L’ANNO DELLE CHIMERE

È possibile che il 2024 passi agli annali di storia economica come l’ ”anno delle chimere”, un anno cioè nel quale sono ricorse diverse illusioni o minacce, tutte rivelatesi poi all’atto pratico piuttosto inconsistenti. Dall’attesa di diversi tagli dei tassi d’interesse, ancora oggi non concretizzatasi, a quella dei grandi profitti che sarebbero stati generati dall’intelligenza artificiale (di fatto rinviata ”sine die”), a quella del “soft landing” dell’economia, fino alla speranza che i governi perseguano senza limiti politiche fiscali espansive e incentivi allo sviluppo, o a quella della progressiva rivalutazione delle criptovalute, o ancora la chimera della rivalutazione dei titoli “sottili”: l’avveramento di tutte queste illusioni (o timori) è stato sino ad oggi quantomeno posticipato, se non addirittura cancellato. Con ovvie conseguenze sui mercati finanziari.

 

L’imprevedibilità relativa agli eventi di quest’anno ci lascia oggettivamente pochi spazi per riuscire immaginare correttamente il prossimo futuro, cioè per farlo con un minimo di realismo. Si dice che la realtà è ciò che resta dopo che tutti i programmi sono andati a farsi benedire, ma in effetti in un anno come il 2024 in cui si sono registrati continui record tanto per le quotazioni delle borse valori quanto, probabilmente, anche per lo sviluppo dell’economia globale, nulla di ciò che si poteva prevedere si è puntualmente effettivamente verificato come si pensava, anzi! Nel bene come nel male. Proviamo dunque a esaminare qualcuna delle “chimere” che gli investitori hanno inseguito sino ad oggi:

LA CHIMERA DEI “TAGLI” AI TASSI

Abbiamo iniziato l’anno con la chimera più importante di tutte: quella del calo dell’inflazione, un calo che effettivamente si è verificato anche se solo parzialmente e molto più lentamente di come si poteva sperare. Cosa che ha ritardato conseguentemente il taglio dei tassi di sconto da parte della Federal Reserve Bank of America -la FED-. E’ dalla fine del 2023 che se ne parla, ogni volta rinviando le previsioni dei tagli al mese o al trimestre successivi, anche se stavolta, a fine Settembre, dovrebbe finalmente prendere corpo il primo taglio di un quarto di punto percentuale, perché è stato il suo stesso governatore a dichiararlo pochi giorni fa.


La “chimera” tuttavia per i mercati finanziari non è tanto il fatto che la FED inizi a tagliare finalmente i tassi a fine mese, cosa già ampiamente preannunciata e scontata dai mercati, bensì la percentuale complessiva a cui ammonterà il totale dei tagli che nei mesi successivi verrà considerata corretta dalla FED e, soprattutto, in quanto tempo si materializzerà. Cosa che nemmeno questa volta è stata chiarita dal governatore della FED, pur “aprendo” all’idea che la politica monetaria debba d’ora in avanti essere più espansiva.

Al riguardo i mercati finanziari “scontano” nelle loro quotazioni un taglio complessivo di almeno un intero punto percentuale entro fine anno, che significherebbe cioè un ritmo pari a un quarto di punto al mese, senza interruzioni, ovvero qualche taglio da mezzo punto percentuale. Cosa questa estrema, per non dire improbabile, data la lentezza e prudenza manifestata dai banchieri centrali sino ad oggi. E questo è dunque un argomento sul quale è ancora possibile che i mercati continuino ad illudersi, anche perché il governatore della FED non ha mostrato una determinazione assoluta, e perché già molte altre volte ha esibito una prudenza che, giunti alla fine del 2024, potrebbe rivelarsi deleteria per l’economia reale, dettata dalla necessità di evitare critiche e mantenere sempre uno spazio di manovra.

LA CHIMERA DEI PROFITTI LEGATI ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Più o meno contemporaneamente (cioè a partire dalla fine del 2023) si è discusso a lungo dei benefici effetti dell’Intelligenza Artificiale -AI- sull’economia del pianeta e sulla competizione in atto per poterla dominare. Cosa che ci ha regalato una delle più belle illusioni degli ultimi decenni: quella di straordinari profitti che potrebbero essere accumulati dagli operatori maggiormente in grado di cavalcarne la tigre grazie ad un vero e proprio cambio di paradigma dell’economia.

La “chimera” è consistita nell’attesa di una sorta di corsa all’iper-digitalizzazione dell’industria, dei servizi e della vita domestica, che sarebbe sì in arrivo ma si è visto procedere assai più lentamente di quanto si poteva immaginare. E i cui extra-profitti sono ancora tutti da verificare! La bolla speculativa che si era formata attorno alle “Magnificent Seven” a causa di ciò si è alla fine in parte sgonfiata, ma le quotazioni di alcuni titoli -come NVIDIA- restano ancora sulla luna, anche perché di profitti le grandi multinazionali ne stanno facendo tanti ugualmente.


E’ tuttavia di questi giorni la constatazione del fatto che NVIDIA ha sviluppato profitti record principalmente grazie alle enor i vendite di “microchip” derivanti dagli enormi investimenti in AI messi in campo da pochissime altre grandi imprese americane, mostrando una concentrazione della clientela a dir poco pericolosa. Dal che sarebbe intuitivo attendersi che la bonanza dei super-profitti attesi dal mercato possa non durare in eterno. E se la chimera dei grandi profitti delle multinazionali dovesse dissolversi anche le loro quotazioni stellari potrebbero ridimensionarsi.

LA CHIMERA DEL SOFT LANDING

Le borse hanno poi proseguito con un’altra chimera, quella del “soft landing” dell’economia. Cioè dell’atterraggio morbido dall’impetuosa crescita attuale dell’economia americana ad un suo ordinato e soffice ridimensionamento. L’attesa di “soft landing” ha permesso ai mercati di attendersi una decisa riduzione dei tassi d’interesse di cui abbiamo appena parlato, con la conseguenza che le quotazioni dei listini azionari hanno avuto la scusa per toccare ogni volta nuovi record, salvo poi dover ammettere che -almeno ad oggi- della recessione americana non si vede nemmeno l’ombra! (cosa diversa è per l’UE)

Il mondo occidentale sta insomma inseguendo la ”chimera” del rallentamento “salutare” (cioè morbido) dell’economia quale precondizione essenziale per la discesa dei tassi d’interesse. Ma questa a tutt’oggi non sembra affatto essere in arrivo, quantomeno non in America. E se così sarà si creeranno le condizioni perché cada ancora un’altra chimera: quella del “Merry go round” (cioè della prosecuzione per un tempo indefinito) delle politiche fiscali espansive per la maggioranza dei paesi dell’Occidente industrializzato.

LA CHIMERA DELLA SOSTENIBILITÀ DEI DEFICIT E DEBITI PUBBLICI

Si perché se il costo del servizio del debito pubblico continuerà a restare (com’è oggi) intorno ai 4 punti percentuali, allora la spesa pubblica per interessi si rivelerà molto presto insostenibile per la maggior parte dei governi emittenti. Soprattutto poi se, a far lievitare la spesa pubblica fosse principalmente quella militare, che al momento reclama forti incrementi di budget pubblici, ma nessuno è in grandi di sapere con certezza come farà ad essere sostenibile.

E questo tanto più in presenza di una politica chiara e di lungo termine volta alla “de-dollarizzazione” degli scambi internazionali da parte di un notevolissimo blocco di paesi emergenti aderenti al cosiddetto blocco dei “BRICS” (sigla che in origine raggruppava Brasile, India, Cina e Sud Africa ma cui oggi aderiscono molte altre grandi economie del mondo, il cui totale della popolazione rasenta i 5 miliardi di persone). Questo significa che sarà progressivamente sempre più difficile per l’America esportare i suoi dollari (e i titoli di stato) verso il resto del mondo, dunque poter piazzare ancora i suoi titoli a tassi bassi.


Ma se anche questa “chimera” dovesse venir meno allora lo scenario relativo alle previsioni dei tassi d’interesse quantomeno si biforcherebbe: i tassi d’interesse a breve termine, che sono governati dalle banche centrali potrebbero anche scendere, ma non quelli a lungo termine (cioè quelli dei titoli di stato a 5, 10 e 30 anni), nei confronti dei quali la capacità delle banche centrali di influenzarne i corsi (e dunque i rendimenti) sarebbe probabilmente insufficiente, a fronte di un’offerta di titoli che dovesse superare ampiamente la domanda. Con la conseguenza che la curva dei tassi d’interesse si impennerebbe.

LA CHIMERA DELLA RIVALUTAZIONE DEI BENI RIFUGIO

Non solo, ma se i tassi d’interesse non scenderanno presto e in ragione consistente, nemmeno la ”chimera” della rivalutazione elle criptovalute prenderà valore, anzi rischierà di perderne, così come i prezzi dei metalli preziosi e degli immobili (soprattutto quelli commerciali), che senza un adeguato ribasso dei tassi non potranno mantenere le quotazioni attuali. E questo a prescindere dal fatto che uno o più ETF (fondi d’investimento quotati in borsa) ne amplifichino la base di utilizzatori. Questo vale anche per le quotazioni dell’oro, i cui elevatissimi prezzi a termine (oltre 2700 Dollari l’oncia) riflettono le preoccupazioni degli investitori e i timori di un possibile calo delle quotazioni del Dollaro americano. Timori solo parzialmente giustificati.


LA CHIMERA DELLA SVALUTAZIONE DEL DOLLARO

Si parla infatti da tempo di una possibile svalutazione del Dollaro dovuta al processo di de-dollarizzazione, che in effetti ha preso lentamente piede, nel senso già citato (il progressivo abbandono dell’uso del biglietto verde in un certo numero di transazioni commerciali internazionali). Ma da qui a poter sostenere che già nei prossimi mesi il Dollaro si svaluterà ce ne passa parecchio! Innanzitutto per il fatto che molte “asset class” (categorie di investimento) offrono rendimenti decisamente superiori a quelli di titoli espressi in Euro, Yuan, Yen o Rupie.


Ma poi anche perché la domanda di Dollari è sostenuta dagli investitori che ancora oggi rispettano un principio, quello di diversificazione dell’allocazione degli investimenti a livello internazionale, che resta valido sino a prova contraria, dal momento che una parte consistente delle migliori opportunità di investimento a livello globale restano denominate in Dollari americani.

LA CHIMERA DEI TITOLI “VALUE”

E senza una prosecuzione della corsa dei listini azionari c’è il rischio che cada anche la chimera della ripresa di valore dei titoli a bassa capitalizzazione, in America le quotazioni medie di questi ultimi sono riportate dall’indice RUSSELL 2000 e in Europa da quelli dell’Euronext Growth. Ma perché questi ultimi possano rivalutarsi occorrerebbe che si riversi sui mercati finanziari tanta liquidità, che al momento invece sembra buona ma non sovrabbondante.


Anzi i titoli “sottili” sembrano interessanti proprio in quanto “Value” cioè parte di una categoria d’investimento caratterizzata dall’intrinseco maggior valore rispetto ai titoli appartenenti alla sua alternativa: i titoli “Growth”, cioè quelli che scontano già valutazioni più elevate, non tanto perché nascondano valore intrinseco quanto piuttosto perché esprimono ottime potenzialità.

Sono anni che i vari commentatori economici affermano che prima o poi si sarebbe invertita la tendenza che sino ad oggi ha visto le quotazioni dei titoli “Growth” superare di gran lunga quelle dei titoli “Value”. Ma non è stato così nemmeno durante il “sell-off” del lunedì nero di Agosto. Quello che oramai è chiaro è che i listini di borsa sono mossi quasi esclusivamente dalle azioni delle grandi multinazionali tecnologiche e farmaceutiche, dalle banche e pochissime altre, anche perché continuano a macinare profitti e dunque a giustificare le loro valutazioni stellari.

COSA POTREBBE SUCCEDERE NELL’ULTIMO QUADRIMESTRE

Sebbene non sia mai facile fare previsioni occorre segnalare che le delusioni derivanti da tutte queste “chimere” possono avere effetti pratici, così come li hanno avuti sino ad oggi: ad esempio se i tassi d’interesse non scenderanno quanto si aspetta il mercato probabilmente le borse di tutto il mondo ne prenderanno atto ridimensionandosi rispetto agli attuali livelli.

Così come è possibile che eventuali delusioni relative all’attesa di svalutazione del Dollaro portino al suo opposto: alla sua rivalutazione, soprattutto qualora il clima geopolitico internazionale dovesse peggiorare ulteriormente, in particolare qualora alle prossime elezioni vincessero i repubblicani.

E’altresì possibile che i programmi relativi alla spesa militare che oggi la NATO sta programmando per i prossimi mesi trovino delle significative limitazioni nella riduzione dei budget di spesa dei governi che non riescono a sostenere agevolmente l’onere del programma di riarmo. Quel che potrebbe intervenire è perciò la possibilità che i tassi dei titoli di stato a lungo termine non scendano quanto quelli a breve o addirittura riprendano a salire, nonostante le politiche monetarie delle banche centrali vadano in direzione contraria.


Un altro motivo per il quale i listini azionari potrebbero ridimensionarsi riguarda l’allocazione del risparmio gestito, dal momento che i venti di guerra che spirano impetuosamente potrebbero suggerire prudenza ai risparmiatori che alimentano i grandi fondi di investimento, spostando risorse dal mercato azionario a quello obbligazionario, anche qualora ciò fosse poco razionale. Il risultato sarebbe una riduzione della liquidità in circolazione sui mercati borsistici che potrebbe penalizzare soprattutto i titoli “sottili”.

LA CHIMERA DEL CAMBIO DI PARADIGMA

Dal momento infine che nei prossimi mesi il mercato finanziario internazionale mostra aspettative di un consistente calo dell’inflazione, dei tassi d’interesse e anche del tasso di crescita dell’economia globale, molte altre possibili conseguenze potrebbero svilupparsi qualora ciò dovesse avverarsi solo parzialmente, o non avverarsi affatto, ad esempio a causa del possibile sviluppo di una “seconda ondata” d’inflazione. Ma tutto questo ci riporta inevitabilmente a rammentare che, come recita un noto aforisma usato nel 1922 da Niels Bohr (il quale riprendeva a sua volta un proverbio popolare danese) “è difficile fare previsioni, soprattutto quando queste riguardano il futuro“ !

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 88 – sabato 31 agosto 2024

 

Operazioni in essere : nessuna

Nota : riprendo a scrivere dopo che nel mattino di lu 5 ago avevo definito non operativi i livelli indicati nella precedente N. 87 di sa 3 ago.

GOLD DICEMBRE 24

Segnalo che, come immaginavo, il contratto ottobre 2024 scambia solo 1/20 dei volumi registrati dal contratto dicembre 2024, che quindi si fa preferire per la maggiore precisione degli stop loss. Il DIC FUT vale circa 30 USD più di GOLD CASH.

Veniamo ora all’analisi di GOLD.

Dopo la prima chiusura mensile sopra 1998 verificatasi in nov 2023, GOLD ha sempre dimostrato una grande forza.

Si osservi che, dal minimo mensile di 1984 cash registrato in feb 2024, i massimi mensili sono stati tutti crescenti.

Per entrare al rialzo lo stop loss minimo da inserire ha una ampiezza quasi proibitiva, non solo per i criteri prudenziali di questa Lettera.

Il minimo di agosto è stato 2364 GOLD CASH e l’unico acquisto possibile dovrebbe utilizzare tale minimo quale stop loss, in questo momento, molto ampio.

I minimi settimanali evidenziano un forte supporto nell’area 2277 – 2293 e nulla più.

Il grafico giornaliero è interessato da ampi movimenti intraday, con forte rialzo dal minimo di 2365 circa registrato il 5 ago 2024

Siamo ora ad un nuovo massimo storico e una discesa anche solo a 2450 sembra già un regalo.

In realtà GOLD è espresso in dollari U.S.A. e tale valuta ha perso circa il 3 % in agosto, forse alterando il grafico di GOLD.

Comunque ad ora GOLD è forte e le crepe inizierebbero solo sotto :

– 2353 cash, che fu il minimo della Week 90 dal terzo minimo in area 1616 nell’autunno 2022
– 2277 cash che è il più basso dei tre minimi registrati in maggio – giugno 2024

Potrei acquistare una eventuale, poco probabile, discesa in area 2400 GOLD CASH circa con stop loss 2353 GOLD CASH,

oppure

vendere in area 2530 cash ( 2560 contratto dicembre ) con stop loss 2580 DIC FUT, per finanziare un acquisto anche più alto di 2400 cash.

Quindi lu 2 settembre, sin dal mattino, inserirò i seguenti ordini :

vendo 1 MICRO DIC GOLD a 2560 con stop loss a 2580

e, solo dopo l’eseguito, venderò un secondo MICRO DIC GOLD alla rottura del minimo del giorno in cui fosse stata eseguita la vendita a 2560, ugualmente con stop loss a 2580.

Non venderò sotto 2500 del future dicembre.

SILVER DICEMBRE 24

Segnalo che il contratto sett si avvicina alla consegna e quindi le mie eventuali future operazioni verranno effettuate sul dicembre, che vale circa 45 cents in più, vale a dire + 1,5 %, veramente molto.

Avevo scritto :

“Anticipo ai lettori che vi sono segnali temporali di possibile inversione tra lu 22 luglio e venerdì 2 agosto, con impulsi in area 32,50 – 33, per vendere in forza ( aggiornamento : il livello alternativo di questi segnali è tra 26 e 27, per comprare in debolezza )”

Cosa è successo dopo aver scritto queste righe, nelle Lettere da N. 80 a 84 ?

è sceso fino a 26,45 gio 8 ago ben al di sotto dell’unico pivot visibile che era 28,57 e che non mi convinceva, ritenendo che SILVER si trovi ora in stato di debolezza relativa a GOLD, dopo che era salito del 48 % in soli tre mesi.

Il livello di 26 27 è stato raggiunto e l’acquisto si poteva fare, ma non compatibile con la scelta tassativa di questa Lettera di inserire lo stop loss sin dalla ipotesi di apertura dell’operazione.

DOW JONES INDU CASH

DJ continua a sentire molto la forza di attrazione della nota trend line tracciata dal minimo di ott 2022 , il cui ritracciamento al 50 % è stato sfiorato una sola volta in ott 2023 e mai più avvicinato.

Avevo scritto : “Una vendita appare a rischio controllato non sotto 40700 – 41000 di DJ CASH. Serve un rimbalzo del 3 %. Non pochissimo.”

DJ è riuscito a salire da 38499 a 41585 in sole 19 sedute da lu 5 ago a ven 30 ago, riportandosi ai massimi, ancora una volta ( poco ) sopra la trend line settimanale da ott 2022, tracciata molto tempo fa dal minimo di 28660.

Potrebbe bastare per fermarsi, ammirare le indubbie qualità estetiche di questo doppio massimo e tornare un po’ indietro.

Allego un grafico a candele mensili con evidenza in giallo degli outside.

Sono solo 5 in quasi 60 mesi, tutti, salvo dic 2021, forieri di ampi movimenti.

Quindi mi chiedo se l’outside rialzista di agosto possa scatenare, come nei casi evidenziati in giallo un importante movimento ( rialzista ), oppure se la eventuale, ora quasi non immaginabile, rottura del minimo di 38499 sia il vero punto di interesse.

Vedremo.

NASDAQ 100 CASH

Segnalo che ha perso 3256 punti (circa il 16 % ) da 20691 a 17435 in soli 18 gg; una discesa che non si vedeva da luglio – ottobre 2023, ma allora, per fare un calo del 13 %, impiegò 13 settimane, una intera stagione.

Dopo il 5 agosto non ha offerto né un doppio minimo, né una laterale idonea a individuare uno stop loss contenuto per cercare un acquisto, che volevo eseguire per finanziare il rischio di piazzare una vendita intorno al doppio massimo assoluto.

Poi è salito a 20000.

Vedo sul grafico giornaliero una gap aperto in area 20200 intorno al 10 luglio ; area ideale per una vendita.

L’ operazione purtroppo appare non adatta ad una Lettera settimanale, salvo che NAS 100 offra intorno a 20200 – 20500 quella laterale che non abbiamo avuto dopo il 5 agosto a 17435.

 

Leonardo Bodini

 




QUANDO SCENDERANNO I TASSI ?

L’appuntamento estivo dei banchieri centrali a Jackson Hole è stato spesso in passato l’occasione per affermare le indicazioni di fondo e coordinarsi tra loro in tutto il mondo. E stavolta l’incontro non ha deluso le attese: Jerome Powell, governatore della maggiore banca centrale, la Federal Reserve Bank of America (FED), sembra aver parlato con sufficiente determinazione: ”è giunto il momento di riaggiustare la politica monetaria“ nel senso di un allentamento della stretta operata due anni fa. Ma quanto manca perché si passi dalle dichiarazioni ai fatti? I tassi scenderanno anche a casa nostra?

 

ALLA RICERCA DELL’AUTOREVOLEZZA

A dire il vero negli ultimi anni le banche centrali di autorevolezza ne hanno persa parecchia. E infatti il tema del simposio non poteva parlare più chiaro: “Riaffermare l’efficacia delle politiche monetarie”. Viviamo in un’epoca in cui le principali divise monetarie sono dette “fiat currencies”, perché non risultano legate a particolari riserve di valore e dunque battono una moneta che prescinde dal cosiddetto “valore intrinseco” originario. Pertanto le politiche monetarie, per risultare efficaci, debbono riuscire ad avere un impatto sull’economia reale. E di norma una buona maniera per farcela è quella di anticipare gli eventi, piuttosto che reagire pedissequamente di conseguenza.

LA STORIA RECENTE

Due estati fa i banchieri centrali erano rimasti beffati dagli eventi e a Jackson Hole commentarono assai poco il rapidissimo aumento dei tassi d’interesse cui furono costretti per via dell’inflazione, inizialmente da essi giudicata con troppa superficialità “temporanea”, chiudendo però di fatto il recinto dopo che i buoi erano fuggiti. L’anno scorso questi tassi sembravano aver raggiunto la vetta. Ma poi ci sono rimasti un anno intero, senza scendere mai, dal momento che l’obiettivo al 2% dell’inflazione continuava a venire mancato.


Nemmeno l’anno scorso pertanto a Jackson Hole ci si è detto granché, segnalando semplicemente la volontà delle banche centrali di adeguare le politiche monetarie ai dati statistici quando questi avessero segnalato il calo dell’inflazione (la c.d. “data dependency”). Rinunciando in tal modo di fatto a quel ruolo che le banche centrali dovrebbero normalmente avere, anticipando e “guidando”l’andamento dell’economia reale. Non soltanto: spesso le politiche monetarie “data dependent” di fatto assecondano i movimenti del mercato finanziario, più che quelli dell’economia reale, amplificandone le oscillazioni invece di contrastarle.

Non solo dunque negli ultimi tempi FED & compagni hanno letteralmente “perso la faccia”, ma occorre notare che in tutto questo periodo sono lievitati decisamente anche i tassi d’interesse a lungo termine, cioè quelli pagati per interessi dai governi di tutti i Paesi occidentali, notoriamente stra-indebitati, con effetti ovviamente avversi sui bilanci pubblici. Senza contare il fatto che i tassi d’interesse elevati sui finanziamenti ad aziende e privati prelevano ricchezza dall’industria e dal commercio per ingrossare i redditi della finanza, frenando in tal modo lo sviluppo economico.


COME CAMBIERANNO LE VALUTAZIONI D’AZIENDA

I tassi a lungo termine poi risultano cruciali per le valutazioni d’azienda, soprattutto per quelle piccole e indebitate. Non per nulla le quotazioni delle imprese quotate al segmento Growth delle Borse Euronext sono scese moltissimo negli ultimi anni, talvolta sotto al patrimonio netto. Lo stesso vale per l’indice americano Russell 2000, che solo recentemente ha ripreso un po’ di fiato. In America anche a buona ragione, visto che ancora il 40% dei titoli di questo indice stenta a produrre profitti!


Dunque stavolta l’indicazione fornita dal banchiere dei banchieri appare inequivocabile. Potrebbe inaugurare una stagione di ribassi dei tassi e di rialzo dei titoli azionari “sottili”, soprattutto se in autunno sarà seguita da un comportamento coerente, conseguente (e auspicabilmente graduale) all’annuncio dato. La FED potrebbe anzi essere finalmente tornata ad anticipare i mercati, di fatto realizzando una “guidance” che non può che risultare benefica e stabilizzatrice, soprattutto se il “taglio” dei tassi interverrà prima (o in assenza) di una recessione economica americana, sebbene le parole di Powell siano rimaste vaghe relativamente alla tempistica e all’ampiezza della manovra.

LA DEBOLEZZA DEL DOLLARO

I contratti derivati sui mercati finanziari internazionali infatti scontano già una discesa entro la fine dell’anno dei tassi a breve termine (quelli governati dalla FED) di almeno un punto percentuale pieno (vale a dire dal 5,25% al 4,25%), che poi è esattamente il differenziale attuale con il tasso di sconto praticato dalla Banca Centrale Europea. E i mercati sembrano avere preso molto sul serio questa indicazione, tanto che il Dollaro americano si è immediatamente deprezzato, cosa entro certi limiti positiva un po’ per tutti, dal momento che in passato la sua forza aveva creato importanti e inutili squilibri nel commercio globale. Ovviamente rimane da tenere in conto la possibile evoluzione delle tensioni geopolitiche oggi in atto, prima di poter affermare che il biglietto verde continuerà la discesa.


La Banca Centrale Europea (BCE) ad esempio, la cui euro-zona a differenza dell’economia americana già da un paio d’anni non cresce, non può quindi permettersi una Divisa Unica troppo forte ed è piuttosto probabile che calerà di conseguenza ulteriormente il suo tasso di sconto.

LA ZONA EURO

Nel recinto della zona Euro tuttavia ci vorrà ancora parecchio prima di poter tornare a parlare di efficacia delle politiche monetarie della BCE. E’ dai tempi di Mario Draghi infatti che la banca centrale non mostra alcun segno di autonomia rispetto a quella degli Stati Uniti d’America. Non per niente le uniche economie che danno segni di risveglio nel vecchio continente sono quelle che non hanno adottato l’Euro, come la Svizzera, la Norvegia, i paesi dell’Est Europa e -ultimamente- il Regno Unito.

Eppure la BCE ha un ruolo fondamentale per assicurare la stabilità dei debiti pubblici delle diverse nazioni che vi aderiscono. Dunque avrà molta più necessità della FED di tentare di guidare al ribasso i tassi d’interesse pagati sul debito pubblico. E anche la struttura industriale del vecchio continente ha un deciso bisogno di ridurre la spesa per interessi, dal momento che la produzione arranca e i consumi ristagnano.

Ma soprattutto l’Euro-zona deve riprendere pesantemente a investire nelle nuove tecnologie, essendone rimasta fortemente arretrata. E oggi con i tassi d’interesse attuali e con la scarsa liquidità in circolazione, né le imprese né i governi possono permetterselo. Ecco in breve per quali ragioni i tassi d’interesse, a prescindere dal fatto che in America si materializzi o meno una recessione (che di fatto in Europa c’è da un bel po’ di tempo), dovranno necessariamente scendere parecchio.


QUANTO DURERÀ LA DISCESA ?

Quando ciò potrebbe accadere tuttavia non è così chiaro, dal momento che l’inflazione dei prezzi è rimasta strisciante e dal momento che il suo calo appare soprattutto dovuto al ribasso dei prezzi delle materie prime, più che ai consumi (che erano già risicati In Europa e che non sono calati invece negli USA). Le guerre potrebbero spingere nuovamente al rialzo il prezzo del petrolio, cioè quello dell’energia, che in Europa risulta un nervo scoperto, dopo il taglio del gas importato dalla Russia. Dunque è possibile che, dopo le elezioni americane, questi prezzi riprendano a correre, con il rischio che riparta l’inflazione, tagliando forse le gambe alle volontà dei banchieri centrali. Ma non alle loro necessità. Almeno per un po’ i tassi dovranno scendere ugualmente, per riportare in equilibrio la spesa pubblica per interessi.

E’ quindi possibile che presto i tassi d’interesse vengano guidati al ribasso dalle banche centrali “a prescindere” dalle notizie statistiche sull’inflazione, ma sul lungo termine non è detto che potranno restare bassi. Non importa: oggi i mercati finanziari ne hanno comunque già ricevuto un sollievo: i titoli di stato si sono rivalutati (anche per la diminuita allerta sulla capacità dei governi di remunerare il servizio del debito) e si sono visti recuperi delle quotazioni dei titoli azionari di minor dimensione ovvero di quelli alle prese con maggiori oneri finanziari.

E I TASSI PRATICATI ALLE IMPRESE SCENDERANNO ?

Anche gli interessi sul debito (e i relativi “spread” praticati sul tasso interbancario) potrebbero manifestare una riduzione con i prossimi “tagli”, dal momento che la fine delle politiche monetarie restrittive dovrebbe anche consentire maggior liquidità al sistema bancario e provocare dunque maggior disponibilità di credito. Questo però potrebbe valere per i finanziamenti erogati sul mercato dei capitali dagli intermediari finanziari non bancari, i quali in tal modo potrebbero riallinearsi alle condizioni praticate dal sistema bancario.


Le banche invece non ci stupirebbe che mostrino -anche in fase di allentamento delle politiche monetarie- una qual certa rigidità al ribasso dei tassi praticati al pubblico, per due grandi motivi:

  • il primo è che non esiste praticamente più la concorrenza in ambito creditizio, e
  • il secondo motivo sono le innumerevoli “regolamentazioni” del capitale proprio come calcolato ai fini di vigilanza, che impongono agli istituti politiche del credito sempre più severe e dunque sempre minor disponibilità per i soggetti più deboli.

Come dire peraltro che, anche qualora tutto andasse nel migliore dei modi, i tassi scenderanno per tutti, tranne che per buona parte delle piccole imprese italiane! Sic transit pecunia mundi…

Stefano di Tommaso




NON RESTA CHE L’ORO

In attesa di una panoramica più precisa che potrebbe emergere dal convegno annuale dei banchieri centrali di tutto il mondo la settimana prossima a Jackson Hole (stavolta sembrano fare molto sul serio e il tema prescelto riguarda proprio la loro credibilità: “riaffermare l’efficacia delle politiche monetarie”) gli analisti si interrogano tanto sulle prospettive dell’economia reale quanto su quelle dei mercati finanziari. Nel dubbio, il metallo giallo appare come la sponda più sicura…

 

LE PROSPETTIVE DELL’ECONOMIA REALE E QUELLE DEI MERCATI FINANZIARI

Le prime, per una volta, sembrano oggi più legate alle seconde di quanto storicamente sia successo e i motivi sono strettamente congiunturali:

  • i mercati borsistici hanno ripreso vigore ma, al tempo stesso, appaiono decisamente sopravvalutati, anche grazie all’euforia per le nuove tecnologie e i profitti aziendali;
  • le tendenze macroeconomiche che a fine Luglio lasciavano presagire una recessione oggi sembrano migliorate, ma restano pur sempre incerte, non avendola fugata del tutto.

Dunque le borse valori restano liquide e speranzose in un allentamento della politica monetaria da parte delle banche centrali, ma temono segnali di una possibile recessione dall’economia reale. Che però, ancora una volta, tarda ad arrivare, almeno per il continente americano.

Nel frattempo ci si interroga però sulla sostenibilità degli attuali livelli dei listini borsistici, dal momento che sono vicini ai massimi storici di sempre.

LE BORSE SONO SOPRAVVALUTATE?

Per comprendere se le borse sono sopravvalutate, tre sono i parametri più comuni per la valutazione delle imprese quotate: il CAPE (rapporto prezzo/utile aggiustato ciclicamente), il P/E forward (rapporto prezzo/utile basato sugli utili previsti per l’anno in corso o quello successivo) e infine il ”Modello Fed”, che confronta i rendimenti degli utili azionari con quello dei rendimenti obbligazionari. Tutti e tre suggeriscono che le quotazioni delle grandi multinazionali quotate sulle borse americane sono attualmente sopravvalutate, non solo rispetto ai livelli storici, ma anche rispetto a quelle delle imprese di più piccole dimensioni, a quelle degli altri mercati finanziari internazionali, alle obbligazioni societarie e ai titoli di stato. Secondo questi indicatori il recente rimbalzo delle azioni a grande capitalizzazione (dopo il “lunedì nero”) potrebbe essere un fenomeno ingannevole, destinato a ridimensionarsi.

L’INDICE ”CAPE”

sviluppato dal professor Robert Shiller, è un parametro popolare tra gli investitori per esaminare le valutazioni espresse dal mercato. Secondo questo parametro l’indice di Wall Street Standard & Poor’s 500 è attualmente valutato 35 volte gli utili medi dell’ultimo decennio, aggiustati per l’inflazione, il che lo rende il terzo parametro più caro della storia, dalla fine del XIX secolo. E’ persino più caro di quello del picco delle quotazioni azionarie prima della crisi del 1929.

I

L RAPPORTO P/E FORWARD

si basa sulle previsioni degli utili degli analisti, è stato monitorato dal 1985 da IBES (ora parte del London Stock Exchange Group). Come il CAPE, il P/E forward suggerisce che le quotazioni azionarie sono in media attualmente molto elevate, anche se leggermente più economiche rispetto agli anni di picco del 2000 e della fine del 2020.

IL “MODELLO FED”

coniato dallo stratega Edward Yardeni alla fine degli anni ’90, confronta il rendimento implicito dei titoli azionari (utile per azione diviso per il loro prezzo di mercato) con i rendimenti dei titoli obbligazionari considerati privi di rischio. Spesso utilizzato per determinare il premio per il rischio dell’investimento azionario, attualmente esso indica una certa sopravvalutazione di quest’ultimo. Un mese fa, quando i rendimenti dei Treasury a 10 anni erano più bassi, l’S&P 500 era al suo livello più caro dal 2002.


Anche se lo spavento sui mercati finanziari sembra oggi quasi del tutto rientrato, tuttavia gli investitori, nel tornare alla normalità, tendono ad esprimere maggiore prudenza e approfittano della rotazione dei portafogli in corso per selezionare meglio i titoli.

I TASSI A LUNGO TERMINE NON SCENDONO

Al tempo stesso è durata poco anche la grande domanda di titoli a reddito fisso che era conseguita alla forte volatilità delle borse valori. La situazione di timore aveva portato al rialzo le quotazioni dei titoli obbligazionari e dunque al ribasso i tassi d’interesse a lungo termine espressi da questi ultimi. Oggi siamo quasi ritornati alla situazione pre-crisi e sì spiega anche così il ritorno al 4% del rendimento dei titoli decennali del Tesoro americano.

I gestori del risparmio tuttavia, fugato lo spavento, devono fare i conti non soltanto con l’ipotesi di una recessione (che per il momento sembra quantomeno rinviata all’anno prossimo), bensì anche con la possibilità di nuovi importanti conflitti bellici. Senza peraltro tralasciare né i rischi collegati all’eccesso di indebitamento di tutte le principali nazioni, e nemmeno le forti analogie dell’attuale congiuntura con la situazione del 2008 prima dell’innesco della grande crisi: la sovrabbondanza di strumenti finanziari derivati quali l’eccesso di indebitamento del sistema nel suo complesso, l’artificialità della liquidità che oggi droga le valutazioni dei mercati, o la precarietà dei bilanci delle principali banche del pianeta (in difficoltà per i finanziamenti concessi al settore immobiliare e detentrici di grandi quantità di titoli di stato, a loro volta a rischio di default).

IL METALLO GIALLO COME PRINCIPALE BENE RIFUGIO

I gestori del risparmio e gli investitori istituzionali hanno poi davanti a loro l’incubo della riduzione del potere d’acquisto dei risparmiatori, che potrebbe spingerli a ridurre gli investimenti finanziari per preferire la liquidità o i beni rifugio, come l’oro appunto. Lo scorso venerdì le sue quotazioni hanno superato di slancio i 2500 dollari l’oncia segnando non solo un record storico, ma anche l’avvio di una stagione di possibili consistenti ulteriori rialzi!

Non soltanto infatti il picco della volatilità dei corsi borsistici ha spaventato i più, ma la tendenza di fondo del mercato lascia temere che la volatilità non si fermerà agli acquazzoni di inizio Agosto. Forse anche per questo le banche centrali di tutto il mondo stanno accumulando da anni riserve in oro fisico, come si può leggere dal grafico qui riportato:

GLI INVESTITORI ORA SONO PIÙ PRUDENTI

Nel grafico qui sotto riportato si può vedere quale effetto abbia avuto sul risparmio gestito lo spavento che è seguito al “lunedì nero”.

Inoltre i timori di una recessione non sono stati completamente fugati. Spaventa ad esempio la posizione di allerta espressa da Goldman Sachs a proposito delle prospettive di disoccupazione americane, come si può leggere dal grafico qui sotto riportato riguardo alle previsioni per le buste paga non-agricole nel terzo trimestre 2024:


I TASSI D’INTERESSE SONO ATTESI IN CALO

La conseguenza pratica dei timori per l’economia reale è che il mercato finanziario sta prezzando una decisa riduzione del tasso di sconto (di oltre un punto e mezzo percentuale rispetto agli attuali livelli) da parte della banca centrale americana, cui potrebbero fare seguito quasi tutte le altre banche centrali, come si può vedere dal grafico qui riportato.

Ora però il punto è che il prezzo di mercato delle opzioni non fornisce certezze riguardo ai tagli dei tassi, bensì solamente delle aspettative. E nei prossimi mesi ancora una volta le attese di mercato potrebbero risultare fallaci, (cioè la Federal Reserve potrebbe tagliare i tassi di minor misura o più lentamente). Questo potrebbe accadere per mille e un motivo, anche qualora l’economia americana dovesse risultare in rallentamento (il che appunto non è una certezza).

CONCLUSIONI

Se però ancora una volta le aspettattive di taglio dei tassi d’interesse dovessero rimanere deluse, le quotazioni dei principali indici azionari a Wall Street, oggi tarate su quelle attese di mercato, potrebbero scendere. E il prezzo dell’oro, oggi visto più che mai come bene rifugio per eccellenza, al riparo anche da possibili nuove sorprese dell’inflazione, potrebbe salire ancora una volta!

Non è dunque un caso che il mercato a termine (futures) esprima attese al rialzo per il metallo giallo, visto come una riserva di valore migliore di molti altre categorie di investimento e, per di più, suscettibile peraltro di ulteriori rivalutazioni anche qualora i tassi d’interesse dovessero scendere. Come si può vedere dal grafico qui sopra riportato, che indica l’andamento crescente del prezzo dell’oro espresso dai contratti futures :

Stefano di Tommaso