La rivoluzione digitale alla base dell’ondata di fusioni e acquisizioni nelle imprese dell’Information & Communication Technology

Non tutti sanno che l’industria italiana dell’informatica (Information e Communication Technology, ovvero ICT) è uno degli ambiti d’eccellenza delle imprese italiane.

Rappresentato da circa 100.000 imprese che danno lavoro a circa 400.000 addetti, di cui circa il 95% è composto piccole aziende con limitati investimenti e forte specializzazione, è forse uno dei settori economici più frammentati presenti nel nostro territorio e ciò nonostante esso rappresenta uno dei più importanti poli dell’ICT in Europa.

UN MERCATO IN FORTE CRESCITA

Il mercato cresce ogni anno in modo significativo perché cresce e cambia la domanda.

Dai privati, alle imprese, alle banche, alle assicurazioni, sinanco alla sanità, alla pubblica amministrazione e alle onlus, non c’è un’azienda o una comunità che non abbia programmato di investire sempre di più in tecnologie che necessitano di sistemi hardware e software.

Negli ultimi anni sta poi anche cambiando la qualità della domanda, ora decisamente più attenta che in passato alla digitalizzazione dei documenti e dei processi, all’automazione industriale e della logistica, alle nuove potenzialità tecnologiche per rinnovare i servizi offerti o per migliorare il controllo di prodotti e processi, in particolare attraverso l’utilizzo dei data center (il Cloud), l’internet delle cose (IoT), le applicazioni in Mobilità (App), l’analisi dei dati statistici di massa (Big Data), le piattaforme per il web e gli innumerevoli temi che riguardano la sicurezza dei dati e delle informazioni.

CRESCE LA NUMEROSITÀ DELLE APPLICAZIONI

Dunque quel che si vede è che, con l’avanzata delle nuove tecnologie, si moltiplicano anche i campi nei quali la presenza di operatori specializzati nell’ICT e di competenzel  informatiche.

Non più soltanto sistemi contabili e gestionali, non più soltanto tecnologie per il controllo della produzione e dei magazzini fisici, ma anche sistemi di esternalizzazione e controllo remoto di funzioni operative di ogni genere (Business Process Outsourcing, BPO), sistemi di produzione, gestione e archiviazione dei documenti: dagli estratti conto alle bollettefino alle fatture e agli scontrini (Document management, ovvero DM), la cui automazione diviene fondamentale per chi necessita di gestire grandi flussi di documenti, sistemi di archiviazione e calcolo remoto (Cloud Computing), sistemi di commercio elettronico nonché di acquisizione e gestione delle informazioni su piattaforma mobile (Mobile/Web) ivi compresi i nuovi sistemi di pagamento, di scansione e messa al riparo dagli attacchi informatici e di virus (Cyber Security), sistemi di stampa tridimensionale (3D Printing), eccetera eccetera…

Sono tutti ambiti numerosissimi e relativamente nuovi, dove spesso la personalizzazione delle grandi piattaforme realizzate altrove nel mondo è altrettanto importante quanto la validità del software di bassi, come pure il riconoscimento legale di taluni sistemi può fare la differenza. Nel Document Management per esempio un ruolo importante lo ricopre chi può offrire servizi di archiviazione legale sostitutiva, che presumibilmente diventeranno sempre di più importanti sia in ambito di business che in quello privato/quotidiano.

COME CAMBIANO LE AZIENDE ICT

In un mercato così vasto, frastagliato e in movimento, non stupisce che il panorama delle aziende che vi lavorano possa cambiare alla velocità della luce!

Come in molti altri settori la progressiva maturità del prodotto induce la progressiva concentrazione del mercato in un minor numero di attori più grandi e più efficienti, l’avanzamento tecnologico butta fuori dall’arena competitiva le imprese che non riescono ad adeguarsi alla massima velocità, la necessità di far incrementare gli investimenti in tutte le direzioni comporta inoltre una selezione naturale tra le imprese che riescono a produrre più risorse finanziarie (ovvero ad accedere a quelle di terzi).

Ad esempio chi era leader nel settore della stampa di documenti ha visto ridurre la propria domanda di mercato a causa delle nuove tecnologie di archiviazione digitale e da qualche anno ha cominciato a rivedere il proprio modello di business ampliandone il perimetro al Document Management dai meri sistemi di Archiviazione Ottica alla cosiddetta Document Composition: Canon ha acquisito infatti il controllo della società IDM (Integra Document Management) e Ricoh ha acquisito NPO Sistemi che offre servizi documentali avanzati.

Il Cloud Computing è invece di fatto un nuovo modo di pensare l’IT. Basato sulla fruizione anziché sul possesso delle risorse, può portare vantaggi in termini di risparmio e di efficienza ed offrire l’opportunità di innovare prodotti e servizi, tramite modelli scalabili e misurabili che si prestano allo sviluppo di nuovi business.

Big Data e Analytics crescono di importanza al crescere della disponibilità di informazioni, per dedurne delle tendenze e poterle anticipare. La capacità di raccogliere grandi masse di informazioni, trattarle e interpretarle, sta diventando una leva di vantaggio competitivo, perché aumenta la capacità di leggere in filigrana i mercati e le abitudini, focalizzarsi sulle esigenze della clientela e di conseguenza di prendere decisioni più rapide ed efficaci.

Infine qualche parola sulla Cyber Security: sebbene il mercato ICT riservi ottime opportunità di crescita, mano mano che si sviluppa esso d’altra parte costituisce uno dei maggiori temi di discussione per quanto concerne le intrusioni informatiche. Da un recente studio promosso da Kroll e Banca d’Italia si evidenzia come nonostante si diffonda l’impiego di sistemi anti-intrusione da parte di un crescente numero di società, continuano a crescere i casi di attacchi di hackers, di intrusione in ambiti protetti e di furto di dati.

Il progresso dell’IT non può essere rallentato, ma probabilmente nei prossimi anni assisteremo a crescenti investimenti nell’ambito della cyber-security.

L’ONDATA DI FUSIONI E ACQUISIZIONI

In generale, quando l’esigenza del cambiamento è più sentita,, le operazioni di Fusione e Acquisizione (ovvero Mergers and Acquisitions, M&A), rappresentano un significativo acceleratore per importare dall’esterno lo sviluppo di tecnologie digitali o per accelerare la crescita dimensionale acquisendo competenze e quote di mercato.

Nell’ICT tutti coloro che hanno potuto hanno agito anche in questa direzione: a partire ad esempio dai grandi Player internazionali come Google, che tra il 2005 e il 2015 ha effettuato 185 acquisizioni e ha investito in oltre 300 startup attraverso il proprio fondo di Venture Capital.

Ma anche in Italia, la progressiva concentrazione della fascia alta del comparto tra i principali attori ha dato luogo  alla nascita di soggetti di caratura internazionale e alla creazione di altre opportunità per la nascita di nuovi sub-settori che nuove e micro-imprese hanno provveduto a servire, in attesa di ulteriori aggregazioni.

LE MOTIVAZIONI DELL’M&A NELL’ICT

Spesso le operazioni di M&A che si registrano avvengono non per necessità bensì sono dettate da vincoli dimensionali o per raggiungere  significative quote di mercato, anzi possiamo affermare che sono dettate principalmente da tre motivazioni:
· Il mercato è molto frammentato con crescenti opportunità di crescita che le attuali aziende, prese individualmente, non sono in grado di perseguire. Le acquisizioni servono quindi per consentire una crescita esogena altrimenti non realizzabile solo con le proprie forze;
· Acquisizioni di tecnologia, know-how e competenze. In questo caso osserviamo anche grandi colossi comprare delle piccole società (si pensi alle “App”);
· Supporto alla digitalizzazione di aziende tradizionali.

Le operazioni di M&A Digital possono avere ad oggetto imprese simili con i medesimi obiettivi di crescita, piuttosto che aziende operanti in ambiti digitali diversi ma che vogliono integrare la propria offerta, fino ad arrivare ad acquisizioni da parte di aziende tradizionali che vogliono innovare il proprio modello di business grazie alle nuove ed innovative tecnologie digitali.

Gli ambiti nei quali si è visto il maggior numero di operazioni sono tuttavia quelli più nuovi: il mondo del software per la gestione dei sistemi documentali e l’E-Commerce. Viceversa operazioni di M&A nel comparto dei produttori di hardware “tradizionali” registrano una contrazione, mentre cresce l’interesse verso soluzioni applicative Cloud e Mobile, oltre ad una crescente attenzione verso ambiti innovativi quali Internet of Things, Wearable e 3D-Printing.

Sebastiano Signò




La Cina mantiene la crescita e rafforza il proprio establishment ma deve fronteggiare sfide sempre più complesse

Il congresso del partito unico cinese (aperto il 5 Marzo) ha visto ancora una volta il presidente Xi rafforzare la propria leadership sul sistema e sono in molti a preoccuparsi di una possibile svolta autoritaria.

Che una svolta sia arrivata o meno, la nazione ha ben donde di rafforzare la propria leadership politica interna, viste le gigantesche sfide cui è sottoposta:

– da quella geopolitica nei confronti dei propri vicini nel sud-est asiatico
– a quella economica nel mantenere la crescita abbastanza a lungo per vedere migliorare le condizioni di vita della popolazione meno benestante,
– sino a quella finanziaria, che vede la possibilità di implosione dell’enorme crescita registrata dal sistema bancario interno,
– il maggior costo che l’aumento dei tassi previsto dalla Fed può comportare per un Paese che deve continuare a finanziare a buon mercato la sua crescita
– e infine i danni che ulteriori svalutazioni del Renminbi possono arrecare alla fiducia degli operatori economici interni.

LA SPESA MILITARE

Innanzitutto la sfida lanciata dalla Corea del Nord, che rivela la necessità per la Cina di continuare a spendere cifre molto importanti del proprio prodotto interno lordo per consolidare la leadership militare nel bacino del sud-est asiatico.

Nell’anno passato il budget militare si è ancora una volta incrementato (sebbene nel complesso la crescita della spesa per armamenti sia in riduzione). Oggi il budget militare della Cina è il secondo più grande del mondo, a poco più di un terzo di quello americano ma comunque pari a quasi quattro volte quello della Federazione Russa e a quello del Regno Unito, due tra i maggiori del mondo dopo l’Arabia Saudita (terza nell’ordine dopo America e Cina).

MANTENERE ALTO IL LIVELLO DEGLI INVESTIMENTI

Qualcuno ha scritto che la montagna di spesa per armamenti in realtà è una mossa molto furba per mantenere il piede sull’acceleratore degli investimenti, che in Cina sono una componente molto importante del totale del prodotto interno lordo, con ovvie ricadute anche nell’indotto dell’industria civile.
Non sembra possibile infatti controbilanciare il rallentamento del commercio internazionale e conseguentemente anche delle esportazioni cinesi con il solo incremento nella spesa per consumi, che non dipende solo dalla volo del governo centrale.

La strada di una crescita del tenore di vita dei cittadini è sicuramente stata imboccata con decisione, ma non può dare effetti così immediati quando il divario tra le regioni povere del nord del Paese cresce con quello delle province più industrializzate e una parte consistente della popolazione vive ancora nelle comunità rurali a stretto ridosso della povertà di alimenti.

La Cina nel 2017 potrebbe sicuramente beneficiare del miglioramento che si prospetta per la crescita economica mondiale, ma ciò nonostante l’obiettivo di un +6,5% è comunque il più basso degli ultimi anni.
Forse è mantenuto prudentemente basso anche per evitare nuovi scossoni sul fronte della svalutazione del Renminbi (qualora esso fosse disatteso).

IL PIÙ GRANDE SISTEMA BANCARIO AL MONDO

La crescita economica della Cina anche quest’anno è prevista ancora una volta posizionarsi al di sotto di quella dell’India, l’altro grande Paese Emergente, con una popolazione molto vicina a quella cinese (quasi 1,3 miliardi di abitanti, solo 100 milioni in meno di quella cinese, giunta a ridosso di 1,4 miliardi), ma finanziata molto più pesantemente che in India dal sistema bancario (di gran lunga il maggiore del mondo).
Nel 2016 esso ha addirittura superato per dimensioni quello dell’Eurozona, caduto in una crisi profonda ma che in precedenza deteneva il primato mondiale.

Oggi le principali banche al mondo sono cinesi e il sistema finanziario cinese è ulteriormente popolato dalle cosiddette “banche ombra”, vale a dire società finanziarie non ufficialmente riconosciute come banche ma che di fatto svolgono la medesima attività nel settore privato.
Le banche ombra sono assai poco regolamentate ma di fatto tollerate perché contribuiscono a sostenere buona parte della crescita economica nazionale.

L’intero sistema bancario cinese è inoltre fortemente sussidiato dalla liquidità erogata dalla Banca Centrale del paese, spesso con modalità poco trasparenti, sebbene il credito al consumo sia ancora relativamente poco sviluppato.

Non stupisce dunque la “svolta” dirigista che Li Keqiang ha annunciato al recente congresso del partito, ricordando più volte che il Paese ha una sola leadership: quella del suo Presidente XI Jinping. La Cina non può permettersi in questo momento così delicato per il mondo di vanificare anni di propri sforzi nel mantenere un equilibrio politico, economico e finanziario.

La democrazia, quella vera, può attendere ancora.

 

Stefano di Tommaso




Giappone: disoccupazione ai minimi storici

Il tasso di disoccupazione in Giappone per il mese di Gennaio è sceso al 3% della forza lavoro, ben al di sotto di quel 4% che da decenni gli economisti definiscono “tasso di piena occupazione ” a causa di tutti i fattori distorsivi che impediscono di azzerare completamente il numero di quelli che cercano lavoro (quantomeno per il fatto che lo stanno cambiando o che non sono idonei).

Gli analisti anzi prevedono che esso possa scendere ancora al 2,5% entro il prossimo anno.

Per fare un paragone, gli U.S.A. stanno avvicinandosi al 4% e la Federal Reserve teme che il “surriscaldamento” della dinamica salariale possa determinare un forte incremento dell’inflazione. La cosa è avvalorata da un altro dato statistico che da noi sarebbe inconcepibile : il numero di posti di lavoro disponibili per ogni 100 giapponesi occupati è pari a 143 in Gennaio! Cioè c’è per essi il 43% di posti in più di quanti ne cerchino.

Ma il vero dato da analizzare come sempre non è quello della disoccupazione (strombazzato dai media) che dipende troppo dall’iscrizione o meno dei disoccupati nelle liste di ricerca del lavoro (gestite dalla mano pubblica), bensì quello dell’occupazione: più mezzo milione di occupati negli ultimi 12 mesi, per giungere al mirabolante numero di quasi 65 milioni di persone che lavorano! Su un totale di meno di 130 milioni fa più o meno esattamente la metà.

Qui si impone un paragone con il nostro sonnolente Paese, nel quale vivono poco meno della metà del numero dei cittadini giapponesi (poco più di 60 milioni)ma lavora solo un terzo di quel numero: circa 22 milioni di persone.

Dunque non soltanto la disoccupazione in Giappone è quasi “negativa” ma è soprattutto l’occupazione che va a gonfie vele. In un paese che non ha quasi immigrazione questo significa addirittura necessità di stimolare la crescita della natalità. Cosa che peraltro il governo sta facendo in ogni modo.
Anche il numero di lavoratori stranieri sta crescendo fortemente in Giappone, ma conta per poco più dell’1,6% : circa un milione.

Ma nonostante tali numeri mirabolanti le paghe sono cresciute meno del 2% e addirittura la spesa media per nucleo familiare si è leggermente ristretta nell’ultimo anno, rimanendo poco sopra i duemila euro, al netto però di una consiste svalutazione dello Yen.
Conseguentemente l’inflazione in Giappone è più bassa che in tutti gli altri paesi industrializzati, cioè quasi inesistente, ancora lontana dunque da quel 2% che resta l’obiettivo del governo per fine 2017.

Un’ulteriore buona notizia per l’andamento dell’economia mondiale e niente paura per il Giappone, che mostra anzi segnali di una certa vitalità nell’economia, ma anche di molta più armonia che non nei paesi occidentali, pressati da migrazione, tensioni sociali e maggior difficoltà nella ricerca di un posto di lavoro.

Non stupisce che il governo di Abe goda ancora di ottimo consenso: la politica locale si concentra sui fatti e sarebbe fortemente disapprovata se alzasse il tono delle polemiche con l’opposizione.

Un modello sociale da prendere ad esempio per noi occidentali, che invece nel nostro intimo continuiamo a considerarci superiori!
Stefano di Tommaso




Italia: beata inflazione, san dollaro e san petrolio la proteggono

La congiuntura economica che si può osservare nel primo scorcio di Marzo di quest’anno può far pensare che una serie di circostanze giochino in termini positivi per aiutare l’economia italiana ben al di là delle scarse attese che si leggono sulla stampa. Parafrasando una vecchia allocuzione (in voga negli anni ottanta), mi sono permesso di imputarne il merito a tre santi in paradiso che potrebbero involontariamente regalarci “o’miracolo”: il risveglio dell’attività economica non soltanto nel nostro Paese ma anche nell’intero continente.

SAN DOLLARO

Il primo risultato del pronosticato aumento dei tassi di interesse, annunciato per le idi di Marzo dalla governatrice della Federal Reserve Bank of America, è stato infatti e potrebbe essere ancora un rialzo del biglietto verde.

Il Dollaro potrebbe essere ulteriormente premiato tanto perché è oramai l’unica e incontrastata valuta di riserva, dopo le scarse performances e l’accresciuta volatilità delle sue più dirette concorrenti, quanto perché l’America vanta mercati finanziari ancora una volta orientati a nuovi record e un’economia che nel 2017 è attesa migliorare decisamente rispetto al magro risultato di crescita dell’1,6% nel 2016.

La svalutazione dell’Euro nei confronti del Dollaro può avere per noi dunque un effetto mediamente positivo, perché aiuta a rilanciare la parte dell’economia continentale che “tira” di più: le esportazioni, dal momento che i consumi invece ristagnano più del previsto in Europa.

BEATA INFLAZIONE

Ma dal punto di vista dell’andamento economico europeo non è escluso che il generalizzato riaccendersi delle aspettative di crescita dei prezzi non possa donare nuovo slancio al mercato immobiliare, ai beni di consumo durevole, e sinanco alla spesa per consumi, controbilanciando gli effetti negativi che possono avere i maggiori prezzi delle importazioni sul paniere di spesa.

Il fenomeno dell’inflazione -quantomai controverso quanto ai suoi effetti in letteratura economica- è stato additato in passato come fattore di sconvolgimento della pianificazione di investimenti e politiche salariali, è invece salutato oggi (e solo per il momento) come una bellissima notizia, perché scaccia definitivamente l’ipotesi di una deflazione endemica che era vista come la causa principale del crollo della spesa per investimenti.
Sono in tal modo rimossi i fantasmi delle varie ipotesi di stagnazione secolare, legate al calo demografico e al raggiungimento di una fase di maturità per le economie occidentali (sino a ieri agitati da vari economisti).

Se vogliamo essere più precisi il processo di santificazione dell’Inflazione è ancora in corso, dal momento che essa può contribuire ad accelerare l’abbandono del Quantitative Easing Europeo e conseguentemente dell’ombrello della Banca Centrale Europea, che sino ad oggi ha garantito il buon esito delle nostre emissioni di titoli di stato alla scadenza di quelli precedenti. Tale evento rinforzerebbe i dubbi circa la capacità del Bel Paese di sostenere il proprio debito pubblico e potrebbe invece provocare una nuova tornata fiscale, con evidenti effetti depressivi sull’economia.

SAN PETROLIO

Al momento però le attese di risveglio dell’inflazione non hanno turbato più di tanto la bolletta petrolifera (e quella del gas, ad essa strettamente collegata) che il nostro Paese paga per non esserne produttore, a causa di almeno due fattori :
– Innanzitutto esiste una grande riserva di pozzi di petrolio con elevato potenziale che oggi non sono sfruttati per evitare di farne affluire troppo sul mercato. Ma qualora il suo prezzo si risvegliasse, quell’ulteriore capacità produttiva avrebbe immediatamente l’effetto di calmierarlo di nuovo.
– In secondo luogo oramai i costi di produzione delle energie derivanti da fonti rinnovabili sono scesi a tal punto da poter competere con quelli del greggio anche senza gli incentivi fiscali. Il settore può inoltre vantare un numero di nuovi impianti di produzione in costante espansione.
– In terzo luogo l’incremento dei tassi di interesse e quello del dollaro, la valuta in cui è negoziato il petrolio, hanno un effetto calmieratore sui suoi prezzi.

Per quanto sopra si può ragionevolmente prevedere che il Petrolio potrà restare a lungo nel “tunnel” di 45-55 dollari al barile (WTI) nel quale è entrato da più di un anno a questa parte e, sinanco nel caso in cui la crescita delle aspettative economiche potesse arrivare a rilanciarne la speculazione, difficilmente sfonderebbe a lungo la soglia dei 60 dollari.

Non c’è dunque da attendersi troppo una nuova fiammata speculativa come accadeva in passato quando c’erano segni di un risveglio della domanda di petrolio. È più probabile che il mercato sia sufficientemente maturo per assicurare uno sviluppo molto più rilassato dell’incontro prospettico tra domanda e offerta.

MORALE (NECESSARIA, DISCORRENDO DI SANTI)

L’andamento economico dell’Italia come sempre corre tanti rischi, vuoi per la debolezza strutturale del nostro sistema industriale, vuoi per l’eccessiva dipendenza dalle perturbazioni del mercato finanziario, cui è appeso l’ingente debito pubblico.

Ma questa volta la congiuntura può riservare più di una sorpresa positiva per il nostro Paese, sebbene si possa seriamente dubitare che -se dovesse arrivare- sarebbe colta al volo dai nostri arguti politici per avvantaggiarsene nella prospettiva di un riassetto complessivo.

Godiamoci perciò il presente. Dal momento che, con la schiarita in corso delle nubi che si addensavano sull’Italia, le imprese esportatrici possono sperare di rafforzarsi e le spese per investimenti potrebbero vedere un bel rimbalzo, senza un forte rischio di aggravio della bolletta energetica, che potrebbe guastarci la festa.
«Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non v’è certezza»
cantava Lorenzo de’ Medici, nella canzona di Bacco, all’alba del sedicesimo secolo.

Dio volesse che per qualche altro secolo ancora l’Italia possa allegramente continuare a farlo!

 

Stefano di Tommaso