L’OCCIDENTE RALLENTA

La recente dinamica dell’inflazione e quella del suo contrasto hanno dapprima fatto temere una recessione e poi hanno lasciato adito alle migliori speranze. Ma gli effetti delle manovre delle banche centrali sembrano soltanto posticiparne l’arrivo, mentre è quasi soltanto l’Occidente che arranca: lo sviluppo economico parrebbe perdurare tra i paesi emergenti, che tendono ad affrancarsi dalle valute forti e dalle esportazioni verso i soli paesi OCSE.

ESTERNALITÀ NEGATIVE

L‘aumento dei tassi d’interesse posto in essere dalla maggior parte delle banche centrali occidentali a partire dal 2022 in risposta alla fiammata inflazionistica registrata è stato molto violento, e ha alimentato l’attesa di una possibile recessione, che sino ad oggi però si è manifestata soltanto in alcuni paesi dell’Europa continentale, risparmiando gli Stati Uniti d’America e parte del vecchio continente.

IL RIALZO DEI TASSI D’INTERESSE QUESTA VOLTA È STATO PIÙ VIOLENTO CHE IN PRECEDENZA

Tuttavia non si può parlare di una vera e propria ”stretta monetaria” come si sarebbe dovuto fare per contrastare decisamente l’inflazione, perché poco dopo gli annunci di “tapering” (assottigliamento) della liquidità ovvero di “quantitative tightening” (restrizione quantitativa), soprattutto da parte della Federal Reserve americana, la prima e la più decisa a innalzare i tassi, si sono viste traballare (quasi fallire) parecchie banche di piccola e media dimensione.

Si è corso ai ripari con il sostegno delle banche centrali tramite abbondanti rifinanziamenti a breve termine e riduzione dei programmi di taglio della liquidità. Manovre delle quali si è cercato di far parlare il meno possibile i media ma il cui risultato è stata un’elevata liquidità rimasta in circolazione, cosa che ha indebolito il contrasto all’inflazione ma ha peraltro permesso di attutire gli effetti negativi del rialzo dei tassi d’interesse e ha contribuito alle ottime performances delle borse valori.

L’ATTERRAGGIO È SOFFICE PER LA MAGGIOR SPESA MILITARE E LA GRANDE LIQUIDITÀ IN CIRCOLAZIONE

LE SPERANZE DI SOFT LANDING HANNO ALIMENTATO L’INFLAZIONE

Quando, a partire dallo scorso anno, è sembrato ci fossero possibilità di evitare la recessione o almeno limitare i danni provocati dalle banche centrali si è dunque iniziato a parlare sui mercati di un “soft landing” (cioè di un “atterraggio morbido”) dell’economia, addirittura arrivando a sperare in un “no landing” (cioè nell’assenza di ogni suo possibile rallentamento). Negli ultimi tempi tuttavia è divenuto sempre più evidente che questa possibilità non sarebbe stata indolore: il prezzo da pagare sarebbe stato quello di un’inflazione che avrebbe fatto molta più fatica a scendere o che avrebbe addirittura potuto riprendere l’ascensore.


Cosa di per sé non particolarmente problematica, alla condizione che all’inflazione persistente si accompagni uno sviluppo economico che ne neutralizzi le peggiori ricadute. Una scommessa che è parsa sino ad oggi sostenibile, anche a causa del fatto che il resto del mondo (cioè non meno di 5 miliardi di abitanti del pianeta), e in particolare i quasi 3 miliardi di cittadini delle sole Cina e India, sembra marciare verso uno sviluppo economico addirittura più sostenuto di quello dell’anno precedente.

IL RISCHIO DI STAGNAZIONE NON È COMPATIBILE CON L’INFLAZIONE

A partire dal mese di Aprile tuttavia sono arrivati i primi segnali di raffreddamento dell’economia, peraltro quasi esclusivamente in Occidente, che hanno iniziato a far temere per il rischio di una “stagflazione”, ovvero di un’inflazione che non si accompagna ad una crescita del prodotto interno lordo.


È anche per timore di una seconda ondata di inflazione che le banche centrali occidentali (FED, BCE, BOE, CBOC) hanno rinviato a data da definire la riduzione dei tassi d’interesse che era attesa dai mercati già per l’inizio del corrente anno. Occorre però rammentare che, quando le banche centrali tengono elevati i tassi d’interesse per combattere l’inflazione, di fatto esse peggiorano le condizioni alla base della domanda di beni e servizi, rendendo il credito più costoso e di fatto riducendo il potere d’acquisto di salari e stipendi, strangolando di fatto l’economia.

Quella di provocare una recessione tenendo i tassi d’interesse elevati è una vecchissima tecnica dei banchieri centrali, efficace ma anche molto primitiva e dolorosa soprattutto per la popolazione a basso reddito, che in passato io ho spesso paragonato all’uso della clava per dissuadere i consumi. Lo strumento genera tuttavia quasi inevitabili danni collaterali. Infatti, anche se non è possibile stabilire una correlazione diretta in termini di causa-effetto tra l’incremento dei tassi d’interesse e il calo dei consumi (cioè una recessione), statisticamente è proprio quello che di solito succede, sebbene avvenga quasi sempre con un ritardo significativo.

SEGNALI DI RALLENTAMENTO NEGLI USA

David Rosenberg, fondatore di Rosenberg Research, ha fatto osservare recentemente che negli U.S.A. ciò avviene in una media di 26 mesi, come si può leggere nella tabella qui riportata.


Lo stesso Rosenberg fa notare che il Maggio del 2024 corrisponde più o meno esattamente al 26.mo mese successivo al momento in cui la Federal Reserve ha iniziato a stringere sui tassi (Marzo 2022) e che, di conseguenza, si aspetta di vedere al ribasso già i dati relativi al secondo trimestre dell’anno, i quali però adesso ancora non si vedono, perché usciranno a Giugno.

Un barometro spesso anticipatore della recessione è storicamente l’inversione della curva dei rendimenti, ovvero la situazione in cui i tassi a lungo termine (tipicamente i 10 anni) risultano inferiori a quelli a breve (2 anni). Nel grafico qui sotto riportato si può vedere che il fenomeno dell’inversione (la discesa al di sotto dello zero del rapporto tra il rendimento a 2 anni e quello a 10 anni) negli ultimi quarant’anni si è quasi sempre verificato un paio d’anni prima della recessione, annullandosi poco prima che quest’ultima si verificasse:


La stranezza (ma anche l’affidabilità) di questo indicatore casomai riguarda il fatto che l’inversione si è manifestata anche poco prima della recessione provocata dalla pandemia da Covid, quasi che i mercati potessero scontare in anticipo un evento (il lockdown conseguente) che ai più risultava del tutto imprevedibile.

Quest’anno l’annullamento dell’inversione peraltro non si è ancora manifestato ma ci siamo quasi, e ciò non tanto a causa della discesa dei tassi d’interesse a breve termine (quelli controllati dalle banche centrali) bensì a causa della risalita dei rendimenti a medio-lungo termine.

SE I TASSI NON SCENDONO L’ECONOMIA STENTA…

Il fenomeno è preoccupante dal momento che la causa principale è l’eccesso di debito che non ha precedenti nella storia economica, che peraltro genera indirettamente una svalutazione monetaria presto tradotta in ulteriore inflazione. Oggi i mercati scontano ancora una discesa dei tassi dei Fondi Federali americani ma meno pronunciata che non un paio di mesi fa, come si può leggere da questo grafico:


Il mantenimento più a lungo del prevedibile a livelli elevati dei tassi d’interesse che ne consegue fa poi paura anche per un altro motivo: tanto più è elevato il debito quanto più doloroso sarà per i debitori il maggior costo del denaro! Cosa che non può non generare un effetto recessivo: se una quota crescente del reddito disponibile va pagata in interessi sul debito, l’ammontare di denaro disponibile per i consumi e gli investimenti che ne residua sarà ovviamente minore.

E come ben sappiamo i debiti dell’Occidente sono cresciuti a dismisura negli ultimi tempi, tanto per le esigenze di spesa pubblica, come pure per le crescenti esigenze di investimento da parte delle imprese, quanto infine per il peggioramento dell’attitudine al risparmio da parte dei privati.

LA RISALITA DEI RENDIMENTI IMPLICITI DEL REDDITO FISSO È COMUNE A TUTTO L’OCCIDENTE

…E LA DISOCCUPAZIONE RISALE

L’inflazione poi, unita all’eccesso di indebitamento, genera un altro pesante effetto collaterale: la riduzione dei posti di lavoro, conseguente alla necessità delle imprese di tagliarli che deriva dalla rincorsa dei salari rispetto all’incremento dei prezzi al consumo. Cosa che impone alle imprese la ricerca di nuova efficienza e produttività, finendo per ridurre l’occupazione (altro elemento che contribuisce al calo dei consumi e, in definitiva, al rallentamento dell’economia). Guarda caso negli ultimi mesi la disoccupazione è tornata a crescere, persino in America. Un pessimo segnale che fa temere che, seppure in ritardo, anche stavolta la clava delle banche centrali possa aver generato un effetto recessivo che deve ancora manifestarsi.

LA DISCESA DEL REDDITO LORDO PRO CAPITE IN AMERICA

Man mano che i dati statistici (e le serie storiche dei dati di mercato) vengono fuori, le dinamiche sopra indicate si delineano purtroppo sempre più distintamente, facendo temere dunque che l’elevata liquidità in circolazione e le politiche fiscali estremamente espansive da parte dei governi di tutto l’Occidente possano non riuscire a contrastare la tendenza di fondo al rallentamento dello sviluppo economico dell’Occidente e della sua dinamica dei consumi.

LE ASPETTATIVE PEGGIORANO…

Ma ciò è indubbiamente aggravato dal contrasto crescente tra Oriente e Occidente, ovvero tra i paesi OCSE e quelli cosiddetti BRICS (oggi allargati nel numero). Questo riduce l’interscambio tra i paesi più industrializzati e le economie più giovani e oggi più dinamiche, e spinge queste ultime ad investire sempre meno sui mercati finanziari occidentali, cosa che in passato è invece risultata molto utile per pareggiare i nostri disavanzi commerciali.


Le tensioni geopolitiche tuttavia oggi prevalgono e causano una minore disponibilità dei paesi emergenti a investire sui mercati finanziari occidentali, a detenere meno attività denominate in Dollari e Euro e a preferire metalli preziosi e risorse naturali come riserve di valore. Questo comportamento favorisce una progressiva svalutazione delle divise monetarie occidentali, e alimenta un processo di inflazione dei prezzi limitato al solo Occidente (dove l’inflazione è più elevata) senza che la svalutazione favorisca la competitività delle esportazioni e dunque la progressione nello sviluppo economico.

…E LE TENDENZE DEI DUE “BLOCCHI” SI DIVARICANO

Non per niente le ultime stime pubblicate forniscono elementi a supporto di quanto sin qui ipotizzato: una crescita dei PIL dei paesi emergenti ben superiore a quella dei paesi OCSE e, parallelamente, uno sviluppo positivo anche dei loro mercati finanziari, i quali indubbiamente non devono scontare gli elevati tassi d’interesse che l’America ha di fatto imposto a tutto l’Occidente.


Difficile prevedere se ciò potrà durare, dal momento che il “decoupling” (lo sdoppiamento) degli andamenti economici questa volta sembra funzione di un qualcosa di relativamente nuovo che nelle precedenti recessioni non si era manifestato: la tendenza ad una riduzione della dipendenza delle economie emergenti dalla forza del Dollaro americano e dalle loro esportazioni verso i paesi OCSE. Staremo a vedere!

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 74 – sa 4 mag 2024 – la Lettera torna al sabato

 

Operazioni in essere : nessuna

La settimana 6 – 10 maggio segna un ciclo significativo per NAS 100, ma il residuo azionario U.S.A. non può agire contro il ciclo del NAS 100, quindi si tratta del primo segnale, dopo alcuni mesi, che può invertire l’intero azionario U.S.A.

Se così non fosse, incontreremo un tempo simile circa 30 gg innanzi.

GOLD GIUGNO 24

Nessuna novità, salvo che il range giornaliero medio supera 40 USD, costringendo ad allargare gli stop per chi si vuole cimentare.
Ciò premesso, ripropongo il testo consueto, che merita di essere letto più volte.

“Posso ugualmente riprovare un acquisto di GOLD ? Forse sì …. I punti a basso rischio dove proverò a comperare sono :

– 2146 ( top dic 2023 )
– 2088 – 2040 ( svolta long a metà febbraio )”

Mi auguro che tutti ricordino che dal 30 nov 2023 ( prima chiusura mensile sopra 1998 GOLD CASH ) la Lettera cerca di piazzare solo acquisti strategici, mai vendite.

Continuo a cercare una vendita in forza con il solo scopo di guadagnare al ribasso qualche punto percentuale per finanziare il futuro acquisto, che difficilmente potrà avvenire a livelli vicini allo stop loss, che non può essere più alto di 1984 cash, doppio minimo di dic 2023 – feb 2024, quindi con un rischio di 3 – 8 % ( acquisto da 2146 a 2040, con stop loss a 1984 cash )

Ciò premesso, spiegato il senso di questo tentativo di vendita, sin da lu 6 maggio, inserirò il seguente ordine :

vendo 1 GIU MICRO GOLD a 2390 con stop loss a 2440

SILVER LUGLIO 24

Anche per SILVER trovate solo un aggiornamento numerico del testo precedente.

Segnalo che il contratto di maggio è in consegna e quindi un eventuale ( improbabile a breve ) posizione verrà aperta su luglio, che costa circa 25 cents in più, pari all’uno per cento.

Come ho più volte evidenziato, in questa enorme volatilità si possono assumere posizioni su SILVER solo in caso di pull back sotto 25,01 SILVER CASH fino a 23,49 che è stato il top di feb 2024; ricordo infine che feb 24 era il primo dei due mesi consecutivi di possibile cambio di trend.

SILVER cash è sceso gio 2 mag fino a 26,02; sembrava impossibile, dopo lo spike a 29,79 e quindi anche il range da 25 a 23,50 si potrebbe rivedere.

In caso di acquisti, lo stop loss iniziale non potrà essere sopra 21,93 di SILVER CASH, con assunzione di un rischio percentuale molto elevato, tra il 6 e il 13 %, fuori dai parametri che avevo stabilito per questa Lettera.

SILVER richiede pazienza, a costo di un lungo rinvio.

DOW JONES INDU CASH

La discesa di DJ CASH è stata lenta e lunga , con perdita in percentuale solo del 5,5 %.

Potrò considerare una vendita solo dopo un eventuale rimbalzo intorno a 39300 – 39500 di DJ CASH, con stop loss sopra il top assoluto di 39889, registrato in marzo 2024 ( ciclo di 180 mesi da marzo 2009, inizio di una moltiplicazione per 6 volte di DOW JONES )

Non posso valutare un acquisto strategico, dopo tutto quello che ho scritto del ciclo di 180 mesi.

Se volessi cercare di guadagnare sul rimbalzo in corso, dovrò tener conto che il recente minimo di 37611 DJ CASH sarà lo stop loss.

Dopo lo strappo in sù di ve 3 maggio, appare poco probabile avvicinarsi a 38000 cash, che consentirebbe uno stop loss limitato all’ uno per cento.

Non sono disposto a rischiare oltre, per aprire una posizione long che non ha carattere strategico.

Si tratta evidentemente di operazioni da decidere giorno per giorno, fuori dalla portata di una Lettera settimanale, anche perché la chiusura di ieri ve 3 maggio a 38675 DJ CASH è molto lontana dal livello di 38000; quindi, nell’eventualità che tale livello venga raggiunto nei prossimi gg per una caduta di questo Mercato, occorre anche sapere il perché della caduta.

Diversamente, per riuscire ad aprire un ribasso, che mi interessa di più, la Lettera dovrà essere disposta a rischiare anche oltre il 2 %

NASDAQ 100 CASH

Avevo segnalato che nella settimana dal 6 al 10 maggio scade un ciclo di media importanza che spinge ad assumere il rischio di aprire una posizione short, intorno ad un eventuale doppio massimo rispetto a 18464 registrato il 21 marzo scorso, top di marzo e di sempre.

Come sempre devo fissare uno stop loss contestualmente all’apertura della posizione, perché così ho stabilito sin dall’esordio della Lettera.

In realtà, per gestire bene questo tentativo di short, si dovrebbe vendere “ in inversione “, vale a dire : attendere che NAS 100 CASH salga almeno a 18400 cash e, solo da quel giorno in poi, vendere alla rottura di ogni giorno precedente, anche in outside giornaliero.

Tutto ciò premesso, sin dal mattino di domani lu 6 maggio, inserirò i seguenti ordini :

– vendita di 1 GIU MICRO NAS 100 a 18500 con stop loss a 19000
– a prescindere dalla vendita a 18500, dopo che NAS 100 CASH fosse salito almeno a 18200, vendere 1 GIU MICRO NAS 100 ogni giorno in cui venisse rotto il minimo di ogni giorno precedente; tutte queste vendite avranno stop loss 50 punti sopra il massimo toccato da lu 6.5 fino al giorno dell’eseguito.

( Non riesco a formulare la seconda strategia in modo più chiaro. Spero che si comprenda che, nell’ipotesi in cui già lu 6.5 venga eseguita la vendita a 18500 NAS FUT, vi possono essere al massimo altri 4 MICRO NAS 100 venduti nella settimana 6 – 10 maggio per un totale di 5 MICRO )


Leonardo Bodini

 




APPUNTI DI TRADING

N. 73 – merc 1 mag 2024

Operazioni in essere : nessuna

Ricordo che lu 15.4 avevo venduto 1 GIU MICRO NAS 100 a 17900, stoppato in pari venerdì 26 apr a 17900.

La Lettera è rimasta al ribasso 9 sedute, vedendo una discesa fino a 17116 GIU NAS FUT, ma senza passare alla cassa, per tentare di creare una posizione strategica; intendo con altre successive vendite.

GOLD GIUGNO 24

Nelle precedenti Lettere avevo scritto :
“Posso ugualmente riprovare un acquisto di GOLD ? Forse sì .………………………………..Segnalo che ve 12 aprile 2024, GOLD ha segnato il top storico a 2431 cash ( 2448,80 per il contratto giu 24 ) per poi perdere in poche ore, 98 USD, cadendo come un sasso. I punti a basso rischio dove proverò a comperare sono :

– 2146 ( top dic 2023 )
– 2088 – 2040 ( svolta long a metà febbraio )”

Invito a osservare il grafico giornaliero ove ho evidenziato con numeri da zero a tre le quattro barre giornaliere di range più ampio.

Devo dire che spaventano per il loro range e ci ricordano che gli stop loss costano, ma sono indispensabili.

Mi auguro che tutti ricordino che dal 30 nov 2023 la Lettera cerca di piazzare solo acquisti strategici, mai vendite.

Unicamente nella scorsa N. 72 avevo cercato una vendita in forza a 2430 con SL 2460, ma non ha raggiunto il livello; non si trattava di una vendita strategica, ma solo un tentativo di guadagnare al ribasso qualche punto percentuale per finanziare il futuro acquisto, che difficilmente potrà avvenire a livelli vicini allo stop loss, che non può essere più alto di 1984 cash, doppio minimo di dic 2023 – feb 2024

Ciò premesso, spiegato il senso di questo tentativo di vendita, sin da gio 2 maggio, inserirò il seguente ordine :

vendo 1 GIU MICRO GOLD a 2390 con stop loss a 2440

SILVER MAGGIO 24

Come ho più volte evidenziato, in questa enorme volatilità si possono assumere posizioni su SILVER solo in caso di pull back sotto 25,01 SILVER CASH fino a 23,49 che è stato il top di feb 2024; ricordo infine che feb 24 era il primo dei due mesi consecutivi di possibile cambio di trend.

SILVER cash è sceso ieri 30 apr fino a 26,27 – sembrava impossibile, dopo lo spike a 29,79 e quindi anche il range da 25 a 23,50 si potrebbe rivedere.

In caso di acquisti, lo stop loss iniziale non potrà essere sopra 21,93 di SILVER CASH, con assunzione di un rischio percentuale elevato.

SILVER richiede pazienza, a costo di un lungo rinvio.

DOW JONES INDU CASH

La discesa di DJ CASH è stata lenta e lunga , con perdita in percentuale poco inferiore a NAS 100.

Potrò considerare una vendita solo dopo un eventuale rimbalzo ad almeno 39000 di DJ CASH.

Non posso valutare un acquisto strategico, dopo tutto quello che ho scritto del ciclo di 180 mesi.

Se volessi cercare di guadagnare su ipotesi di rimbalzo, dovrò tener conto che il recente minimo di 37611 DJ CASH sarà lo stop loss.

Quindi l’acquisto è fattibile solo se il prezzo sarà di poco superiore.

Si tratta evidentemente di operazioni da decidere giorno per giorno, fuori dalla portata di una Lettera settimanale.

NASDAQ 100 CASH

Avevo scritto :

“La posizione di 1 MICRO NAS 100 è la minima possibile e cerco di non chiuderla, anche se il profitto percentuale è interessante, ma non passo a riscuotere; quindi faccio un sacrificio e semplicemente abbasso lo stop loss in pari, vale a dire a 17900 NAS 100 future.”

Il mercato è risalito poco sopra il livello di 17900 e poi è ridisceso.

Amen.

Non escludo una rivendita dallo stesso livello di 17900 fino a 18200 circa; se facesse un nuovo massimo, sopra il top di marzo e quindi top assoluto, eviterei una vendita.

Segnalo che nella settimana dal 6 al 10 maggio scade un ciclo di media importanza che suggerisce due livelli di svolta di cui :

– Il primo è 17600 – 18100 cash e ci siamo
– L’altro è 15600 cash ( minimi ripetuti intorno all’inizio dell’anno 2022, livello che indico da mesi come di rilievo ) e certamente possiamo raggiungerlo solo sotto l’influsso di uno o più fattori esogeni, non augurabili.

I prezzi intorno a 18000 sarebbero per questa Lettera un top da vendere, mentre un crollo intorno a 15600 potrebbe rappresentare un acquisto a rischio moderato.

Tutto ciò premesso, sin dal mattino di domani gio 2 maggio, inserirò :

vendita di 1 GIU MICRO NAS 100 a 18200 con stop loss a 18700

Leonardo Bodini

 

 

 

 




DUE SCENARI PER L’ECONOMIA

C’è una domanda che viene sussurrata in questi giorni sui mercati finanziari: è possibile che -a causa delle numerose campagne elettorali in corso- qualcuno stia ”tacitando” gli istituti di statistica al riguardo dei dati macroeconomici effettivi? È cioè possibile una lettura del quadro congiunturale diversa da quella del “mainstream”? Ebbene sì: è possibile che la situazione macroeconomica dell’intero Occidente (e in particolare del vecchio continente) sia decisamente peggiore di quanto ci vogliono far ritenere le statistiche ufficiali e gli organi di informazione.

LA MISURA DELLA VERA INFLAZIONE

Nello scriverlo ammetto di stupirmene io stesso, ma tutti possiamo testimoniare che i rincari nei prezzi di merci, servizi, affitti e generi alimentari che comperiamo quotidianamente hanno ecceduto parecchio quelle piccole percentuali di inflazione che gli istituti di statistica vorrebbero far passare agli annali della storia recente.


Negli ultimi due anni invece la spirale inflazionistica dei prezzi al consumo ha rasentato il 30-40% di rincaro, a partire dal maggior costo del carrello della spesa fino alle utenze domestiche, alle autostrade e ai prezzi di bar, ristoranti, locali, alberghi e intrattenimenti vari. I numeri, come diceva George Bernard Shaw , sono maledettamente testardi, cioè difficili da addomesticare, anche quando a tentare di farlo sono le grandi istituzioni.


Purtroppo lo scenario “iperinflattivo” che le banche centrali, i media e gli uffici di statistica tendono a mettere in secondo piano coincide plasticamente con una pari riduzione (sinanco negli U.S.A.) del potere d’acquisto di stipendi e salari, i quali sono lungi dall’essersi effettivamente incrementati parimenti (soprattutto in Europa).

CAMBIANO I COMPORTAMENTI DEI CONSUMATORI

Questo spinge a ritenere che, in realtà, la maggior parte dei dei cittadini che con l’inflazione viene privata di una fetta più o meno consistente della propria capacità di spesa (o di ricchezza privata), possa tendere nel tempo ad adattarsi alla situazione limitando i propri consumi, incrementando gli sforzi (e le rivendicazioni sociali) per riacciuffare il terreno economico perduto, o modificando i propri comportamenti e, ad esempio, incrementando il proprio indebitamento personale.


Nel grafico qui sopra gli incrementi nominali di reddito degli americani, che tuttavia sono stati molto migliori di quelli europei, come si può vedere dall’andamento storico sotto riportato:


È possibile insomma che nel tempo, una volta esauriti gli effetti espansivi della maggior spesa pubblica (in deficit) che oggi incrementa il Prodotto Interno Lordo dell’Occidente (dai sussidi del welfare agli incentivi per gli investimenti e all’ampliamento dell’arsenale militare, passando per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l’incremento delle forze di polizia), l’inflazione che ne deriva possa sospingere di fatto l’economia verso una contrazione piuttosto che verso uno sviluppo.

I TASSI D’INTERESSE NON POSSONO SCENDERE

A dimostrarlo ci sarebbero i ripetuti cali dell’output produttivo, soprattutto quelli delle piccole e medie imprese, come pure l’incremento dei tassi d’interesse a medio-lungo termine espressi dai titoli di stato, che prosegue oramai da alcuni mesi, nonostante il fatto che le banche centrali continuino a ventilare la possibilità di tagli del tasso di sconto, i quali tuttavia avrebbero efficacia soltanto sui saggi d’interesse a breve termine. Ulteriori risalite dei tassi a medio-lungo termine tuttavia affliggerebbero i moltiplicatori di valore delle aziende, che non potrebbero restare elevati troppo a lungo, nemmeno nel comparto delle tecnologie più avanzate (come l’A.I.), dove hanno sinora trovato ampie eccezioni.

LE VALUTAZIONI D’AZIENDA NE RISENTONO

Non per nulla sono calate le valutazioni delle società quotate di dimensione piccola e media (Ivi compresi sinanco gli istituti bancari e finanziari minori), pur in presenza di una crescita consistente della capitalizzazione complessiva dei listini di borsa, la quale però poggia sui crescenti profitti di pochi importantissimi titoli a grande capitalizzazione, a scapito di tutti gli altri. In questa chiave di lettura persino i progressi degli indici dei mercati azionari restano da guardare con attenzione, dal momento che sino ad oggi gli incrementi di valutazione di pochi grandissimi titoli azionari sono stati l’unico antidoto alla svalutazione monetaria.

IL P.I.L. NON È STATO ADEGUATAMENTE DEFLAZIONATO

Anche gli avanzamenti dei prodotti interni lordi dei principali paesi occidentali potrebbero essere “letti” in altra maniera, laddove dovessimo prendere atto del fatto che essi non sono stati “deflazionati” come si sarebbe dovuto. Se così invece fosse stato potremmo affermare che sono invece stati di fatto “annacquati” e che in realtà sono calati in termini assoluti. Il condizionale appare d’obbligo in questi casi ma oggi il dubbio avanza.


Laddove infatti la crescita economica registrata negli ultimi mesi per l’intero Occidente fosse da derubricare ad una mancata corretta deflazione dei redditi nominali, allora il quadro congiunturale complessivo ci si mostrerebbe assai diverso, dal momento che l’inflazione media non soltanto non sembra coincidere con il 3% annuo ufficiale, ma appare addirittura in ripresa, mentre la crescita economica non soltanto potrebbe essere corrispondentemente ridotta, ma potrebbe peggiorare presto.

D’altra parte se l’inflazione effettiva fosse stata maggiore di quella rilevata sarebbe lecito attendersi che un certo numero di prezzi e tariffe che sino ad oggi sono rimaste “indietro” debbano prima o poi necessariamente arrivare ad adeguarsi, quantomeno al maggior costo di produzione. Questo farebbe si che nemmeno il dato ufficiale sull’inflazione possa mai raggiungere l’obiettivo dichiarato del 2%, perché un certo numero di altri prezzi, salari e tariffe che sino ad oggi è stato plafonato, si adegui lentamente alla cruda realtà.


IL RINCARO DELLE COMMODITIES E LA MONETIZZAZIONE

Aggiungiamo allo sconfortante quadretto che ne deriverebbe ancora un paio di elementi assai poco rassicuranti: innanzitutto non soltanto c’è da attendersi la prosecuzione dell’adeguamento di salari e stipendi al maggior costo della vita, cosa che evidentemente manterrà pressioni al rialzo sui saggi d’inflazione, sinanco su quelli ufficiali. Non soltanto perché negli ultimi mesi abbiamo assistito anche ad un sostanziale incremento dei prezzi del petrolio, delle principali “commodities” (derrate alimentari e materiali di prima necessità) e dell’energia che non sembra voler regredire. Incremento registrato proprio negli ultimi mesi, quelli in cui ci si aspettava invece un calo dei tassi d’interesse . Tale rialzo non può che complicare la vita di chi vorrebbe affermare che l’inflazione sta scendendo, dal momento che esso sta gettando le basi per ulteriori maggiorazioni future nei prezzi dei prodotti finiti, sebbene ciò non avverrà immediatamente.

Ma ci sono anche le cosiddette “variabili finanziarie”: vale a dire la sostanziale monetizzazione (l’accollo alle banche centrali) dei crescenti debiti pubblici di tutto l’Occidente, i quali possono oramai risultare sostenibili soltanto a due condizioni: che i tassi di rendimento dei nuovi titoli emessi risultino progressivamente crescenti e che l’economia globale cresca più che proporzionalmente. La monetizzazione in corso dei debiti pubblici genera uno sgradevole effetto di fondo: quello di svalutazione della moneta emessa dalla banca centrale stessa, dal momento che quest’ultima deve metterne in circolazione una maggior quantità. E la svalutazione della moneta si traduce inesorabilmente in inflazione dei prezzi aggiuntiva, sebbene i relativi meccanismi di trasmissione non siano mai immediati.

L’INCREMENTO DELL’OFFERTA DI MONETA NEL MONDO

I BENI RIFUGIO RIFLETTONO LA SVALUTAZIONE EFFETTIVA

È da spiegare in tal senso l’incremento di prezzo di tutti i beni-rifugio, ivi compresi oro (si veda il grafico sotto riportato) e Bitcoin (sulle altre criptovalute avrei invece dubbi), usati quale riserva di valore da parte di chi vuole proteggersi dalla svalutazione progressiva delle “fiat currencies”, cioè delle divise ufficiali di conto, quali ad esempio il Dollaro, l’Euro e lo Yen.


Tanto la svalutazione delle monete quanto l’incremento dei tassi d’interesse a lungo termine (con l’erosione conseguente dei prezzi dei titoli a reddito fisso) non potranno che determinare nel tempo delle altre spinte al rialzo dell’inflazione dei prezzi al consumo. Ragione per la quale non è ragionevole attendersi altri ribassi negli indici di inflazione, quanto casomai dei rialzi.

LE BORSE POTREBBERO NON RISENTIRNE

Sebbene i mercati finanziari stiano registrando delle inevitabili discese di valore dei titoli a reddito fisso (i quali devono adeguarsi ai maggiori tassi d’interesse a medio-lungo termine che gli Stati sovrani devono accettare di pagare per collocare le nuove emissioni), le borse fino ad oggi hanno “tenuto botta” e potrebbero anche in futuro continuare a farlo in virtù di numerosi fattori a sostegno quali è innanzitutto l’incremento (soprattutto nominale, si badi bene) dei profitti aziendali, ma anche la grande liquidità in circolazione (buona parte della quale proviene ancora dai paesi emergenti e dai rifinanziamenti delle banche centrali a quelle ordinarie) nonché senza dubbio le elevate aspettative concernenti le nuove tecnologie.


Queste ultime (spesso fondate) generano aspettative di incremento dei profitti futuri e che anno contribuito sino ad oggi alla tenuta degli elevati moltiplicatori di valore delle grandissime multinazionali tecnologiche. Ma poiché il contesto generale nel quale si muovono le borse valori oggi sta peggiorando, si accentuano le differenze tra i moltiplicatori di queste ultime e quelli di tutto il resto del mercato, i quali non potranno che soffrire qualora l’inflazione permanesse e i tassi continuassero a crescere.


Nel grafico qui sopra possiamo vedere come la strabiliante corsa dell’indice Standard & Poor’s 500 che si può leggere nel grafico precedente sia in realtà da ridimensionare moltissimo se il valore delle azioni Ivi contenute venisse misurato in grammi d’oro, cioè in termini di valore reale. Se ne deduce che la borsa americana, nonostante i suoi ripetuti record, ha soltanto leggermente superato il valore nel tempo dell’oro fisico, ritrovandosi ad esempio, ai giorni nostri, agli stessi livelli di cinquant’anni fa.

I COMPARTI INDUSTRIALI PIÙ PRIVILEGIATI

Per le ragioni sopra esposte le quotazioni medie delle borse valori potrebbero subire qualche perdita, ma con almeno tre importantissime eccezioni :

  1. il comparto dell’energia (non potrà non beneficiare dei prezzi elevati),
  2. quello finanziario (i tassi d’interesse elevati generano margini crescenti),
  3. quello della produzione degli armamenti (che beneficia della corsa al riarmo in atto).

Dunque c’è da attendersi che, sinanco nello scenario peggiore, i livelli delle borse verranno ampiamente puntellati dalla crescita dei profitti derivanti dalle nuove tecnologie, dai maggiori margini energetici, dal più ampio margine derivante dai tassi elevati e dai grandi profitti dell’industria bellica (quest’ultima però non costituisce più un’esclusiva occidentale). Con buona pace dei settori più tradizionali, che si muoveranno invece in un contesto più difficile a causa dei tassi d’interesse elevati.

LA VOLATILITÀ POTREBBE AUMENTARE ANCORA

Sebbene sino a questo punto abbiamo soltanto ventilato un’ipotesi, bisogna ammettere che pare corrispondere alla perfezione a quanto sta succedendo negli ultimi giorni, e che in tal caso ci sarebbe da attendersi che la tendenza prosegua. I crescenti tumulti geopolitici (e prima o poi anche possibili disordini sociali, soprattutto in Europa) possono sospingere gli investitori del risparmio gestito verso ulteriori rotazioni dei portafogli a favore di titoli più “difensivi” e ad una maggior cautela, cosa che non potrà che sgonfiare le valutazioni delle grandi multinazionali tecnologiche, pur in presenza di profitti crescenti. Ma queste considerazioni proiettano ugualmente uno scenario “piatto” per i listini azionari, anche se la volatilità dei corsi potrebbe ora tornare a crescere significativamente.


L’INFLAZIONE LIMITA LE PROSPETTIVE DI SVILUPPO

Il problema di fondo è tuttavia relativo alle sorti dei numerosi paesi emergenti le cui economie si basano su estrazione e trasformazione delle materie prime, perché fintanto che buona parte dei loro indebitamenti resteranno denominati in dollari americani, essi potranno subirne il rafforzamento progressivo nei cambi valute, riducendo di conseguenza gli spazi per la crescita macroeconomica globale. Nel grafico qui riportato si può vedere come le aspettative relative al cambio del dollaro nei confronti delle principali altre valute siano decisamente al rialzo.


Ciò tuttavia può sospingere i paesi emergenti verso un progressivo affrancamento dal Dollaro nei commerci internazionali e per gli investimenti infrastrutturali. Ma un eventuale minor afflusso di valuta dai paesi emergenti verso gli U.S.A. renderebbe poco sostenibile il debito pubblico americano nel medio-lungo termine senza che intervengano nuove guerre o altri significativi progressi in campo iper-tecnologico che potranno venire esportati nel resto del mondo.

IL ”MODELLO” OCCIDENTALE È SOSTENIBILE?

Quali possono essere le conseguenze macroeconomiche di un tale scenario? Innanzitutto c’è da attendersi una crescente divaricazione tra le sorti di America e Regno Unito da un lato e quelle dell’Europa dall’altro lato, dal momento che quest’ultima non potrà che vedere ridursi i propri margini di profitto a causa della vetustà della struttura industriale e della riduzione progressiva del commercio internazionale. In secondo luogo occorre stimare la sostenibilità dell’attuale modello di sviluppo delle economie occidentali, basato su sussidi e stimoli economici pubblici i quali generano sempre più ampi deficit di stato e, di conseguenza, svalutazione della moneta e inflazione dei prezzi, che nel tempo si traducono in elevati tassi d’interesse.


LA PROGRESSIVA DE-DOLLARIZZAZIONE

È presumibile che la storica tendenza dell’Occidente a “esportare” inflazione e svalutazione a scapito dei paesi emergenti attraverso la rivalutazione delle proprie monete forti trovi in futuro dei crescenti limiti a causa della progressiva “de-dollarizzazione” delle economie emergenti (la quale ha un riflesso immediato nella crescita del prezzo dell’oro e degli altri metalli preziosi). Le esportazioni dei paesi emergenti -sempre più coalizzati in una sorta di bocco alternativo a quello occidentale- avvengono cioè sempre più in valute diverse da Dollaro, Sterlina, Euro e Yen.

È in questo contesto generale che può trovare spazio l’ipotesi che l’Occidente si ritrovi verso la fine dell’anno in una situazione di stagnazione e inflazione al tempo stesso (cioè in ”stagflazione”), dal momento che l’inflazione prolungata (e in parte occultata sino ad oggi) mette a rischio lo sviluppo economico, cioè quell’elemento che ne avrebbe mitigato gli effetti negativi in termini di consumi e investimenti. Al riguardo non vi sono certezze ma soltanto ipotesi, che ovviamente ci auguriamo che non prendano corpo.

DUE SCENARI DIFFERENTI

Esistono margini di speranza che ciò non accada, derivanti dalle potenziali ampie ricadute del progresso tecnologico in tutti i comparti industriali, le quali potrebbero favorire la deflazione dei prezzi (invece che dare benefici soltanto ai soliti, pochissimi detentori di grandi ricchezze). Così come esistono inoltre concrete speranze di una riduzione delle contrapposizioni geopolitiche in atto tra i grandi blocchi. Non soltanto questa possibilità sprigionerebbe molte speranze per il benessere dell’umanità, ma sarebbero soprattutto i paesi OECD a beneficiarne anche in termini di riduzione dei tassi d’interesse.

Tuttavia in caso di riduzione delle tensioni geopolitiche il “partito della guerra” avrebbe molto da perdere in termini di minori spese militari e calo dei prezzi dell’energia. Sono proprio questi interessi che oggi soffiano sul fuoco delle possibili degenerazioni del conflitto mediorientale e di quello in atto nell’est Europa. Scenari che non possono che spaventare chi deve investire e che riducono le prospettive di crescita economica globale. E in tal caso una stagflazione conclamata sarebbe probabilmente l’inevitabile conseguenza di un’eventuale deriva bellica allargata. Evitabile tuttavia qualora ce ne fosse la volontà.

 

Stefano di Tommaso