformare le normative eccessivamente burocratiche di tutta l’Unione. In fondo le politiche monetarie attuate dovevano servire a questo: guadagnare tempo per promuovere le riforme. Ma non v’è alcuna certezza che i governi in carica lo faranno davvero.

Ciò nonostante, anche grazie all’abbondante liquidità ancora immessa dalla Banca Centrale Europea, tra le borse si festeggia allo scampato pericolo di una nuova fiammata inflazionistica.
Poi nel prosieguo si vedrà meglio se sarà stato giusto dare credito al cauto ottimismo di Draghi.
E come si potrebbe -d’altronde – fare diversamente?

 

Stefano di Tommaso