LA FESTA E’ DAVVERO FINITA?

L’America sembra aver dismesso l’entusiasmo dilagante per le nuove tecnologie legate all’intelligenza artificiale che prospettavano una seconda rivoluzione digitale, così come sembra che dopo il “lunedì nero” sia aumentato il numero di scettici sul “soft landing” e, in teoria, molti speculatori sono stati costretti ad abbandonare la giostra del “carry trades” sullo Yen giapponese che li spingeva a gonfiare i portafogli di titoli azionari con “denaro facile”. Anche la liquidità del mercato azionario sembra essersi improvvisamente ridotta a causa del grande travaso di denaro, fuggito verso il mercato dei titoli a reddito fisso dopo l’impressionante altalena delle quotazioni della scorsa settimana. Per non parlare della probabile “fine di un’epoca” di calma piatta sul fronte della volatilità delle borse, adesso ritornata a livelli elevati che non si vedevano da mesi.

 

”HARD LANDING” O ”SOFT LANDING”?

D’altra parte gli ultimi dati macroeconomici pubblicati lasciano presagire una prospettiva di rallentamento dello sviluppo economico, una disoccupazione in ulteriore crescita (dunque un possibile calo dei consumi all’orizzonte) e poi gli investitori professionali non dormono tranquilli di fronte all’ulteriore pericolo di una nuova grande guerra tra Oriente e Occidente che, ovviamente, scombussolerebbe non poco la sua stabilità finanziaria. Qualcuno addirittura torna a parlare di “hard landing” (alla lettera: atterraggio duro, cioè passaggio brusco dall’espansione alla recessione) mentre fino a un paio di settimane fa c’erano analisti che prospettavano addirittura un “no landing” (vale a dire nessun rallentamento dell’economia).


DEBITI PUBBLICI FUORI CONTROLLO

Se poi vogliamo completare il quadro degli elementi congiunturali che preoccupano occorre ricordare il fatto che i bilanci pubblici di tutte le principali economie del pianeta sono appaiono non solo costantemente in deficit, ma addirittura i debiti pubblici che ne conseguono stanno addirittura accelerando la loro crescita e che, ovviamente, questo determina la difficoltà dei tassi d’interesse a scendere in modo più deciso e l’improbabilità di una riduzione più marcata dell’inflazione dei prezzi, a causa della svalutazione monetaria che rappresenta l’ovvia conseguenza della monetizzazione progressiva operata dalle banche centrali su una almeno una parte dell’enorme massa di debito pubblico.

ADDIO ALL’ERA DI “GOLDILOCKS”?

Come si può constatare dai fatti appena citati insomma, nelle scorse settimane gli operatori economici sembrano essersi improvvisamente risvegliati dal letargo in cui erano caduti per mesi, coccolati dalle ottime prospettive dipinte dagli economisti ispirati dalla filosofia di “Goldilocks” (la bambola dai riccioli d’oro). E quel risveglio li ha costretti a prendere atto di tutti i rischi appena indicati. Che sembrano averli convinti del fatto che, almeno per le borse, ”l’aria che tira” sembra essere definitivamente cambiata.

Ma sarà davvero così oppure si tratta di un giudizio che rischia di risultare quantomeno affrettato? È vero che grande è stato lo spavento appena vissuto con il “lunedì nero” dei mercati finanziari. Ed è altrettanto vero che quei rischi testé citati , occorre fare chiarezza, esistono eccome! C’è anche tuttavia -incredibilmente- sull’altro piatto della bilancia una lunga serie di ulteriori indicazioni economiche e finanziarie le quali potrebbero spingerci invece a rivedere all’insù le prospettive macroeconomiche.

MOLTI DATI MACRO SONO POSITIVI

Neanche a citare insomma Mark Twain, quando spiegava che tracciare previsioni è sempre molto difficile, specialmente se riguardano il futuro! Non soltanto infatti sono ancora ottime le attese di crescita per il terzo trimestre (quello in corso) del prodotto interno lordo americano, il quale di solito anticipa quello di buona parte del resto dell’Occidente. Non soltanto la corsa globale all’acquisto di armamenti procura un indubitabile stimolo alla crescita economica


Wall Street ora si aspetta numerosi “tagli” dei tassi d’interesse dalla banca centrale, i quali potrebbero avere un ulteriore effetto di stimolo per l’economia. E, soprattutto, è rimasta l’aspettativa di una copiosa crescita dei profitti delle società quotate, misurabile indirettamente dalle condizioni implicite dei mercati finanziari in una crescita media -per le imprese americane- del 12% da qui a fine anno. Ben oltre dunque le attese sulla crescita del prodotto interno lordo (circa il 2,5%) e di quelle sulla produzione industriale, che viene addirittura prevista sotto zero anche quest’anno.

LE BANCHE CENTRALI

C’è inoltre da tenere conto del fatto che la possibile inversione di rotta delle banche centrali, sebbene già considerata tardiva dalla maggior parte degli osservatori, comporterà non soltanto la riduzione dei tassi d’interesse a breve termine (quelli a lungo termine sono appena calati vistosamente quando i disinvestimenti dalle borse hanno fatto crescere le quotazioni dei titoli a reddito fisso riducendone la redditività implicita) bensì anche l’allentamento della politica monetaria, cosa che potrebbe rilanciare la liquidità.


E quest’ultima può risultare forse il primo e più importante fattore a favore della ripresa della corsa dei listini azionari. Dopo una pausa estiva che per fattori stagionali è quasi sempre ballerina e dopo un inizio d’autunno che potrebbe addirittura risultare riflessivo, molti analisti sono pronti a scommettere che le borse nell’ultima parte dell’anno potrebbero addirittura segnare nuovi record!

MY TAKE

Non ne sarei però così sicuro, per un numero infinito di ragioni pratiche che riguardano innanzitutto la psicologia prevalente sui mercati nonché le caratteristiche implicite dell’industria del risparmio gestito, che a un certo punto ha bisogno di fare cassa per soddisfare le richieste di recesso da parte dei sottoscrittori e che per farlo sarà costretta ad abbandonare altre posizioni azionarie. Non soltanto: il possibile calo dei tassi d’interesse potrebbe affliggere le prospettive di guadagno delle principali istituzioni finanziarie e rilanciare gli investimenti in immobili, che fino ad oggi risultano depresse. Due elementi che, inevitabilmente, possono ridurre almeno in parte la corsa gli investimenti in titoli azionari. Ma il ragionamento sopra riportato, espresso da chi si aspetta altri avanzamenti del listino di borsa, non fa una piega. Spesso le borse salgono quando l’economia rallenta e viceversa.


“MAGNIFICENT SEVEN” VS. “RUSSELL 2000”

Così come occorre tener conto della caratteristica principale dell’ultimo clamoroso movimento prima al rialzo e poi al ribasso dei principali indici di borsa: questi ultimi erano mossi quasi esclusivamente da pochissime grandi multinazionali tecnologiche e, dopo lo sgonfiamento dell’ultima bolla speculativa e le prese di profitto di chi ci aveva costruito grandi plusvalenze, era abbastanza normale attendersi un brusco ribasso di quegli stessi indici. Queste imprese tuttavia continuano a macinare grandi profitti e a investire pesantemente sul futuro: due fattori che molto probabilmente impediranno loro di cadere in disgrazia, nonostante la rotazione dei portafogli.


Nel medesimo ultimo anno tuttavia erano rimaste al palo le quotazioni di un notevole numero di titoli azionari emessi da società quotate di minori dimensionI: quelle rappresentate dall’indice “Russell 2000” a Wall Street. Anche a causa del fatto che la categoria di queste ultime è rimasta segnata più delle altre dal rialzo dei tassi d’interesse, ora essa potrebbe beneficiare più delle altre di un loro eventuale ribasso, e non soltanto in America. Casomai il punto è -in questo caso- lo “stock picking”: ci sarà un’ovvia selezione delle imprese più promettenti e dei settori considerati più “sexy”, dal momento che lo scenario di fondo dell’economia non è tale da consentire facili entusiasmi.


Ma basteranno quei -pochi- titoli più proiettati verso il futuro a trascinare al rialzo indici borsistici come lo “Standard & Poor 500”? Probabilmente no. Non basteranno. Occorre tenere conto del peso specifico di giganti come Apple, Google, Microsoft o Tesla per riuscire a orientarsi sul listino di New York. E questi ultimi sono tutti fortemente dipendenti dall’andamento futuro dei consumi per poter continuare a macinare grandi profitti. Il ragionamento dunque torna in maniera circolare alle attese relative allo sviluppo economico, ai salari, alla disoccupazione e al conseguente potere d’acquisto dei consumatori, che anche per le borse valori risultano fondamentali.


OLTRE LA “SAHM RULE”

Per riuscire a pronosticare la recessione è interessante un nuovo indicatore simile alla “Sahm Rule” che però combina i dati sui posti di lavoro vacanti e quelli sulla disoccupazione. Si basa sulla differenza tra la media finale a 3 mesi del tasso di disoccupazione e il suo minimo negli ultimi 12 mesi -da un lato- e la differenza tra la media finale a 3 mesi del tasso di posti di lavoro vacanti e il suo massimo negli ultimi 12 mesi, dall’altro. Quando l’indicatore raggiunge il livello di 0.3 una recessione potrebbe essere in arrivo; quando arriva a 0.8 la recessione è iniziata di sicuro.

Questo indicatore rileva la recessione prima della Sahm Rule cioè 1/2 mesi dopo il suo inizio, mentre la Sahm Rule la rileva almeno un mese dopo. Tracciando con questo indicatore i dati storici si esso identifica perfettamente tutte le recessioni dal 1930, mentre la Sahm Rule non funziona prima del 1960. Con i dati di luglio 2024. Oggi l’indicatore è a 0,5, quindi la probabilità che l’economia statunitense sia già in recessione è del 40%. In effetti, la recessione potrebbe essere iniziata già nel marzo 2024.

 

Stefano di Tommaso




LA RECESSIONE ORA È PIÙ PROBABILE

Mentre gli ultimi dati economici forniscono segnali negativi la Federal Reserve Bank of America (FED) ha ignorato le attese e non ha abbassato i tassi, scatenando il panico sui mercati finanziari, che hanno chiuso una settimana molto negativa e ne hanno iniziato una addirittura peggiore. Il “sell-off” ha riguardato tutte le borse valori del pianeta ma si è concentrato sulle due categorie che fino a ieri erano sugli scudi: le tecnologie e la finanza. A complicare poi il quadro congiunturale si aggiunge la quasi certezza di un nuovo conflitto mediorientale che getta altra benzina sul fuoco del panico.

 


LA RECESSIONE E’ INEVITABILE ?

Non ci sono al momento segnali assoluti recessione in America e l’Europa arrancava da tempo. Ma si accumulano molti elementi che la rendono più probabile. E se la fiducia degli operatori scema e i consumi flettono, allora il costo troppo alto del denaro inizia a pesare molto più di prima. Scoraggia gli investimenti che aiuterebbero il diffondersi delle nuove tecnologie e riduce l’incentivo alle fusioni e acquisizioni tra imprese, le quali generano efficienza e rilanciano le iniziative di sviluppo.

 

Proprio negli USA, cioè nella patria delle grandi multinazionali tecnologiche e dei più importanti costruttori di armamenti (in un momento in cui tutto il mondo li sta rinnovando), l’indice dell’attività manifatturiera ha continuato a scendere negli ultimi otto mesi di fila!

Dato anche il peso degli enormi debiti pubblici dell’Occidente che necessitano continuamente di essere rifinanziati (sino a ieri a tassi pericolosamente crescenti), si diffonde ora il timore di passare in poco tempo dall’inflazione alla recessione senza alcun ammortizzatore.

LA SAHM RULE

C’è un indicatore in proposito che non si è praticamente sbagliato mai in precedenza: la cosiddetta Sahm Rule, che stavolta sembra aver superato la soglia di attenzione (che nel grafico qui sotto viene chiamato “recession trigger”).

I MERCATI FINANZIARI

Nell’ultima settimana hanno stigmatizzato questa preoccupazione generalizzata e di conseguenza i listini sono calati bruscamente, in funzione di una doppia rotazione dei portafogli da parte dei gestori del risparmio: da un lato si diffonde una certa sfiducia nella capacità delle “big tech” di trasformare i grandi investimenti nelle nuove tecnologie legate all’intelligenza artificiale in maggiori profitti. Cosa che ha generato una forte presa di beneficio sui titoli delle multinazionali tecnologiche e poi nella giornata di lunedì 5 agosto si è trasformato in panico: la borsa di Tokyo addirittura ha segnato un -12,4% in un giorno solo, cosa che non accadeva da quasi 40 anni!


Non sarebbe la prima volta che l’intervento tardivo delle banche centrali nel ridurre i tassi d’interesse sortisca l’effetto di stroncare l’economia. Ma la vera recessione che potrebbe interessare le borse valori sarebbe invece quella dei profitti: questi dipendono dalla capacità dei consumatori di mantenere la loro propensione alla spesa anche in presenza di un credito più caro. Cosa che a sua volta è funzione dell’occupazione e dell’incremento dei salari. Qui sotto un indice elaborato da Citibank che non promette nulla di buono:


Ma la rotazione dei portafogli più imponente è quella della transizione dal mercato azionario a quello del reddito fisso (per motivi prudenziali) e dalle attività finanziarie ai beni-rifugio (come i metalli preziosi), in risposta alle attese di un calo generale dei consumi e della progressiva perdita di valore delle principali divise di conto valutario (a causa della monetizzazione dei debiti pubblici) ha già provocato sul reddito fisso un deciso calo dei rendimenti che i mercati attendevano dalle banche centrali.

Tutto ciò rilancia per l’Occidente il rischio di mancare quel “soft landing” (atterraggio morbido) che avrebbe aiutato a sostenere gli investimenti per la diffusione dell’intelligenza artificiale e per la transizione ecologica. Avrebbe cioè tenuto in piedi quei programmi di spesa delle imprese che a loro volta sostengono l’occupazione e consentono loro di incrementare il gettito fiscale delle amministrazioni pubbliche in costante deficit.

L’EUROPA È IN RITARDO ANCHE SULLE ASPETTATIVE

Il fatto è che la capacità di spesa dei consumatori era già stata messa a dura prova dai morsi dell’inflazione (soprattutto in Europa). E oggi i settori più colpiti dal calo delle aspettative di valore sono quelli più dipendenti dall’atteggiamento dei consumatori. I tassi elevati nel credito al consumo danneggiano soprattutto la spesa per beni durevoli, come ad esempio i veicoli, gli elettrodomestici i mobili e la spesa per le abitazioni.


Non è tuttavia un caso che i consumatori più ottimisti della zona euro sembrano quelli residenti in una delle aree apparentemente più in crisi d’Europa: la Germania. La contraddizione tra la fiducia dei consumatori e il calo del prodotto interno lordo è stata evidenziata la settimana scorsa, quando il paese che pare l’unico dell’Euro-zona ad aver subito un forte calo industriale anche nel secondo trimestre dell’anno ha, al tempo stesso, mostrato un deciso miglioramento dell’atteggiamento dei suoi consumatori: secondo un indicatore pubblicato dalla Commissione europea, essa è ora appena al di sotto del livello in cui si trovava a febbraio 2022, cioè prima della guerra in Ucraina e del violenta risalita dell’inflazione. Né la Francia né l’Italia sono minimamente vicine a quella soglia.


La divergenza tra i consumatori tedeschi, può tuttavia essere spiegata almeno in parte dall’importante adeguamento degli stipendi al maggior costo della vita, che in Germania è stato più consistente che altrove. Nel primo trimestre del 2024 i lavoratori tedeschi hanno registrato addirittura il più elevato aumento dei salari reali dal 2008.

Tuttavia, quale che sia la ragione per cui i consumatori tedeschi sono più tranquilli di quelli del resto d’Europa, questa potrebbe durare poco se le imprese non riusciranno a continuare ad aumentare i salari. Il numero di fallimenti in Germania è ai massimi dall’estate del 2016 e sino ad oggi i sussidi pubblici hanno evitato il peggio.

DIFFICILE FARE PREVISIONI

La recessione, sinanco quella severa (che per adesso non sarebbe nemmeno immaginabile) non è perciò quasi mai univoca, né generalizzata o globale. A volte essa riguarda soltanto alcuni territori, altre volte soltanto determinati settori economici, altre ancora determinate zone valutarie. Anche per questi motivi è difficile prevederla. E qualche giornata di “svendite” per le borse valori non è sufficiente a decretarne una in grande stile.

Senza contare ciò che ci insegna la storia recente: poco prima dell’elezione a presidente USA di Donald Trump (nel periodo Agosto-Ottobre 2016) si reputava inevitabile una recessione, che invece subito dopo l’elezione di qs ultimo si è dissolta nel nulla, a seguito delle politiche fiscali espansive da lui adottate e del conseguente recupero di entusiasmo e fiducia degli operatori economici.

Anche quest’anno dunque potrebbe andare così, ma il problema potrebbe risiedere in ciò che succede nel frattempo. I quattro mesi che ci separano dall’insediamento di un nuovo presidente americano potrebbero farci vedere nuovi cali nei consumi e ulteriori tensioni geopolitiche, le quali a loro volta getterebbero un’ombra sinistra sui debiti pubblici e sulla loro sostenibilità, vale a dire sui tassi d’interesse a lungo termine, che notoriamente dipendono assai meno dalle manovre delle banche centrali.

I TIMORI PER UN NUOVO CONFLITTO IN MEDIO-ORIENTE

Le guerre tra l’altro storicamente finiscono per far innalzare il costo delle materie prime ed esacerbare le tensioni sui cambi per i paesi emergenti, perché i disordini favoriscono la valuta che ancora oggi costituisce di per sé una riserva: il dollaro americano. Il loro maggior costo manterrebbe viva l’inflazione dei prezzi proprio mentre lo sviluppo economico si riduce.

Ma quest’ultimo resta solo un timore perché fino alla scorsa settimana i prezzi di petrolio e materie prime erano in discesa.

Anche i timori per i tassi d’interesse appaiono al momento ingiustificati a causa della citata grande rotazione dei portafogli che, spostando denaro dalle borse al reddito fisso, ne calmiera i rendimenti. Ora poi ci si mette il sell-off sulle borse, che ha provocato un deciso calo nei rendimenti, come si può vedere dal grafico qui riportato:

CONCLUSIONI

È corretto dedurne che la recessione è già arrivata? Probabilmente ancora no ma si diradano le speranze di un atterraggio morbido. Anche se il lunedì nero appena vissuto non presagisce automaticamente la prosecuzione dei crolli dei listini a meno di nuovi “cigni neri” come la guerra o altre disgrazie planetarie. Come sempre i momenti di maggiore volatilità dei mercati possono costituire una vantaggiosa occasione di guadagno per chi ha sangue freddo e liquidità da investire, soprattutto dove c’è più valore. Il panico non è mai un buon consigliere.

Ma se anche la nuova guerra del Medio Oriente sarà evitata, l’economia reale in Occidente appare comunque in frenata, cosa che dovrebbe dissuadere dallo sbilanciarsi su nuove speculazioni sui titoli tecnologici, come sul fatto che il calo dei rendimenti che dovrebbe concretizzarsi nella seconda parte dell’anno sgonfierà la capacità degli istituti di credito di continuare a fare ottimi profitti.

Difficile invece dire se si sgonfieranno le quotazioni dei beni rifugio, dal momento che la svalutazione monetaria dovrebbe sostenerli. Ma le criptovalute al momento sono crollate anch’esse, dunque non è detto. Molto dipenderà dalla possibilità che le tensioni geopolitiche rientrino nei ranghi. La prudenza però al momento è d’obbligo: il mese di Agosto riserva quasi ogni anno formidabili sorprese. E quello attuale è anche un anno bisestile…

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 87 – sabato 3 agosto 2024

Operazioni in essere : nessuna

Premessa molto importante

La presente Lettera N.87 è stata scritta sa 3 ago con grande difficoltà e conseguente impegno. Avevo infatti una sensazione di difficoltà.

Oggi lu 5 ago alle 8.15 la SIM mi ha informato che l’indice Nikkey perde oltre 10 % e NAS 100 oltre 5 %; evidentemente non è un giorno normale.

Non mi convincono le motivazioni addotte ( rapido irrobustimento della divisa YEN, improvvisa presa di coscienza che i price – earning della tecnologia sono prezzi d‘ affezione…………..)

Credo ci possa essere altro, che ancora non viene detto.

Considerando che l’editore, che cortesemente ospita queste pagine, riprenderà a pubblicare lu 2 sett 2024, vale a dire fra un mese, per prudenza informo che la N. 87, che, come sempre, scrivo a me stesso e condivido con i lettori, non sarà per me operativa.

Rianalizzerò gli eventi nei prossimi gg e apprezzerò le reali circostanze.

Buone ferie al Dott. Di Tommaso e ai cortesi lettori.

GOLD OTTOBRE 24

Dopo che : “GOLD non è sceso nemmeno al primo dei due livelli richiesti dalla Lettera N. 85 per avviare gli acquisti” – ricordo che si trattava di 2340 – 2320 ott future, è salito con grande forza.

Non si può comprare a questo prezzo.

Ha fatto una serie di nuovi massimi ( 2431 – 2450 – 2483 cash ) perdendo poi rapidamente oltre 100 usd ogni volta.

E allora provo a venderlo in forza intorno al top di ve 2 ago, che mi offre uno stop loss accettabile in termini di reward – risk. Segnalo che il future con scadenza ottobre vale ora circa 20 usd più del cash.

Ciò premesso, da lu 5 ago sin dal mattino, inserirò la seguente vendita :

vendo 1 ott micro gold a 2490 con stop loss a 2520

Dal giorno successivo all’eventuale eseguito, ogni giorno venderò 1 ott micro gold a rottura di ogni nuovo minimo della settimana 5- 9 ago.

Per tutte queste eventuali vendite, stop loss sarà 2520.

SILVER SETTEMBRE 24

Avevo scritto :

“Anticipo ai lettori che vi sono segnali temporali di possibile inversione tra lu 22 luglio e venerdì 2 agosto, con impulsi in area 32,50 – 33, per vendere in forza ( aggiornamento : il livello alternativo di questi segnali è tra 26 e 27, per comprare in debolezza )”

Cosa è successo dopo aver scritto queste righe, nelle Lettere da N. 80 a 84 ?

– SILVER CASH è salito da 28,57 fino a gio 11.7 a 31,75 ( fatto doppio top calante, ben sotto 32,51 )
– è sceso fino a lu 29.7 a 27,31 ben al di sotto dell’unico pivot visibile che era 28,57 e che non mi convinceva, ritenendo che SILVER si trovi ora in stato di debolezza relativa a GOLD, dopo che era salito del 48 % in soli tre mesi. Quindi qualsiasi acquisto sarebbe stato stoppato in perdita.

Avevo anche scritto :

“……………..ritengo troppo rischioso vendere prima di raggiungere 30,50 – 31,50 di SILVER CASH e siamo ben lontani; un eventuale acquisto nel range attuale di 27,31 – 28 – raggiunto con una caduta del 14 % quasi verticale da 31,75 – che non ritengo essere strategico, ma finalizzato, come per GOLD, a finanziare una vendita da eseguire su un terzo top calante, dopo quelli a 32,51 – 31,75 non trova alcun livello di stop loss tecnicamente motivabile”.

E infine :

“Devo attendere che SILVER offra uno stop loss contenuto.”

Ritengo di averlo trovato.

Penso che le due settimane da lu 22 luglio a ve 2 agosto abbiano un discreto significato ciclico e quindi utilizzo il minimo di 27,31 SILVER CASH ( 27,45 sett future ) come stop loss e pertanto sin dal mattino di lu 5 ago inserirò il seguente acquisto :

compero 1 settembre micro SILVER a 28 con stop loss a 27,30

Non sfugge ai pazienti lettori che sto inserendo ordini di verso opposto rispetto a GOLD, ma i due metalli preziosi si sono recentemente disaccoppiati e la debolezza di SILVER, che mi attendevo e che ho più volte evidenziato, si è manifestata producendo due grafici completamente diversi.

Non è quasi mai successo in passato, quanto meno nei 30 anni di mia osservazione; non è dato sapere quanto durerà.

Forse GOLD resta un rifugio nella confusione montante e SILVER è visto come semplice metallo industriale, in tempi di calo dei consumi.

DOW JONES INDU CASH

Ora è più forte di NAS 100, che ha preso una legnata.

Avevo osservato, anche se non credo nelle analisi intermarket :

“………..dall’andamento del T – BOND, senza trend, ricavo che il rallentamento dei MAGNIFICI 7 ( ora ridotti a 6 o forse 5 ) non ha spinto il denaro degli investitori azionari verso i bond, ma nel rifugio DOW JONES”

Non è più vero, ora è sceso anche DJ ; tutti scappano dai FAANG + 3 e si comprano i T – BOND garantiti dal Dott. Jeremy Powell.

DJ continua a sentire molto la forza di attrazione della nota trend line tracciata dal minimo di ott 2022 , il cui ritracciamento al 50 % è stato sfiorato una sola volta in ott 2023 e mai più avvicinato.

Nel mentre DOW JONES si sta avvicinando al minimo della medesima W 90 ( 39037 CASH ), ma non credo che lo rompa immediatamente.

Vediamo.

Una vendita appare a rischio controllato non sotto 40700 – 41000 di DJ CASH.

Serve un rimbalzo del 3 %.

Non pochissimo.

NASDAQ 100 CASH

Avevo scritto :

“Nella settimana 22 – 26 luglio ho un segnale che invita a vendere un rimbalzo a 20500 cash ( avrei uno stop loss gestibile a 20691 ) oppure a comprare intorno a 19000 – 18500 cash, purtroppo senza uno stop loss basato scientificamente, salvo che dopo lu 29.7, una volta conosciuto il range 22 – 26 luglio.

Proverò a gestire quotidianamente questi livelli di interesse, senza poterli inserire nella Lettera, che è settimanale.”

NAS 100 CASH è sceso fino a 18263, quindi tornando sotto il top registrato in marzo 2024 ( 180 mesi da marzo 2009, quando partì il “denaro per tutti” )

Ma, per l’esperienza passata, NAS 100 forse ora consente di prendere le misure, senza rischiare troppo0.

Segnalo che ha perso 2428 punti (circa il 12 % ) in tre settimane; una discesa che non si vedeva da luglio – ottobre 2023, ma allora, per fare un simile calo, impiegò 13 settimane, una intera stagione.

Se farà una laterale di qualche gg che fornisca uno stop loss contenuto, cercherò un acquisto, inizialmente solo allo scopo di finanziare il rischio di piazzare una vendita intorno al doppio massimo assoluto, mi piacerebbe tra 20000 e 20500, con ovvio stop loss sopra 20691.

Vedo sul grafico giornaliero una gap aperto in area 20200 intorno al 10 luglio ; area ideale per una vendita.

Allo stesso modo, in mancanza di escalation delle stragi in corso nei due teatri principali di guerra, potrei comprare NAS 100 a questo livello di 18500 cash circa, che rappresenta l’azzeramento di tutta la salita oltre il top ( 18464 ) fatto nel ciclo di 180 mesi.

Entrambe le operazioni purtroppo non adatte ad una Lettera settimanale, ma arriverà un pattern gestibile anche sull’azionario U.S.A.

NOTA FINALE

Sembra che agosto 2024 possa essere molto dinamico, mi auguro non per eventi esogeni devastanti.

Si entra tuttavia nella pausa feriale dell’editore e quindi, nella parentesi, scriverò solo per me.

Leonardo Bodini




ATTERRAGGIO MORBIDO

Lo sviluppo economico è già in deciso rallentamento nell’intero Occidente, con il rischio di una recessione nel prossimo anno, ma stavolta le banche centrali potrebbero prenderne atto per tempo. Se così fosse allora potrebbero consolidarsi le aspettative per un “atterraggio morbido” dell’economia, cosa che favorirebbe i mercati finanziari in generale e aiuterebbe a migliorare le aspettative di tutti gli operatori economici. Alcuni segnali peraltro lo stanno già anticipando

LA MANOVRA DELLA YELLEN

Sappiamo quanto la Banca Centrale americana (la FED) possa condizionare le aspettative dei mercati finanziari di tutto il mondo, ma non è altrettanto evidente capacità del Tesoro americano (oggi governato da Janet Yellen, non a caso in precedenza governatore della FED) di fare altrettanto. E’noto infatti che i tassi d’interesse dei titoli di stato americani a lungo termine (cioè quelli a 10 anni principalmente) hanno subìto un incremento costante nell’ultimo triennio anche a causa dell’incremento considerevole delle emissioni dei titoli del debito pubblico complessivo e del conseguente minor appetito da parte dei risparmiatori nei loro confronti. Sì veda in proposito il grafico qui sotto:


La politica del tesoro americano ha risposto a questa tendenza andando ad emettere da qualche tempo soltanto titoli a breve termine, per ridurre l‘offerta di titoli a lungo termine ed evitare che i relativi tassi d’interesse salissero troppo.

Una manovra in apparenza logica, ma che ha come conseguenza pratica quella di falsare i segnali che potrebbero venire dalla curva dei rendimenti (cioè l’andamento del rapporto tra i tassi a breve termine e tassi a lungo termine), che spesso viene utilizzata come segnale dell’arrivo di una recessione. Nel grafico qui sotto possiamo vedere come è infatti andata nell’ultimo cinquantennio.


Tuttavia, secondo un recente studio di Stephen Miran e Nouriel Roubini ( qui di seguito il link dove è stato pubblicato: https://www.hudsonbaycapital.com/documents/FG/hudsonbay/research/635102_Activist_Treasury_Issuance_-_Hudson_Bay_Capital_Research.pdf ) questa manovra ha tuttavia agito distorcendo la leggibilità dei mercati e creando un effetto simile a quello che potrebbe avere un “quantitative easing” (QE), praticato però dal Tesoro (cioè dal governo USA) e non dalla Banca Centrale, che mantiene un certo grado di autonomia e che, almeno formalmente, sta ancora praticando una restrizione monetaria, vale a dire l’opposto del QE. Questa l’immagine più significativa di tale studio:


La manipolazione della curva dei rendimenti a fini politici da parte dell’attuale amministrazione Biden ha l’ovvia conseguenza che, qualora il Tesoro di Washington non fosse intervenuto così pesantemente nello stimolare indirettamente l’economia, i tassi d’interesse a lungo termine (che influiscono in modo importante sulle valutazioni delle imprese quotate in borsa) probabilmente non si troverebbero dove sono oggi, bensì forse un punto di tasso percentuale più in alto (cioè tra il 5% e il 6%).

LE BANCHE CENTRALI POTREBBERO ANTICIPARE I ”TAGLI”

Seguendo tale ragionamento tuttavia occorre prendere atto del fatto che la curva dei rendimenti senza tale manovra si sarebbe impennata ancora di più e che dunque la probabilità di un peggioramento delle condizioni economiche americane (e probabilmente dell’intero Occidente) sia molto più elevata di ciò che sembra. Dunque che di qui a poco tempo una recessione, o quantomeno un deciso rallentamento dell’economia, sono divenute molto probabili.

Poiché una cosa del genere non può che essere molto evidente anche per le banche centrali di tutto il mondo, è anche per questo motivo che si può ritenere forse più elevata di quanto potrebbe apparire la probabilità di un taglio dei tassi da parte della FED già nella prossima riunione di fine Luglio, nonostante la prudentissima gradualità con la quale si è mossa fino a ieri. La banca centrale americana ha infatti tenuto fermo il costo del denaro al livello fissato oramai un anno fa del 5,5%, nonostante l’inflazione si sia più che dimezzata.

UNA SETTIMANA DECISIVA

Non soltanto la Banca Centrale Europea ha invece iniziato ad abbassare il costo del denaro (prendendo atto di un rallentamento che, a casa nostra, è ancora più evidente) ma anche altre banche centrali occidentali, tra le quali la Banca d’Inghilterra, si riuniranno a breve per decidere se ridurre i tassi d’interesse ed è probabile che possano decidere di ridurre il costo del denaro.

Non soltanto: nel corso di questa settimana sono inoltre in arrivo numerosi dati macroeconomici rilevanti, tra i quali quelli riguardanti l’inflazione dei prezzi, che risulta comunque in deciso calo rispetto a qualche mese fa, nonostante la poca ortodossia delle statistiche che la rilevano. Dunque è probabile che lo scenario che il mercato borsistico americano sta già anticipando (quello della presa d’atto di un “soft landing” dell’economia e di una conseguente riduzione dei tassi praticati dalle banche centrali) si realizzi anche prima del mese di Settembre.

IL RECUPERO DEL GAP

Le conseguenze di una tale manovra sarebbero peraltro rilevanti, non soltanto per il peso eccessivo del costo del debito pubblico che rischia di “spiazzare” l’economia reale, ma anche in virtù del fatto che è in atto da qualche settimana una decisa (sebbene fisiologica, data la necessità di realizzare le plusvalenze) rotazione dei portafogli dei grandi investitori, con una decisa riduzione delle quotazioni dei titoli azionari più “aggressivi” (ad esempio le grandi multinazionali tecnologiche, i cui campioni sono state sino ad oggi le cosiddette “magnificent seven” di Wall Street) e con un recupero invece delle valutazioni delle imprese a più bassa capitalizzazione (per intenderci quelle espresse dall’indice americano “Russell 2000”).

Nel grafico che segue si può notare la recente inversione di marcia di entrambe le categorie con la conseguente riduzione del divario che si era creato tra l’una e l’altra negli ultimi mesi:

LE VALUTAZIONI DELLE “BIG TECH” AVEVANO CORSO TROPPO

D’altra parte i multipli dei profitti attesi, relativi alle valutazioni espresse da Wall Street per i grandi titoli tecnologici, avevano raggiunto livelli record che non si vedevano da oltre un ventennio, che non hanno più ragione di esistere, principalmente a causa dello “sgonfiamento” della bolla speculativa relativa all’intelligenza artificiale: oggi è in corso la presa d’atto del fatto che i profitti netti delle “major” tecnologiche non poteva riuscire a seguire le aspettative che si erano instaurate. Nel grafico che segue l’andamento del rapporto prezzo/utile (Price/Earnings) delle “tech companies”:


Nella tabella che segue possiamo inoltre leggere l’andamento dei principali indici azionari del mondo, che riflette la tendenza sopra citata alla rotazione dei portafogli (al ribasso per il Nasdaq, lo Standard & Poor 500). Nel grafico che si può inoltre notare (nonostante i recenti cali) le grandi performances che molte borse hanno realizzato nel corso del 2024 (ultima colonna). Fanno eccezione la borsa del Giappone (che aveva corso troppo e dove comunque l’indice Nikkei delle principali aziende è sceso più del Topix che traccia anche tutte le altre) e quella di Milano, che era oggettivamente rimasta indietro rispetto alle altre borse.

LA CORREZIONE DEI LISTINI POTREBBE CESSARE ANTICIPATAMENTE

Ma occorre anche notare che la presa di beneficio sui titoli che sono cresciuti più potrebbe anche essere giunta al capolinea, soprattutto se le banche centrali dovessero decidere di accelerare la riduzione dei tassi d’interesse praticati fino ad oggi. In tal caso potremmo assistere alla conclusione anticipata degli assestamenti in corso e ad una ripresa generale delle quotazioni dei principali indici azionari, che nell’ultima settimana hanno in generale sofferto non poco (colonna “this week change” della tabella sopra riportata).

Qualora infatti le banche centrali dell’intero occidente dovessero intervenire tempestivamente ad abbassare i tassi d’interesse (e ne avrebbero ben donde) il mercato finanziario consoliderebbe la sua aspettativa di un “atterraggio morbido” dell’economia, senza arrivare a subire le conseguenze disastrose di una recessione, cosa che non danneggerebbe i profitti attesi delle principali imprese quotate, e con la possibilità che si adegui al ribasso anche la parte più alta della curva dei rendimenti, riducendo la spesa per interessi delle nazioni (come la nostra) che hanno il debito pubblico più elevato.

Questa possibilità implicherebbe una ripresa generale dell’entusiasmo da parte dei gestori del risparmio e una certa probabilità che i listini possano muoversi (abbastanza a sorpresa, da un certo punto di vista) di nuovo al rialzo.

LA VOLATILITÀ POTREBBE CONTINUARE A CORRERE


Il mese di Agosto in generale ha sempre espresso d’altronde una notevole volatilità dei corsi e quest’anno la medesima (espressa nell’ultimo anno dal grafico qui sopra riportato) sembra solo essere ripartita un po’ in anticipo.

Stefano di Tommaso