SINDROME FRANCESE ?

Il debito pubblico francese è arrivato al 120% del PIL, in una situazione di declino economico e importante deficit del bilancio pubblico (quasi il 6% del PIL). Ovviamente il tasso d’interesse pagato dai titoli di stato di Parigi è cresciuto (oltre quello italiano) e la prossima settimana il governo potrebbe cadere. Si pone allora una questione: quanta probabilità c’è che un polverone speculativo si alzi su buona parte dei debiti pubblici europei? E qual’è il rischio che una crisi politica d’oltralpe possa propagarsi anche al resto d’Europa? Se da un lato esiste la teorica possibilità che le ombre del 2012 ritornino nel 2025 a causa del costante deficit di bilancio di tutte le principali economie continentali, occorre anche notare che le condizioni generali dei mercati finanziari appaiono positive, l’economia globale sia in buona forma e la liquidità in circolazione sia piuttosto ampia. E che dunque il rischio teorico non sia elevato.

 


I MERCATI FINANZIARI NON MOSTRANO PARTICOLARI DEBOLEZZE

I mercati finanziari sono stati fino ad oggi piuttosto tonici, soprattutto evidentemente quelli d’oltre oceano, dove l’economia, nonostante tutto, cresce in media del 3% all’anno sinanco nel terzo trimestre 2025. Il principale indice della borsa americana (lo Standard & Poor 500) in settimana ha segnato nuovi massimi:

L’INDICE STANDARD & POOR 500 DI WALL STREET

E soprattutto l’indice dei titoli a piccola e media capitalizzazione di Wall Street (il Russell 2000) ha registrato significativi passi avanti in attesa del primo taglio del tasso di sconto che i mercati danno per praticamente certo la prossima settimana:


Ma comunque le cose non sono andate male nemmeno per i mercati finanziari europei che restano intorno ai massimi di sempre:


MA GLI INVESTITORI PREFERISCONO L’ORO E LA CINA

Ciò nonostante il fatto che le due categorie d’investimento preferite dagli investitori siano tutt’ora l’oro fisico e la borsa cinese. Anzi, soprattutto quest’ultima rappresenta la vera novità dell’estate, dal momento che l’indice MSCI relativo ai titoli cinesi è cresciuto di quasi il 50% da un anno a questa parte, come si può leggere dal grafico qui sotto riportato:


Per quanto riguarda le quotazioni dell’oro, la sensazione per molti è che, nonostante sia in crescita costante da parecchio tempo, il meglio addirittura debba ancora arrivare. Più precisamente questa è la narrativa implicita nelle quotazioni a termine (i cosiddetti “future” sull’oro) espresse nel grafico qui sotto riportato (che, come si può vedere, prevedono un prezzo che arriva a sfiorare i 3600 dollari per oncia) :


PERCHÉ L’ORO VIENE PREFERITO ?

Il punto però è il motivo per il quale le quotazioni dell’oro crescono così tanto: le banche centrali di tutto il mondo hanno iniziato a preferirlo per le proprie riserve, come si può vedere dal grafico qui sotto riportato (che peraltro si riferisce soltanto alla fine del 2024 mentre oggi la tendenza potrebbe essere molto più accentuata):


Il principale motivo è da attribuirsi al cosiddetto “debasement” delle principali valute di conto (dollaro, euro, yen, ecc…) dovuto alla monetizzazione dei debiti pubblici operata nel tempo dalle banche centrali attraverso progressivi acquisti di titoli di stato. Quest’ultima provoca una inevitabile svalutazione del potere d’acquisto che si riflette nelle quotazioni dell’oro, ma anche in un’inevitabile inflazione strisciante dei prezzi al consumo.

MA PER IL MOMENTO I TASSI A LUNGO TERMINE SCENDONO

L’inflazione a sua volta impedisce ai tassi d’interesse di scendere troppo, anzi! Al momento si registra una piccola riduzione dei rendimenti impliciti offerti dai titoli di stato americani ed europei, come si può ad esempio leggere dal grafico qui riportato:


E LA LIQUIDITÀ IN CIRCOLAZIONE RESTA SOVRABBONDANTE

Ma, per le ragioni sopra asserite, e soprattutto per il fatto che oggi si registra un’incremento senza precedenti della liquidità globale in circolazione sui mercati, come si può vedere dai grafici qui sotto riportati, è difficile asserire con certezza che tale discesa dei rendimenti possa continuare a lungo:

L’ANDAMENTO DELLA LIQUIDITÀ IN CIRCOLAZIONE (M2) PER AREA

ANCHE IL PETROLIO TENDE A CALARE

Il fatto che i prodotti petroliferi (e dunque anche, indirettamente, il costo dell’energia) riesca a venire contenuto, nonostante le forti tensioni geopolitiche, aiuta a sostenere la tesi di un’inflazione che non si riaccende, come da più parti spesso temuto:


Tuttavia il declino dei prezzi dei titoli di stato francesi, in particolare evidenza dalla scorsa settimana, appare tuttavia come un pericoloso segnale di attenzione, circa la possibilità che i mercati internazionali possano avvicinarsi ad una crisi di fiducia degli investitori, che potrebbe essere alimentata dal fatto che i mercati registrano tutti quotazioni alle stelle (e che dunque più di un operatore sia tentato di cavalcare un’ondata speculativa al ribasso).

LA FRANCIA STA PAGANDO TASSI CRESCENTI

I rendimenti dei titoli di stato francesi hanno fatto progressi a causa di un debito pubblico crescente, accompagnato da grandi deficit del bilancio pubblico e dalla stagnazione economica cui è sottoposto il paese. E dunque la crescita dei tassi pagati dal tesoro parigino riflette i timori di sostenibilità del debito pubblico nazionale.

La situazione peraltro appare potenzialmente esplosiva perché la settimana entrante potrebbe registrare altri problemi di instabilità politica della Francia, guidata da un Presidente che non rappresenta più la maggioranza degli elettori e che fa fatica ad esprimere un governo nazionale. Di seguito una traccia dell’andamento, per diverse scadenze, degli ultimi mesi:

 


Tuttavia il rischio di una crisi di fiducia sul debito pubblico di tutta Europa purtroppo incombe, e a nulla potrebbe valere in tal caso il miglioramento del giudizio di rating recentemente incassato dal governo italiano. Tuttavia l’eventualità di un attacco speculativo al debito pubblico francese (ipotizzabile soprattutto in caso di crisi politica dell’attuale establishment parigino) non è una certezza, anzi! Al momento la traiettoria dei mercati è positiva e i dati macroeconomici non sono così disastrosi e la Francia ha mostrato una certa capacità di attrarre capitali dall’estero.

Il problema casomai sarebbe legato al fatto che i titoli europei a più larga capitalizzazione non sono tanto legati alle tecnologie come in America, bensì principalmente banche, il cui rischio di gestione verrebbe sicuramente influenzato in caso di downgrading dei titoli di stato, dei quali hanno grandi quantità in portafoglio. Allo scorso dicembre 2024 infatti le banche dell’area UE/EEA detenevano circa 3,6 trilioni di euro in esposizioni verso controparti sovrane, in aumento rispetto ai 3,3 trilioni di euro di fine 2023.


Stefano di Tommaso




OTTIMISMO, NONOSTANTE TUTTO

Viviamo in tempi non proprio tranquilli: l’America non ha ancora finito di digerire le guerre commerciali con il resto del mondo (tramite l’imposizione di tariffe doganali) volute dalla nuova amministrazione presidenziale, anzi: qualcuno dice che non ha nemmeno iniziato, la guerra della NATO in Ucraina contro la Russia sembra inasprirsi mentre si aprono nuovi focolai bellici in Sud America e in Asia. Eppure i listini delle borse valori sembrano infischiarsene, toccando nuovi massimi e facendo calare (seppur di poco) i tassi d’interesse pagati dai titoli di stato di nazioni occidentali sempre più indebitate (a partire dagli USA, come si può vedere dal grafico sotto riportato).

 

VOLATILITÀ AI MINIMI

Per di più ciò è avvenuto in un contesto di volatilità sempre minore dei mercati finanziari. Nel grafico qui sotto riportato possiamo vedere l’indice VIX vicino ai minimi assoluti, confrontato però con il suo andamento stagionale degli ultimi 35 anni, il quale richiama inevitabilmente alla mente l’ovvia considerazione che -dopo tanta bonanza- le acque potrebbero anche incresparsi con la ripresa autunnale:


Molti osservatori attribuiscono la magia del momento alla sempre maggiore liquidità in circolazione e in effetti è difficile pensare altrimenti, dal momento che persino la principale delle criptovalute, normalmente considerata un asset alternativo alle borse e ai titoli di stato, galleggia ben oltre i 100.000 Dollari, cioè vicino ai suoi massimi storici, come si può leggere dal doppio grafico qui sotto riportato:


QUANTO DURERÀ LA BONANZA?

Dunque stiamo assistendo ad un miracolo che pare anche voler continuare e non svanire nel nulla come il sogno di una notte d’estate. Ma si ripropone la domanda delle domande: quanto durerà? È Sempre difficile vaticinare in proposito e pur tuttavia, incredibilmente e nonostante l’attesa di maggior volatilità dei corsi, la prospettiva per Wall Street appare quella di poter segnare ulteriori progressi (vedi il grafico qui sotto riportato relativo alle previsioni di un istituto noto per il suo rigore metodologico come Yardeni Research), dati i significativi margini di crescita e di guadagno delle grandi multinazionali americane e l’ottimismo che si diffonde per l’attesa di una discesa dei tassi d’interesse da parte delle principali banche centrali.


Ma occorre precisare che ciò può accadere soprattutto in America, la quale in compenso pagherà questa situazione al prezzo sempre più salato di una svalutazione strisciante del Dollaro (forse anche contro Euro), da tempo strutturalmente debole e ora, dopo un periodo di traslazione laterale, di nuovo suscettibile di altri scivolamenti, come si può peraltro intuire dalle linee di tendenza qui sotto riportate:


BIG TECH, BIG PROFITS

Se si riesce ad isolare il rischio valutario dunque le prospettive per Wall Street sembrano ancora una volta positive. Sicuramente in funzione dell’enorme liquidità in circolazione, che pian piano non potrà che ritornare dai fondi di mercato monetario verso i titoli azionari, ma anche per il fatto che le imprese americane diverse dalle ”Big Tech” restano ancora equamente valutate (ad esempio quelle dell’indice Russell 2000, qui sotto riportato), mentre, anche se al momento appaiono sopravvalutate, ricordiamoci che le grandi multinazionali non accennano a flettere dal loro percorso di crescita e di profitti.


PROSPETTIVE POSITIVE ANCHE IN EUROPA

In Europa il rischio di inflazione è oggettivamente minore (anche a causa della grande debolezza dell’industria continentale) ma in compenso le dinamiche sono molto meno positive, tanto a causa del rischio di flessione delle esportazioni verso gli USA, quanto a causa della ”deflazione salariale” che le leadership europee perseguono pervicacemente al posto di una più sana svalutazione competitiva (che invece è la scelta di Donald Trump).

Tuttavia il costo del debito pubblico a casa nostra sembra veleggiare decentemente, come si può leggere dal grafico qui sotto riportato:


BENE PETROLIO E GAS

Nonostante le tensioni geopolitiche anche il costo dell’energia, per vari motivi, sembra restare su una china discendente, cosa che allontana il pericolo di nuove vampate di inflazione e fa ben sperare circa i margini industriali delle imprese (di seguito l’andamento dei prezzi di gas e petrolio), il che fa sperare in un andamento relativamente positivo anche delle borse europee, sulla scia della possibile continuazione del trend rialzista americano:


L’ORO POTREBBE RIPRENDERE LA SUA CORSA

Ma la sorpresa maggiore potrebbe arrivare, nel prossimo futuro ancora una volta dalla “asset class” che ha più performato nell’ultimo anno: l’oro, la cui linea di tendenza sembra impostata ancora una volta verso l’alto, dopo un periodo di relativa calma:


Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 135 – sa 30 ago 2025

Operazioni in essere : nessuna

Premessa

L’incarico cui avevo fatto cenno in calce alla N. 124 di sa 31 maggio richiederà ripetute trasferte che non consentiranno di proseguire questo impegno settimanale.

La N. 135 quindi conclude il percorso iniziato il 1 ott 2022.

Lo spirito di questa ultima Lettera è delineare una strategia per settembre, in particolare per DAX, di cui non avevo scritto, ma che frequento da anni.

GOLD OTT 25

Dopo che ve 22.8, nel pomeriggio, POWELL prospettò un probabile ribasso del tasso USA nel FOMC del 16 – 17 settembre, avevo stabilito per la scorsa 25 – 29 ago di comprare a 3360 1 OTT MICRO GOLD FUT.

Il prezzo è stato sùbito sfiorato lu 25.8 a 3369, per poi salire senza pause, fino a 3489 alla chiusura di ieri sera ( ve 29.8 )

L’acquisto avrebbe dato un rapido guadagno.

Da gio 28.8, accentuato ve 29.8, il future di scadenza ottobre è salito molto più del GOLD CASH, passando dai normali 15 usd a oltre 40 usd di differenza prezzo. ( ultimi prezzi segnati ve 29.8 sono stati rispettivamente 3447 per GOLD CASH e 3487 per OTT FUT )

Una situazione simile, giunta allora ad oltre 70 usd di supplemento, si è vista il 7 – 8 agosto, dopo che Trump annunciò dazi su import di lingotti, per poi smentire, con conseguente rientro del fenomeno.

Ad ora non riesco ad immaginare se questo esagerato spread tra prezzo Cash e a scadenza tragga origine da un rinnovato timore della precedente minaccia.

Manca meno di 1,5 % alla eventuale rottura di 3500 CASH che potrebbe dare nuova potenza al trend di GOLD, dopo che il top resiste da aprile.

Sarò quindi molto attento alle prossime settimane.

Resta comunque valido quanto già scritto :

“Ho notato una significativa importanza ciclica nel trimestre luglio – settembre 2025.

Purtroppo un trimestre è lungo e non facile da gestire lo stop loss, per l’ampiezza del range di un periodo così esteso.”

Due terzi sono già trascorsi.

SILVER DIC 25

Attendevo da 4 – 5 settimane che salisse in area 39,5 – 40, per impostare una vendita, senza fretta, con stop loss da fissare dopo che avrà rotto il minimo di almeno 2 – 3 gg precedenti.

Ho ancora meno fretta, ora che GOLD avvicina il massimo storico.

Ritengo che l’area solida di acquisto si trovi solo da 28 ( livello toccato il 7.4 con i dazi di Trump ) a circa 26 usd.

Il livello di 26 fu supporto nel biennio 2011 – 2012 e tetto per tutto il 2022 – 2023.

Prezzi ora molto lontani. Ma SILVER sa picchiare duramente.

DAX

Tra agosto e settembre scade un segnale mensile rilevante su DAX e intendo sfruttarlo con logica strategica.

Vale a dire con uno o più tentativi di ingresso e stop loss di % maggiore dell’usuale, per costruire una posizione di ribasso che possa durare oltre 30 gg.

La mia situazione ideale è una prima vendita entro settembre in area 25200 – 25500 per DAX CASH ( il future avrà scadenza dicembre 25 )

Nel caso in cui DAX non abbia la forza di salire nel range indicato, valuterò se accontentarmi di vendere intorno al doppio massimo ( 24600 – 24700 cash ), solo in rottura di un minimo che abbia retto almeno per 3 gg.

Infine, il livello più basso che accetterò per vendere è il minimo del 1 ago ( 23380 cash ).

Gli obiettivi di ribasso sono ambiziosi :

circa 20000 entro quest’anno

18500 – 18000 , possibile solo in presenza di rilevanti fatti, quali un calo dei consumi oltre l’ordinario.

Il calo dei consumi, e/o della consumer confidence, può incidere anche se non fosse domestico, ma dovesse riguardare gli U.S.A., data la dipendenza dell’economia tedesca dall’export.

DOW JONES

In agosto 2025 abbiamo assistito ad un outside rialzista da 43340 ( 1 ago ) a 45758, nuovo top storico che mancava da dic 2024 ( 45073 ).

L’outside rialzista mensile è una figura, poco frequente, che denota grande forza e non consente di vendere, se non contestualmente alla sua eventuale smentita, alla rottura del minimo di 43340.

Ciò richiederebbe di accettare uno stop loss molto ampio, sopra il top assoluto, che potrebbe anche divenire maggiore dell’attuale, prima della vendita.

NASDAQ 100 CASH

Ha rallentato e ora lateralizza, ma non offre una figura di vendita.

Comprarlo ? Vi dico che la penso un po’ peggio di W. Buffet, che, al 30 giugno 2025 ( dati resi pubblici il 16 ago ) ha cambiato un po’ di APPLE con UNITED HEALTH e portato la liquidità sopra 350 billions.
Il controvalore delle azioni possedute è sceso a 254 billions.

Buona analisi.

Leonardo Bodini




LA CHIMERA DEI TASSI

Cosa ha detto di originale il governatore della banca centrale americana nel suo ultimo discorso? Difficile sintetizzarlo e anche difficile interpretarlo. Il discorso è stato di quelli buoni per ogni stagione. In breve: nulla che non sapessimo già. Anzi a mio parere se per la Federal Reserve Bank of America (FED) decidesse soltanto il suo Governatore sarebbero forse da prendere ben più alla lettera i suoi avvertimenti sull’inflazione, una parola citata ben 63 volte nel corso del discorso introduttivo all’appuntamento di Jackson Hole! Ma il mercato finanziario ha preferito cogliere gli aspetti distensivi del suo discorso celebrando la prospettiva di un allentamento della politica monetaria USA.

LA SVALUTAZIONE MONETARIA TIENE VIVA L’INFLAZIONE

E nonostante Jerome Powell resti probabilmente troppo politicizzato per voler fare qualcosa che favorisca l’attuale presidente americano, è difficile dargli completamente torto circa gli avvertimenti lanciati. Dal momento che, più che l’inflazione dei prezzi al consumo, è la svalutazione monetaria il vero tema da tenere ben presente nella congiuntura economica che stiamo vivendo. Una svalutazione che nasce dall’esigenza di monetizzare i debiti pubblici (riducendone il valore effettivo) e che tende inevitabilmente a trasferirsi periodicamente sul livello dei prezzi al consumo, anche se soltanto a regime torrentizio. Alla fine però essa alza comunque l’asticella dell’inflazione, che non scende soprattutto per questo motivo.

L’INFLAZIONE DIPENDE DA COME LA SI MISURA

Senza dubbio l’attuale regime di tassi elevati rende meno accessibile il credito al consumo in un’America il cui prodotto interno lordo dipende principalmente dai consumi cospicui. L’abbassamento degli interessi da pagare incentiverebbe dunque gli americani a spendere di più e a risparmiare meno, favorendo dunque l’inflazione. Ma aiuterebbe altresì gli investimenti, gli acquisti di beni durevoli e il prezzo da pagare per i finanziamenti di cui necessitano le piccole e medie imprese, stimolando di fatto la crescita economica.

Ma l’America in questo momento ha davvero bisogno di stimoli allo sviluppo economico? Oppure dovrebbe prestare più attenzione alla svalutazione del Dollaro e alle spinte inflattive che proverranno dai dazi alle importazioni?

LA VERA MISURA DELLA SVALUTAZIONE MONETARIA E’ IL PREZZO DELL’ORO

Il principale segnale di svalutazione del potere d’acquisto delle divise valutarie occidentali risulta infatti nel prezzo di un’oncia d’oro: nel lungo termine essa risulta come una misura piuttosto accurata della svalutazione monetaria (il suo potere d’acquisto nel tempo infatti non cambia) e, se volessimo prenderlo oggi a misura della svalutazione delle principali “fiat currencies” (cioè le divise valutarie disconnesse dal loro effettivo contenuto di valore implicito), dovremmo esserne parecchio allarmati, anche se gli attuali picchi nelle sue quotazioni rischiano di essere fuorvianti rispetto alla media delle quotazioni di lungo termine del metallo giallo. 

MA I TASSI A LUNGO TERMINE SONO UN’ALTRA COSA

Resta il fatto però che non soltanto il discorso del governatore della FED non ha fornito alcuna certezza circa la prospettiva di tagli dei tassi d’interesse a breve termine (cioè quelli direttamente governati) ma soprattutto non sembra esserci alcuna certezza nemmeno nel calo strutturale dei tassi d’interesse a lungo termine. Questo tema resta il motivo principale per il quale l’Amministrazione Federale insiste sulla necessità di un taglio del tasso di sconto. Ma sul livello dei tassi d’interesse a lungo termine influisce più l’importante domanda che proviene dai debiti pubblici in costante espansione per tutti i principali Paesi dell’Occidente che non la politica monetaria della banca centrale.

LE BORSE GIÀ SCONTANO UNA DISCESA DEI TASSI

Edward Yardeni nel suo ultimo bollettino a tal proposito ha appena parlato molto chiaro: le borse sono in territorio record e l’economia americana non cresce granché ma non mostra nemmeno segni di cedimento. Dunque c’è davvero bisogno di un taglio del tasso di sconto che, alla luce degli attuali massimi storici di Wall Street, non potrebbe che surriscaldare i mercati finanziari? Probabilmente no, al di là del fatto che le borse già lo scontano e che quindi anche soltanto una delusione in tal senso potrebbe provocare un importante ribasso. 

Morale: la cosiddetta “FED put” implicita nelle attuali generose quotazioni delle borse potrebbe essere stata sino ad oggi stimata con troppa compiacenza dagli investitori. Ma tutti sanno che oggi il principale “market mover” al momento è la liquidità (che resta ai massimi storici anch’essa) non l’aspettativa di uno o due tagli dei tassi d’interesse a breve termine, che potrebbe non riflettersi sull’andamento dei tassi a lungo termine.

NON È DETTO CHE I TASSI A LUNGO TERMINE SCENDERANNO

Anche in Europa peraltro gli operatori attendono ulteriori riduzioni dei tassi d’interesse, ma nel nostro caso con motivazioni più fondate: l’economia europea non cresce e le tariffe doganali di Donald Trump la affossano ulteriormente. Inoltre il cambio della moneta unica con il Dollaro è salito troppo e indubbiamente ulteriori riduzioni dei tassi praticati dalla Banca Centrale Europea potrebbero aiutare a calmierarlo. Si, ma neanche nell’Eurozona ci si attende davvero una discesa ulteriore dei tassi d’interesse a lungo termine, per il medesimo motivo di oltre oceano: il fabbisogno finanziario dei debiti pubblici continua a crescere e, per alimentarlo, gli investitori si aspettano rendimenti migliori, non peggiori.

Dunque anche qualora fossero in arrivo i tagli dei tassi questi potrebbero non modificare al ribasso nemmeno i rendimenti dei titoli di stato europei. 

LE BORSE HANNO CORSO FORSE TROPPO

La congiuntura finanziaria insomma si avvia verso un bel guazzabuglio: i listini delle borse valori sono già oggi ai massimi storici e difficilmente dunque faranno degli importanti passi avanti nel prossimo futuro. Mentre nulla toglie la possibilità che qualche cigno nero si affacci all’orizzonte (quello geopolitico, ad esempio, con il rischio di rilanciare verso l’alto il prezzo dell’energia), rovinando la festa dei mercati finanziari.

I tassi d’interesse a breve termine che tutti si attendono in discesa non hanno invero nessun vero bisogno di calare in questo momento (soprattutto in America), con il rischio peraltro che la loro eventuale mancata discesa possa deludere i mercati e creare i presupposti per possibili smottamenti delle Borse. 

NEMMENO IL COSTO DEL CREDITO SIAMO SICURI POSSA SCENDERE DAVVERO

E se la situazione di sostanziale stallo è quella che è, con tutta la liquidità che risulta in circolazione oggi, difficile pensare che quest’ultima crescerà ancora con un allentamento delle politiche monetarie. Così è altrettanto difficile pensare di attenderci per il prossimo futuro cali significativi del costo del denaro, che sarebbero invece importanti per dare fiato alla domanda di credito delle piccole e medie imprese e alla creazione dei presupposti per ulteriori investimenti tecnologici da parte di queste ultime. Indubbiamente la domanda di denaro da parte dei titoli pubblici crea uno spiazzamento difficilmente aggirabile per poter pensare di rivolgere alle PMI un maggior flusso di risorse.

ALTRO SVILUPPO ECONOMICO POTREBBE DERIVARE DALLE TECNOLOGIE

Ma occorre anche ricordare che l’economia è sempre stata definita la “scienza triste” perché per chi vi si diletta appare piuttosto facile lasciarsi andare a prevedere cupi scenari che spesso poi vengono smentiti dai fatti. Grandi cambiamenti economici sono in atto, derivanti dallo sviluppo di nuove tecnologie come pure dalla costante ricerca di nuove efficienze produttive e distributive. Gli importanti investimenti in atto e in programma (non soltanto nell’intelligenza artificiale) stanno contribuendo a cambiare radicalmente lo scenario economico.

Di conseguenza grandi benefici ne potranno discendere in termini di creazione di ricchezza. E anche se buona parte di tali benefici apparterranno ai grandi giganti tecnologici e un’altra parte consistente di tali benefici verrà sicuramente utilizzata per nuove entrate fiscali (per esempio attraverso i dazi doganali) che servono a finanziare i debiti pubblici in costante ascesa, nulla toglie che quel che resta potrebbe ugualmente contribuire a favorire una crescita economica che al momento invece (soprattutto qui in Europa) stiamo vedendo col contagocce, rovesciando dunque la narrativa prevalente che vede oggi una inevitabile tendenza al rallentamento dell’economia occidentale. 

Stefano di Tommaso