APPUNTI DI TRADING

N. 57 – sabato 6 gennaio 2024

 

Operazioni in essere :

lu 27 nov comperato 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2035, ora con stop loss a 1970

GOLD FEBB 24

La rottura del TRIPLO MASSIMO ( 2075 – 2070 – 2060 ), che attendo, ancora non si vede.

Se e quando ci sarà (la dichiarerò dopo una chiusura settimanale sopra 2090 cash ) mi attendo un forte movimento al rialzo con obiettivi anche molto lontani.

Quindi inserisco solo ordini in eventuale debolezza del Mercato e nessuno in rottura dei massimi.

Segnalo che GOLD, dopo aver chiuso il mese di novembre sopra 1998, si è ripetuto anche in chiusura di dicembre.

La mia ipotesi è che, molto lentamente, GOLD riceva denaro in uscita dalla liquidità mondiale, per fare una passeggiata al rialzo.

Oltre all’acquisto eseguito a 2035 l’ormai lontano 27 nov 2023, ne inserisco un secondo e mantengo lo stop loss a 1970 per tutti gli acquisti che eseguirò.

Pertanto, sin dal mattino di lu 8 gen, inserirò il seguente ordine :

compero 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2000, con stop loss a 1970 per entrambi gli acquisti

SILVER MAR 24

Avevo scritto :

“SILVER si sta rivelando anche più feroce di come lo avevo presentato a suo tempo.

Le oscillazioni sono mediamente doppie rispetto a GOLD, talvolta triple, e l’ultimo movimento da lu 4 dic in Asia a merc 13 dic nel salotto della FED ha provocato un autentico crollo da 25,91 a 22,51 cash.

Si tratta del 13 % in 7 sedute di borsa, non gestibile con i ridotti stop loss che intendo debbano caratterizzare questa Lettera.”

Abbandono il SILVER ? Non ancora, in quanto lo trovo gestibile con un intervento quotidiano e quindi personalmente valuterò di giorno in giorno un acquisto a 22 SILVER FUT con stop loss a 21,50.

Ma non parteciperà ad utili e perdite della Lettera, perché questa strategia va decisa e gestita con tempestività maggiore di quella settimanale.

Al momento la Lettera lo monitora, senza inserire ordini.

Segnalo che, rispetto a GOLD, SILVER appare più debole nelle ultime settimane.

Per comprendere l’ultima affermazione, basterà vedere che SILVER oscilla a metà del range da 20,69 a 25,51, mentre GOLD è nella parte alta del range da 1810 a 2146.

Inoltre SILVER è rimasto ben poco sopra il livello rilevante di 25,01 cash, mentre GOLD sembra faticare a tornare sotto 1998 cash che, secondo me, aveva un certo rilievo in chiusura mensile.

Segnalo che, da aprile 2023 ad oggi, SILVER è stato sotto 22 USD per sole due settimane in ott 2023; il livello di USD 22 sembra quindi molto importante.

DOW JONES INDU CASH

NUOVO MASSIMO ASSOLUTO

E’ stato rotto il top di 36952 dell’inizio genn 2022 e il Mercato è salito a 37790 DJ CASH.

Siamo a nuovi record e il grafico settimanale ci ricorda che DJ è riuscito a riprendere la pendenza che aveva mantenuto per 11 mesi da ott 2022 fino a metà sett 2023, quando iniziò una discesa di oltre 2500 in 40 gg

Certamente non posso comperare.

Di fronte ad un nuovo top assoluto le Regole dicono che non si può vendere.

Che si fa ? Si attende una figura con stop loss contenuto.

Cercherò con i miei quattrini una vendita in forza, sempre molto rischiosa, e poi cercherò un raddoppio in rottura di un minimo che regga almeno 3 – 4 gg

Il livello potrebbe essere dal TOP assoluto di 37790 fino a 38000 circa, non credo molto ad un ulteriore allungo.

Non vi è, al momento, una figura di ampiezza limitata che consenta di inserire un ordine nella Lettera, che, ricordo spesso, vuole :

– Tenere profilo di rischio basso
– Inserire lo stop loss contestualmente all’ordine di apertura della posizione

Dai miei calcoli del tempo, le due settimane da mart 2.1 a ve 12.1 hanno un rilevante significato ciclico per DOW JONES, non altrettanto per NAS 100.

Controllerò quindi il comportamento.

Sin da ora, dopo aver guardato senza profitti la salita dal minimo del 27 ott 2023 pari a 32327 DJ CASH, nella inutile attesa di acquistare a 32000 ( che avevo descritto come livello di acquisto a basso rischio ) o più in basso, avviso che la Lettera dovrà allargare lo stop loss per l’apertura dello short; diversamente ritengo che l’ingresso non sarà possibile.

NASDAQ 100 CASH

Dopo DOW JONES, anche NAS 100 ha registrato un nuovo top assoluto, con salita piuttosto lenta.

Una quota che oscilla tra il 70 e il 100 % del rialzo dell’intero indice, composto da 100 titoli, deriva dall’incremento ( inesauribile ? ) dei più volte citati FAANG + 3.

Storicamente queste situazioni hanno provocato gravi danni ai frequentatori del mercato, quindi sto lontano.

Al pari di DOW JONES, NAS 100 non può certamente essere comprato, ma non vi è una figura gestibile per vendere con stop loss contenuto.

La mia analisi del tempo porta ad attribuire un certo rilievo alla settimana da lu 29.1 a ven 2.2

Se poi NAS 100 salisse intorno a 17500-17600 proverei una grande soddisfazione.

Giunti eventualmente a quei prezzi, tutto da verificare che il Mercato inverta, ma si creerebbe un pattern interessante.

Diversamente, da qualche gg, NAS 100 sembra più debole di DOW JONES; vedremo.

Quei gg a cavallo del primo feb 2024 potrebbero diventare un minimo da comprare.

Nota finale

Ritengo di restare quasi non investito per avere capitale libero per costruire una posizione al rialzo su GOLD, il mio Mercato preferito, che conosco meglio e che aveva segnato l’esordio di questa Lettera, dopo che, finalmente, ha chiuso il 30 nov sopra 1998 cash, che attendevo da tempo e ripetendo il 29 dic la chiusura mensile sopra 1998. Manca una chiusura settimanale sopra 2090 cash per programmare acquisti in forza. Nell’attesa, inserisco acquisti in debolezza a 2000 GOLD FUT.

Tutti hanno sempre fretta. Io mai.

Leonardo Bodini




L’OCCIDENTE GALLEGGIA SU UN MARE DI DEBITI

Il sistema finanziario globale non è mai stato così in forma e, al tempo stesso, così pericolosamente instabile. Molti dei movimenti dei mercati finanziari si spiegano alla luce dell’ammontare dei debiti e delle loro tendenze. Oltre che ovviamente dei fattori geopolitici circa i quali però nessuno è davvero in grado di fare previsioni attendibili. Nel frattempo l’euforia collettiva sembra avviata a proseguire imperterrita!

 

IL DEBITO COMPLESSIVO E’TRIPLICATO NEL MONDO IN 50 ANNI

Chi l’avrebbe detto? Proprio nel momento in cui il sistema bancario appare sempre meno centrale nell’economia occidentale, assistiamo al trionfo dei debiti di ogni specie e alla loro moltiplicazione! Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il debito globale è triplicato negli ultimi 50 anni fino quasi al 250% del prodotto lordo globale annuo (cioè due volte e mezza). Ma nello stesso periodo la liquidità è cresciuta forse ancora di più, portando gli interessi sotto lo zero per un lungo periodo.


Poi è arrivata l’inflazione, che ha fatto innalzare i tassi ed è sembrata ristabilire un equilibrio che appariva perduto. Ma, stando ai dati macroeconomici, l’inflazione sembra essere già in discesa verticale, e con essa i rendimenti. E il volume del debito globale ha ripreso a crescere così come l’instabilità finanziaria che ne consegue. Tutto già quasi finito dunque? Non esattamente.

COME CAMBIA LA STRUTTURA DEL DEBITO

In effetti il mercato dei capitali ha alimentato un eccesso strutturale di debiti nel mondo, ma è proprio adesso che i tassi d’interesse stanno tornando a scendere che emergono delle nuove tendenze. Vediamo allora quali:

  • Dal momento che il credito è abbondato sino ad oggi fino all’eccesso è presumibile che le politiche di selezione per l’erogazione del credito possano gradualmente “stringere” selezionando meglio chi merita davvero un affidamento;
  • Occorre prendere atto del fatto che la crescita del debito complessivo non proviene dal sistema bancario, bensì dal mercato dei capitali, che ha alimentato tanto i consumi quanto le imprese come pure ha sottoscritto gran parte dei debiti delle pubbliche amministrazioni;
  • Anche la tipologia di crediti erogati nel tempo continua a cambiare: cinquant’anni fa il credito era amministrato principalmente da funzionari delle banche, mentre oggi dipende quasi solo da meccanismi di garanzie e sistemi di merito di credito sempre più automatici. Quest’ultimo viene erogato in modo sempre più finalizzato, e una volta standardizzato nelle sue caratteristiche viene poi impacchettato per essere cartolarizzato, tornando ad essere alimentato da altri sottoscrittori del mercato dei capitali;
  • E occorre prendere anche atto del fatto che i tassi d’interesse, dopo il picco del 2023, sembrano decisi a non scendere altrettanto velocemente quanto l’inflazione, mantenendo dunque un differenziale positivo su quest’ultima che probabilmente è destinato a permanere ancora a lungo.

LE BANCHE CENTRALI SUSSIDIANO LE BANCHE COMMERCIALI

In effetti con il crescere della “finanziarizzazione” dell’economia è anche cresciuto il numero di prodotti finanziari sottostanti. Buona parte della liquidità originaria è stata probabilmente fornita dalle banche centrali alle banche commerciali. I programmi di acquisto di titoli messi in piedi dalle banche centrali dopo la crisi finanziaria e durante la pandemia hanno enormemente ingrossato i bilanci degli istituti di emissione. Si è passati da un sistema con riserve bancarie limitate, in cui le banche centrali govemavano i tassi attraverso operazioni di mercato aperto, a un sistema con riserve molto abbondanti la cui remunerazione riconosciuta dalle banche centrali produce il risultato di sussidiare le banche commerciali.

A titolo d’esempio, ad agosto scorso le riserve detenute dalle banche europee presso la BCE ammontavano a €3.650 miliardi e rendevano il 4%. Così in un anno le banche europee hanno incassato dalla BCE 146 miliardi di euro.

Poiché le banche commerciali remunerano la loro raccolta a tassi molto bassi (in Italia eravamo mediamente allo 0,86 % a Settembre), la gran parte degli interessi pagati dalle banche centrali si trasforma in profitti netti delle banche commerciali, in assenza di qualsiasi rischio sia di credito che di mercato.

Ma le banche centrali hanno solo contribuito alla crescita del mercato privato del credito che oggi appare prevalente, alimentato da enormi risparmi e abnormi profitti accumulati da imprese e classi sociali più abbienti.

LA CONGESTIONE DEI RISPARMI (CHE OGGI SI È INTERROTTA)

A un certo punto una ventina di anni fa si è iniziato a parlare di “congestione dei risparmi” (savings glut) quando si era notato che questi ultimi eccedevano di parecchio gli investimenti. Un fenomeno ampiamente previsto da Keynes e Hobson che lo vedevano come un grosso male per l’economia, derivante principalmente dalla progressiva concentrazione della ricchezza in poche mani e consistente nella sottrazione di risorse alla collettività che alternativamente sarebbero state destinate a consumi e investimenti.


Un fenomeno sicuramente alimentato dallo stadio avanzato del ciclo di vita della generazione dei “baby boomers” degli anni ‘50 e ‘60, la prima che ha potuto godere appieno della crescita del benessere globale. Ma anche dalle grandi ricchezze prodotte dalle maggiori imprese multinazionali ma anche dagli interventi delle banche centrali intesi a contrastare la riduzione della velocità di circolazione della moneta. Tale fenomeno ha subìto soltanto una breve pausa durante la crisi dei mutui subprime che ha generato una storica recessione economica ed è ripreso ben oltre i livelli antecedenti il 2008, ma negli ultimi due anni si è interrotto.


Il punto è che prima dell’avvento dell’inflazione dei prezzi e del conseguente rialzo dei tassi d’interesse, il costo del credito era così basso che la crescita dei volumi di indebitamento non appariva un problema per nessuno: era più facile far fronte alle varie rate quando gli interessi da pagare erano quasi a zero. Oggi invece, se pur in discesa, gli interessi sul debito sono molto cresciuti e possiamo scommettere sul fatto che scenderanno meno velocemente rispetto all’inflazione. Dunque una quota crescente di margini industriali e commerciali viene ancora sottratta a consumi e investimenti e finisce nelle mani di chi amministra la finanza.

DIETRO IL SIPARIO DELLE BUONE NOTIZIE LE BANCHE CENTRALI RESTANO CAUTE

Crescono parallelamente i timori di instabilità relativi al sistema finanziario nel suo complesso, sempre più difficile da tenere sotto controllo e sempre più sofisticato per l’ammontare di contratti derivati, ma soprattutto potenzialmente esplosivo, dal momento che, quando la leva finanziaria cresce troppo, basta un nulla per far crollare il castello di carta. Lo sanno bene le banche centrali che, con il forte rialzo dei tassi d’interesse, hanno dovuto sostenere gli istituti bancari andati in crisi e che ancora oggi devono continuare a fornire molta liquidità per sorreggere i principali intermediari finanziari. E questo nonostante pubblicamente esse affermino di voler continuare con politiche monetarie restrittive, che nella realtà dei fatti non possono esistere.

IL RUOLO DELLE “BIG TECH”

A mio modesto avviso sono queste le considerazioni che spiegano -almeno in parte- la crescita indiscriminata dei valori borsistici dei titoli azionari di imprese “super-tecnologiche”. L’intelligenza artificiale viene inoltre intesa oggi come la tangibile speranza di fornire una più elevata produttività al lavoro umano, il quale scarseggia man mano che la popolazione invecchia e raggiunge livelli maggiori di benessere. E le società che saranno maggiormente in grado di mettere in opera automazione e intelligenza artificiale sono considerate alla stregua delle internet co. degli anni ‘90 e dei colossi del commercio elettronico degli anni 2000. I loro profitti sono destinati a crescere e per questo motivo hanno raggiunto elevatissimi moltiplicatori di valore. Nel grafico qui sotto riportato si può vedere quanto il Nasdaq sia cresciuto di più rispetto all’indice generale SP500.


I BILANCI DELLE BANCHE RESTANO IN GRAN FORMA

Ma al tempo stesso le considerazioni sopra esposte relative alla montagna di debito spiegano bene anche per quale motivo i grandi conglomerati finanziari e assicurativi (vale a dire i soggetti economici che hanno gradualmente rimpiazzato le banche commerciali) continueranno probabilmente ad avere un ruolo di primo piano nell’economia e per le borse.

Sebbene dunque sia lecito attendersi che nei listini azionari tornino gradualmente a riprendere vigore anche i titoli delle società minori che erano stati tralasciati nell’ultima volata dei mercati borsistici, le dinamiche esposte lasciano pensare che un importante differenziale di valutazione permarrà, a sfavore della valutazione di società industriali e commerciali di piccola e media dimensione, che non riusciranno a fare altrettanti profitti. Si tratta dei titoli che compongono l’indice Russell2000 americano o l’Euronext Growth europeo. Qualcuno di loro farà il salto dimensionale, ma molti altri resteranno poco liquidi e, di conseguenza, poco valutati.


LE BORSE PROSEGUIRANNO LA CORSA, MA NON SUBITO E NON PER SEMPRE

La constatazione del debito crescente intorno al pianeta suggerisce dunque la possibilità di ulteriori innalzamenti dei principali indici borsistici (magari con una pausa tecnica intorno a fine anno, dettata dalla necessità di scontate prese di beneficio). E anche l’attesa di cali nei tassi d’interesse e dunque la potenziale ripresa dei valori immobiliari potrebbero favorire un buon andamento nel corso del 2024.

Ma al tempo stesso cresce anche l’instabilità finanziaria globale, con la possibilità che quest’ultima non sia facilmente arginabile e con il rischio pertanto che si generi di nuovo elevata volatilità dei mercati o addirittura un nuovo shock planetario come quello vissuto nel 2008.

SAN DOLLARO E SAN PETROLIO

Infine una considerazione: lo sviluppo economico globale nel 2023 è stato relativamente buono anche in funzione del fatto che il costo dell’energia, per una molteplicità di motivi, è rimasto su livelli accettabili, portando di conseguenza al ribasso anche il tasso di inflazione. Le tensioni geopolitiche non hanno influito sui loro prezzi più di tanto e l’attesa di un 2024 relativamente tranquillo (anche perché dedicato alle elezioni politiche in buona parte dell’Occidente) ha contribuito ad aspettative positive. Lo stesso vale per il cambio del Dollaro, che riducendosi ha dato un po’ di “fiato” alle economie emergenti e ha ridotto i prezzi di molte materie prime.

Ma cosa succederebbe se nel prossimo anno tornasse a salire il costo dell’energia o tornasse a salire il cambio del Dollaro (e di conseguenza i costi delle materie prime)? Probabilmente questa sarebbe la spinta decisiva verso una nuova recessione, quella che sino ad oggi non è mai arrivata.

IL COSTO DEGLI ALIMENTI E’GIA’ SALITO TROPPO

La medesima considerazione potrebbe valere per il costo degli alimenti: i paesi più industrializzati sembrano aver assorbito senza troppi contraccolpi una crescita indiscriminata dei prezzi (siamo in media oltre il 30% in più rispetto al 2021-2022). E in molti paesi in via di sviluppo i prezzi delle derrate alimentari non sembrano fino ad oggi cresciuti altrettanto. Dunque i consumi non sono crollati e molte imprese hanno approfittato della revisione dei prezzi per migliorare i loro margini.

Ma c’è un limite alla risalita dei costi alimentari oltre il quale potrebbero generarsi ovunque pesanti ripercussioni in termini di rivendicazioni salariali e, in definitiva, di ordine pubblico. Superato quel limite nemmeno i profitti delle grandi aziende potrebbero quindi mantenersi floridi, perché scenderebbero i consumi.

LA CAUTELA DELLE BANCHE CENTRALI

Un’eventuale instabilità futura dei prezzi di energia e “commodities” potrebbe dunque far mutare radicalmente lo scenario di relativa tranquillità che ha permesso ai mercati finanziari di restare in sostanziale equilibrio (nonostante il debito alle stelle) e alle borse di continuare a correre verso nuovi massimi storici. E -Dio non volesse- farebbe venire a galla i problemi legati all’eccesso di debito.

Anche il calo del cambio del Dollaro americano ha contribuito al mantenimento di una certa calma nel mondo e a lasciare addirittura vive le attese di possibili ulteriori guadagni. Ma sono variabili che potrebbero far saltare rapidamente gli equilibri a seguito di eventuali nuovi shock geopolitici. Molto dunque dipenderà dall’assenza di questi ultimi, sui quali -purtroppo- non ci è dato di sapere. E la sommatoria dei rischi di nuove ondate di inflazione e di quelli legati all’eccessiva proliferazione del debito spiegano la cautela delle banche centrali, anche se non possono in alcun modo giustificare il loro scarso tempismo.

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 56 – sabato 16 dicembre 2023

 

Operazioni in essere :

lu 27 nov comperato 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2035, ora con stop loss a 1970

GOLD FEBB 24

La rottura del TRIPLO MASSIMO ( 2075 – 2070 -2060 ), che attendo, ancora non si vede.

Se e quando ci sarà (la dichiarerò dopo una chiusura settimanale sopra 2090 cash ) mi attendo un forte movimento al rialzo con obiettivi anche molto lontani.

Nella notte tra dom 3 dic e lu 4 dic sui Mercati asiatici GOLD ha segnato un nuovo record assoluto a 2152 per FEB FUTURE, mentre non è chiaro quale sia il prezzo di GOLD CASH da considerare.

Dopo il top di 2152 FEB FUTURE, GOLD è sceso molto velocemente, con rimbalzi modesti.

Merc 13 dic la FED ha dichiarato il secondo “ non rialzo “ dei tassi e vi è stato uno strappo in su di circa 3 % in 60 min.

Difficile fare trading per chi ha il video acceso, ad evidenza nemmeno possibile per una Lettera che esce il lunedì successivo.

Continuando la fatica improba che mi sono imposto, oltre all’acquisto a 2035 del 27 nov 2023, ne inserisco un secondo ed alzo lo stop loss a 1970 per tutti gli acquisti che eseguirò.

Pertanto, sin dal mattino di lu 18 dic inserirò il seguente ordine :

compero 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2000, con stop loss a 1970 per entrambi gli acquisti

SILVER MAR 24

Avevo scritto :

SILVER si sta rivelando anche più feroce di come lo avevo presentato a suo tempo.

Le oscillazioni sono mediamente doppie rispetto a GOLD, talvolta triple, e l’ultimo movimento da lu 4 dic in Asia a merc 13 dic nel salotto della FED ha provocato un autentico crollo da 25,91 a 22,51 cash.

Si tratta del 13 % in 7 sedute di borsa, non gestibile con i ridotti stop loss che intendo debbano caratterizzare questa Lettera.

Abbandono il SILVER ? Non ancora, in quanto lo trovo gestibile con un intervento quotidiano e quindi personalmente inserirò un acquisto a 23 SILVER FUT con stop loss a 22,50.

Ma non parteciperà ad utili e perdite della Lettera, perché questa strategia va decisa e gestita con tempestività maggiore di quella settimanale.

Al momento la Lettera lo monitora, senza inserire ordini.

DOW JONES INDU CASH

NUOVO MASSIMO ASSOLUTO

E’ stato rotto il top di 36952 dell’inizio genn 2022 e il Mercato è salito a 37347 DJ CASH.

Rammento che nella Lettera N. 49 di sa 28 ott 2023 avevo scritto :

“Penso che vi sarà un secondo tentativo di spingere al rialzo il Mercato nelle prossime due settimane ( 55esima e 56esima dal 13 ott 2022 ) che si svilupperanno da lu 30 ott a ve 10 nov 2023.

Questi acquisti potrebbero partire intorno a 32000 DJ CASH ( + 100 DIC DJ FUT ), se certi signori vedono quello che vedo io.

Per disciplina, dopo aver subito uno stop loss, la Lettera non inserisce ordini su DOW JONES e NAS 100.”

La disciplina è una bella cosa, ma questa volta bastavano due etti di Lucignolo e a qualche prezzo sarei salito a bordo.

Pensate solamente che, quel sa 28 ott scrissi, a mercato fermo, che a 32000 potevano partire gli acquisti e ven 27 ott il minimo era stato 32327. Amen.

Siamo a nuovi record, con una pendenza inusuale della salita iniziata ve 27 ott .

Non posso comperare.

Di fronte ad un nuovo top assoluto le Regole dicono che non si può vendere.

Che si fa ? Si attende una figura con stop loss contenuto.

Controllerò il minimo di dic 2023, attualmente pari a 35914 DJ CASH

NOTA Quanti si trovano al rialzo sul DOW JONES non credo saranno indifferenti alla eventuale, ora non probabile, rottura del minimo del mese in cui è stato registrato un nuovo massimo assoluto.

NASDAQ 100 CASH

NAS 100 non ha ancora registrato un nuovo top assoluto, ma manca una inezia.

Una quota che oscilla tra il 70 e il 100 % del rialzo dell’intero indice, composto da 100 titoli, deriva dall’incremento ( inesauribile ? ) dei più volte citati FAANG + 3.

Storicamente queste situazioni hanno provocato gravi danni ai frequentatori del mercato, quindi sto lontano.

Ho allegato un grafico giornaliero, cosa che normalmente evito perché spinge a osservare i micro movimenti, solo per visualizzare che il livello di 15600, che avevo segnalato essere di rilievo, è stato rotto in gap, con un tentativo di pull back a 15695.

Ritengo pertanto che un tentativo di acquisto potrà essere studiato solo tra 15600 e 14500, unicamente dopo un pattern di range contenuto, tale da consentire uno stop loss in linea con il profilo conservativo di questa Lettera.

Nota finale

Qualcuno mi ha gentilmente segnalato che la Lettera è troppo prudente e sta investendo solo 20350 USD.

Lo so.

Ritengo di restare quasi non investito per avere capitale libero per costruire una posizione al rialzo su GOLD, il mio Mercato preferito, che conosco meglio e che aveva segnato l’esordio di questa Lettera dopo che, finalmente, ha chiuso il 30 nov sopra 1998, che attendevo da tempo.

Tutti hanno sempre fretta.

Io mai.

Leonardo Bodini

 

 

 




QUANTO È GIUSTIFICATO L’OTTIMISMO DEI MERCATI?

Si è formato nelle ultime settimane un muraglione di fiducia sui mercati relativamente agli sviluppi economici possibili circa il prossimo futuro. Una vera e propria roccaforte di convinzioni positive rassicura gli investitori occidentali e ha permesso a tutti i mercati finanziari (dalle borse ai titoli a reddito fisso, dalle criptovalute all’oro) di toccare nuovi massimi. Ed è una convinzione durissima da scalfire.

 

Molti fattori oggettivi dovrebbero invitare a maggior cautela:

  • il progressivo rallentamento economico (in Europa addirittura la recessione);
  • le banche centrali che fanno (e faranno) di tutto per contrastare l’aspettativa di una repentina discesa repentina dei tassi;
  • il crollo sospetto della volatilità dei corsi, che suggerisce un evidente eccesso di ottimismo sui mercati;
  • il riaffacciarsi delle “meme stocks” (ndr: titoli che guadagnano popolarità tra investitori al dettaglio attraverso i social media);
  • l’impennata dell’oro e del bitcoin (due classi d’investimento che risultano molto speculative);
  • il calo di petrolio e gas (che dovrebbe far riflettere relativamente al calo della produzione industriale) nonostante l’OPEC abbia concordato forti restrizioni all’offerta;

 

ANDAMENTO DELL’INDICE VIX DELLA VOLATILITÀ DEI CORSI AZIONARI USA (SP500)


UN’IMMENSA BOLLA SPECULATIVA

Tutti elementi che possono ragionevolmente far pensare che i massimi raggiunti dai mercati si trovino in questo momento sulla tenue superficie di un’immensa bolla speculativa, che dunque come tale dovrebbe apparire per ciò che è: pericolosissima!

E invece no: i mercati finanziari sembrano andare avanti imperterriti a segnare nuovi record. Ma poiché tutto ciò che sfida la gravità di solito alla fine deve pur tornare sulla terra, proviamo a comprendere quanto questi record siano giustificabili da elementi oggettivi che supportano queste “cime tempestose”.

Proviamo ad elencare i primi:

  • la brusca impennata dei tassi registrata nei mesi scorsi dovrebbe indubbiamente lasciar luogo ad un loro assestamento, come peraltro già succede sui rendimenti dei titoli a reddito fisso scambiati sui mercati secondari;
  • i mercati scontano l’attesa che le banche centrali siano “costrette” a ridurre presto i tassi a breve termine, ma queste ultime, più o meno giustificatamente ancora frenano invitando gli investitori alla prudenza circa nuovi possibili focolai inflazionistici;
  • la disoccupazione nella zona Euro è ai minimi storici (6,5%) mentre gli ultimi dati sull’impiego americani appaiono migliori del previsto (suggerendo un buon tono di fondo dell’economia reale);
  • In Cina per il secondo mese consecutivo si è registrata una contrazione dei prezzi al consumo (deflazione) che ha spinto al ribasso il Renminbi.

ANDAMENTO INFLAZIONE IN CINA


LA CURVA DEI TASSI RESTA INCLINATA NEGATIVAMENTE

Il disallineamento tra i tassi a breve termine (che non stanno ancora scendendo anche perché risentono delle politiche delle banche centrali) e quelli a lungo termine (che invece stanno scendendo, parallelamente alle quotazioni dei titoli a reddito fisso, in riflesso all’attesa di una riduzione generalizzata di tassi e inflazione) è un elemento preoccupante, perché comporta l’inversione della cosiddetta curva dei rendimenti (che quando è impennata positivamente riflette ciò che dovrebbe essere nella normalità: che i tassi a più lungo termine dovrebbero sopravanzare quelli a più breve termine).

Si tratta di un elemento apparentemente secondario ma rassomiglia a una piccola palla di neve che rischia di ingrossarsi rotolando a valle sino a travolgere tutto ciò che incontra: più i mercati appaiono ottimisti più le banche centrali risultano preoccupate per i loro eccessi e più rallentano nell’abbassare l’asticella dei tassi, per timore di eccessi speculativi, nonostante le buone notizie sul fronte dell’inflazione.

UN DIVARIO CRESCENTE

Ma ovviamente più le banche centrali attendono e più cresce il divario tra il loro atteggiamento e quello dei mercati finanziari, ampliando un divario che dovrà invece prima o poi necessariamente richiudersi.

A favore dell’ottimismo di investitori e risparmiatori ha indubbiamente giovato il mancato verificarsi delle aspettative di una recessione imminente in America. E i gestori del risparmio da qualche parte dovevano investire la loro liquidità, dal momento che il rialzo dei tassi aveva reso più “costoso” il mantenere grandi somme liquide in conto corrente. Dunque non appena il quadro generale è apparso migliorato si sono aperte le cateratte e i prezzi dei titoli sui mercati sono saliti.

Ma all’elenco di cautele da osservare riportato più sopra (a proposito degli investimenti mobiliari) se ne aggiungono ancora diverse altre:

  • i pericoli geopolitici che possono guastare la festa ai mercati non si sono affatto ridimensionati. Ci troviamo nel bel mezzo di una “pausa elettorale” ma il pianeta non sembra affatto all’imbocco di un sentiero di rappacificazione generale;
  • allo stesso modo la transizione “verde” si è al momento quasi interrotta, ma la dipendenza dei nostri consumi dall’impiego di idrocarburi e combustibili fossili non è scesa che di pochissimo. Il giorno in cui riprenderemo in seria considerazione le politiche di preservazione dell’ambiente dovremo tenere conto degli elevatissimi costi ed investimenti necessari per implementarle;
  • il numero di emissioni di nuovi titoli in programma in tutto l’Occidente nella prima metà del 2024, da parte non solo del Tesoro americano bensì anche da moltissimi altri governi, istituti, enti sovranazionali e imprese di ogni genere lascia temere che che tale affollamento possa da solo essere sufficiente a interrompere la tendenza alla discesa dei rendimenti dei titoli a medio e lungo termine, perché se a così tanta offerta di titoli non corrisponderà un’altrettanto forte domanda allora i relativi corsi scenderanno e i loro rendimenti dovranno necessariamente invertire la rotta;
  • I grandi investitori internazionali e le grandi banche d’affari hanno sicuramente ottenuto buoni guadagni dai rialzi che si sono succeduti nel corso del 2023 e molti di loro probabilmente non vedono l’ora di monetizzare tali profitti, vendendo almeno in parte i titoli in portafoglio. E quando lo faranno non ricompereranno subito dopo: attenderanno un po’ dopo che i mercati avranno “stornato”.

Dunque a fronte di alcune buone ragioni per le quali la situazione dei mercati può suggerire di mantenere un ottimismo di fondo, ci sono molte altre valide ragioni per poter ritenere che la festa, iniziata indubbiamente molto presto e con pochissimi soggetti che se la sono sentita di scommettere contro la maggioranza degli investitori, possa subire quantomeno un’interruzione.

LA FESTA È FINITA?

Questo perché la speculazione a un certo punto ha bisogno di invertire la rotta per trarre profitto dalle proprie posizioni e i grandi gestori, raggiunti i loro obiettivi di rendimento, potrebbero essere più motivati a ridurre i rischi che ad estendere i lauti guadagni già accumulati.


Ma soprattutto c’è un aspetto, sottolineato in apertura, che mi lascia davvero molti dubbi: come faranno i mercati a continuare a scommettere contro le banche centrali? Ci sono valide ragioni per anticiparle così tanto da andare di fatto all’incontrario delle loro indicazioni? La risposta a una tale questione non è mai semplice ma la sensazione di chi scrive è che il muro di fiducia che è stato eretto troppo in fretta possa iniziare a sgretolarsi.

Da un lato lo sanno anche i muri che i debiti pubblici di tutto il pianeta e gli investimenti futuri per le grandi infrastrutture ancora da realizzare necessitano di un ambiente a bassa inflazione e con bassi tassi d’interesse. Solo così le infrastrutture saranno profittevoli nel lungo termine, mentre occorre ricordare che l’unico modo per ridurre i debiti pubblici nel tempo sarà la loro lenta e inevitabile monetizzazione.

L’INFLAZIONE NON PUÒ AZZERARSI

Dunque queste necessità dovrebbero sospingere le banche centrali a favorire un minimo tasso d’inflazione (si continua infatti a parlare del 2% come obiettivo di lungo termine) pilotando tuttavia i rendimenti reali, non appena risultasse possibile, verso lo zero.


Ma nel frattempo tanto i governi quanto banche e intermediari risultano sempre più affamati di liquidità, che in qualche modo sta arrivando loro dalle banche centrali per vie traverse. ”Ugualmente” cioè, nonostante l’annunciata stretta monetaria. Senza sufficiente liquidità si concretizza un elevato rischio di stabilità del sistema finanziario, come si è potuto toccare con mano nei casi “Lehman Brothers” o “Silicon Valley Bank”.

Dunque l’inflazione potrà decrescere fino al 2% circa ma non è tra gli obiettivi di politica monetaria farla scomparire, proprio perché risulta impossibile lasciare il sistema bancario e delle pubbliche amministrazioni a secco di liquidità. Anche per questo è possibile qualche altra “ondata” di inflazione, seppure decrescente, così come è successo quasi sempre nella storia. E’ il motivo principale per il quale le banche centrali fanno fatica ad abbassare la guardia tanto presto.

MERCATI INCAUTI

Dunque i mercati finanziari potrebbero andare incontro a qualche delusione, soprattutto se resteranno euforici così come lo sono stati sino alla scorsa settimana. Se l’inflazione rimbalzerà, anche solo di poco, i tassi decrescenti nominali si tradurranno in tassi reali negativi. Dunque non soltanto chi investe in titoli a reddito fisso appare oggi molto ottimista, ma soprattutto deve tenere conto del fatto che la discesa pilotata dei tassi da parte delle banche centrali dovrà necessariamente risultare più lenta di quanto i mercati finanziari si aspettino.


Quel che ne può conseguire è quasi scontato: l’attuale livello di minimo storico della volatilità delle borse non potrà proseguire troppo a lungo e, se anche in media queste ultime riusciranno a tenere sostanzialmente i livelli massimi oggi raggiunti, esse potranno incorrere ugualmente in nuovi alti e bassi che dovranno succedersi man mano che le aspettative comuni risulteranno irrealistiche.

MEGLIO LE BORSE CHE I BOND

Nuovi alti e bassi potrebbero risultare poi tanto più probabili per i titoli a reddito fisso, che saranno sottoposti a numerosi “stress” nei prossimi mesi, rispetto alle quotazioni delle borse, le cui capitalizzazioni dipenderanno pur sempre dall’andamento di pochi grandi aziende globali, che di solito performano meglio di quelle più piccole.

ANDAMENTO DELL’INDICE FTSE – MIB

È presumibile che una sostanziale ”tenuta” (nel medio termine però) degli indici azionari possa riguardare anche il mercato azionario italiano, il quale ha raggiunto i suoi massimi soprattutto in funzione degli ottimi conti economici delle principali banche e assicurazioni, le quali hanno beneficiato del rialzo dei tassi e potrebbero continuare a beneficiare della loro posizione oligopolistica. Proprio perché sembra probabile che alla fine i tassi non scenderanno così in fretta. Ma sinanco per i titoli finanziari nel breve termine qualche presa di beneficio di chi investe appare inevitabile.

Stefano di Tommaso