Un mondo esponenziale

Per chi avesse voglia di farci caso, le nostre condizioni generali di vita sono molto cambiate, a partire dagli angoli più affluenti del pianeta, dai centri cittadini delle maggiori metropoli e soprattutto tra le nuove generazioni che vi si affacciano, con l’impronta digitale già alla nascita.
Le nuove generazioni vivono per prime in un mondo decisamente più opulento, tecnologico, interconnesso, pieno di opportunità e di alternative ma, come vedremo più avanti, forse anche più stressante, incerto e complesso. Questo determina molti cambiamenti nelle abitudini della gente.


LE CONTINUE ONDATE DI NUOVE TECNOLOGIE : AFFASCINANTI E MINACCIOSE

Ogni nuova tecnologia che oggi si affaccia alla ribalta della piattaforma digitale dalla quale oramai le nuove generazioni guardano il mondo, comunicano, si esprimono e interagiscono, promette loro nuove meraviglie, fornisce nuovi servizi gratuiti e automatizza nuove funzioni.
Ma al tempo stesso essa è destinata a impigrirle e a cambiare il modo di chiunque ne usufruisce di fare le cose, di apprendere, di lavorare.
Il commercio che si svolge on-line per esempio, abbassa i prezzi e moltiplica l’offerta di beni e servizi, ma al tempo stesso desertifica i centri cittadini, provoca la chiusura di taluni grandi magazzini e cancella dei posti di lavoro.
Le nuove ondate tecnologiche sono insomma il progresso, ma sono anche un frutto avvelenato, un’arma a doppio taglio, un’opportunità da godere e al tempo stesso una minaccia per tutto ciò che era prima, ivi compresi il nostro posto di lavoro e i nostri risparmi. Per certi versi esse perciò ci costringono ad adeguarci a loro anche senza volerlo.


LA CRESCENTE VELOCITÀ DEL CAMBIAMENTO : CARATTERISTICA DEI TEMPI ATTUALI

Possiamo dunque affermare che il cambiamento continuo, impetuoso e meraviglioso che ogni nuova ondata tecnologica porta con se, a volte è persino scomodo? E se non bastasse: anche la velocità del cambiamento è perennemente in crescita ed è divenuta la vera caratteristica del mondo in cui viviamo.
Il cambiamento una volta era visto solamente come l’avvento di nuove tecnologie al servizio dell’uomo, oggi è percepito sempre più come minaccia per il nostro ambiente di lavoro, per i nostri piani pensionistici, e per l’imprevedibilità delle tendenze di fondo.
Un esempio per tutti della nuova schiavizzazione è la relativa obbligatorietà della partecipazione al mondo digitale e alla “schedatura” che fanno di noi i social networks (la piazza virtuale): in molti casi l’apertura di una posizione per il noleggio di un’automobile piuttosto che la partecipazione al dibattito su quale spesa effettuare nel condominio, sino al forum dei vecchi compagni di scuola che si ritrovano dopo tanti anni, sono spesso eventi cui possiamo partecipare soltanto se siamo dotati di un telefonino intelligente, dove trovano posto le nostre iscrizioni a Facebook, WhatsApp, LinkedIn, o anche solo a diverse comunità digitali che si scambiano immagini, video, posta elettronica o messaggistica di qualche nuovo tipo.


IL MONDO ESPONENZIALE: COMPLESSO, DINAMICO, MA SOPRATTUTTO IMPREVEDIBILE ED AMBIGUO

La differenza dunque con i tempi in cui il futuro era visto come un mondo di sogno nel quale le macchine avrebbero fatto tutto quello che avevamo bisogno di fare è che oggi il cambiamento indotto dalla tecnologia è spesso comodo e gratuito, ma anche insidioso e fonte di stress, anche perché risulta sempre più invadente e irrinunciabile.
Il mondo globalizzato del futuro quotidiano in cui vivono le nuove generazioni (mentre le altre per il momento ci gettano solo uno sguardo) è un vero e proprio turbine di innovazione, cambiamento, opportunità e anche minacce, a causa del fatto che la digitalizzazione ha rimosso le barriere allo sviluppo dei nuovi business.
Se una nuova tecnologia ha successo, essa si diffonde oggi con un andamento, appunto, “esponenziale” generando nuova ricchezza e nuove tendenze, mentre accelera progressivamente.
Il mondo che ne consegue, senza più i limiti fisici del passato, appare perciò dinamico, portentoso, ma è anche difficile prevederne ex-ante le tendenze, proprio a causa dell’andamento “esponenziale” della diffusione di queste nuove tecnologie.


LA FINANZA ESPONZIALE : OTTIMISTI E PESSIMISTI A CONFRONTO

Anche la finanza segue questi andamenti esponenziali, ad esempio nelle valutazioni delle start-up che hanno avuto successo tra gli investitori, facendo spesso gridare allo scandalo tra gli analisti che per prevederne i flussi di cassa possono solo guardare alle prime fasi della curva esponenziale (vedi immagine) senza troppe certezze circa l’evoluzione della medesima.
C’è infatti un forte dibattito in corso riguardo alla sostenibilità degli attuali livelli delle quotazioni di Wall Street, giunte ai massimi di sempre e vicine -con le dovute proporzioni – a livelli da vera e propria bolla speculativa che si erano visti solo qualche istante prima della crisi del 1929.


I PESSIMISTI

Questo accade peraltro solo un anno dopo che la McKinsey aveva lanciato un allarme sulla sostenibilità degli utili aziendali (fondamentale tassello nella determinazione del valore d’impresa), secondo la quale i profitti degli ultimi anni si erano potuti realizzare solo a causa della coincidenza di un grande numero di circostanze favorevoli quanto irripetibili e pertanto sarebbero stati destinati a ridursi decisamente negli anni a venire.
Anzi: la stessa capacità di non andare in perdita per molte imprese attive nei settori “tradizionali” era stata messa fortemente in discussione in un ambiente economico che sarebbe stato scosso alle sue radici dalla diffusione della digitalizzazione, fenomeno che, in presenza di una progressiva deflazione dei prezzi e in prospettiva di una “stagnazione secolare”, avrebbe azzerato i loro margini e generato disoccupazione a causa della minore domanda di fattore-lavoro delle imprese basate su internet.
È bastato un anno per prendere atto dell’esatto opposto tra tutti gli scenari evolutivi possibili: la disoccupazione è andata ai suoi limiti fisiologici inferiori proprio nel Paese che più ha cavalcato l’economia digitale, l’America; l’inflazione ha rifatto capolino e i profitti delle imprese quotate (buona parte delle quali attive nei settori tradizionali) sono tornati a crescere, smentendo quelle previsioni o quantomeno rimandandone la verifica a periodi decisamente più lontani negli anni.


GLI OTTIMISTI

Se vogliamo provare a sintetizzare in una sola la motivazione per cui la borsa è invece cresciuta e anche gli utili aziendali sono migliorati, essa si può trovare nella fiducia verso il futuro che le imprese hanno mostrato continuando a investire (creando le premesse per ulteriori profitti) e che i loro azionisti hanno tradotto in valutazioni ancora superiori.
L’impatto delle nuove tecnologie insomma sembra invece aver aiutato sino ad oggi la crescita economica ed essere in grado di generare quell’effetto moltiplicativo che si era già visto ai tempi della prima rivoluzione industriale, con l’avvento delle macchine che prendevano il posto dei lavoratori nelle fabbriche. Effetto che i luddisti negavano e che gli imprenditori hanno invece poi cavalcato, generando ricchezza per tutti.


COSA DEDURNE : VOLATILITÀ INNANZITUTTO

Di certezze per il futuro ovviamente non ce ne sono affatto, anzi! La finanza esponenziale moltiplica la pericolosità dell’investimento in borsa e riduce l’appetibilità dell’investimento nei titoli a reddito fisso (dal momento che i titoli azionari offrono prospettive di guadagno completamente diverse).
In borsa pericolo può risultare sinonimo di incertezza, e generare di conseguenza della volatilità, che sino ad oggi invece è calata, parallelamente al crescere dei listini.
Non è impossibile pertanto che, man mano che l’entusiasmo unidirezionale degli investitori lascerà il posto al dibattito tra di essi, la volatilità dei listini di borsa possa tornare a crescere, anche a causa della progressiva incertezza della tenuta delle quotazioni azionarie, mano mano che raggiungono livelli sempre più stellari.


REDDITO FISSO?

Fino ad oggi è andata bene per la borsa e, paradossalmente, assai male per i bond, dal momento che i tassi di interesse reali sono scesi e quelli nominali sono saliti, erodendo il loro valore. Con la prospettiva di deflazione di un anno fa era invece tutto all’opposto: i tassi nominali bassi risultavano comunque appetibili in termini reali a causa delle aspettative di inflazione negativa.
Sperare che i titoli a reddito fisso riprendano valore e lanciarsi in quella direzione è perciò oggi una scelta difficile, perché bisogna immaginare che l’incremento dei tassi di interesse nominali (che è pilotato dalle banche centrali) possa superare quello dell’inflazione attesa.
E con un livello così alto come quello attuale dei debiti pubblici la loro scelta risulterebbe quantomeno bislacca.


SELETTIVITÀ

L’investimento azionario ai livelli attuali a sua volta è sempre più una scommessa. Riuscire a prevedere quali titoli “high-tech” potranno continuare la loro corsa anche in futuro è quasi impossibile.
Eppure qualcuno di essi potrà beneficiare “esponenzialmente” dello spazio economico digitale che si amplia, qualcun altro sarà acquistato da imprese tradizionali che vorranno acquisire le nuove tecnologie. E in entrambi i casi l’occasione può essere ghiotta.
Al contrario l’entusiasmo verso le nuove tecnologie ha sicuramente trascinato al rialzo anche qualcuno dei giganti del passato, senza alcuna certezza che esse gioveranno anche ai loro profitti.
É vero anzi il contrario: la digitalizzazione può ridurre i margini di profitto delle imprese tradizionali e il mercato potrebbe accorgersene presto penalizzandone la valutazione.


LA LIQUIDITÀ DEL MERCATO SI RIDUCE

Per questo motivo la vera impresa dei risparmiatori e di chi lavora per loro sarà riuscire a discernere meglio tra le occasioni di investimento azionario, probabilmente molto più che in passato, quando la marea di liquidità cresceva e trascinava verso l’alto tutto ciò che incontrava.
Oggi invece da un lato sembra che le banche centrali stiano riducendo i loro interventi e dunque la massa di denaro sul mercato, mentre dall’altro lato le occasioni di diversificazione degli investimenti sono cresciute: l’oro sembra tornato in spolvero, l’immobile anche e l’arte continua ad attrarre risorse come mai in passato.
Tutti fattori che tendono a ridurre la liquidità disponibile per l’investimento azionario.
Almeno per il prossimo futuro una quasi-certezza sembra dunque esservi: con la tendenza a ridursi della liquidità del mercato è difficile che la marea cresca ancora, la rotazione dei titoli invece aumenterà e con essa una relativa volatilità.
Tenetevi forte allora!

 
Stefano di Tommaso




La fatica di Uber

L’ingresso di Uber sul mercato -è risaputo- ha rovinato il sonno a molte categorie di interessi, a molti lobbisti e a molti concorrenti.

Uber per prima ha concepito l’idea di cambiare il paradigma del trasporto urbano privato. Anche per questo è la società che più di ogni altra è riuscita a raccogliere molto denaro senza ancora quotarsi in Borsa.

Ad oggi infatti finanziatori e investitori privati le hanno profuso quasi 13 miliardi di dollari e nell’ultimo aumento di capitale Uber è stata valutata quasi 68 miliardi di dollari, un terzo in più della capitalizzazione di General Motors e un multiplo di FCA.

Con il successo di Uber non è soltanto la categoria (protetta) dei tassisti a rischiare le proprie tariffe da favola (in Italia più alte che a New York o a Londra), bensì anche i corrieri espressi, i giganti del commercio elettronico e addirittura quelli dell’industria automobilistica.

Uber ha infatti rivolto cospicui investimenti in direzione dell’automobile che guida da sola, scavalcando nella sua corsa non soltanto i produttori di componentistica, bensì anche calibri come Intel (che controlla da poco Mobileye), Google (che controlla Waymo) e Tesla e provocando la loro avversità.

Ciò nonostante Uber aveva coraggiosamente annunciato l’hanno scorso di essere in procinto di avviare un servizio di taxi con elevato livello di autonomia.

I tentativi di incastrarne il leader con un processo per molestie sessuali, le proteste poste dai luddisti conducenti, gli ostacoli sopraggiunti dai regolatori, l’esodo di personale infedele che ha preferito farsi pagare caro per passare alla concorrenza e mille altre trappole non l’avevano finora fermata nella sua corsa per rivoluzionare le strade del mondo.

Ma venerdì sera è accaduto dell’altro: uno scontro tra un’auto sperimentale di Uber e una privata le fa rischiare l’ennesima battaglia legale, che si porterà dietro uno stop ulteriore nelle sperimentazioni.

Non ci sarebbe nulla di strano, se l’accurata ripresa audiovideo dell’incidente effettuata dal veicolo automatico non lasciasse chiaramente supporre che il guidatore del veicolo privato che si è scontrato con l’auto sperimentale Uber abbia lui inequivocabilmente (e stranamente)determinato l’incidente.

Che l’abbia fatto apposta non riuscirà forse nemmeno una perizia psichiatrica a provarlo ma -è risaputo- a pensar male si fa peccato, però…

 

Stefano di Tommaso




FANNO BENE LE IMPRESE A QUOTARSI IN BORSA?

L’IPO (Initial Public Offering) si sa, non è mai stato un passo facile per le imprese italiane: le numerose procedure, i controlli e la volatilità dei mercati spesso le hanno “spaventate” nell’affrontare la scelta di aprirsi al mercato dei capitali. Nonostante ciò, nel 2015 il numero di IPO (quotazioni in borsa di nuove aziende) ha raggiunto livelli simili a quelli precedenti al crack della Lehman Brothers.

Questo è stato visto come un segnale di fiducia e di rinnovato interesse nei confronti della Borsa, non solo dalle grandi imprese ma anche dalle PMI, che rappresentano il core della nostra economia e che hanno rappresentato il 76% ed il 66% degli IPO rispettivamente nel 2014 e nel 2015 andando a popolare il Listino AIM.

2016: UN ANNO DI ESITAZIONI

Dopo 3 anni di crescita, nel 2016 i Listini hanno subito un’inversione di tendenza con un numero di IPO che è passato da 27 a 14 con le performance peggiori registrate sul segmento STAR (-5 le aziende quotate con 0 IPO) e AIM (-7 le aziende quotate e 11 IPO). Per comprendere se ci troviamo di fronte ad una cristi del “terzo anno” (la crisi che nelle relazioni moderne ha preso il posto di quella del settimo) o ad una vera e propria inversione di tendenza, bisogna sia analizzare le motivazioni e i fatti che stanno alla base dei movimenti sui mercati avvenuti nel 2016 che i segnali di “riappacificazione” riscontrati nei primi mesi di questo anno.

Il 2016, con un tasso di crescita del -48% è il peggiore dal 2008, caratterizzato da un -79% su Piazza Affari. Ma ciò era già stato previsto dagli analisti a causa dell’elevata volatilità dei mercati.

LE RAGIONI PER QUOTARSI

Per comprendere il ridotto numero di matricole in Borsa bisogna considerare le ragioni che inducono le società a quotarsi.

In primo luogo vi sono fattori interni quali: future prospettive di crescita da finanziare con reperimento di capitale di rischio, realizzazione di una exit strategy per investitori istituzionali e/o privati (come nel caso di ricambi generazionali) e infine questioni di standing e reputazione sul mercato di cui godono le società quotate.

Ma vi sono anche fattori esterni relativi alle attuali condizioni macroeconomiche e macrofinanziarie  come ad esempio il tasso di crescita economica, la volatilità dei mercati, il livello di risk-premium richiesto, i regimi fiscali e soprattutto le aspettative relative a questi fattori da parte degli investitori.

Infatti come risulta dal sito di Borsa Italiana:

• la quotazione aiuta a mantenere nel tempo gli elevati tassi di sviluppo di cui godono le società quotate: pre-ipo il fatturato ha un tasso di crescita annuo di circa 22% e post-ipo del 18%
• 4 imprese su 5 dichiarano che senza la quotazione il tasso di sviluppo aziendale sarebbe stato inferiore a quello di cui sopra
• il 40% delle risorse raccolte in sede di Initial Public Offering vengono destinate all’attività di crescita per linee esterne: il 70% delle imprese effettua almeno un’acquisizione e mediamente si osservano 4 acquisizioni, post IPO, per impresa
• in corrispondenza dell’accesso al mercato azionario il tasso di investimento annuo passa dal 15% al 23%.

Il risultato negativo nell’ultimo anno sembra essere principalmente giustificato dalle deboli condizioni macroeconomiche e macrofinanziarie infatti, come riportato dal Rapporto sulla stabilità finanziaria del 2016 della Banca d’Italia, i prezzi delle materie prime hanno raggiunto i minimi storici. Questo fenomeno ha generato un indebolimento delle economie emergenti e pressioni deflazionistiche per le economie avanzate con conseguente rallentamento dell’economia mondiale superiore alle previsioni.

Ma soprattutto bisogna considerare che il 2016 è stato un anno di forte incertezza politica, eventi quali: Brexit, referendmum costituzionale italiano ed elezioni presidenziali americane hanno senza dubbio creato un atteggiamento “attendista” sia tra imprese, advisor ed investitori (come riscontrato anche dai rumors di listings poi non realizzati e/o rimandati es. Ferrovie dello Stato, Kairos Group, Valvitalia, Industrie de Nora, Sia, Idea Real Estate ma anche la nota vicende della B. Pop. Vicenza).

La combinazione di queste condizioni ha “regalato” al 2016 un ambiente sfavorevole alle IPO con conseguente inversione di tendenza.

Ciononostante abbiamo assistito ad una serie di 14 IPO, di cui 3 nell’MTA e 11 nel segmento AIM, con una serie di elementi rilevanti:

• SPAC (Special Purpose Acquisition Company): altre due IPO, Innova Italy 1 e Industrial Stars Of Italy 2, che confermano l’interesse per questa tipologia di operazione.
• Settore Digital: con Dominion Hosting Holding e Vetrya, a conferma dell’interesse per l’innovazione IT da parte delle nostre aziende.
• Design e Made in Italy: Fopa ed Energica Motor Company, la prima è un’azienda orafa italiana operante nella gioielleria di alta gamma mentre la seconda si occupa della produzione e design di moto elettriche.
• Internalizzazione: Technogym, Fopa, Smre, b&t Group ed Energica Motor Company sono tutte spinte all’internalizzazione operando in vari mercati oltre a quello italiano.
• Performance a 6 mesi: Smre +183,48%, Technogym +40,78%, Energica Motor Company +44,96%, Abitare In +35,23%.

2017: UN RINNOVATO ENTUSIASMO

Il 2017 è iniziato con il piede giusto, si sono già contate tre quotazioni, tutte nel segmento AIM: Health Italia (sanità), Telesia (Telematica), Crescita (SPAC) e sono previste nei prossimi mesi Avio, Unieuro, Ferrovie dello Stato, Beta Utensili, iGuzzini, Mutti, Eataly, Furla e in un prossimo futuro Valentino.
A questo va aggiunto anche il sentiment che si respira tra gli addetti ai lavori, dove il numero dossier di aziende interessate alla quotazione è in crescita.
Partendo dal presupposto che la storia insegna che nulla è certo, il 2017 dovrebbe essere un anno di rinnovato entusiasmo vero le quotazioni in Borsa dove sono attese anche 30 debuttanti.

LA BORSA È SOLO PER LE GRANDI ?

No, se state pensando che la vostra azienda è troppo piccola per quotarsi in Borsa, vi sbagliate. Certo, come in ogni attività il concetto di dimensione è relativo. Se si fa riferimento all’MTA bisogna rispettare determinati requisiti, non solo formali ma anche sostanziali in quanto quello che conta alla fine è quotarsi per accrescere il proprio valore, e per far ciò bisogna attrarre gli investitori. Ma da diversi anni esiste il listino AIM focalizzato sulle PMI, ovvero il cuore del nostro tessuto produttivo.

I vantaggi di una quotazione su questo segmento sono molteplici, da quelli puramente finanziari come l’accesso al mercato di capitali in un momento in cui il sistema bancario non li concede più come una volta, a quelli reputazionali anche a livello internazionale, passando per una semplificazione degli obblighi e procedure per quotarsi (con effetti positivi sul contenimento dei relativi costi).

Attenzione però, questa semplificazione non va intesa come una apertura al mercato per chiunque, anzi, la tendenza è quella di effettuare sempre più controlli sulla “quotabilità” delle società, cosa che in passato, purtroppo, non sempre è stata fatta ed ha prodotto effetti negativi sull’intero listino. Viceversa questo trend porterà ad una crescita di qualità delle emittenti con evidenti benefici sull’intero comparto.

Ma perché il piccolo-medio imprenditore dovrebbe quotarsi? Come dicevamo prima, uno dei motivi è il reperimento di Capitale attraverso altri canali da quello bancario, infatti la Borsa permette l’ingresso di risorse finanziarie con una differenza importante rispetto alle operazioni di Private Equity cioè il controllo, che nella maggior parte dei casi resta all’imprenditore/soci iniziali mentre solitamente il Fondo di Private Equity entra in maggioranza (tranne alcuni casi) e pensa all’exit.

Un altro grande vantaggio è il rafforzamento del Brand e il riconoscimento sui mercati internazionali. Non per nulla si ritiene l’IPO un’attività di marketing.
Anche l’organizzazione interna e la struttura ne traggono beneficio. Gli obblighi di informativa, controllo e gestione che spesso sono visti come un elemento ostico dall’imprenditore, nel medio periodo producono indubbi vantaggi sulle performance aziendali.

Valorizzazione degli sforzi fatti, infatti l’IPO non è solo un’operazione di aumento di capitale tramite la sottoscrizione di nuove azioni (OPS) ma può includere una parte di vendita delle azioni possedute (OPV).
La quotazione della piccola-media impresa è una scelta che l’imprenditore deve fare consapevolmente in quanto essa presenta notevoli vantaggi, ma che per ottenerli dovrà attraversare un percorso che più che essere complesso, risulta spesso psicologicamente difficile, soprattutto se l’impresa è sempre stata gestita in un determinato modo.

Emerge quindi l’importanza di un advisor professionale che deve essere in grado di accompagnare l’imprenditore durante questa fase in cui risulta fondamentale non solo l’aspetto strettamente economico/finanziario della società, ma anche la sua struttura e la preparazione dei manager che dovranno prepararsi a guidare un’azienda che, per usare una metafora, sarà come un’auto da corsa che se guidata bene ti permetterà di andare più veloce, ma se non si è pronti, si corre il rischio di schiantarsi.

…Ma senza il rischio non vi è impresa, e gli imprenditori italiani sono sempre stati grandi piloti da corsa!

Vittoria Roà
Sebastiano Signò




La ripresa globale si consolida

Che dipenda dalle manovre economiche seguite alle importanti modificazioni politiche accadute nel 2016 in Gran Bretagna e America, o che dipenda invece da tendenze di lungo periodo derivanti da quelle precedenti (ognuno è libero di pensare ciò che preferisce), un fatto è certo: la prima parte del 2017 registra indici economici globali che tendono tutti -e per la prima volta sincronicamente- verso l’alto.

 

LA SINCRONIZZAZIONE DEGLI INDICATORI

Le ragioni per le quali il fenomeno della ripresa sembra essersi consolidato risiedono innanzitutto nella sincronizzazione degli indicatori economici mondiali: nonostante che il ciclo economico di ciascuna regione del pianeta risulti da tempo piuttosto sfalsato rispetto agli altri (ad esempio sono in molti a ritenere che il ciclo economico giapponese abbia preceduto di un anno o due quello americano, e che quest’ultimo sia costantemente rimasto avanti a quello europeo di circa tre anni), questa volta è diverso: tutte le principali macroaree del mondo sembrano marciare all’unisono.

Addirittura molti Paesi Emergenti, che si temeva potessero subire ulteriori problemi conseguenti alla rivalutazione del Dollaro e alla ripresa dei tassi di interesse, sembrano quest’anno impostati verso un ritorno alla crescita economica. Tra loro anche colossi come il Brasile e la Russia dovrebbero rivedere il segno positivo, dopo un anno o due di contrazione.

 

INDIA E CINA TUTT’ALTRO CHE PREOCCUPATE

Discorso diverso -ma non troppo- per l’India e la Cina. I due giganti asiatici (1,3 e 1,4 miliardi di abitanti, rispettivamente) non hanno mai smesso di crescere -economicamente e demograficamente- ad un ritmo poderoso, ma in molti momenti si è temuto che la loro marcia verso il benessere collettivo implodesse sotto il giogo di un potere politico eccessivamente centralizzato, o si arrestasse sotto il peso dei debiti e della dissoluzione dei loro instabili sistemi bancari e finanziari.
Tutto il contrario invece! Nonostante l’elezione di Donald Trump possa aver creato qualche grattacapo ai rispettivi governi per l’aspro confronto che il nuovo presidente americano ha intrapreso sul tema della bilancia commerciale, essa è stata comunque salutata positivamente da quegli stessi governi che avrebbero dovuto temerla.

Al di là delle spiegazioni di tale fenomeno di carattere geo-politico che portano a conclusioni piuttosto diverse da quelle fornite dalla maggioranza dei grandi organi di informazione internazionali ma che sarebbero troppo lunghe da riportare, resta il fatto inconfutabile che l’insieme dei Paesi Emergenti sembra essere molto rasserenato dalla congiuntura economica e politica mondiale e che questo si riflette sul loro andamento economico.

 

LA RIPRESA DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Lo scorso Febbraio la Corea del Sud (un paese piccolo ma fortemente avanzato dal punto di vista culturale e tecnologico, spesso visto come indicatore avanzato dell’andamento complessivo delle economie del Sud-Est asiatico o addirittura del commercio mondiale) ha incrementato le proprie esportazioni di oltre il 20%. Andamenti simili hanno avuto Vietnam, Taiwan, eccetera.

Anche in Europa si vede una ripresa superiore alle magre aspettative che erano seguite al voto della Gran Bretagna e alla crescente insoddisfazione politica dei cittadini dell’Unione, sfociata in una crescita generalizzata del voto di protesta.
Ma quest’anno la ripresa lambisce anche le sue periferie meno in salute come l’Italia e il Portogallo e la Germania addirittura fa registrare un attivo commerciale record che porta i risultati delle sue imprese in territori ampiamente positivi.

 

ANCHE L’EUROPA MIGLIORA, MA IN SILENZIO

Ciò che resta indietro è sicuramente la dinamica salariale, sotto pressione anche a causa dell’elevata disoccupazione e dell’immigrazione che incalza, come pure la spesa pubblica e privata per infrastrutture, limitata da molti fattori politici e di interessi lobbistici, ma anche e soprattutto dall’incombere dell’elevato debito pubblico complessivo, circa il quale l’Unione non può ignorare la necessità di una gestione collegiale “de facto” se vuole salvaguardare la sua sopravvivenza, sebbene quel debito sia più concentrato nella periferia dell’Unione stessa.

Di qui la reiterata tolleranza (talvolta sinanco insofferente nei paesi germanici) nei confronti degli acquisti di titoli pubblici da parte della Banca Centrale Europea, anche adesso che stanno scomparendo i timori di deflazione e stagnazione secolare, e la necessità di mantenere tassi bassi e relativamente debole la Divisa Unica europea, contrariamente alla dinamica estremamente positiva della sua bilancia dei pagamenti con il resto del mondo.

 

VIA LO SPAURACCHIO DEL PROTEZIONISMO E QUALCHE DUBBIO SUL COSIDDETTO “QUARTO POTERE”

Quanto durerà la “cuccagna” delle borse e di un nuovo ciclo economico positivo?
È impossibile per chiunque oggi cercare di prevederlo, anche perché il mondo si muove in territori nuovi e inesplorati dal punto di vista della storia economica. Rimangono infatti molte imprescindibili perplessità, prima fra tutte la già pianificata progressiva riduzione della liquidità globale, che potrà essere rimpiazzata soltanto da una maggiore velocità della circolazione della moneta.

Ma i timori di nuove guerre commerciali e valutarie, conseguenti alle politiche (spesso riportate dai principali “media” con forte o malevola imprecisione) dei nuovi conservatori inglesi e americani sembrano oggi rassomigliare più a minacce evocate da slogan giornalistici ed elettorali dei partiti tradizionali e della stampa loro vicina, che non a argomenti presi davvero sul serio dagli operatori finanziari e industriali.

Quale che ne sia la ragione e checchè ne disputino gli intellettuali, il barometro economico continua a volgere al bello, gettando qualche ombra in più sull’oggettività e l’indipendenza dei principali organi di informazione globalizzati.

 
Stefano di Tommaso