Cosa riserva il 2017 al mercato delle fusioni e acquisizioni?

Dopo le grandi incertezze geopolitiche e finanziarie del 2016, l’anno appena iniziato sembra correre su binari molto più tranquilli per la cresci economica e questo non può che riflettersi sulla dinamica delle fusioni e acquisizioni tra aziende nonché sull’orientamento complessivo degli investitori, siano essi di “private equity”, di “venture capital”, o anche solo attivi in Bond e Minibond.

MAGGIOR LIQUIDITÀ DISPONIBILE

Questo orientamento complessivo per il nuovo anno sembra oltretutto corroborato dall’incremento della liquidità disponibile per banche e imprese e non può che favorire la crescita, ancora una volta, dell’attività in fusioni e acquisizioni, in molti settori dell’economia.

La liquidità a sua volta libera la fantasia delle imprese di maggiori dimensioni nell’andare alla ricerca del miglior valore possibile in cambio del proprio denaro investito, sia esso reperibile nel dominare nuove tecnologie che possono essere inserite in contesti aziendali più tradizionali, come pure individuabile nelle imprese capaci di generare il miglior tasso possibile di crescita complessiva.

 LA RICERCA DI NUOVO VALORE

In una parola le imprese più grandi cercano, oggi più di ieri, le opportunità più strategiche per la crescita del valore aziendale nelle possibili acquisizioni e combinazioni industriali.

Questa tendenza si può riscontrare non soltanto nelle acquisizioni di imprese-target di più piccole dimensioni ma più orientate al futuro, bensì anche le grandi aggregazioni industriali che possono ridisegnare i confini competitivi di ciascun settore economico, come ad esempio la mega-fusione tra l’italoamericana Luxottica e la francese Essilor, potenzialmente destinata a ridefinire il settore dell’ottica soprattutto sui mercati asiatici, considerati quelli con il maggior potenziale di crescita.

 L’INDUSTRIA DELL’ENERGIA IN PRIMA LINEA

Un settore che sembra destinato a notevoli sorprese e ad un’attivismo al di sopra della media nelle possibili aggregazioni strategiche è quello dell’energia, in particolare nella sua parte tradizionale (petrolio e gas) dove tra l’altro è partito il cantiere per la più grande quotazione in borsa di tutti i tempi: quella della Saudi Aramco.

L’anno 2016 è risultato inoltre uno degli anni più caldi della storia climatica recente del globo terraqueo, provocando una serie di iniziative destinate a proteggere il mondo nei campi dell’ambiente, dell’ecologia e del controllo delle emissioni nocive che potrebbe stimolare nuove iniziative legislative e più importanti investimenti strutturali, con conseguenze potenzialmente positive anche, a sorpresa, nel settore delle energie derivanti da fonti rinnovabili, che era sembrato un po’ sonnecchiare nel corso del 2016.

 LA TECNOLOGIA ALLA BASE DELLE NUOVE STRATEGIE

Una delle determinanti probabilmente più forti nelle future decisioni aziendali è con poche eccezioni quella della ricerca delle nuove tecnologie, tanto per reperire al di fuori delle imprese esistenti quelle iniziative di innovazione e sviluppo prodotti che possono generare efficienze e competitività (dato un basso tasso di miglioramento “interno” della produttività del lavoro in tutto l’occidente), quanto per poter meglio cavalcare in termini di nuovi orientamenti dei consumatori le conseguenze della crescita dei servizi “mobile” e dell’avanzamento di commercio elettronico e vendita online di servizi e soluzioni professionali.

Non esiste settore economico che non sia stato investito -nel bene e nel male- dall’impatto dirompente delle nuove tecnologie negli ultimi mesi, a partire dai servizi bancari più tradizionali fino ai controlli sanitari e  alla cura della persona (corpo, salute e alimentazione).

Le conseguenze, potenzialmente infinite, dell’impatto dirompente delle nuove tecnologie digitali (dalle applicazioni per i terminali mobili fino a nuove applicazioni dell’intelligenza artificiale) potranno proseguire anche negli anni successivi e comunque costituiscono uno dei fattori di stimolo più importanti alla ricerca di nuove combinazioni aziendali e delle conseguenti fusioni e acquisizioni.

 LE DETERMINANTI GEO-POLITICHE

Un ultimo ma non meno importante possibile fattore di stimolo all’attività di ricerca di partnership e joint-ventures nel 2017 sarà la nuova tendenza generale alla riduzione dei flussi di commercio internazionale, al generale possibile rialzo delle barriere doganali e alla ri-localizzazione delle sedi produttive all’interno di ciascun mercato regionale di consumo (anche grazie alle nuove soluzioni di automazione industriale che lo permettono, riducendone i costi).

Si prevede che possano essere varate al riguardo iniziative regolamentari e legislative, come pure che la tendenza generale ai nuovi nazionalismi possa spingere verso una maggior caratterizzazione geo-locale in termini di design e caratteristiche tecniche di prodotti che, sino a ieri, si presumeva marciassero verso una sempre maggiore standardizzazione internazionale.

IL “NUOVO” REAL ESTATE

Anche nel settore più tradizione tutti, quello delle costruzioni residenziali e aziendali, l’anno in corso potrebbe farci constatare un nuovo dinamismo, tanto per il desiderio -ravvviavato dal miglioramento delle prospettive economiche- di dotarsi di nuove soluzioni abitative e architetturali, quanto per la possibilità di godere di avanzamenti decisi nel risparmio energetico, nella sicurezza e nel confort degli ambienti lavorativi (illuminazione e riscaldamento, ad esempio) che a loro volta possono stimolare nuovi investimenti e l’indotto di attività economiche che complessivamente ne può derivare.

 CONCLUSIONI

In conclusione l’anno appena iniziato sembra carico di contenuti e di conseguenze positive delle nuove ondate tecnologiche cui stiamo assistendo, sebbene queste ultime siano fruibili sempre più in forma diversificata e localizzata, senza quindi che, in parallelo, debbano necessariamente svilupparsi maggiori flussi di trasporto, logistica e commercio internazionale, grazie alla progressiva digitalizzazione che pervade ogni settore economico.

Prevedere dunque che, nonostante l’apparente ondata di nuovi nazionalismi, possa covare nuovo fuoco di ricerca di nuove e diverse soluzioni aziendali di internazionalizzazione, sotto la cenere di una stasi apparente dei flussi di merci e servizi, significa in parallelo prevedere che anche nelle operazioni di fusioni e acquisizioni “cross-border” l’attività delle banche d’affari possa proseguire la sua crescita.

Stefano di Tommaso




Sviluppi e scenari possibili per l’Italia

Negli ultimi venti anni il nostro paese non è riuscito a ridurre il suo debito pubblico, anzi: persino in rapporto al Prodotto Interno Lordo esso non ha fatto altro che peggiorare costantemente.

La realtà dei fatti dice inoltre che la situazione non è quasi migliorata nemmeno nei due anni circa di vita dell’ultimo Governo, che sono invece risultati particolarmente positivi rispetto a quelli precedenti dal punto di vista delle condizioni generali dell’economia mondiale (petrolio basso, euro in discesa, facilitazioni monetarie della Banca Centrale Europea…).

La domanda che ne discende è dunque cosa ci aspetta nel prossimo futuro. E cosa è possibile fare.

IL DILEMMA DEL DEBITO PUBBLICO E DELLA TENUTA DELL’UNIONE

Con il 2017 si apre probabilmente per l’Europa un periodo storico molto diverso da quello appena concluso, che lascia supporre un risveglio dell’inflazione, un rialzo dei tassi e forse anche qualche progressivo irrigidimento nelle facilitazioni monetarie concesse dalla BCE.

Quest’ultima ha già acquistato la bellezza di 210 miliardi di euro di debito pubblico italiano (cioè un decimo circa del debito totale), guadagnandosi gli strali di molti paesi del Nord Europa che hanno iniziato ad aver qualcosa da obiettare.

Dunque, nonostante si possa ragionevolmente ritenere che la BCE andrà avanti a sostenere il debito pubblico italiano più o meno a qualsiasi costo sintantoché agli altri paesi europei interesserà ancora mantenere un’Europa unita e una moneta comune, è altresì facile immaginare che le condizioni generali di emissione dei titoli in rinnovo potranno ugualmente peggiorare, a partire dallo spread con i titoli tedeschi fino a toccare il livello dei tassi di intere in generale.

In un paese sovraindebitato come il nostro lo scenario non è dei migliori, sebbene il rialzo dei tassi possa indirettamente (e limitatamente) aiutare il sistema bancario a risollevarsi e le prospettive di debolezza dell’Euro aiutare la competitività delle nostre esportazioni.

Cosa può succedere dopo la fine degli aiuti comunitari? C’è chi è fiducioso nella possibilità che alla fine di tutti i giochi l’Unione Europea si cementifichi condividendo i debiti pubblici complessivi oppure favorendone una progressiva monetizzazione, che avvenga con un eccesso di inflazione o con un rigonfiamento ulteriore dei bilanci della BCE poco importa.
Ovviamente il prezzo da pagare di un tale scenario sarà la perdita dell’autonomia fiscale e legislativa di ciascuno dei suoi membri, ma -data la politica anziché ci ritroviamo- potrebbe anche risultare il male minore.

IL RISCHIO CONCRETO DI FINIRE IN “SERIE B”

L’alternativa allo scenario di unificazione politica, bancaria e fiscale del continente europeo non è probabilmente quello di un ritorno della Lira e dell’isolamento, bensì quello, ancora peggiore, di appartenere ad una mediterranea fascia-cuscinetto di “second tier”, dove si sentirà ancora la cospicua influenza dell’Unione Centrale Europea ma che potrebbe istituire una seconda moneta unica, destinata a fronteggiare maggiore inflazione e una certa svalutazione, limitata in funzione degli aiuti che potrebbe ricevere dal centro dell’Europa.

Il dramma di un tale scenario è che esso non salverebbe la penisola da ulteriori dolorose fughe di capitali all’estero, che non possono certo favorire la ripresa economica e gli investimenti, anzi allargando la disoccupazione e il precariato nonché favorendo un’ulteriore pressione al ribasso dei salari che nessuna rivolta sindacale sarà mai capace di combattere.

Non si vede alcun vantaggio in una tale proiezione, salvo il fatto che l’appartenenza una fascia “di contenimento” dell’Europa centrale potrebbe consentire ai paesi membri di secondo livello comunque un pacchetto corposo di finanziamenti e contemporaneamente forse anche una qualche oscillazione del cambio che possa ovviare alla limitata competitività delle aziende.

L’alternativa autonomista a un’Unione a due velocità sarebbe sì migliore, ma comporterebbe la capacità di fronteggiare giganteschi problemi immediati di tenuta dei conti pubblici e la necessità di orgoglio e compattezza nazionali che oggi non sembrano così probabili.

I POSSIBILI SCENARI DEL NUOVO CICLO DELLA POLITICA EUROPEA

Dopo quello che si è visto con l’esito del referendum britannico, la vittoria di Trump oltreoceano e l’elevata probabilità di vittoria di Marine LePen a Parigi, sembra inutile illudersi troppo circa la permanenza al potere dell’attuale classe politica continentale.
Anche in Italia entro un anno si andrà al voto ed è difficile ipotizzare la fotocopia del governo attuale: la gente -soprattutto al di qua delle Alpi- è stufa del continuo impoverimento sostanziale, dell’eccessiva immigrazione e dell’illegalità diffusa e preme per un ricambio che sarà però tutt’altro che indolore.

Definire tale voglia di cambiamento che proviene dalle classi più disagiate “populismo” è commettere una grave ipocrisia: dopo oltre mezzo secolo di propaganda in tal senso, il germe della voglia di democrazia si è insinuato nella cultura popolare e, sebbene essa non sia stata mai davvero praticata nei fatti, essa si traduce nel desiderio di ribaltare l’attuale “intellighenzia” al potere.

Le conseguenze del cambiamento politico che rischia seriamente di prender piede consisteranno tuttavia probabilmente nel disordine finanziario e nella mancanza di coordinamento a livello comunitario che non potranno che tradursi in grigie prospettive per gli investitori e gli operatori economici.

L’alternativa, fortemente auspicabile, è quella di una federazione di Stati europei con divise monetarie autonome e forte integrazione commerciale e legislativa, che viceversa fornirebbe agli investimenti industriali prospettive di stabilità e al tempo stesso di adattamento alle diverse condizioni di partenza, per procedere nel tempo a una concreta unificazione continentale, una volta risolti al meglio i problemi strutturali.
Sotto tale scenario mediano le istituzioni sovranazionali potrebbero dedicarsi ad alleviare i problemi derivanti dal ritorno alle valute nazionali e agli investimenti infrastrutturali comunitari, che potrebbero gettare le basi di una futura maggiore integrazione fra i popoli.

UN 2017 ANCORA PROFICUO

Nonostante molte nuvole di addensino all’orizzonte, l’anno in corso non si preannuncia invece così malvagio da un punto di vista economico per l’Italia.

Nonostante terremoti, scandali e proteste di piazza, il governo Gentiloni rischia di rimanere in sella abbastanza a lungo da riuscire a tranquillizzare tutti i partners europei del fatto che, gattopardescamente: “tutto cambi affinché nulla cambi”.
Al tempo stesso il suo basso profilo mediatico potrebbe fargli riuscire a portare avanti ulteriori riforme legislative  da far si che tanto le borse quanto il sistema bancario possano godere di un anno di relativa tranquillità.

Il momento appare proficuo anche per quella parte di Paese che esporta pesantemente e che potrà beneficiare di un ulteriore bonanza derivante dalla relativa stabilità commerciale che sembra delinearsi nel mondo, al punto che persino il turismo dall’estero potrebbe migliorare e dare una boccata d’ossigeno al meridione italiano. Nel complesso il Prodotto Interno Lordo potrebbe perciò crescere di oltre l’1%.

La permanenza dell’ “ombrello europeo” farà il resto, facendo guadagnare al Bel Paese del tempo prezioso per ritrovare parte della competitività perduta alleviando le tensioni emotive sulla tenuta del debito pubblico, anche se è chiaro che i problemi sopra evidenziati restano e, qualora lo scenario politico continentale dovesse peggiorare decisamente, le conseguenze negative (derivanti dall’eccesso burocratico, dalla scarsità di credito disponibile, dall’elevata pressione fiscale e dal deficit di infrastrutture) finirebbero per farsi sentire trascinando verso altri anni di sventura l’intera economia nazionale.

L’UNICA SOLUZIONE POSSIBILE

Paradossalmente la complicanza dei problemi politici, economici e finanziari italiani potrebbe essere controbilanciata da una semplice ed efficace medicina, costituita dalla progressiva trasformazione di un contesto che scoraggia gli investimenti ad uno che riesce ad incoraggiarli, a partire dalla spesa pubblica che potrebbe piuttosto velocemente riconvertire i suoi endemici eccessi dalla direzione della spesa corrente a quella per investimenti infrastrutturali e di valorizzazione dell’immenso demanio pubblico (tanto quello con valenze culturali quanto quello con valenze turistiche).

Tutto qui? Si, tutto qui. Trasformare il Paese da cicala a formica si può senza nemmeno troppo sforzo, orientando decisamente gli attuali eccessi verso la costruzione di una prospettiva migliore e con lo spauracchio concreto di un abisso dal quale esso potrebbe non riprendersi più.

Da questo punto di vista anche lo stimolo fiscale nella direzione di nuovi investimenti e iniziative scientifiche e culturali di ogni genere potrebbe trovare la sua giustificazione nell’indotto di crescita che esso potrebbe provocare, in tal modo rendendosi tollerabile anche alla Commissione Europea, che potrà permettersi sempre meno di imporre un’austerity tout-court: un’austerity della spesa corrente sì, ma controbilanciata da una forte accelerazione di investimenti privati e pubblici !
Stefano di Tommaso




Una Boutique vince il mandato per la più grande quotazione in borsa della storia

Il più grande mandato della storia per l’advisory della quotazione in Borsa di un’azienda tra le più grandi al mondo (SAUDI ARAMCO, il cui valore di capitalizzazione di borsa è stimato in duemila miliardi di dollari) è stato conferito ieri ad una “boutique” finanziaria quale MOELIS e non ad una delle grandi banche d’affari di Wall Street che per anni avevano corteggiato la società che gestisce le attività petrolifere d’Arabia Saudita, di proprietà della famiglia reale.

Ken MOELIS, fondatore della boutique finanziaria nel 2007 era saltato di recente alla ribalta della cronaca per il suo intervento al World Economic Forum dello scorso Gennaio a Davos cui era poi seguita un’intervista della rete televisiva Bloomberg che aveva fatto il giro del mondo.
Il curriculum di questo veterano della finanza inizia nel 1981 con la Drexel del famoso Michael Miken, da cui si è poi staccato con il suo team per andare all’altrettanto famosa DLJ (Donaldson Lufkin and Jenrette), contribuendo a farne la più famosa boutique finanziaria degli anni ’90. Dal 2000 Moelis passa brevemente alla CSFB per poi approdare alla UBS dove sarà presidente della divisione banca di investimenti fino al 2006.

Erano anni che si parlava della volontà del principe
ereditario alla corona Saudita: Mohammed bin Salman, di portare alla quotazione la società araba concessionaria dell’estrazione, raffinazione e distribuzione petrolifera per farne la più grande al mondo in termini di capitalizzazione di borsa. Oggi un barile di petrolio su nove venduti nel mondo proviene da essa.

Con un “coup de teatre” degno di un grande professionista, Moelis si è aggiudicato il mandato più ambito al mondo da diversi anni a questa parte, che gli darà modo di sedere alla cabina di regia di una storica quotazione in Borsa. Sarà quindi lui a coordinare tutti gli altri mandati professionali, nonché quelli da attribuire alle grandi banche d’affari per la sottoscrizione a fermo e il collocamento delle azioni al mercato.

Si parla per il momento del collocamento di circa il 5% del capitale di SAUDI ARAMCO, potenzialmente del valore di almeno 100 miliardi di dollari, che dovrebbe concludersi entro un anno. In questi casi però è possibile che sia la tempistica che gli importi possano cambiare non poco.

L’importo che i reali Sauditi potrebbero incassare, comunque considerevole da qualsiasi punto di vista, dovrebbe costituire il fulcro di un ampio progetto di riqualificazione dell’economia della penisola araba e potenzialmente inaugurare una stagione di privatizzazioni con la finalità di aiutare il Paese a svincolarsi dal petrolio e incrementare l’occupazione in altri settori industriali e tecnologici. Progetto in gestazione da anni ma recentemente rinviato “sine die” a causa del crollo dei prezzi dell’energia e, di conseguenza, delle entrate.

L’operazione di quotazione della società costituirà tra l’altro un unicum per la sua complessità anche dal punto di vista legale, dal momento che nell’ambito delle attività della corona Saudita nessuna distinzione era stata sino ad oggi definita tra le entrate derivanti dal petrolio e le spese per investimenti in opere pubbliche quali scuole, ospedali o edifici, molto spesso operate direttamente dalla stessa SAUDI ARAMCO.

Senza contare problematiche tipiche per le società che vanno in quotazione come quelle relative alle procedure operative, alla governance, alle deleghe concesse al management e alla politica dei dividendi.

Una vera e propria novità nel settore che deriva dalla gigantesca dimensione del collocamento costituita anche dalla selezione delle Borse Valori ove il titolo sarà collocato (molto probabilmente con una operazione di quotazione contemporaneamente su più di una piazza finanziaria), dal momento che tutte le principali borse al mondo (si parla di New York, Londra, Tokyo e Hong Kong, oltre ovviamente a quella di Riyadh) parteciperanno alla selezione per essere prescelte.

Anche da questo punto di vista Ken Moelis si prepara ad avere l’intero mondo finanziario letteralmente ai propri piedi!
Stefano di Tommaso




L’infinita agonia della Grecia

Con la Grecia -dopo pochi mesi dal “salvataggio”- di nuovo sull’orlo del baratro, non dovrebbe risultare così difficile ammettere che il programma impostole dai creditori dell’Unione Europea è stato un vero e proprio fallimento. L’Italia guarda ovviamente con molta attenzione agli sviluppi della situazione greca, quali indicatori di quello che con una certa probabilità potrebbe coincidere con il proprio destino, se non cambiano le regole del gioco economico comunitario.


Con un avanzo primario del 3,5% del P.I.L. nel 2016 cosa è venuto in mente ai burocrati della Commissione Europea? Di chiedere un aumento del tasse, ovviamente, così da uccidere sul nascere qualsiasi ripresa economica e degli investimenti.

Oggi sono in molti a credere che, in caso di referendum sulla permanenza in Europa il partito del NO stravincerebbe. Il programma di austerità imposto oramai sette anni fa dall’Unione non ha prodotto che un aumento del debito pubblico dal 120% al 180% con un prodotto interno lordo che si è contratto da €354 miliardi a €195 miliardi dal 2008 al 2015 (approssimativamente meno 45%) e ha costretto mezzo milione di cittadini greci ad emigrare ufficialmente all’estero (soprattutto giovani e laureati) dato l’aumento della disoccupazione dal 7% del 2009 al 28% del 2015.

Con il programma di austerità proposto si assumeva che la Grecia potesse riportare il suo debito al 120% del P.I.L. già nel 2020 e che nel corso di dieci anni il P.I.L. stesso potesse crescere del 4% annuo. Ipotesi ovviamente irrealizzabili anche nel migliore degli scenari globali e totalmente in conflitto con le richieste di maggior austerità che provengono da Bruxelles!

Ovviamente il persistere di tali pressioni può facilmente portare il partito di Tsipras, attualmente al governo, ad accettarle “ob torto collo” ma questo non farebbe che precipitare il Paese verso ulteriori tensioni sociali e, in definitiva, verso l’uscita dall’Euro e dall’Unione.

È chiaro che in tale scenario le Borse di tutta Europa ne risentirebbero negativamente e che soprattutto si aggiungerebbe nuova benzina sul fuoco delle tensioni tra europeisti e disgregazionisti in un momento cruciale quale quello del voto della Francia per il nuovo Presidente della Repubblica (dove il più probabile vincitore tra i candidati, Marine LePen, si è detta immediatamente a favore di un referendum sulla permanenza nell’Unione).

Ma tant’è: la sfacciataggine con la quale l’Unione germanocentrica continua a perseguire politiche economiche manifestamente sbagliate può solo far pensare alla malafede, non all’incompetenza.

Stefano di Tommaso