LCH COMMUNICATION & PUBLIC AFFAIRS

LCH COMMUNICATION & PUBLIC AFFAIRS  è una divisione della Compagnia Holding Merchant Banking che fornisce tutta una serie di servizi di comunicazione istituzionale per le imprese. In particolare modo per il settore finanziario.

 

Ma cosa sono esattamente le PR finanziarie e perché sono importanti?

Le PR finanziarie sono una pratica specializzata di relazioni pubbliche incentrata sul settore finanziario. Il focus delle PR finanziarie è sulla gestione e il miglioramento della reputazione e del profilo delle organizzazioni con le parti interessate, inclusi investitori, pubblico in generale, enti governativi e altro ancora. L’obiettivo è creare un’immagine positiva, creare fiducia e credibilità e generare valore per l’organizzazione.

Le relazioni pubbliche creano fiducia e credibilità per le organizzazioni finanziarie. Gestendo la narrativa su un’azienda e le sue offerte, le aziende possono trarre vantaggio attraendo e fidelizzando investitori, clienti, fornitori e partner.

In modo proattivo, le PR aiutano a costruire la reputazione di un’organizzazione definendo per le parti interessate i valori, gli obiettivi e le offerte dell’organizzazione. Le PR migliorano non solo i prodotti e i servizi offerti da un’azienda, ma anche i suoi dipendenti. Facendo crescere dipendenti e leader come esperti nel loro campo, le PR aiutano le parti interessate a comprendere il risultato di qualità che possono aspettarsi da un’organizzazione.
Buone PR creano e rafforzano il vantaggio competitivo e possono aiutare a costruire una migliore partecipazione di tutti i collaboratori.

Le  relazioni pubbliche svolgono anche un ruolo reattivo, nel rispondere alle situazioni speciali che le organizzazioni devono affrontare. Se dovesse verificarsi un imprevisto, la funzione PR è in prima linea, rispondendo ai media, controllando la narrazione e istruendo leader, dipendenti e stakeholder chiave attraverso apparizioni e commenti pubblici.

Avere una strategia consolidata in atto aiuta a guidare la direzione di tutti gli sforzi di PR. Offre a tutti gli individui coinvolti nel processo di PR una voce unificata e una tabella di marcia da seguire. La strategia aiuta a posizionare l’organizzazione all’interno del mercato e nella prospettiva più ampia del pubblico definendo le principali parti interessate, messaggi e principi guida.

Le singole campagne dovrebbero avere ciascuna le proprie strategie che si adattino anche al contesto della strategia generale di PR dell’organizzazione.

Le strategie di PR possono supportare obiettivi organizzativi, storie uniche come transizioni di ruolo, annunci di prodotti e/o funzionalità, campagne di marketing e altro ancora.

Un team di PR finanziarie è essenzialmente un’estensione dell’azienda e che lavora per costruire e promuovere il marchio, sviluppare i messaggi chiave, la missione e garantire che i grandi annunci della azienda raggiungano le persone giuste al momento giusto.

Potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa, dall’espansione in uno spazio ufficio più grande, al lancio sul mercato azionario e tutto il resto: un’attività di PR assicura che si parli di ciò che conta per il pubblico target e che l’attività sia nella forma migliore per attirare nuovi clienti.

La specializzazione in  relazioni pubbliche  finanziarie, comprende le relazioni con gli investitori, con le banche, hedge fund, investitori, compagnie assicurative, associazioni di categoria, altre società di servizi finanziari e stakeholder

Mentre per il servizio di Public Affairs e Advocacy con partner specializzati che operano direttamente accreditati negli enti governativi. Lo scopo di questo servizio è di valutare come affrontare i rischi e le opportunità che emergono dalla legislazione, dalla regolamentazione e dall’attività politica più ampia nell’interesse dei clienti e azionisti con un servizio mirato al bisogno del cliente stesso.

LCH Communication & Public Affairs è un servizio di La Compagnia Holding che fornisce consulenza indipendente in:

• Institutional Communication
• Pubblic affairs & Advocacy
• Financial Communication
• Investor relations
• Crisis management
• Lobbying
• Stakeholder engangement
• Reporting

Inoltre ricerca e valorizzazione sulla gestione del patrimonio di privati, famiglie, aziende, family office. Analisi, gestione del patrimonio culturale, nonché l’individuazione di strategie di investimento, pianificazione del passaggio generazionale e consulenza in operazioni di acquisizione e fusione. Nonché assistenza economica, fiscale e legale attraverso le proprie partnership.

 




ORA I MERCATI FINANZIARI CERCANO LA QUALITÀ

Dopo un 2023 chiuso all’insegna di una relativa stabilità, del calo dell’inflazione e di un grande ottimismo relativo agli sviluppi economici, è divenuto sempre più evidente che sarebbe arrivati ad un momento della verità in cui i mercati finanziari si sarebbero confrontati con la dura realtà degli scontri armati e dei problemi che da questi derivano per il commercio internazionale per i prezzi delle principali materie prime. Investitori e risparmiatori stanno oggi prendendo atto di una congiuntura economica e politica che sta deteriorandosi velocemente, sebbene non ci sia panico nelle borse valori, la liquidità dei mercati resti elevata e, per il momento, le notizie relative alla dinamica dell’inflazione non siano tali da rovesciare le aspettative. È tuttavia normale che -in presenza di segnali contrastanti- si ritorni alla cautela e che, di conseguenza, gli operatori tornino a fare due conti e a prendere precauzioni. Il che tuttavia può contribuire a frenare ulteriormente lo sviluppo economico globale.

 

L’INFLAZIONE RIALZA LA TESTA
L’inflazione dei prezzi sta negli ultimi mesi “rimbalzando” dopo una rapida discesa negli ultimi mesi del 2023, come del resto era ampiamente prevedibile per chi avesse avuto voglia di osservare i segnali che arrivavano da ogni parte, ma ciò ha ugualmente stupito molti operatori finanziari che continuano a sperare in una prosecuzione delle buone notizie e a guardare le prime correzioni sui mercati come “scossoni” lungo la strada. Inizialmente si pensava che il dato potesse riguardare soltanto l’Europa, ma poi si è confermato il medesimo andamento anche negli U.S.A.

Che non si tratti di una situazione troppo semplice lo attestano oramai fatti e numeri, e già la dissonanza cognitiva degli operatori potrebbe risultare segnaletica dell’eccesso di ottimismo in circolazione sino alla settimana scorsa. Se i mercati cioè sono stati colti di sorpresa perché malati di troppo ottimismo, allora è lecito temere che i ribassi delle quotazioni potrebbero non essere terminati. I dati sull’inflazione, sebbene non preoccupanti, spingono quantomeno a posporre le attese di ulteriori ribassi nei tassi d’interesse e già solo questo può comportare qualche “storno” sul reddito fisso per riposizionare le aspettative in coerenza di uno scenario meno favorevole.

ADDIO “SOFT LANDING”?
Anche la narrativa a proposito dell’economia reale, per la quale si parlava da parecchio tempo di “soft landing” o addirittura di “no landing” cioè di un rallentamento ciclico dell’attività economica così moderato da non generare quasi delle conseguenze negative (o di nessun rallentamento), rischia – almeno per l’Europa – di non venire riscontrata dai fatti. L’Italia ad esempio, che è la seconda potenza industriale del vecchio continente, sta purtroppo seguendo l’andamento della prima, cioè dell’economia tedesca, nel calo costante della produzione industriale e dei consumi.

I dati sulla sostanziale tenuta del prodotto interno lordo italiano sono da considerare con circospezione perché le altre variabili macroeconomiche rivelano una situazione peggiorativa. Se i prossimi sviluppi dovessero restare negativi l’Occidente sarebbe costretto a prendere atto dell’arrivo di una recessione, che porterebbe con sé instabilità finanziaria e minori prospettive di profitto rispetto a quelle attualmente scontate dalle quotazioni dei listini di borsa.

Tuttavia si sa che l’economia reale appare spesso in contrapposizione con i mercati finanziari. E perché questi volgano al pessimismo molto dipenderà -come sempre— dall‘acuirsi delle tensioni geopolitiche e dall’eventuale prosecuzione dei conseguenti rialzi dei prezzi di materie prime ed energia. Ma non si può non registrare qualche preoccupazione anche in questa direzione, dal momento che -dopo i bombardamenti in Yemen- il petrolio è subito ritornato intorno agli 80 Dollari al barile: un livello che, se dovesse rimanere a lungo (o addirittura peggiorare) scatenerebbe la risalita dei costi industriali.

LA LIQUIDITÀ IN CIRCOLAZIONE
A complicare la situazione però -mentre nelle ultime ore si diffondono notizie negative per le quotazioni di borse e titoli a reddito fisso- resta il fatto che circola ancora moltissima liquidità, e quest’ultima da qualche parte deve pur essere investita, anche perché se l’inflazione resta viva allora il “costo” in termini di perdita di valore nel mantenere il denaro liquido dev’essere giustificato. Un fulgido esempio (e anche forse una conseguenza) ne è la risalita del cambio dei Bitcoin.

Questi ultimi, al pari dell’oro e di altri beni-rifugio, non recano un rendimento e non aiutano lo sviluppo dell’economia reale. Anche se sono divenute una vera e propria “asset class” (categoria di investimento finanziario) le criptovalute restano dunque una riserva di valore a carattere fortemente speculativo. Nel grafico qui sotto la stima del “sentiment” di mercato a fine anno:

La grande liquidità in circolazione sembra peraltro destinata a restare a lungo (almeno a Wall Street) perché le banche centrali si sono accorte che riducendola mettono a forte rischio di instabilità l’intero sistema finanziario (con la possibilità che questo alimenti una nuova crisi di fiducia come quella del 2008). E se sui mercati continuerà a circolare molta liquidità allora quegli analisti che iniziano già ad attendersi decisi ridimensionamenti delle borse potrebbero rimanere delusi, perché molti altri faranno buon viso a cattivo gioco evitando di restare in balia dell’inflazione che erode valore alla liquidità.

LO SGUARDO VOLGE DUNQUE ALLE PROSSIME TRIMESTRALI
A meno che -ovviamente- la tensione nei rapporti tra Oriente e Occidente del mondo non arrivi a degenerare, ampliando e moltiplicando a dismisura le “zone calde” del pianeta fino a mettere seriamente a rischio le prospettive di profitto delle maggiori imprese quotate. Se il rischio è concreto tuttavia lo si vedrà soltanto con l’arrivo dei nuovi conti economici delle maggiori imprese, che per il momento non sono quasi state toccate dalla frenata dei consumi.
Se invece i profitti delle aziende dovessero subire decisi ridimensionamenti allora si creerebbe spazio per giganteschi arbitraggi tra le valutazioni d’azienda impliciti nelle quotazioni di borsa e gli effettivi minori valori che le imprese industriali sarebbero disponibili a riconoscere nelle operazioni di fusioni e acquisizioni (M&A). Un primo segnale in tal senso è peraltro già arrivato tanto dagli investimenti del Private Equity quanto dall’M&A industriale, entrambi in forte frenata già dalla seconda parte dello scorso anno.


LE NUOVE TECNOLOGIE TRAINANO LA CRESCITA
Un rischio, quello del calo dei profitti, quantomai concreto sì, ma non ancora una certezza, anzi! A favore di chi preferisce guardare ai mercati con ottimismo restano molte buone notizie relative all’andamento positivo di consumi e investimenti nelle economie emergenti come pure agli sviluppi delle nuove tecnologie, che migliorano l’efficienza energetica con la riduzione del consumo di energia e il moltiplicarsi delle fonti “rinnovabili” e -soprattutto- incrementano la produttività industriale con il diffondersi delle applicazioni dell’intelligenza artificiale (AI) : una vera e propria rivoluzione dentro la rivoluzione digitale che sembra soltanto agli albori e destinata a cambiare permanentemente il modo di vivere e lavorare dell’umanità.
Da sempre le nuove tecnologie generano aspettative positive, aprono nuove opportunità di business, creano nuova ricchezza e stimolano importanti investimenti. E da sempre esse hanno determinato l’avvento di periodi di grande prosperità. Stavolta potrebbe essere giunto il momento dell’AI. Lo attesta ad esempio il sorpasso di Microsoft sulla precedente “regina delle borse”: l’Apple. Da considerare pur sempre un titolo tecnologico ma appesantito dal calo dei consumi nel mondo e non sufficientemente trainato dagli sviluppi dell’AI.


MA QUALCUNO SI ATTENDE CALI DELLE BORSE ATTORNO AL 10-15%
Ovviamente la tempistica di tali effetti positivi delle nuove tecnologie è tutta da verificare e nulla toglie che, prima di poter registrare nuovi periodi di crescita economica e dei mercati finanziari, si possa passare da un periodo di “storno” delle quotazioni espresse sui mercati. Un potenziale calo, stimato nel 10-15% dai valori attuali potrebbe vantare numerose giustificazioni (la presa di beneficio degli importanti guadagni pregressi e la possibilità che prosegua la rotazione dei portafogli) ma avrebbe ugualmente conseguenze pesanti in termini di “fiducia” dei risparmiatori nella prosecuzione dell’attuale ciclo economico.
Ne consegue che, al momento, in assenza di segnali “forti” di rassicurazione, la situazione congiunturale dell’economia e le elevate tensioni geopolitiche potrebbero spingere gli operatori ad una doverosa cautela, che si può tradurre quantomeno in una rotazione dei portafogli verso titoli più liquidi, emessi da aziende più solide o che possano vantare minore volatilità o infine che possano garantire l’erogazione di buoni dividendi anche in presenza di difficoltà.

FLIGHT TO QUALITY
Si tratterebbe del classico “volo verso la qualità” che quasi nulla potrebbe togliere al valore degli indici di borsa ma che contribuirebbe a generare conseguenze negative per l’economia reale, già afflitta da un elevato costo del denaro e dalle restrizioni del credito che ne derivano.

La rotazione dei portafogli potrebbe dunque collaborare al temporaneo “storno” dei mercati che oggi molti si aspettano, a causa della differente tempistica di vendita e di riacquisto dei titoli nelle gestioni patrimoniali.

TASSI D’INTERESSE ANCORA ALTI ?
Anche per i titoli a reddito fisso, è relativamente probabile che rimangano deluse le attese dei mercati finanziari circa i tagli dei tassi d’interesse che si presupponeva venissero operati dalle banche centrali già nella tarda primavera. Questa delusione tuttavia poco potrebbe cambiare nelle quotazioni dei bond a lungo termine, i cui tassi sono quelli che davvero possono orientare tanto le aspettative dei risparmiatori quando anche le valutazioni d’azienda e di conseguenza la “salute” delle borse. E al momento i tassi a lungo termine non hanno subìto grandi scossoni.
Dunque seppure molte aspettative circa i ribassi dei tassi d’interesse resteranno deluse, non è così scontato che questo significhi un crollo dei valori. Piuttosto il prolungamento della stagione dei tassi elevati non potrà che portare buone notizie per i bilanci di banche e finanziarie, che continueranno a vivere ottime stagioni dei profitti, mentre rischierà di creare ulteriori problemi all’industria, la quale necessita oggi più che mai di effettuare grandi nuovi investimenti.


LA BANCA CENTRALE EUROPEA POTREBBE STUPIRCI ?
Quest’ultima considerazione potrebbe lasciar pensare che la Banca Centrale Europea (BCE) prenderà addirittura il posto della Federal Reserve Bank of America (FED) nel lanciare per prima una nuova stagione di tagli ai tassi di sconto, ma personalmente -per quanto la cosa avrebbe molto senso con i problemi industriali che sta attraversando l’Eurozona- temo che non succederà ugualmente.
Non sembra proprio di scorgere grandi personalità al governo della BCE in questo momento ed è possibile che coloro che la governano abbiano ancora una volta un’ottima occasione per dimostrare tutta la loro mediocrità! Spero ovviamente di essere smentito dai fatti, perché questa sarebbe una buona notizia per tutti…

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 58 – sabato 13 gennaio 2024

 

FASE IMPORTANTE PER DOW JONES e GOLD

Operazioni in essere :

lu 27 nov comperato 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2035, ora con stop loss a 2015

GOLD FEBB 24

La rottura del TRIPLO MASSIMO ( 2075 – 2070 – 2060 ), che attendo, ancora non si vede.

Se e quando ci sarà (la dichiarerò dopo una chiusura settimanale sopra 2090 cash ) mi aspetto un forte movimento al rialzo con obiettivi anche molto lontani.

La mia ipotesi è che, molto lentamente, GOLD riceva denaro in uscita dalla liquidità mondiale, per fare una passeggiata al rialzo.

La settimana 8 – 12 che si è appena conclusa ha segnato la scadenza di un ciclo di medio rilievo e può essere utilizzata in due modi, anche complementari : utilizzo il minimo come nuovo e più alto livello di stop loss ( alzando da 1970 a 2015 ) e incremento la posizione, se vi sarà la rottura del top di 2070 di FEB GOLD FUT

Pertanto lu 15 gen, inserirò i seguenti ordini :

sin dal mattino compero 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2030 e

dalle 16.30 ( ora italiana ) compero 1 FEB MICRO GOLD FUT in rottura di 2070,

con stop loss a 2015 per tutti gli acquisti effettuati.

SILVER MAR 24

Avevo scritto :

SILVER è sceso molto più di GOLD, ma solo fino a 22,63 USD, senza raggiungere il livello di 22 che mi interessava, pertanto l’acquisto avrebbe richiesto uno stop loss troppo ampio. Potrei personalmente acquistare il future marzo a intorno a 23 con stop loss a 22,60, ma una simile operazione, se realizzata, non parteciperà ad utili e perdite della Lettera, perché questa strategia va decisa e gestita con tempestività maggiore di quella settimanale.

Al momento la Lettera lo monitora, senza inserire ordini.

Segnalo che, rispetto a GOLD, SILVER appare più debole nelle ultime settimane.

Per comprendere l’ultima affermazione, basterà vedere che SILVER oscilla a metà del range da 20,69 a 25,51, mentre GOLD è nella parte alta del range da 1810 a 2146.

Inoltre SILVER è rimasto ben poco sopra il livello rilevante di 25,01 cash, mentre GOLD sembra faticare a tornare sotto 1998 cash che, secondo me, aveva un certo rilievo in chiusura mensile. E’ rimasto sotto solo poche ore dopo il 4 dicembre.

DOW JONES INDU CASH

NUOVO MASSIMO ASSOLUTO

E’ stato rotto il top di 36952 dell’inizio gen 2022 e il Mercato è salito a 37825 DJ CASH.

Siamo a nuovi record e il grafico settimanale ci ricorda che DJ è riuscito a riprendere la pendenza che aveva mantenuto per 11 mesi da ott 2022 fino a metà sett 2023, quando iniziò una discesa di oltre 2500 in 40 gg.

Avevo scritto :

“Certamente non posso comperare. Di fronte ad un nuovo top assoluto le Regole dicono che non si può vendere……………………… Cercherò con i miei quattrini una vendita in forza, sempre molto rischiosa, e poi cercherò un raddoppio in rottura di un minimo che regga almeno 3 – 4 gg. Il livello potrebbe essere dal TOP assoluto di 37790 fino a 38000 circa, non credo molto ad un ulteriore allungo.”

e infine

“Dai miei calcoli del tempo, le due settimane da mart 2.1 a ve 12.1 hanno un rilevante significato ciclico per DOW JONES, non altrettanto per NAS 100.

Controllerò quindi il comportamento.”

Osservo che :

– il periodo dal 2 gen al 12 gen ha segnato una laterale di modesta ampiezza;
– sinora il TOP è stato 37825 DJ CASH, nel piccolo range che avevo indicato;
– ci sono scadenze di tempo che fanno attribuire una certa importanza alla eventuale rottura del minimo DI 37249 DJ CASH registrato nelle due settimane che avevo evidenziato;
– se tale livello venisse rotto ( corrisponde a 37470 del future marzo) lo stop loss non può essere piazzato più in basso del top assoluto, vale a dire 38115 FEB DJ FUT assumendo un rischio pari al 2 %;
– non ritengo che questo Mercato possa offrire in questo periodo un ingresso con stop loss minore del 2 %;
– non ritengo che una eventuale rottura verso l’alto ( sopra 38115 fut ) possa offrire un reward/risk altrettanto contenuto, direi nemmeno accettabile.

Tutto ciò premesso dalle 16.30 ( ora italiana ) di lu 15 gen, inserirò i seguenti ordini:

vendo 1 MAR MINI DJ in rottura di 37440 con stop loss a 38115

NASDAQ 100 CASH

Dopo DOW JONES, anche NAS 100 ha registrato un nuovo top assoluto, con salita piuttosto lenta.

Una quota che oscilla tra il 70 e il 100 % del rialzo dell’intero indice, composto da 100 titoli, deriva dall’incremento ( inesauribile ? ) dei più volte citati FAANG + 3.

Storicamente queste situazioni hanno provocato gravi danni ai frequentatori del mercato, quindi sto lontano.

Al pari di DOW JONES, NAS 100 non può certamente essere comprato, ma non vi è una figura gestibile per vendere con stop loss contenuto.

La mia analisi del tempo porta ad attribuire un certo rilievo alla settimana da lu 29.1 a ven 2.2

Se poi NAS 100 salisse intorno a 17500-17600 ( + 3 % da ora ) proverei una grande soddisfazione.

Giunti eventualmente a quei prezzi, tutto da verificare che il Mercato inverta, ma si creerebbe un pattern interessante.

Se in gennaio ci fossero eventi esogeni negativi, quei gg a cavallo del primo feb 2024 potrebbero diventare un minimo da comprare.

NOTA FINALE

Da ora potrebbero partire movimenti più vivaci su GOLD e, in misura minore, su DOW JONES.

La presente Lettera prova ad interpretarli, senza aumentare molto il coefficiente di rischio, privilegiando la conservazione del capitale.

Ovviamente a costo di perdere qualche treno.

Leonardo Bodini




2023 – 2024 CONCLUSIONI & PREVISIONI

E’ tempo di conclusioni e previsioni. Tutti le fanno, anche se nessuno è in grado davvero di sapere cosa ci riserva il prossimo futuro. Dunque perché cimentarsi ugualmente? Molti analisti scrivono previsioni credendo di poterle azzeccare almeno in parte. Altri come il sottoscritto non pretendono di farlo, ma mettono ugualmente insieme fatti e considerazioni per farsi delle domande, evitando di trarne spunti troppo stringenti per le conclusioni. Ma quest’anno è davvero difficile utilizzarle per sapere cosa ci aspetta!

 

LE BANCHE CENTRALI HANNO PROVOCATO RECESSIONI?

Tutti ad esempio attendevano che lo straordinario rialzo dei tassi d’interesse avrebbe strangolato l’economia reale, gettando le economie che l’hanno subìto in recessione. E invece non è successo, o meglio qualcosa è comunque accaduto, ma le statistiche non l’hanno registrato. Non c’è troppo da stupirsene: gli istituti di statistica devono tenere conto di molti fattori e metterli insieme non è mai semplice o privo di discrezionalità. Però -almeno per adesso- il peggio è stato evitato: l’economia globale risulta ancora in crescita e traina anche quella parte del mondo (la nostra) che risulta meno dinamica.


L’INFLAZIONE È STATA “TEMPORANEA”?

Tutti si aspettavano che l’inflazione dei prezzi, così com’era cresciuta, sarebbe discesa in fretta e che di conseguenza le banche centrali avrebbero accompagnato la discesa dell’inflazione con un calo dei tassi d’interesse da esse governati. E invece c’è voluto tutto il 2023 per vedere una parziale discesa dell’inflazione e senza alcuna correzione dei tassi al ribasso da parte delle banche centrali. Pazienza, si dice: anche le banche centrali devono tenere conto di troppi fattori per riuscire a muoversi con la stessa rapidità che chiederebbero loro i mercati finanziari. In realtà se l’inflazione rialzerà la testa (com’è accaduto negli anni ‘70, dopo la prima ondata) non lo sappiamo ancora.

LE POLITICHE MONETARIE SONO STATE DAVVERO RESTRITTIVE?

Le banche centrali, quando mettono in atto politiche monetarie restrittive per combattere l’inflazione, non si muovono mai soltanto con il rialzo dei tassi d’interesse: la riduzione della liquidità sui mercati è altrettanto importante per “raffreddare” l’economia, soprattutto quando negli anni immediatamente precedenti di liquidità ne era stata immessa davvero parecchia.

E quello che oggi sta avvenendo è al tempo stesso clamoroso ma è anche passato in sordina dal “mainstream” dei media: le banche centrali hanno fatto molta fatica a ridurre la liquidità del sistema finanziario, perché così facendo è stata messa a rischio la solvibilità un certo numero di istituti di credito. E così, dopo i primi scricchiolii, i banchieri centrali sono dovuti correre ai ripari (anzi, lo stanno ancora facendo), con finanziamenti surrettizi e immissioni di liquidità consistenti, per lo più sotto forma di operazioni temporanee e di breve durata, anche per non dare troppo nell’occhio. Ma ovviamente in tal modo hanno moderato l’impatto delle restrizioni monetarie.


È chiaro tuttavia che quando uno dei due strumenti principali di politica monetaria viene a mancare (cioè la “stretta” in senso proprio) ecco che l’altro strumento (la manovra sui tassi) deve compensare l’assenza del primo strumento. Questo spiega almeno in parte la scarsa disponibilità da parte delle banche centrali alla riduzione dei tassi di sconto sino ad oggi.

QUALI CONSEGUENZE POSSONO GENERARE TASSI TROPPO ELEVATI ?

Il punto è che la “tenuta” di elevati tassi d’interesse mentre l’inflazione scende comporta sempre delle conseguenze. Alcune anche poco piacevoli, a partire dal fatto che essa si traduce in un innalzamento dei tassi “reali” d’interesse, cioè di quelli nominali una volta ridotti del tasso d’inflazione. Se quest’ultima scende e i tassi nominali no, chiaramente i tassi reali salgono, generando svalutazioni ad esempio nel settore immobiliare, e un generale trasferimento di ricchezza dall’economia reale a quella finanziaria, creando problemi a chi deve investire impegnando ingenti somme di denaro e rallentando gli investimenti pubblici nelle infrastrutture. Si rischia cioè una crisi del debito.


Anche perché -e qui viene il bello- le economie occidentali vengono fuori dalla pandemia straordinariamente indebitate e perciò costretti a “girare” una quota crescente del gettito fiscale percepito a favore dei percettori delle cedole, sottraendola ad altri tipi di impiego (formazione, investimenti, spesa pubblica, sussidi, sicurezza, ambiente, eccetera).

I DEBITI IMPEDISCONO LA CRESCITA?

Nella tabella qui sotto la situazione dell’indebitamento pubblico delle principali economie globali all’inizio dell’anno 2024:


E’ chiaro quindi che, dovendo pagare interessi più alti sul debito, i governi occidentali possono fare di meno sul fronte degli incentivi alle attività economiche reali, né possono proporre sgravi fiscali a cuor leggero, data la scarsa capacità di impostare manovre in forte deficit (che innalzerebbe troppo il monte di debiti già accumulati). Quanto sopra genera una situazione che tende a limitare la capacità delle imprese di produrre profitti e di finanziare gli investimenti, poiché si somma ad un contesto di tassi d’interesse reali addirittura crescenti. E quando le imprese riducono la prospettiva di fare profitti tendono anche a valere di meno.

E quando il costo del denaro cresce, le fusioni e acquisizioni si riducono e i fondi di “venture capital” e “private equity” rallentano le loro iniziative, perché non possono godere appieno dei benefici della leva finanziaria.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SARÀ PER POCHI?

Molte imprese tendono oggi a rinviare gli investimenti più importanti, sperando di finanziarli nel prossimo futuro a condizioni migliorative, riducendo però parallelamente il miglioramento della produttività del lavoro umano. Così cresce il ”divario” tra le imprese di maggior dimensione (cioè quelle in grado di investire in modo consistente nell’automazione, nelle infrastrutture digitali e nell’intelligenza artificiale, allo scopo di migliorare la loro marginalità e, in definitiva, la propria competitività) e le altre, quelle cioè che per mancanza di risorse sufficienti si limitano ad andare avanti come possono.


LE BANCHE CENTRALI SONO PRUDENTI O INCAPACI?

E per tornare ai debiti pubblici (quasi tutti ancora oggi in decisa ulteriore crescita), sono pressoché certe due cose: 1) il livello attuale piuttosto elevato dei tassi d’interesse non sembra a lungo sostenibile, generando crescenti perplessità nei sottoscrittori di nuovi titoli pubblici, man mano che quelli vecchi vanno in scadenza; 2) il totale attivo di bilancio delle banche centrali, che ogni volta viene chiamato in causa per contribuire (magari in sordina) alla sottoscrizione delle emissioni di titoli pubblici, in questa situazione non può ridursi come sarebbe auspicabile, generando una discrasia nelle politiche monetarie che ne conseguono: restrittive dal punto di vista dei tassi d’interesse e al tempo stesso espansive dal punto di vista della massa monetaria che esse contribuiscono a generare ogni volta che sottoscrivono titoli pubblici.


Ciò lascia peraltro supporre che, in presenza di politiche monetarie così ambigue, le banche centrali andranno molto piano nel far calare i tassi anche perché l’inflazione potrebbe non scendere così rapidamente come auspicano i mercati. In effetti nelle ultime settimane si sono viste le prime avvisaglie di un piccolo rimbalzo dei prezzi, soprattutto in Europa.

L’INFLAZIONE RIMBALZERÀ?

Le prime rilevazioni dell’indice armonizzato di Dicembre in Eurozona mostrano un incremento dei prezzi intorno al 4% su base annua (per il momento si conoscono soltanto i dati del 4,1% Francia e del 3,8% Germania), che peraltro consegue ad un rialzo dei prezzi energetici, normalmente i primi a muoversi quando l’inflazione rimbalza. E il rischio che questo spettro si materializzi si sta facendo molto concreto, come si può leggere dall’impennata del costo dei “noli” marittimi:


Il quadro che si va delineando per questo inizio del 2024 non è dunque dei migliori, con un contesto generale di bassa crescita economica, il rinvio di taluni investimenti a periodi di futuri tassi decrescenti, i consumi che in generale non crescono a causa del maggior costo del credito e del difficile inseguimento all’inflazione reale da parte dei salari. Un’inflazione che peraltro appare decisamente più consistente di quella dichiarata dagli istituti di statistica. Il costo del carrello della spesa al supermercato è cresciuto in media del 30% in poco più di un anno e mezzo. Mentre le statistiche ufficiali parlano più o meno del 10% cumulativo.

LE IMPRESE RIUSCIRANNO A FARE PROFITTI?

I profitti delle imprese in questo contesto difficilmente cresceranno e la produttività del lavoro che teoricamente potrebbe crescere in funzione della progressiva digitalizzazione e dell’incedere dell’Intelligenza Artificiale. Quest’ultima promette una vera e propria rivoluzione della vita economica ma, per essere utilizzata e cavalcata come si cavalca una tigre, occorre investire ingenti somme. Oggi tuttavia soltanto per le imprese di maggiore dimensione e con una forte generazione di cassa da destinare all’innovazione possono permettersi i relativi investimenti. Le altre nisba! E non solo: in questa situazione è prevedibile una crescita del divario tra Europa e Stati Uniti d’America, dove i salari sono più alti, le imprese sono più grandi e più tecnologiche e oltretutto queste ultime investono molto di più.


Ma se i profitti della maggior parte delle imprese non sono destinati a crescere e i tassi non sono destinati a scendere tanto velocemente quanto si aspetta il mercato finanziario, è presumibile che gli investitori finanziari continueranno con le prese di beneficio rispetto agli attuali livelli altissimi dei listini azionari, almeno per il primo trimestre dell’anno.

SARANNO NUMEROSE LE IMPRESE CHE SI QUOTANO IN BORSA ?

È altresì probabile che, in contesto generale di forte rinnovamento tecnologico e culturale delle imprese, salirà il numero delle “matricole” che decideranno di tentare di raccogliere capitali in Borsa per adeguarsi alle nuove tecnologie e internazionalizzarsi, cercando di espandere produzione e distribuzione nei mercati che è più difficile raggiungere con i canali tradizionali. Dunque è possibile che, dato tutto, le borse registreranno un incremento del numero di IPO (Inital Public Offering), anche perché la liquidità sui mercati potrebbe restare abbondante, cosa che indirettamente ne sosterrà le quotazioni.


Occorre però ricordare che le borse hanno appena finito di segnare nuovi massimi storici e che nei primi giorni del 2024 le correzioni dei listini sono state tutto sommato quasi irrilevanti. Dunque è possibile che i grandi gestori del risparmio ne approfitteranno per far ”ruotare” i loro portafogli degli investimenti, verso un profilo di maggior prudenza e per portare a casa parte dei benefici accumulati. Dunque è possibile che i listini continueranno a ridimensionarsi, pur in un contesto ancora favorevole.

CRESCERÀ IL ”DIGITAL DIVIDE”?

È il classico periodo nel quale gli investitori professionali possono approfittare di qualche presa di beneficio per riporre un ammontare crescente di risorse sui titoli a reddito fisso (che potrebbero cavalcare una progressiva discesa dei tassi), ma anche per fare selezione tra i titoli azionari da acquistare, con ulteriori divergenze tra i moltiplicatori di valore, a seconda della dimensione aziendale e anche dei comparti industriali.


È presumibile altresì un’ulteriore avanzata delle valutazioni tra le società più attive nelle nuove tecnologie e, viceversa, ulteriori ridimensionamenti delle quotazioni azionarie nei comparti più maturi o a maggior domanda energetica. È questa una tendenza di cui al momento è difficile trovare conferma perché il cambio con il dollaro americano è sceso e le quotazioni delle piccole e medie imprese sono rimbalzate a fine anno, pur crescendo assai meno delle altre nel 2023.

SALIRÀ IL PREZZO DELL’ENERGIA?

Il prezzo dell’energia infatti potrebbe non calare, tanto più quanto l’economia reale (e dunque i consumi) riusciranno a non flettere troppo, mentre è presumibile che continueranno gli incentivi nei confronti delle energie da fonti rinnovabili, con conseguenti penalizzazioni nei confronti di quelle tradizionali. Anzi, l’energia potrebbe addirittura rincarare (nonostante la bassa crescita che si presume riguarderà tutto il 2024) qualora le tensioni geopolitiche dovessero continuare a far preoccupare per gli approvvigionamenti di materie prime e commodities. Difficile però fare previsioni su guerre e schieramenti: ad oggi il quadro sembra soltanto peggiorare. E se così fosse alla fine la bolletta energetica si impennerà.


I LISTINI AZIONARI RIUSCIRANNO A RESTARE INTORNO AI MASSIMI?

Il quadro tuttavia sembra molto lontano dall’essere negativo: alle attuali quotazioni azionarie per i listini di borsa già solo il loro non scendere costituirà una bella vittoria e, per molte ragioni, questo potrebbe succedere. Casomai i rischi per i mercati finanziari sono costituiti dalla possibilità che i vari fattori fondamentali permettano all’inflazione di rimbalzare, creando i presupposti per una crisi di fiducia nei confronti dei debitori di non altissima qualità. Una crisi del debito poi innescherebbe anche problemi per i titoli di stato, che risentirebbero delle prospettive di un calo dei gettiti fiscali. Sarebbe una bella rogna, insomma, anche se non è così probabile che succeda.

VALE SEMPRE LA PENA DI AGUZZARE LA VISTA!

Ecco: pur senza pretendere di prevedere alcunché, la semplice osservazione del quadro generale ci fornisce tutto sommato parecchie indicazioni, suggerendo talune conclusioni e spingendoci a qualche previsione. Saranno corrette ovvero, per qualche ragione, sui mercati prevarranno alla fine conclusioni quasi opposte? E se anche fosse, riusciremo ad utilizzarle efficacemente?

La risposta probabilmente è dentro ciascuno di noi. Molti segni delle cose che stanno per succedere sono magari già evidenti, ma soltanto per coloro che vogliono davvero osservarli. E come sempre accade riusciranno a beneficiarne solo una sparuta minoranza di questi ultimi. Come sempre. Tuttavia già soltanto questa speranza ci dice che vale sempre la pena di aguzzare la vista!

Stefano di Tommaso