APPUNTI DI TRADING

N. 55 – sabato 9 dicembre 2023

Operazioni in essere :

lu 27 nov comperato 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2035, ora con stop loss a 1940

gio 7 dic comperato 1 MARZO MINI SILVER FUTURE a 24,00 stoppato il successivo ve 8 dic a 23,30 con una perdita di ( 0,70 USD x 2500 ) USD 1750 pari ad EURO 1635

SILVER da lu 4 dic a ve 8 dic ha segnato un range di oltre 3 USD, circa il 13 %, troppo per 5 gg di trading e non gestibile con una Lettera che esce una sola volta alla settimana. Ma l’ho detto più volte.

GOLD FEBB 24

Avevo scritto :
“ la chiusura del 30.11 sopra 1998 cash secondo me può aver cambiato il comportamento di questo Mercato.

Se fosse seguita dalla rottura del TRIPLO MASSIMO ( 2075 – 2070 -2060 ) che evidenzio sul grafico mensile da molte settimane, non escludo un forte movimento al rialzo con obiettivi anche molto lontani. “
Nella notte tra dom 3 dic e lu 4 dic sui Mercati asiatici GOLD ha segnato un nuovo record assoluto a 2152 per FEB FUTURE, mentre non è chiaro quale sia il prezzo di GOLD CASH da considerare.

Il mio fornitore di dati indica 2148, ma ritengo che sia un valore “asiatico”, mentre i dati rilevanti sono quelli successivi alle 15.30 ( 9.30 U.S.A. )

Il massimo valore registrato dalle 15.30 di lu 4 dic ad oggi di GOLD CASH è stato 2074 ( 2089 FEB FUTURE )

Dopo il top di 2152 FEB FUTURE, GOLD è sceso molto velocemente, con rimbalzi modesti.

Mette a dura prova la mia convinzione che la avvenuta chiusura mensile del 30 nov 2023 sopra 1998 cash rappresenti un segnale di forza.

Per completare il quadro serve ora almeno una chiusura giornaliera sopra il triplo max ( 2075 – 2070 – 2060 ) meglio ancora chiusura settimanale

In attesa di ciò, mantengo l’acquisto eseguito a 2035 il 27 nov 2023 con stop loss 1940 e non inserisco altri acquisti.

A vendere, nemmeno penso.

SILVER MAR 24

Avevo scritto :

“ Quasi impossibile affrontare l’ampiezza dello stop loss necessario ad entrare ora al rialzo; comunque è impossibile vendere. “

Per mio refuso, avevo indicato nella Lettera lo stop loss a 23,50 e 23,30 nella tabella excel delle operazioni inserite.

Intendevo 23,30 e quindi evidenzierò una perdita di USD 1750 e non 1250 che corrisponderebbero a 23,50.

Dopo una perdita, evito di inserire ordini per una settimana.

DOW JONES INDU CASH

Avevamo assistito ad una salita verticale dal 27.10 ( 32327 ) a ve 1.12 ( 36264 )

Si tratta di 3937 punti in 24 gg di trading, dopo che una discesa simile da 35679 ( 1 ago 2023 ) a 32327 aveva occupato tutto agosto, settembre e ottobre, in totale 62 gg di trading.

Nei successivi 5 gg da lu 4 a ve 8 dic abbiamo assistito al nulla, un ritocco di 32 punti a 36296

Un Mercato fermo diventa poco profittevole e quindi non inserisco ordini.

La settimana che è appena finita è stata la sessantesima da 28660, ciclo di un certo interesse.

Se venisse rotto il minimo settimanale di circa 36000 DJ CASH, potrei aprire uno short con stop loss sopra 36296, ma non è una operazione gestibile dalla Lettera.

Personalmente la eseguirò solo in base al form reading quotidiano, se sarò in studio per valutare il pattern.

Quando inserirò il prossimo ordine, avverrà sul future scadenza marzo che costa 360 punti in più, circa l’uno per cento.

NASDAQ 100 CASH

NAS 100 da due settimane ha perso forza in assoluto e relativamente al DJ; resta pericoloso da acquistare, salvo un profondo ritracciamento, vicino al 38,2 %.

Comunque impossibile da vendere.

Attenderò con disciplina un pattern che offra stop loss gestibile.

Quando inserirò il prossimo ordine, avverrà sul future scadenza marzo che costa 210 punti in più, circa 1,3 %.

Leonardo Bodini

 

 

 

 




RIPRESA, QUALE RIPRESA?

Davvero l’economia italiana è in ripresa? La risposta non è scontata, anzi. La realtà dei numeri è diversa da quella strombazzata dai media. Per l’istituto di statistica -dal momento che deve trasmettere al pubblico messaggi di sintesi- diviene inevitabile la discrezionalità di determinate affermazioni. Per comprendere dunque cosa sta succedendo davvero a quella che una volta era la culla della civiltà occorrono alcuni approfondimenti a proposito dei vari fattori economici.

 

QUALE INFLAZIONE

Innanzitutto occorre “leggere” l’inflazione dei prezzi: è davvero stata in Novembre in pesante ribasso come titolano parecchi giornali oppure è addirittura già in ripresa? La risposta è relativamente semplice: se il confronto tra i prezzi dei beni che rientrano nel “paniere” di misurazione viene fatto con quelli dello stesso mese dello scorso anno effettivamente si vede ancora una crescita ma vistosamente ridotta: il 3,6%, in discesa rispetto al mese precedente (dal 4,2% a Ottobre).

Poiché tuttavia l’inflazione acquisita sino ad oggi per l’anno 2023 è misurata nel 5,6% emerge subito una discrasia fortissima con quanto percepito dal consumatore medio, colpito da rincari che vanno dal 10 al 30% già solo per i beni di prima necessità. Addirittura se il dato viene rilevato su base mensile allora l’inflazione di Novembre è stata invece in drastico calo: +0,8% su base annua! Ma normalmente l’inflazione non si misura mai base mensile.

Vale la pena di sottolineare tuttavia (come si può leggere da grafico qui sotto riportato) che l’anno scorso di questi tempi l’inflazione dei prezzi era giunta ai massimi storici e che dunque i rincari maggiori erano stati proprio un anno fa. E dunque l’inflazione di Dicembre e ancor più quella di Gennaio, misurate sulla base del medesimo mese dell’anno precedente, potrebbero risultare più elevate del 3,6%.

A livello delle principali sette economie occidentali poi (si veda il grafico qui sotto) l’inflazione italiana appare (irrealisticamente) la più virtuosa. Un dato che stona parecchio con il fatto che gran parte delle determinanti dell’inflazione sono state “importate” e che si può cercare di giustificare -ma solo in parte- con la limitatissima dinamica salariale interna del nostro Paese e con il deciso calo dei consumi. Mentre in parte il dato resta spiegabile soltanto -evidentemente- con la composizione assai “partigiana” del paniere dei prezzi di riferimento.

IL TASSO DI CRESCITA DEL PIL

Il tasso medio d’inflazione dei prezzi è importante non soltanto per misurare la perdita di potere d’acquisto dei salari e dei risparmi, ma anche per “deflazionare” il prodotto interno lordo (P.I.L.), che normalmente viene espresso al netto della svalutazione monetaria.

Dunque se l’istituto di statistica comunica un tasso medio d’inflazione più basso di quello “vero” (difficile però dire quale è quest’ultimo), ecco che magicamente il prodotto interno lordo di una nazione si ritrova a crescere nominalmente più di quanto sia quello reale.

VENDITE AL DETTAGLIO E PRODUZIONE INDUSTRIALE

Non a caso in Italia esiste un divario crescente tra i tre indicatori più significativi dell’andamento macroeconomico: l’andamento del PIL, quello delle vendite al dettaglio e quello della Produzione Industriale, guarda caso il primo sembra addirittura crescere rispetto all’anno precedente

quando è risaputo che la spesa per consumi è in calo per l’evidente motivo della riduzione del potere d’acquisto dei consumatori (dovuta proprio alla svalutazione monetaria e al rialzo dei tassi che ha fatto levitare le rate dei mutui, dei leasing e dei noleggi)

Spesa per consumi Italia

mentre l’indice della produzione industriale è ancor più in decisa riduzione, da oramai diversi mesi.

Indice della produzione industriale italiana

Ma se i consumi calano, la produzione industriale scende e l’inflazione non cala, è corretto dire che non c’è recessione soltanto perché il PIL sembra appena sopra allo zero? Secondo me no.

La ripresa in corso è dunque assai strisciante, non eclatante e confina parecchio con la stagnazione, almeno per il momento. A livello continentale occorre poi tenere conto del fatto che la Germania, per molti versi motore industriale e finanziario dell’intera Eurozona, è in recessione “tecnica” (ovvero conclamata da più di un trimestre) da quasi un anno e che dunque tutte le imprese terziste di quelle tedesche hanno subìto un calo negli ordinativi, sebbene parzialmente compensati dall’ottimo andamento delle economie asiatiche, che ancora crescono a ritmi che in Europa non vediamo più da tempo.

Tassi di crescita storici e prospettici del PIL tedesco


IL RESTO DEL MONDO

La stessa America può vantare un’economia sì in crescita (addirittura virtuosa, dal momento che negli ultimi mesi corre al ritmo del 5% su base annua), ma non generalizzata, anzi quasi concentrata su taluni settori industriali: quelli legati agli armamenti ( le cui esportazioni non sono mai andate così bene), alle auto e alle ultime tecnologie, ivi comprese quelle farmaceutiche e per una percentuale non trascurabile l’esportazione di materie prime energetiche (come gas e petrolio). Molte medie imprese hanno subìto il combinato disposto di cali nelle vendite e costi finanziari in aumento. Non a caso il settore immobiliare americano (ivi comprese le costruzioni edili) è in forte crisi, cosa che risulterebbe assai poco normale per un’economia in forte crescita.


Nemmeno l’Asia da questo punto di vista appare ”normale”: in Cina sono arcinoti i problemi legati al settore immobiliare. Forse il problema della crescita non riguarda invece l’India, che mostra ritmi di sviluppo del PIL che superano sinanco quelli cinesi (l’ultimo dato tendenziale è al 7,2%).


Ma è cosa risaputa che normalmente lo sviluppo economico dipende dalla crescita demografica e dal tasso di produttività del lavoro. In America così come in tutta l’Asia la demografia “tira” ancora e i risultati sono tangibili. In Europa viceversa è proprio la demografia a costituire un freno, dal momento che ha uno sviluppo negativo e che l’immigrazione africana forse tra qualche anno potrà risultare d’aiuto all’economia, ma per il momento serve soltanto ad accrescere la spesa assistenziale.

I LIMITI ALLO SVILUPPO EUROPEO

  • In Europa lo sviluppo economico è dunque rallentato da diversi pesanti fattori:
  • la demografia (con tassi di sviluppo negativi)
  • la scarsa elasticità del mercato del lavoro che impedisce alle imprese di assumere liberamente quando c’è necessità e incrementa la spesa assistenziale quando queste ultime richiedono la cassa integrazione guadagni
  • la maggior spesa assistenziale che incrementa debiti pubblici e disavanzi. Tra l’altro la forte presenza dello Stato nell’economia “spiazza” quella privata e assorbe risorse che potrebbero incentivarla
  • la dipendenza pressoché totale dalle importazioni di nuove tecnologie, armamenti, servizi finanziari avanzati (il centro finanziario del pianeta resta New York non Francoforte), materie prime e risorse energetiche (con qualche eccezione dovuta alle centrali nucleari e a carbone che però risultanti in totale contrapposizione ai propositi ecologisti del ”governo” (si fa per dire) dell’Unione
  • lo scarso tasso di innovazione tecnologica delle proprie produzioni, che dunque fronteggiano una concorrenza crescente da parte dei paesi emergenti che si curano meno dei vincoli ambientali e umanitari
  • una politica monetaria a dir poco “miope” che costituisce anch’essa un forte limite (si legga più oltre).

In presenza di tutto ciò è chiaro che l’Europa (e dunque anche l’Italia) appare destinata a perdere posizioni in termini di competitività e che non è pensabile un cambio di marcia almeno sino a quando taluni di questi fattori di impedimento non verrà rimosso.

I PUNTI DI FORZA DELL’ECONOMIA EUROPEA

Dall’altro lato esistono i punti di forza delle economie europee che indubbiamente sino ad oggi hanno portato in positivo la bilancia commerciale con il resto del mondo:

  • la capacità di realizzare ed esportare in tutto il mondo impianti e macchinari di altissima affidabilità e innovatività (anche se Giappone e Corea oramai ci stanno sopravanzando in questo campo)
  • la capacità di dettare legge nel mondo a proposito di stile, buon gusto, lusso e cultura
  • la capacità (sebbene oggi in deciso calo) di esportare bevande e prodotti alimentari, medicinali e sistemi medicali all’avanguardia
  • l’esportazione sistematica di cervelli, risorse umane e maestranze super-specializzate nel resto del mondo (USA compresi) la quale dà indubbiamente un contributo all’economia europea con le rimesse di quanto guadagnato alle famiglie di provenienza e ai servizi dei paesi d’origine.

Si ma quanto potrà durare? L’Europa, come del resto l’Italia, oggi non è più la culla della civiltà. E nemmeno di quella occidentale. Resta per il momento la culla dello stile e del “savoir vivre”, della creatività e del lusso. Ma se proseguiranno le attuali tendenze demografiche non saranno sostenibili nemmeno questi punti di forza.

LA CONGIUNTURA NEL 2024

È lecito allora attendersi un nuovo anno (2024) in crescita economica ? Difficile dirlo perché sarà anche un anno elettorale, nel quale nessun cambiamento radicale sarà ragionevolmente messo in pratica da chi governa o da chi investe. E sarà un anno decisivo per evitare che i due conflitti armati alle porte dell’Unione (l’Ucraina e il Medio Oriente) possano dilagare al suo interno. Senza tener conto del “peso” (almeno nel breve termine) dell’immigrazione selvaggia (che prosegue tranquillamente nell’illusione di poterla confinare agli stati più meridionali) in termini di risorse economiche, ordine pubblico e tensioni sociali. Più probabilmente sarà un anno da “zerovirgola”, nel quale presumibilmente non cambierà nulla.


Anche perché sarà improbabile che, con una banca centrale europea (BCE) decisamente orientata a mantenere più a lungo tassi elevati (pur in presenza di un’economia che arranca) e all’austerità monetaria (cioè a finanziare meno l’economia reale), possano davvero riprendersi gli investimenti e di conseguenza l’occupazione. Anzi: c’è da attendersi poca liquidità sul fronte della disponibilità di credito e della sottoscrizione di azioni e obbligazioni di nuova emissione.

IL CREDIT CRUNCH E’ CONCLAMATO

Anzi, secondo la CGIA di Mestre ormai è sempre più evidente il credit crunch provocato dalla BCE: nell’ultimo anno in cui i dati sono disponibili (agosto 2023 rispetto allo stesso mese del 2022), gli impieghi bancari rivolti alle imprese italiane sono diminuiti del 7,7%. In termini assoluti la contrazione è stata pari a €55,8 miliardi. La riduzione alle imprese con meno di 20 addetti è stata tuttavia ancora maggiore: l’8,7%; per quelle di dimensione superiore, invece, il “taglio” è più contenuto: il 7,5% (vedi Tab. 1 qui sotto riportata). Ma le aziende con meno di 20 addetti in Italia costituiscono il 98 per cento circa del totale.


LA MIOPIA DELLA B.C.E.

L’Europa invece avrebbe un gran bisogno (e l’Italia ancor più) di finanziare grandi opere pubbliche che favoriscano l’interscambio e le infrastrutture comunitarie. Avrebbe un gran bisogno di permettere alle proprie imprese di ottenere capitali e finanziamenti in eccesso per riconvertire le numerose produzioni obsolete e per sostituire le imprese più retrograde con la nascita di “startup innovative”. Avrebbe un gran bisogno di sgravi fiscali per formare e assumere nuovo personale e per incentivare i propri migliori cervelli a non cercare altrove fortuna quando possiedono capacità al di sopra della media.

La politica monetaria in Europa dovrebbe cioè andare a braccetto con quella fiscale e quest’ultima avrebbe bisogno di maggior omogeneità. I motivi sono scontati: solo monetizzando parte dei debiti pubblici si possono liberare nuove risorse per incentivi e investimenti diretti e soltanto finanziando “separatamente” (cioè direttamente con apposite emissioni comunitarie) le numerosissime infrastrutture ancora necessarie si potrebbe rilanciare la crescita economica. In una sola parola: l’esatto opposto di quanto lasciato intendere dalla BCE la quale peraltro non eccelle nemmeno nel comunicare ai mercati finanziari le proprie intenzioni! Cosa che di fatto costituisce un ulteriore elemento di rigidità.

CONCLUSIONI

Quello “zerovirgola” qualcosa appare come l’ennesima occasione buttata via dalla Commissione Europe per cementare maggiormente l’Unione e sostenerla proprio adesso che molti stati membri hanno problemi di tutti i generi e potrebbero essere molto più disponibili a fare passi avanti sulla strada dell’integrazione. Probabilmente però perché questa prosegua dovrà cambiare l’attuale esecutivo della Commissione e c’è una certa probabilità che ciò accada.

Nel frattempo è possibile (anzi probabile) che i mercati finanziari europei possano rispecchiare quello americano e dunque brillare di luce riflessa, soprattutto se non assisteremo ad una vera e propria rimonta dell’inflazione (una qualche risalita è probabilmente invece già in atto). L’economia reale invece dovrà attendere tempi migliori perché, con le premesse osservate, sarà difficile faccia passi da gigante!

 

Stefano di Tommaso

 

 

 




APPUNTI DI TRADING

N. 54 – sabato 2 dicembre 2023

Operazioni in essere :

lu 27 nov comperato 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2035, ora con stop loss a 1940

( so bene che lo stop loss è molto più ampio dello standard della Lettera, ma vale quanto scritto nella “premessa” della precedente N. 53 )

Premessa alla N. 54 :

Nella settimana 27 nov – 1 dic GOLD CASH ha chiuso un mese ( 30 nov ) sopra 1998 e, contemporaneamente, SILVER CASH ha rotto 25,01 – che avevo indicato molto tempo fa essere un livello di medio alto significato tecnico – ed ha chiuso tre gg sopra.

Se avevo visto correttamente, l’energia di entrambi questi Mercati dovrebbe aumentare sin da ora.

GOLD FEBB 24

Avevo scritto :

“Sembra avvicinarsi un pattern che mi consenta di operare di nuovo su GOLD, con il quale questa Lettera iniziò oltre un anno fa.

Per aprire una posizione strategica, anche per la dimensione, al rialzo su GOLD serve la chiusura mensile di GOLD CASH sopra 1998.

Vedremo insieme se ci riuscirà gio 30 novembre. “

E’ riuscito.

Poiché più volte aveva assaggiato il livello di 2010 cash, senza riuscire ad andare oltre, tale sarà il livello ( assunto come area, non come valore puntuale ) ove inserirò un acquisto in pull back.

Tenete presente che la chiusura del 30.11 sopra 1998 cash secondo me può aver cambiato il comportamento di questo Mercato.

Se fosse seguita dalla rottura del TRIPLO MASSIMO ( 2075 – 2070 -2060 ) che evidenzio sul grafico mensile da molte settimane, non escludo un forte movimento al rialzo con obiettivi anche molto lontani.

Potrebbe ruotare il range da 1998 a 1810 verso l’alto con un obiettivo di 2200 circa.

Potrebbe ruotare il range da 1998 a 1616 verso l’alto sfiorando 2400.

Nella precedente Lettera N. 53, per GOLD avevo inserito solo ordini di acquisto, dei quali è stato eseguito unicamente quello in rottura.

Sembra che GOLD abbia una forza enorme; qualcuno dice che ciò derivi dalla debolezza di USD contro EURO.

Non sono d’accordo e, per chi invece lo credesse, invito ad osservare i 3 gg più recenti, nei quali USD ha guadagnato su EURO ed ugualmente GOLD si è impennato, anche se espresso in USD.

Per chi non si arrende nemmeno di fronte all’evidenza, invito a verificare che GOLD espresso in EURO ieri ha segnato il nuovo massimo storico.

Ciò premesso, da lu 4.12 , dalle 15.30 inserirò il seguente ordine :

compero 1 FEB MICRO GOLD FUT a 2110 stop ( in rottura di 2110 )

Tutti gli eseguiti ( compreso il long 2035 fatto lu 27.11 ) avranno stop loss a 1940, molto più ampio dello STD, come illustrato in epigrafe.

SILVER MAR 24

Avevo scritto :

“La barra dell’ultima settimana è enorme, un mega outside.

Intervenire su SILVER, dopo questo outside che contiene le 4 settimane precedenti, è molto difficile.”

Poiché da tempo attribuivo grande importanza alla eventuale rottura del top di fine agosto a 25,01 cash e volevo evitare di acquistare alla rottura di quel livello, avevo inserito ordini di acquisto intorno a 23 USD, senza eseguire.

Ricorderete che da tempo non prevedo vendite su SILVER; ora 25,01 è stato rotto, con chiusura sopra.

Quasi impossibile affrontare l’ampiezza dello stop loss necessario ad entrare ora al rialzo; comunque è impossibile vendere.

Convinto che la rottura di 25,01 è importante, con grande incremento del rischio, da lu 4.12 inserirò il seguente ordine :

compero 1 MARZO MINI SILVER FUTURE a 24,00 con stop loss a 23,50

DOW JONES INDU CASH

Abbiamo assistito ad una salita verticale dal 27.10 ( 32327 ) ad ora ( 36264 )

Si tratta di 3937 punti in 24 gg di trading, dopo che una discesa simile da 35679 ( 1 ago 2023 ) a 32327 aveva occupato tutto agosto, settembre e ottobre, in totale 62 gg di trading.

Le ultime due giornate hanno visto espansione delle barre, come se non ne vendessero mai più……………………….

Il prezzo appare sbilanciato rispetto al tempo, quindi :

– Un acquisto in corsa è troppo rischioso
– Una vendita sarebbe presuntuosa, perché contro trend

E allora ?

Inserirò da lu 4.12 il seguente ordine :

compero 1 DIC MINI DJ FUT a 34400 con stop loss 33900

……tentativo di partecipare a eventuale rally di Natale , senza rincorrere.

Possibile, ma non probabile che mi prenda a bordo; da adesso i Mercati, per l’ingresso, chiedono un biglietto che questa Lettera non può permettersi.

Non può perché non vuole, per tutela del capitale, sin dall’esordio del 1 ott 2022.

NASDAQ 100 CASH

NAS 100 nell’ultima settimana ha perso forza relativa rispetto al DJ, ma comunque resta pericoloso da acquistare, salvo un profondo ritracciamento, vicino al 38,2 %.

Comunque impossibile da vendere.

Attenderò con disciplina un pattern che offra stop loss gestibile.

Pensiero finale

Avevo annunciato da settimane che l’ingresso sui Mercati avrebbe richiesto di ampliare gli stop loss, ai limiti del profilo di rischio, molto basso, che questa Lettera si è data sin dall’esordio.

Avevo inoltre da settimane inserito solo ordini di acquisto, perché percepivo tale propensione nei mercati. ( non c’entra il rally di Natale; se ci fosse anche solo il 70 % degli anni, saremmo tutti ricchi e faremmo 320 gg di vacanza nel resto dell’anno )

Qualcuno ha lamentato che, con oltre 126.000 euro a disposizione, solo 20.000 risultano investiti e, di questo passo, non si diventa ricchi.

Succederà proprio questo alla mia Lettera.

Non diventerà ricca in qualche mese.

Cerco un comportamento tecnicamente logico, senza avidità, perché questa Lettera non diventi povera.

Leonardo Bodini

 




QUEL FRAGILE EQUILIBRIO

Da oggi a metà Dicembre le borse occidentali potrebbero anche prendersi una pausa, anzi una slogatura scivolando sulle montagne russe dei massimi cui sono tornate dopo qualche mese estivo di maretta e qualche mese autunnale di ripresa della fiducia. Ma si badi bene, questo non cambierà la tendenza di fondo che potrebbe restare positiva. Dopo una bella corsa verso l’alto, potrebbe anche arrivare un assestamento. Ma la vera domanda è un’altra: è giustificato l’attuale (elevatissimo) livello delle borse? E quali sono le ”forze in campo” in questo momento? In questo articolo proviamo a rispondere a queste due domande.

 

UN ANNO ECCEZIONALE

Il 2023 è stato sino ad oggi un anno abbastanza positivo: le borse occidentali hanno continuato a guadagnare terreno nel corso di quasi tutto il 2023. Non stupirebbe a questo punto qualche momento di presa di beneficio da parte dei gestori di patrimoni. Certo, Il paradosso sarebbe che -se mai ciò dovesse accadere- avverrebbe proprio mentre i tassi d’interesse iniziano a flettere, l’inflazione arriva a stabilizzarsi, il petrolio e le principali materie prime a ripiegare (ad eccezione dei metalli preziosi) e mentre la volatilità dei mercati borsistici sembra essere tornata ai minimi storici.

I TASSI POTREBBERO INIZIARE A SCENDERE?

Ma -si sa- i mercati riflettono innanzitutto le aspettative, cioè le attese che riguardano il prossimo futuro. Ciò che è già successo rileva invece piuttosto poco. E l’andamento recente di tassi, inflazione, materie prime e volatilità sono stati senza dubbio tra i fattori che hanno permesso alle borse la recente volata. Oggi tuttavia traspare un certo nervosismo tra gli investitori: l’economia reale non promette nulla di buono e c‘è di conseguenza chi -come Davide Serra, il CEO di Algebris- scommette addirittura su una flessione dei tassi d’interesse ben più repentina di quanto ci si possa al momento immaginare e i grandi investitori stanno alleggerendo i loro portafogli.

SIAMO A UN PUNTO DI SVOLTA?

La risposta ad una tal domanda non è mai così scontata: la recessione, quella vera, in America ancora non si è ancora vista ma in Europa invece si, anzi adesso è certificata dagli ennesimi risultati macroeconomici negativi della Germania: il Prodotto Interno Lordo (PIL) tedesco del terzo trimestre segna un -0,1% e quello per l’intero 2023 è previsto scendere dello 0,4%. È anche piuttosto probabile che, causa riduzione del fatturato indotto a casa nostra, anche le esportazioni europee si ridurranno. Almeno questo è ciò che si aspettano i direttori acquisti delle aziende intervistate nel corso dell’ultimo sondaggio sull’indice PMI, che come si può vedere mostra scarso ottimismo soprattutto nel comparto manifatturiero.

I TIMORI LEGATI ALLA RECESSIONE

E alla recessione europea potrebbe seguire quella globale. Fa riflettere l’attesa piuttosto negativa degli intervistati nelle 4 economie del mondo che compongono l’aggregato ”G4”, vale a dire India Germania, Giappone e Brasile. Anche qui l’indice PMI mostra di essere tornato sotto la parità (il numero mediano 50 dell’indice) :

HANNO VALIDE RAGIONI ANCHE GLI OTTIMISTI

Ovviamente oltre ai “falchi” ci sono sempre anche le “colombe”: c’è infatti che invece canta vittoria plaudendo ai risultati raggiunti dalle borse e considerandoli parte di un “rally di Natale” che non si fermerà, pur riconoscendo il fatto che le borse europee esprimono multipli di valore aziendali che rasentano indubbiamente la metà di quelli americani. Secondo questi ultimi la corsa dei valori azionari delle “magnifiche sette” (M7) multinazionali della tecnologia (cioè Amazon Nvidia Netflix Apple Microsoft Meta e Alphabet) ora potrebbe finalmente estendersi anche alle piccole e medie imprese a causa del fatto che i tassi torneranno a scendere e il pericolo della recessione sarebbe oramai scampato.

Il ragionamento ha un minimo di fondamento: la performance di Wall Street sarebbe stata molto diversa quest’anno senza il pesante contributo delle Magnifiche 7 che hanno indubbiamente beneficiato delle attese che riguardano gli sviluppi dell’intelligenza artificiale. Ora anche molte altre imprese potrebbero migliorare i propri profitti grazie alle nuove tecnologie. Ma c’è da dire che questo potrebbe valere quasi solo per l’altra sponda dell’Atlantico.


LE BANCHE POTREBBERO SOFFRIRE PARECCHIO

In Europa i listini delle borse hanno fatto un bel balzo anch’essi ma in misura non paragonabile a quello di Wall Street (si veda il grafico qui sopra sui moltiplicatori di valore nel mondo). Più che per le attese riferibili al nuovo corso provocato dall’intelligenza artificiale, è valsa a casa nostra innanzitutto la forte componente di Banche e Finanziarie sul totale degli indici continentali: il violento rialzo dei tassi d’interesse ha indubbiamente favorito i profitti del comparto bancario e finanziario. Se ora invece i tassi dovessero ritornare a scendere, quella “pacchia” si esaurirebbe in fretta, con due aggravanti:

  • la prima è che la recessione appesantirebbe lo stato di salute delle banche continentali a causa del possibile moltiplicarsi dei debitori insolventi:
  • la seconda discende dal fatto che la recessione ingigantirà i deficit pubblici delle nazioni occidentali, strette tra la necessità di sussidi alla disoccupazione e alle classi sociali più svantaggiate e il probabile calo del gettito fiscale: dunque non potrà che proseguire l’emissione in grande quantità dei titoli pubblici per finanziare i deficit e questo manterrà probabilmente più elevati i tassi d’interesse a lungo termine. E se i tassi a lungo termine dovessero restare alti o addirittura risalire, allora le banche potrebbero subire delle minusvalenze nei loro portafogli titoli.

I TASSI A LUNGO TERMINE POTREBBERO RESTARE ALTI

Tra l’altro l’attesa di un divario crescente tra i tassi d’interesse a breve termine e quelli a lungo termine potrebbe fare un’altra vittima: le valutazioni aziendali si basano anche sul tasso d’interesse a lungo termine quale fattore di attualizzazione dei flussi di cassa prospettici (anch’essi in declino con l’arrivo della recessione). Dunque anche le aspettative sulle valutazioni d’azienda potrebbero comprimersi, con un effetto indubbiamente sfavorevole per le borse.

Dunque l’Europa in recessione potrebbe presto ritrovarsi a fare i conti con un comparto delle banche decisamente indebolito, cosa che ridurrebbe di conseguenza il livello dei listini azionari. L’unica speranza sarebbe quella di un deciso intervento da “pompiere” della Banca Centrale, con la creazione di liquidità sufficiente a garantire almeno l’equilibrio finanziario degli istituti di credito. Se così non fosse e si innestasse l’ennesima fuga in avanti dei risparmiatori che corrono a ritirare i depositi agli sportelli allora sarebbe veramente un disastro. Non c’è dubbio che i governi d’Europa non avrebbero la medesima capacità di fuoco mostrata dal Governo Federale Americano la scorsa primavera!

L’OCCIDENTE NON SE LA PASSA BENISSIMO

Anche a livello macroeconomico la situazione europea appare assai peggiore di quella americana: la sostanziale dipendenza del vecchio continente dalle materie prime e dagli idrocarburi importati rappresenta un fattore di debolezza nel quadro geopolitico attuale, che vede un Medio Oriente instabile e una sostanziale interruzione degli approvvigionamenti da fonti russe. Ma nemmeno l’economia americana si trova in splendida forma: è vero che i consumi corrono ma questo succede anche perché il Dollaro forte continua ad attrarre risorse finanziarie e queste alimentano i debiti a stelle e strisce.

Sinché dura però, perché il deficit pubblico USA potrebbe fare sempre più fatica ad essere alimentato e l’elevato indebitamento anche della popolazione (il credito al consumo non è mai stato così alto) potrebbe generare una sorta di ripetizione della crisi dei mutui “subprime”del 2008. L’America si ritroverebbe di nuovo come un gigante dai piedi d’argilla: da un lato fortemente capace di trarre beneficio dagli sviluppi più estremi dell’intelligenza artificiale (e in effetti molti studiosi concordano nell’indicare che potrebbe cambiare il mondo) e dall’altro decisamente in difficoltà a causa dell’eccessivo indebitamento.

L’AMERICA VORREBBE LA PACE NEL 2024

Già oggi questa situazione è evidente e ha già favorito le grandi imprese multinazionali a scapito delle piccole e medie. Se dovessero tuttavia proseguire le difficoltà di queste ultime l’intera nazione americana si ritroverebbe alla fine dei conti più povera e più incapace di proseguire lo slancio verso le nuove tecnologie. Ma soprattutto l’America si ritroverebbe sempre più divisa anche politicamente tra una classe media furibonda e un’elite cittadina sempre più favorita. Anche per questo motivo c’è il rischio di un ribaltone alle prossime elezioni presidenziali.

E’ dunque evidente che le economie dell’intero Occidente si basano oggi su un equilibrio molto fragile. La mia personale tesi è che quasi tutto dipenderà dal fattore geopolitico, dal momento che l’arrivo di una seppur tenue recessione potrebbe complicare parecchio la situazione dell’intero Occidente.

TUTTO DIPENDERÀ DAL FATTORE GEOPOLITICO

Possiamo tuttavia nutrire con una certa fondatezza la speranza che la situazione geopolitica si normalizzi in fretta, soprattutto perché il 2024 sarà un anno di campagna elettorale tanto in Europa quanto in America. E se i “venti di pace” che l’Amministrazione Biden sta cercando di proporre a tutto il mondo riuscissero a prevalere allora la tenuta del fragile equilibrio in cui ci troviamo potrebbe favorire parecchio i mercati finanziari e permettere loro di raggiungere nuovi massimi, a maggior ragione se le banche centrali faranno la loro parte nel finanziare i deficit e i debiti pubblici, monetizzandoli di fatto, con buona pace della svalutazione monetaria che, anche per questo motivo, non potrà mai scomparire del tutto.

Stefano di Tommaso