2023 – 2024 CONCLUSIONI & PREVISIONI

E’ tempo di conclusioni e previsioni. Tutti le fanno, anche se nessuno è in grado davvero di sapere cosa ci riserva il prossimo futuro. Dunque perché cimentarsi ugualmente? Molti analisti scrivono previsioni credendo di poterle azzeccare almeno in parte. Altri come il sottoscritto non pretendono di farlo, ma mettono ugualmente insieme fatti e considerazioni per farsi delle domande, evitando di trarne spunti troppo stringenti per le conclusioni. Ma quest’anno è davvero difficile utilizzarle per sapere cosa ci aspetta!

 

LE BANCHE CENTRALI HANNO PROVOCATO RECESSIONI?

Tutti ad esempio attendevano che lo straordinario rialzo dei tassi d’interesse avrebbe strangolato l’economia reale, gettando le economie che l’hanno subìto in recessione. E invece non è successo, o meglio qualcosa è comunque accaduto, ma le statistiche non l’hanno registrato. Non c’è troppo da stupirsene: gli istituti di statistica devono tenere conto di molti fattori e metterli insieme non è mai semplice o privo di discrezionalità. Però -almeno per adesso- il peggio è stato evitato: l’economia globale risulta ancora in crescita e traina anche quella parte del mondo (la nostra) che risulta meno dinamica.


L’INFLAZIONE È STATA “TEMPORANEA”?

Tutti si aspettavano che l’inflazione dei prezzi, così com’era cresciuta, sarebbe discesa in fretta e che di conseguenza le banche centrali avrebbero accompagnato la discesa dell’inflazione con un calo dei tassi d’interesse da esse governati. E invece c’è voluto tutto il 2023 per vedere una parziale discesa dell’inflazione e senza alcuna correzione dei tassi al ribasso da parte delle banche centrali. Pazienza, si dice: anche le banche centrali devono tenere conto di troppi fattori per riuscire a muoversi con la stessa rapidità che chiederebbero loro i mercati finanziari. In realtà se l’inflazione rialzerà la testa (com’è accaduto negli anni ‘70, dopo la prima ondata) non lo sappiamo ancora.

LE POLITICHE MONETARIE SONO STATE DAVVERO RESTRITTIVE?

Le banche centrali, quando mettono in atto politiche monetarie restrittive per combattere l’inflazione, non si muovono mai soltanto con il rialzo dei tassi d’interesse: la riduzione della liquidità sui mercati è altrettanto importante per “raffreddare” l’economia, soprattutto quando negli anni immediatamente precedenti di liquidità ne era stata immessa davvero parecchia.

E quello che oggi sta avvenendo è al tempo stesso clamoroso ma è anche passato in sordina dal “mainstream” dei media: le banche centrali hanno fatto molta fatica a ridurre la liquidità del sistema finanziario, perché così facendo è stata messa a rischio la solvibilità un certo numero di istituti di credito. E così, dopo i primi scricchiolii, i banchieri centrali sono dovuti correre ai ripari (anzi, lo stanno ancora facendo), con finanziamenti surrettizi e immissioni di liquidità consistenti, per lo più sotto forma di operazioni temporanee e di breve durata, anche per non dare troppo nell’occhio. Ma ovviamente in tal modo hanno moderato l’impatto delle restrizioni monetarie.


È chiaro tuttavia che quando uno dei due strumenti principali di politica monetaria viene a mancare (cioè la “stretta” in senso proprio) ecco che l’altro strumento (la manovra sui tassi) deve compensare l’assenza del primo strumento. Questo spiega almeno in parte la scarsa disponibilità da parte delle banche centrali alla riduzione dei tassi di sconto sino ad oggi.

QUALI CONSEGUENZE POSSONO GENERARE TASSI TROPPO ELEVATI ?

Il punto è che la “tenuta” di elevati tassi d’interesse mentre l’inflazione scende comporta sempre delle conseguenze. Alcune anche poco piacevoli, a partire dal fatto che essa si traduce in un innalzamento dei tassi “reali” d’interesse, cioè di quelli nominali una volta ridotti del tasso d’inflazione. Se quest’ultima scende e i tassi nominali no, chiaramente i tassi reali salgono, generando svalutazioni ad esempio nel settore immobiliare, e un generale trasferimento di ricchezza dall’economia reale a quella finanziaria, creando problemi a chi deve investire impegnando ingenti somme di denaro e rallentando gli investimenti pubblici nelle infrastrutture. Si rischia cioè una crisi del debito.


Anche perché -e qui viene il bello- le economie occidentali vengono fuori dalla pandemia straordinariamente indebitate e perciò costretti a “girare” una quota crescente del gettito fiscale percepito a favore dei percettori delle cedole, sottraendola ad altri tipi di impiego (formazione, investimenti, spesa pubblica, sussidi, sicurezza, ambiente, eccetera).

I DEBITI IMPEDISCONO LA CRESCITA?

Nella tabella qui sotto la situazione dell’indebitamento pubblico delle principali economie globali all’inizio dell’anno 2024:


E’ chiaro quindi che, dovendo pagare interessi più alti sul debito, i governi occidentali possono fare di meno sul fronte degli incentivi alle attività economiche reali, né possono proporre sgravi fiscali a cuor leggero, data la scarsa capacità di impostare manovre in forte deficit (che innalzerebbe troppo il monte di debiti già accumulati). Quanto sopra genera una situazione che tende a limitare la capacità delle imprese di produrre profitti e di finanziare gli investimenti, poiché si somma ad un contesto di tassi d’interesse reali addirittura crescenti. E quando le imprese riducono la prospettiva di fare profitti tendono anche a valere di meno.

E quando il costo del denaro cresce, le fusioni e acquisizioni si riducono e i fondi di “venture capital” e “private equity” rallentano le loro iniziative, perché non possono godere appieno dei benefici della leva finanziaria.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SARÀ PER POCHI?

Molte imprese tendono oggi a rinviare gli investimenti più importanti, sperando di finanziarli nel prossimo futuro a condizioni migliorative, riducendo però parallelamente il miglioramento della produttività del lavoro umano. Così cresce il ”divario” tra le imprese di maggior dimensione (cioè quelle in grado di investire in modo consistente nell’automazione, nelle infrastrutture digitali e nell’intelligenza artificiale, allo scopo di migliorare la loro marginalità e, in definitiva, la propria competitività) e le altre, quelle cioè che per mancanza di risorse sufficienti si limitano ad andare avanti come possono.


LE BANCHE CENTRALI SONO PRUDENTI O INCAPACI?

E per tornare ai debiti pubblici (quasi tutti ancora oggi in decisa ulteriore crescita), sono pressoché certe due cose: 1) il livello attuale piuttosto elevato dei tassi d’interesse non sembra a lungo sostenibile, generando crescenti perplessità nei sottoscrittori di nuovi titoli pubblici, man mano che quelli vecchi vanno in scadenza; 2) il totale attivo di bilancio delle banche centrali, che ogni volta viene chiamato in causa per contribuire (magari in sordina) alla sottoscrizione delle emissioni di titoli pubblici, in questa situazione non può ridursi come sarebbe auspicabile, generando una discrasia nelle politiche monetarie che ne conseguono: restrittive dal punto di vista dei tassi d’interesse e al tempo stesso espansive dal punto di vista della massa monetaria che esse contribuiscono a generare ogni volta che sottoscrivono titoli pubblici.


Ciò lascia peraltro supporre che, in presenza di politiche monetarie così ambigue, le banche centrali andranno molto piano nel far calare i tassi anche perché l’inflazione potrebbe non scendere così rapidamente come auspicano i mercati. In effetti nelle ultime settimane si sono viste le prime avvisaglie di un piccolo rimbalzo dei prezzi, soprattutto in Europa.

L’INFLAZIONE RIMBALZERÀ?

Le prime rilevazioni dell’indice armonizzato di Dicembre in Eurozona mostrano un incremento dei prezzi intorno al 4% su base annua (per il momento si conoscono soltanto i dati del 4,1% Francia e del 3,8% Germania), che peraltro consegue ad un rialzo dei prezzi energetici, normalmente i primi a muoversi quando l’inflazione rimbalza. E il rischio che questo spettro si materializzi si sta facendo molto concreto, come si può leggere dall’impennata del costo dei “noli” marittimi:


Il quadro che si va delineando per questo inizio del 2024 non è dunque dei migliori, con un contesto generale di bassa crescita economica, il rinvio di taluni investimenti a periodi di futuri tassi decrescenti, i consumi che in generale non crescono a causa del maggior costo del credito e del difficile inseguimento all’inflazione reale da parte dei salari. Un’inflazione che peraltro appare decisamente più consistente di quella dichiarata dagli istituti di statistica. Il costo del carrello della spesa al supermercato è cresciuto in media del 30% in poco più di un anno e mezzo. Mentre le statistiche ufficiali parlano più o meno del 10% cumulativo.

LE IMPRESE RIUSCIRANNO A FARE PROFITTI?

I profitti delle imprese in questo contesto difficilmente cresceranno e la produttività del lavoro che teoricamente potrebbe crescere in funzione della progressiva digitalizzazione e dell’incedere dell’Intelligenza Artificiale. Quest’ultima promette una vera e propria rivoluzione della vita economica ma, per essere utilizzata e cavalcata come si cavalca una tigre, occorre investire ingenti somme. Oggi tuttavia soltanto per le imprese di maggiore dimensione e con una forte generazione di cassa da destinare all’innovazione possono permettersi i relativi investimenti. Le altre nisba! E non solo: in questa situazione è prevedibile una crescita del divario tra Europa e Stati Uniti d’America, dove i salari sono più alti, le imprese sono più grandi e più tecnologiche e oltretutto queste ultime investono molto di più.


Ma se i profitti della maggior parte delle imprese non sono destinati a crescere e i tassi non sono destinati a scendere tanto velocemente quanto si aspetta il mercato finanziario, è presumibile che gli investitori finanziari continueranno con le prese di beneficio rispetto agli attuali livelli altissimi dei listini azionari, almeno per il primo trimestre dell’anno.

SARANNO NUMEROSE LE IMPRESE CHE SI QUOTANO IN BORSA ?

È altresì probabile che, in contesto generale di forte rinnovamento tecnologico e culturale delle imprese, salirà il numero delle “matricole” che decideranno di tentare di raccogliere capitali in Borsa per adeguarsi alle nuove tecnologie e internazionalizzarsi, cercando di espandere produzione e distribuzione nei mercati che è più difficile raggiungere con i canali tradizionali. Dunque è possibile che, dato tutto, le borse registreranno un incremento del numero di IPO (Inital Public Offering), anche perché la liquidità sui mercati potrebbe restare abbondante, cosa che indirettamente ne sosterrà le quotazioni.


Occorre però ricordare che le borse hanno appena finito di segnare nuovi massimi storici e che nei primi giorni del 2024 le correzioni dei listini sono state tutto sommato quasi irrilevanti. Dunque è possibile che i grandi gestori del risparmio ne approfitteranno per far ”ruotare” i loro portafogli degli investimenti, verso un profilo di maggior prudenza e per portare a casa parte dei benefici accumulati. Dunque è possibile che i listini continueranno a ridimensionarsi, pur in un contesto ancora favorevole.

CRESCERÀ IL ”DIGITAL DIVIDE”?

È il classico periodo nel quale gli investitori professionali possono approfittare di qualche presa di beneficio per riporre un ammontare crescente di risorse sui titoli a reddito fisso (che potrebbero cavalcare una progressiva discesa dei tassi), ma anche per fare selezione tra i titoli azionari da acquistare, con ulteriori divergenze tra i moltiplicatori di valore, a seconda della dimensione aziendale e anche dei comparti industriali.


È presumibile altresì un’ulteriore avanzata delle valutazioni tra le società più attive nelle nuove tecnologie e, viceversa, ulteriori ridimensionamenti delle quotazioni azionarie nei comparti più maturi o a maggior domanda energetica. È questa una tendenza di cui al momento è difficile trovare conferma perché il cambio con il dollaro americano è sceso e le quotazioni delle piccole e medie imprese sono rimbalzate a fine anno, pur crescendo assai meno delle altre nel 2023.

SALIRÀ IL PREZZO DELL’ENERGIA?

Il prezzo dell’energia infatti potrebbe non calare, tanto più quanto l’economia reale (e dunque i consumi) riusciranno a non flettere troppo, mentre è presumibile che continueranno gli incentivi nei confronti delle energie da fonti rinnovabili, con conseguenti penalizzazioni nei confronti di quelle tradizionali. Anzi, l’energia potrebbe addirittura rincarare (nonostante la bassa crescita che si presume riguarderà tutto il 2024) qualora le tensioni geopolitiche dovessero continuare a far preoccupare per gli approvvigionamenti di materie prime e commodities. Difficile però fare previsioni su guerre e schieramenti: ad oggi il quadro sembra soltanto peggiorare. E se così fosse alla fine la bolletta energetica si impennerà.


I LISTINI AZIONARI RIUSCIRANNO A RESTARE INTORNO AI MASSIMI?

Il quadro tuttavia sembra molto lontano dall’essere negativo: alle attuali quotazioni azionarie per i listini di borsa già solo il loro non scendere costituirà una bella vittoria e, per molte ragioni, questo potrebbe succedere. Casomai i rischi per i mercati finanziari sono costituiti dalla possibilità che i vari fattori fondamentali permettano all’inflazione di rimbalzare, creando i presupposti per una crisi di fiducia nei confronti dei debitori di non altissima qualità. Una crisi del debito poi innescherebbe anche problemi per i titoli di stato, che risentirebbero delle prospettive di un calo dei gettiti fiscali. Sarebbe una bella rogna, insomma, anche se non è così probabile che succeda.

VALE SEMPRE LA PENA DI AGUZZARE LA VISTA!

Ecco: pur senza pretendere di prevedere alcunché, la semplice osservazione del quadro generale ci fornisce tutto sommato parecchie indicazioni, suggerendo talune conclusioni e spingendoci a qualche previsione. Saranno corrette ovvero, per qualche ragione, sui mercati prevarranno alla fine conclusioni quasi opposte? E se anche fosse, riusciremo ad utilizzarle efficacemente?

La risposta probabilmente è dentro ciascuno di noi. Molti segni delle cose che stanno per succedere sono magari già evidenti, ma soltanto per coloro che vogliono davvero osservarli. E come sempre accade riusciranno a beneficiarne solo una sparuta minoranza di questi ultimi. Come sempre. Tuttavia già soltanto questa speranza ci dice che vale sempre la pena di aguzzare la vista!

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 57 – sabato 6 gennaio 2024

 

Operazioni in essere :

lu 27 nov comperato 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2035, ora con stop loss a 1970

GOLD FEBB 24

La rottura del TRIPLO MASSIMO ( 2075 – 2070 – 2060 ), che attendo, ancora non si vede.

Se e quando ci sarà (la dichiarerò dopo una chiusura settimanale sopra 2090 cash ) mi attendo un forte movimento al rialzo con obiettivi anche molto lontani.

Quindi inserisco solo ordini in eventuale debolezza del Mercato e nessuno in rottura dei massimi.

Segnalo che GOLD, dopo aver chiuso il mese di novembre sopra 1998, si è ripetuto anche in chiusura di dicembre.

La mia ipotesi è che, molto lentamente, GOLD riceva denaro in uscita dalla liquidità mondiale, per fare una passeggiata al rialzo.

Oltre all’acquisto eseguito a 2035 l’ormai lontano 27 nov 2023, ne inserisco un secondo e mantengo lo stop loss a 1970 per tutti gli acquisti che eseguirò.

Pertanto, sin dal mattino di lu 8 gen, inserirò il seguente ordine :

compero 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2000, con stop loss a 1970 per entrambi gli acquisti

SILVER MAR 24

Avevo scritto :

“SILVER si sta rivelando anche più feroce di come lo avevo presentato a suo tempo.

Le oscillazioni sono mediamente doppie rispetto a GOLD, talvolta triple, e l’ultimo movimento da lu 4 dic in Asia a merc 13 dic nel salotto della FED ha provocato un autentico crollo da 25,91 a 22,51 cash.

Si tratta del 13 % in 7 sedute di borsa, non gestibile con i ridotti stop loss che intendo debbano caratterizzare questa Lettera.”

Abbandono il SILVER ? Non ancora, in quanto lo trovo gestibile con un intervento quotidiano e quindi personalmente valuterò di giorno in giorno un acquisto a 22 SILVER FUT con stop loss a 21,50.

Ma non parteciperà ad utili e perdite della Lettera, perché questa strategia va decisa e gestita con tempestività maggiore di quella settimanale.

Al momento la Lettera lo monitora, senza inserire ordini.

Segnalo che, rispetto a GOLD, SILVER appare più debole nelle ultime settimane.

Per comprendere l’ultima affermazione, basterà vedere che SILVER oscilla a metà del range da 20,69 a 25,51, mentre GOLD è nella parte alta del range da 1810 a 2146.

Inoltre SILVER è rimasto ben poco sopra il livello rilevante di 25,01 cash, mentre GOLD sembra faticare a tornare sotto 1998 cash che, secondo me, aveva un certo rilievo in chiusura mensile.

Segnalo che, da aprile 2023 ad oggi, SILVER è stato sotto 22 USD per sole due settimane in ott 2023; il livello di USD 22 sembra quindi molto importante.

DOW JONES INDU CASH

NUOVO MASSIMO ASSOLUTO

E’ stato rotto il top di 36952 dell’inizio genn 2022 e il Mercato è salito a 37790 DJ CASH.

Siamo a nuovi record e il grafico settimanale ci ricorda che DJ è riuscito a riprendere la pendenza che aveva mantenuto per 11 mesi da ott 2022 fino a metà sett 2023, quando iniziò una discesa di oltre 2500 in 40 gg

Certamente non posso comperare.

Di fronte ad un nuovo top assoluto le Regole dicono che non si può vendere.

Che si fa ? Si attende una figura con stop loss contenuto.

Cercherò con i miei quattrini una vendita in forza, sempre molto rischiosa, e poi cercherò un raddoppio in rottura di un minimo che regga almeno 3 – 4 gg

Il livello potrebbe essere dal TOP assoluto di 37790 fino a 38000 circa, non credo molto ad un ulteriore allungo.

Non vi è, al momento, una figura di ampiezza limitata che consenta di inserire un ordine nella Lettera, che, ricordo spesso, vuole :

– Tenere profilo di rischio basso
– Inserire lo stop loss contestualmente all’ordine di apertura della posizione

Dai miei calcoli del tempo, le due settimane da mart 2.1 a ve 12.1 hanno un rilevante significato ciclico per DOW JONES, non altrettanto per NAS 100.

Controllerò quindi il comportamento.

Sin da ora, dopo aver guardato senza profitti la salita dal minimo del 27 ott 2023 pari a 32327 DJ CASH, nella inutile attesa di acquistare a 32000 ( che avevo descritto come livello di acquisto a basso rischio ) o più in basso, avviso che la Lettera dovrà allargare lo stop loss per l’apertura dello short; diversamente ritengo che l’ingresso non sarà possibile.

NASDAQ 100 CASH

Dopo DOW JONES, anche NAS 100 ha registrato un nuovo top assoluto, con salita piuttosto lenta.

Una quota che oscilla tra il 70 e il 100 % del rialzo dell’intero indice, composto da 100 titoli, deriva dall’incremento ( inesauribile ? ) dei più volte citati FAANG + 3.

Storicamente queste situazioni hanno provocato gravi danni ai frequentatori del mercato, quindi sto lontano.

Al pari di DOW JONES, NAS 100 non può certamente essere comprato, ma non vi è una figura gestibile per vendere con stop loss contenuto.

La mia analisi del tempo porta ad attribuire un certo rilievo alla settimana da lu 29.1 a ven 2.2

Se poi NAS 100 salisse intorno a 17500-17600 proverei una grande soddisfazione.

Giunti eventualmente a quei prezzi, tutto da verificare che il Mercato inverta, ma si creerebbe un pattern interessante.

Diversamente, da qualche gg, NAS 100 sembra più debole di DOW JONES; vedremo.

Quei gg a cavallo del primo feb 2024 potrebbero diventare un minimo da comprare.

Nota finale

Ritengo di restare quasi non investito per avere capitale libero per costruire una posizione al rialzo su GOLD, il mio Mercato preferito, che conosco meglio e che aveva segnato l’esordio di questa Lettera, dopo che, finalmente, ha chiuso il 30 nov sopra 1998 cash, che attendevo da tempo e ripetendo il 29 dic la chiusura mensile sopra 1998. Manca una chiusura settimanale sopra 2090 cash per programmare acquisti in forza. Nell’attesa, inserisco acquisti in debolezza a 2000 GOLD FUT.

Tutti hanno sempre fretta. Io mai.

Leonardo Bodini




L’OCCIDENTE GALLEGGIA SU UN MARE DI DEBITI

Il sistema finanziario globale non è mai stato così in forma e, al tempo stesso, così pericolosamente instabile. Molti dei movimenti dei mercati finanziari si spiegano alla luce dell’ammontare dei debiti e delle loro tendenze. Oltre che ovviamente dei fattori geopolitici circa i quali però nessuno è davvero in grado di fare previsioni attendibili. Nel frattempo l’euforia collettiva sembra avviata a proseguire imperterrita!

 

IL DEBITO COMPLESSIVO E’TRIPLICATO NEL MONDO IN 50 ANNI

Chi l’avrebbe detto? Proprio nel momento in cui il sistema bancario appare sempre meno centrale nell’economia occidentale, assistiamo al trionfo dei debiti di ogni specie e alla loro moltiplicazione! Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il debito globale è triplicato negli ultimi 50 anni fino quasi al 250% del prodotto lordo globale annuo (cioè due volte e mezza). Ma nello stesso periodo la liquidità è cresciuta forse ancora di più, portando gli interessi sotto lo zero per un lungo periodo.


Poi è arrivata l’inflazione, che ha fatto innalzare i tassi ed è sembrata ristabilire un equilibrio che appariva perduto. Ma, stando ai dati macroeconomici, l’inflazione sembra essere già in discesa verticale, e con essa i rendimenti. E il volume del debito globale ha ripreso a crescere così come l’instabilità finanziaria che ne consegue. Tutto già quasi finito dunque? Non esattamente.

COME CAMBIA LA STRUTTURA DEL DEBITO

In effetti il mercato dei capitali ha alimentato un eccesso strutturale di debiti nel mondo, ma è proprio adesso che i tassi d’interesse stanno tornando a scendere che emergono delle nuove tendenze. Vediamo allora quali:

  • Dal momento che il credito è abbondato sino ad oggi fino all’eccesso è presumibile che le politiche di selezione per l’erogazione del credito possano gradualmente “stringere” selezionando meglio chi merita davvero un affidamento;
  • Occorre prendere atto del fatto che la crescita del debito complessivo non proviene dal sistema bancario, bensì dal mercato dei capitali, che ha alimentato tanto i consumi quanto le imprese come pure ha sottoscritto gran parte dei debiti delle pubbliche amministrazioni;
  • Anche la tipologia di crediti erogati nel tempo continua a cambiare: cinquant’anni fa il credito era amministrato principalmente da funzionari delle banche, mentre oggi dipende quasi solo da meccanismi di garanzie e sistemi di merito di credito sempre più automatici. Quest’ultimo viene erogato in modo sempre più finalizzato, e una volta standardizzato nelle sue caratteristiche viene poi impacchettato per essere cartolarizzato, tornando ad essere alimentato da altri sottoscrittori del mercato dei capitali;
  • E occorre prendere anche atto del fatto che i tassi d’interesse, dopo il picco del 2023, sembrano decisi a non scendere altrettanto velocemente quanto l’inflazione, mantenendo dunque un differenziale positivo su quest’ultima che probabilmente è destinato a permanere ancora a lungo.

LE BANCHE CENTRALI SUSSIDIANO LE BANCHE COMMERCIALI

In effetti con il crescere della “finanziarizzazione” dell’economia è anche cresciuto il numero di prodotti finanziari sottostanti. Buona parte della liquidità originaria è stata probabilmente fornita dalle banche centrali alle banche commerciali. I programmi di acquisto di titoli messi in piedi dalle banche centrali dopo la crisi finanziaria e durante la pandemia hanno enormemente ingrossato i bilanci degli istituti di emissione. Si è passati da un sistema con riserve bancarie limitate, in cui le banche centrali govemavano i tassi attraverso operazioni di mercato aperto, a un sistema con riserve molto abbondanti la cui remunerazione riconosciuta dalle banche centrali produce il risultato di sussidiare le banche commerciali.

A titolo d’esempio, ad agosto scorso le riserve detenute dalle banche europee presso la BCE ammontavano a €3.650 miliardi e rendevano il 4%. Così in un anno le banche europee hanno incassato dalla BCE 146 miliardi di euro.

Poiché le banche commerciali remunerano la loro raccolta a tassi molto bassi (in Italia eravamo mediamente allo 0,86 % a Settembre), la gran parte degli interessi pagati dalle banche centrali si trasforma in profitti netti delle banche commerciali, in assenza di qualsiasi rischio sia di credito che di mercato.

Ma le banche centrali hanno solo contribuito alla crescita del mercato privato del credito che oggi appare prevalente, alimentato da enormi risparmi e abnormi profitti accumulati da imprese e classi sociali più abbienti.

LA CONGESTIONE DEI RISPARMI (CHE OGGI SI È INTERROTTA)

A un certo punto una ventina di anni fa si è iniziato a parlare di “congestione dei risparmi” (savings glut) quando si era notato che questi ultimi eccedevano di parecchio gli investimenti. Un fenomeno ampiamente previsto da Keynes e Hobson che lo vedevano come un grosso male per l’economia, derivante principalmente dalla progressiva concentrazione della ricchezza in poche mani e consistente nella sottrazione di risorse alla collettività che alternativamente sarebbero state destinate a consumi e investimenti.


Un fenomeno sicuramente alimentato dallo stadio avanzato del ciclo di vita della generazione dei “baby boomers” degli anni ‘50 e ‘60, la prima che ha potuto godere appieno della crescita del benessere globale. Ma anche dalle grandi ricchezze prodotte dalle maggiori imprese multinazionali ma anche dagli interventi delle banche centrali intesi a contrastare la riduzione della velocità di circolazione della moneta. Tale fenomeno ha subìto soltanto una breve pausa durante la crisi dei mutui subprime che ha generato una storica recessione economica ed è ripreso ben oltre i livelli antecedenti il 2008, ma negli ultimi due anni si è interrotto.


Il punto è che prima dell’avvento dell’inflazione dei prezzi e del conseguente rialzo dei tassi d’interesse, il costo del credito era così basso che la crescita dei volumi di indebitamento non appariva un problema per nessuno: era più facile far fronte alle varie rate quando gli interessi da pagare erano quasi a zero. Oggi invece, se pur in discesa, gli interessi sul debito sono molto cresciuti e possiamo scommettere sul fatto che scenderanno meno velocemente rispetto all’inflazione. Dunque una quota crescente di margini industriali e commerciali viene ancora sottratta a consumi e investimenti e finisce nelle mani di chi amministra la finanza.

DIETRO IL SIPARIO DELLE BUONE NOTIZIE LE BANCHE CENTRALI RESTANO CAUTE

Crescono parallelamente i timori di instabilità relativi al sistema finanziario nel suo complesso, sempre più difficile da tenere sotto controllo e sempre più sofisticato per l’ammontare di contratti derivati, ma soprattutto potenzialmente esplosivo, dal momento che, quando la leva finanziaria cresce troppo, basta un nulla per far crollare il castello di carta. Lo sanno bene le banche centrali che, con il forte rialzo dei tassi d’interesse, hanno dovuto sostenere gli istituti bancari andati in crisi e che ancora oggi devono continuare a fornire molta liquidità per sorreggere i principali intermediari finanziari. E questo nonostante pubblicamente esse affermino di voler continuare con politiche monetarie restrittive, che nella realtà dei fatti non possono esistere.

IL RUOLO DELLE “BIG TECH”

A mio modesto avviso sono queste le considerazioni che spiegano -almeno in parte- la crescita indiscriminata dei valori borsistici dei titoli azionari di imprese “super-tecnologiche”. L’intelligenza artificiale viene inoltre intesa oggi come la tangibile speranza di fornire una più elevata produttività al lavoro umano, il quale scarseggia man mano che la popolazione invecchia e raggiunge livelli maggiori di benessere. E le società che saranno maggiormente in grado di mettere in opera automazione e intelligenza artificiale sono considerate alla stregua delle internet co. degli anni ‘90 e dei colossi del commercio elettronico degli anni 2000. I loro profitti sono destinati a crescere e per questo motivo hanno raggiunto elevatissimi moltiplicatori di valore. Nel grafico qui sotto riportato si può vedere quanto il Nasdaq sia cresciuto di più rispetto all’indice generale SP500.


I BILANCI DELLE BANCHE RESTANO IN GRAN FORMA

Ma al tempo stesso le considerazioni sopra esposte relative alla montagna di debito spiegano bene anche per quale motivo i grandi conglomerati finanziari e assicurativi (vale a dire i soggetti economici che hanno gradualmente rimpiazzato le banche commerciali) continueranno probabilmente ad avere un ruolo di primo piano nell’economia e per le borse.

Sebbene dunque sia lecito attendersi che nei listini azionari tornino gradualmente a riprendere vigore anche i titoli delle società minori che erano stati tralasciati nell’ultima volata dei mercati borsistici, le dinamiche esposte lasciano pensare che un importante differenziale di valutazione permarrà, a sfavore della valutazione di società industriali e commerciali di piccola e media dimensione, che non riusciranno a fare altrettanti profitti. Si tratta dei titoli che compongono l’indice Russell2000 americano o l’Euronext Growth europeo. Qualcuno di loro farà il salto dimensionale, ma molti altri resteranno poco liquidi e, di conseguenza, poco valutati.


LE BORSE PROSEGUIRANNO LA CORSA, MA NON SUBITO E NON PER SEMPRE

La constatazione del debito crescente intorno al pianeta suggerisce dunque la possibilità di ulteriori innalzamenti dei principali indici borsistici (magari con una pausa tecnica intorno a fine anno, dettata dalla necessità di scontate prese di beneficio). E anche l’attesa di cali nei tassi d’interesse e dunque la potenziale ripresa dei valori immobiliari potrebbero favorire un buon andamento nel corso del 2024.

Ma al tempo stesso cresce anche l’instabilità finanziaria globale, con la possibilità che quest’ultima non sia facilmente arginabile e con il rischio pertanto che si generi di nuovo elevata volatilità dei mercati o addirittura un nuovo shock planetario come quello vissuto nel 2008.

SAN DOLLARO E SAN PETROLIO

Infine una considerazione: lo sviluppo economico globale nel 2023 è stato relativamente buono anche in funzione del fatto che il costo dell’energia, per una molteplicità di motivi, è rimasto su livelli accettabili, portando di conseguenza al ribasso anche il tasso di inflazione. Le tensioni geopolitiche non hanno influito sui loro prezzi più di tanto e l’attesa di un 2024 relativamente tranquillo (anche perché dedicato alle elezioni politiche in buona parte dell’Occidente) ha contribuito ad aspettative positive. Lo stesso vale per il cambio del Dollaro, che riducendosi ha dato un po’ di “fiato” alle economie emergenti e ha ridotto i prezzi di molte materie prime.

Ma cosa succederebbe se nel prossimo anno tornasse a salire il costo dell’energia o tornasse a salire il cambio del Dollaro (e di conseguenza i costi delle materie prime)? Probabilmente questa sarebbe la spinta decisiva verso una nuova recessione, quella che sino ad oggi non è mai arrivata.

IL COSTO DEGLI ALIMENTI E’GIA’ SALITO TROPPO

La medesima considerazione potrebbe valere per il costo degli alimenti: i paesi più industrializzati sembrano aver assorbito senza troppi contraccolpi una crescita indiscriminata dei prezzi (siamo in media oltre il 30% in più rispetto al 2021-2022). E in molti paesi in via di sviluppo i prezzi delle derrate alimentari non sembrano fino ad oggi cresciuti altrettanto. Dunque i consumi non sono crollati e molte imprese hanno approfittato della revisione dei prezzi per migliorare i loro margini.

Ma c’è un limite alla risalita dei costi alimentari oltre il quale potrebbero generarsi ovunque pesanti ripercussioni in termini di rivendicazioni salariali e, in definitiva, di ordine pubblico. Superato quel limite nemmeno i profitti delle grandi aziende potrebbero quindi mantenersi floridi, perché scenderebbero i consumi.

LA CAUTELA DELLE BANCHE CENTRALI

Un’eventuale instabilità futura dei prezzi di energia e “commodities” potrebbe dunque far mutare radicalmente lo scenario di relativa tranquillità che ha permesso ai mercati finanziari di restare in sostanziale equilibrio (nonostante il debito alle stelle) e alle borse di continuare a correre verso nuovi massimi storici. E -Dio non volesse- farebbe venire a galla i problemi legati all’eccesso di debito.

Anche il calo del cambio del Dollaro americano ha contribuito al mantenimento di una certa calma nel mondo e a lasciare addirittura vive le attese di possibili ulteriori guadagni. Ma sono variabili che potrebbero far saltare rapidamente gli equilibri a seguito di eventuali nuovi shock geopolitici. Molto dunque dipenderà dall’assenza di questi ultimi, sui quali -purtroppo- non ci è dato di sapere. E la sommatoria dei rischi di nuove ondate di inflazione e di quelli legati all’eccessiva proliferazione del debito spiegano la cautela delle banche centrali, anche se non possono in alcun modo giustificare il loro scarso tempismo.

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 56 – sabato 16 dicembre 2023

 

Operazioni in essere :

lu 27 nov comperato 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2035, ora con stop loss a 1970

GOLD FEBB 24

La rottura del TRIPLO MASSIMO ( 2075 – 2070 -2060 ), che attendo, ancora non si vede.

Se e quando ci sarà (la dichiarerò dopo una chiusura settimanale sopra 2090 cash ) mi attendo un forte movimento al rialzo con obiettivi anche molto lontani.

Nella notte tra dom 3 dic e lu 4 dic sui Mercati asiatici GOLD ha segnato un nuovo record assoluto a 2152 per FEB FUTURE, mentre non è chiaro quale sia il prezzo di GOLD CASH da considerare.

Dopo il top di 2152 FEB FUTURE, GOLD è sceso molto velocemente, con rimbalzi modesti.

Merc 13 dic la FED ha dichiarato il secondo “ non rialzo “ dei tassi e vi è stato uno strappo in su di circa 3 % in 60 min.

Difficile fare trading per chi ha il video acceso, ad evidenza nemmeno possibile per una Lettera che esce il lunedì successivo.

Continuando la fatica improba che mi sono imposto, oltre all’acquisto a 2035 del 27 nov 2023, ne inserisco un secondo ed alzo lo stop loss a 1970 per tutti gli acquisti che eseguirò.

Pertanto, sin dal mattino di lu 18 dic inserirò il seguente ordine :

compero 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2000, con stop loss a 1970 per entrambi gli acquisti

SILVER MAR 24

Avevo scritto :

SILVER si sta rivelando anche più feroce di come lo avevo presentato a suo tempo.

Le oscillazioni sono mediamente doppie rispetto a GOLD, talvolta triple, e l’ultimo movimento da lu 4 dic in Asia a merc 13 dic nel salotto della FED ha provocato un autentico crollo da 25,91 a 22,51 cash.

Si tratta del 13 % in 7 sedute di borsa, non gestibile con i ridotti stop loss che intendo debbano caratterizzare questa Lettera.

Abbandono il SILVER ? Non ancora, in quanto lo trovo gestibile con un intervento quotidiano e quindi personalmente inserirò un acquisto a 23 SILVER FUT con stop loss a 22,50.

Ma non parteciperà ad utili e perdite della Lettera, perché questa strategia va decisa e gestita con tempestività maggiore di quella settimanale.

Al momento la Lettera lo monitora, senza inserire ordini.

DOW JONES INDU CASH

NUOVO MASSIMO ASSOLUTO

E’ stato rotto il top di 36952 dell’inizio genn 2022 e il Mercato è salito a 37347 DJ CASH.

Rammento che nella Lettera N. 49 di sa 28 ott 2023 avevo scritto :

“Penso che vi sarà un secondo tentativo di spingere al rialzo il Mercato nelle prossime due settimane ( 55esima e 56esima dal 13 ott 2022 ) che si svilupperanno da lu 30 ott a ve 10 nov 2023.

Questi acquisti potrebbero partire intorno a 32000 DJ CASH ( + 100 DIC DJ FUT ), se certi signori vedono quello che vedo io.

Per disciplina, dopo aver subito uno stop loss, la Lettera non inserisce ordini su DOW JONES e NAS 100.”

La disciplina è una bella cosa, ma questa volta bastavano due etti di Lucignolo e a qualche prezzo sarei salito a bordo.

Pensate solamente che, quel sa 28 ott scrissi, a mercato fermo, che a 32000 potevano partire gli acquisti e ven 27 ott il minimo era stato 32327. Amen.

Siamo a nuovi record, con una pendenza inusuale della salita iniziata ve 27 ott .

Non posso comperare.

Di fronte ad un nuovo top assoluto le Regole dicono che non si può vendere.

Che si fa ? Si attende una figura con stop loss contenuto.

Controllerò il minimo di dic 2023, attualmente pari a 35914 DJ CASH

NOTA Quanti si trovano al rialzo sul DOW JONES non credo saranno indifferenti alla eventuale, ora non probabile, rottura del minimo del mese in cui è stato registrato un nuovo massimo assoluto.

NASDAQ 100 CASH

NAS 100 non ha ancora registrato un nuovo top assoluto, ma manca una inezia.

Una quota che oscilla tra il 70 e il 100 % del rialzo dell’intero indice, composto da 100 titoli, deriva dall’incremento ( inesauribile ? ) dei più volte citati FAANG + 3.

Storicamente queste situazioni hanno provocato gravi danni ai frequentatori del mercato, quindi sto lontano.

Ho allegato un grafico giornaliero, cosa che normalmente evito perché spinge a osservare i micro movimenti, solo per visualizzare che il livello di 15600, che avevo segnalato essere di rilievo, è stato rotto in gap, con un tentativo di pull back a 15695.

Ritengo pertanto che un tentativo di acquisto potrà essere studiato solo tra 15600 e 14500, unicamente dopo un pattern di range contenuto, tale da consentire uno stop loss in linea con il profilo conservativo di questa Lettera.

Nota finale

Qualcuno mi ha gentilmente segnalato che la Lettera è troppo prudente e sta investendo solo 20350 USD.

Lo so.

Ritengo di restare quasi non investito per avere capitale libero per costruire una posizione al rialzo su GOLD, il mio Mercato preferito, che conosco meglio e che aveva segnato l’esordio di questa Lettera dopo che, finalmente, ha chiuso il 30 nov sopra 1998, che attendevo da tempo.

Tutti hanno sempre fretta.

Io mai.

Leonardo Bodini