PERCHÉ LO SPREAD SALIRÀ ANCORA…

Nelle ultime settimane è ricomparso l’allarme-spread, cioè l’aumento della differenza tra il rendimento nominale dei titoli di stato a 10 anni italiani -i BTP- e il rendimento di quelli tedeschi -i Bund-. Ci sono tuttavia valide ragioni per ritenere che tale spread possa proseguire la sua corsa, pur senza considerare le questioni filosofiche che esso può comportare (in sintesi: il livello di fiducia da parte dei mercati sul governo in carica). Vediamo dunque quali sono queste valide ragioni e cosa può comportare l’incremento dello spread.

 

L’ECONOMIA GLOBALE RALLENTA

Tanto per cominciare è la situazione congiunturale sui mercati finanziari che appare già, al momento, decisamente critica: l’eccesso di repentini incrementi del costo del denaro in nome della lotta all’inflazione da parte delle principali banche centrali rischia di produrre soprattutto nel prossimo futuro degli effetti negativi per l’economia globale e sta generando un clima di sfiducia sui mercati finanziari.

Se è pur vero che la principale economia dell’Occidente (l’America) non è andata in recessione, è altrettanto vero che essa mostra ugualmente dei segnali di stanchezza, mentre invece l’economia europea la recessione la sta già toccando con mano (nei grafici che seguono l’andamento, aggiornato a Luglio scorso, degli indici PMI Markit delle principali economie mondiali, dove il livello 50 è equiparato alla parità):

Non è poi soltanto un problema di Prodotto Interno Lordo: anche se il PIL continuerà a crescere i tassi d’interesse a lungo termine sembrano inesorabilmente destinati a continuare a innalzarsi di livello, forse anche perché i tassi a breve sono già più alti di quelli a lungo termine. E se i tassi saliranno, allora i debiti pubblici che ne risulteranno maggiormente sotto stress saranno ovviamente quelli delle nazioni più indebitate, per il semplice fatto che dovranno sostenere un più elevato servizio del debito senza trovare una corrispondenza nell’aumento delle entrate fiscali.

IL PETROLIO POTREBBE TRAINARE NUOVA INFLAZIONE

E i tassi d’interesse potrebbero aver smesso di crescere ma ci sono varie ragioni per cui occorre -nel far previsioni- molta cautela: il prezzo del petrolio infatti sta salendo in modo “innaturale” (dal momento che l’economia mondiale arranca) e gli USA che ne sono esportatori netti, hanno un Governo federale che non ne ha ancora ricostituito le scorte strategiche. Quando lo faranno ci saranno ulteriori pressioni al rialzo dei suoi prezzi. Ma già ora si teme che possa portare nuove sorprese sul fronte dell’inflazione dei prossimi mesi, invertendo la tendenza in corso. Se l’inflazione risalirà anche i tassi d’interesse dovranno restare alti o salire ancora!


I MERCATI FINANZIARI VACILLANO

La percezione del fatto che i tassi d’interesse potrebbero salire ancora o quantomeno restare alti ancora a lungo ha avuto nelle ultime settimane effetti negativi sui listini delle borse valori e sulle quotazioni dei titoli a reddito fisso. Come conseguenza entrambe hanno appena sfondato al ribasso le loro medie mobili a 50 e 200 giorni, generando del panico sui mercati. I mercati finanziari sono arrivati a un punto di svolta: se scenderanno ancora è probabile che inizino una caduta rocambolesca! Cosa che può dare luogo a ulteriori rialzi dei tassi d’interesse, soprattutto nella parte lunga (dieci anni e più) della curva dei rendimenti, data l’elevata correlazione media tra l’andamento dei titoli a reddito fisso e quello delle azioni.

Tra le conseguenze c’è anche la volatilità dei mercati (espressa dall’indice VIX) che sta tornando a crescere. Soprattutto i mercati finanziari stanno più che altro riflettendo aspettative di ulteriori rialzi e dunque di ribasso dei corsi:

INDICE “VIX” SULLA VOLATILITÀ DEL MERCATO AZIONARIO AMERICANO

È probabile che -se i tassi d’interesse saliranno ancora- anche le finanze pubbliche dei paesi più indebitati come il nostro ne avranno detrimento, più evidentemente che altri nell’Unione Europea, anche perché a ulteriori crescite future dei tassi d’interesse potrebbero corrispondere altre frenate dell’economia reale, quella che paga le tasse, per intenderci, cosa che metterebbe in ginocchio la finanza pubblica italiana, già provata dal rialzo della spesa per interessi e dalla sempre minore disponibilità della BCE ad acquistare i rinnovi dei titoli di stato in scadenza. Insomma c’è anche il rischio-spread legato ai mercati finanziari: se questi ultimi andranno giù potranno portarsi dietro ulteriori aggravi della spesa per interessi dello Stato italiano e, di conseguenza, ulteriori incrementi dello spread BTP-Bund.

QUANTI “BTP VALORE” RIUSCIREMO A PIAZZARE?

Sin qui le ragioni dei mercati finanziari, le quali fanno pensare che il nostro spread scenderà soltanto a fronte di un rapido ribasso dei tassi d’interesse (solo però se non si verificherà una corrispondente recessione, altrimenti non funzionerebbe). Ma esistono anche ragioni relative all’andamento tendenziale del debito pubblico, che per vari motivi non può che aumentare. Il governo Meloni ha mostrato di sapersi destreggiare bene anche sul fronte del marketing dei titoli pubblici (il BTP Valore, ad esempio) ma la stagione degli incentivi ai sottoscrittori di carta pubblica può interrompersi presto se, -sul fronte del conto economico- a causa della minor sostenibilità del debito pubblico (cioè minori entrate fiscali e maggiori oneri per il debito) dovesse scendere ulteriormente il rating dell’Italia. In tal caso sarà difficile muovere le sole leve del supermercato finanziario pubblico per piazzare i rinnovi dei titoli di stato in scadenza.


IL DEFICIT GENERA NUOVO DEBITO

E le cose non si mettono bene in funzione del deficit del bilancio pubblico: se anche fosse solamente del 5% del PIL italiano (è il problema che sinanco le previsioni sul P.I.L. italiano sono ottimiste) esso ammonterebbe a circa il 10% delle uscite, a fronte della quale non ci sarebbe copertura finanziaria se non incrementando le emissioni di BTP. Perciò anche laddove -per motivi politici- il rating pubblico italiano non subisse ulteriori ribassi, la sempre minore “copertura” di BCE delle nuove emissioni (cioè gli acquisti da parte di BCE di titoli dello Stato italiano) imporrà un aumento dei rendimenti dei titoli di Stato, che dovranno attirare sempre nuovi risparmi. I maggiori tassi dei BTP e non anche quelli del Bund tedesco significheranno però necessariamente aver fatto salire lo spread!


In realtà gli operatori economici sanno bene che il Bel Paese non è in crescita. Tutt’altro! Si guardi questo grafico (elaborato dal Centro Studi Confindustria) circa la tendenza in corso della produzione industriale:


Cos’ha salvato sin’ora l’Italia? Quasi esclusivamente l’andamento delle esportazioni che, almeno nei primi due trimestri, ha tenuto benissimo, nonostante il vistoso calo,delle importazioni (probabilmente dovuto al crollo del potere d’acquisto reale dei consumatori) come si può leggere dal grafico qui sotto riportato. Il punto ovviamente è: cosa sta succedendo nella seconda parte dell’anno, circa la quale non è facile fare previsioni.


Dunque se il nostro spread, comunque vada, sembra inesorabilmente destinato ad accrescersi, fa bene allora questo governo italiano a non sottoscrivere gli accordi sul Meccanismo Europeo di Stabilità (MES)? Si e no, come sempre. Da un lato infatti sottoscriverlo significherebbe mettersi ancora una volta tra le grinfie della cosiddetta “Troika” (il termine rappresenta, secondo quanto riportato nel sito del Parlamento europeo, “l’insieme dei creditori ufficiali durante le negoziazioni con i paesi”, ed è costituito da rappresentanti della Commissione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale).

M.E.S. E PARAGONE CON LA GRECIA

Ma dall’altro occorre ricordare che il sistema europeo basato sulla dipendenza da un’unica banca centrale e dunque sulla mancata autonomia monetaria degli Stati, ci impone ugualmente dei vincoli tali per cui, sino a quando tutti i debiti pubblici dei singoli Stati non saranno conferiti a un’unica agenzia federale europea (come accade in U.S.A.), le differenze tra il sottoscrivere il MES e il non sottoscriverlo resteranno soltanto di sapore elettorale (tra pochi mesi ci saranno le votazioni europee). Le cose cioè potrebbero cambiare soltanto se al comando della Commissione Europea (e della BCE) arrivasse una diversa classe politica. Una prospettiva al momento poco probabile.

COMPOSIZIONE ATTUALE PARLAMENTO EUROPEO

 

Se si guarda al debito pubblico della Grecia, ad esempio, è vero che negli ultimi anni, dopo il tracollo e la svendita dei pubblici demani gli andamenti economici (e anche di spesa pubblica) sono stati sostanzialmente i medesimi dell’Italia, ma è altrettanto vero che, grazie agli accordi presi per il salvataggio qualche anno fa, oggi la composizione del debito pubblico greco è molto diversa da quella italiana, e la forte quota di titoli a tasso fisso (e non negoziati sul mercato) sul totale del debito pubblico greco crea molta minor dipendenza dalle conseguenze dell’aumento dei tassi d’interesse (si veda il grafico qui riportato):

COMPOSIZIONE DEBITO PUBBLICO IN GRECIA

Esistono infine considerazioni di carattere politico: il Governo attuale -conscio delle poche risorse spendibili (e in deficit)- ha scelto una politica fiscale assai poco espansiva, riducendo addirittura una serie di investimenti pubblici previsti nel D.E.F. di Aprile per far spazio ai sussidi ed evitare tensioni sociali, come si può vedere da questo grafico:


Ovviamente gli investimenti (non i sussidi) sono il miglior stimolo alla crescita dell’economia! Quando li si riduce diviene difficile poi centrare le stime sulla crescita di quest’ultima.

I SALARI MEDI REALI CALANO IN ITALIA

Morale: comunque la giriamo (mercati, politica, eccetera), l’economia italiana mostra segni di debolezza e rischia di ipotecare il proprio futuro. Le retribuzioni italiane ad esempio sono tra le più basse dell’Unione, come si può leggere da questo grafico qui sotto, ma da noi l’inflazione è stata molto maggiore che in Spagna, l’unico stato paragonabile:

Il governo queste cose le comprende benissimo, ma gli occorre fare buon viso a cattivo gioco, appellandosi ad una solidarietà europea e atlantica che fa a pugni con l’imminente campagna elettorale per il rinnovo delle istituzioni europee. Più ci si contrappone all’attuale leadership, più ci si contraddice in termini di speranze di sostegno da parte di quest’ultima.

IL BRACCIO DI FERRO

Quello che è in corso è insomma un braccio di ferro dietro le quinte tra il governo e l’attuale giunta della Commissione Europea, al termine del quale facilmente nessuno interverrà per placare lo spread italiano, per questo motivo ritengo inesorabilmente destinato a salire. Lo sfondo plumbeo della congiuntura internazionale (la crisi della leadership americana e il rischio che le attuali quotazioni delle borse non tengano al fuoco dell’autunno caldo) contribuisce a pensare che la speculazione possa colpire paesi come il nostro, senza che la BCE abbia la volontà e il sostegno politico per contrastarla.

E se al governo non resterà che accogliere il M.E.S., la Direttiva Bolkestein e, di fatto , il commissariamento dell’economia italiana da parte della solita Troika, allora è sinanco possibile un inciampo governativo , con tanto di rimpasto e una probabile fase di difficile transizione dall’attuale maggioranza ad una “politica delle larghe intese”. Quello sì che sarebbe l’Armaggedon italiano (l’apocalisse). Ma forse è proprio lì che puntano coloro che finanziano l’invasione degli immigrati clandestini e che continuano a chiedere soldi (in deficit) per le armi ucraine delle quali -guarda il caso- nessuno parla più, adesso che l’America ha detto basta a nuovi supporti.

Insomma lo spread non è soltanto uno spread tra i tassi d’interesse: è parte di un sistema che ha appena iniziato a muovere le sue pedine, favorito dalle condizioni economiche di contorno, assai poco favorevoli.


Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 45 – sabato 30 settembre 2023

 

Operazioni in essere :

comperato merc. 6.9 un DIC MINI SILVER a 23,50 con stop loss a 22,30

comperato merc. 27.9 un DIC MINI SILVER a 22,80 con stop loss a 22,30

Nella serata di ven. 29 sett lo stop loss è stato sfiorato a 22,328

Tira aria molto pesante per i due metalli che mi occupano. Sembra che stia per partire un movimento forte, dopo una lunga, ma ampia, laterale.

GOLD DIC 23

Avevo scritto : “Segnalo un ciclo che pone due minimi evidenti ( 1893 cash e 1885 cash ) a 8 e 16 settimane dal top di 2060. Il livello di 1885 quindi rappresenta un doppio minimo decrescente e la eventuale rottura potrebbe dare una discesa di rilievo, primo ostacolo circa 1800.”

Il livello di 1885 GOLD CASH è stato rotto quello stesso merc. 27.9 in cui la Lettera stava acquistando SILVER a 22,80.

La rottura di 1885 nella mia vecchia ipotesi manda al primo ostacolo di 1800 circa, toccato in ago 2022 e marzo 2023, vedi grafico settimanale.

In queste settimane il grafico di GOLD espone minimi decrescenti e quindi appare più debole di SILVER, comunque entrambi stanno segnando massimi calanti.

Niente di allegro.

SILVER DIC 23

Quanto segue è veramente difficile da scrivere, affinchè sia facile da capire.

Resto positivo su SILVER, ma molto meno convinto. Nella serata di ven. 29 sett lo stop loss di 22,30 è stato sfiorato a 22,328

Ovviamente è ora molto alto il rischio che la posizione al rialzo – appena raddoppiata merc. 27.9 a 22,80 – venga stoppata in perdita.

Visto il profitto conseguito dalla Lettera su SILVER circa un mese fa, l’eventuale stop loss è facilmente digeribile.

E’ la quarta volta che SILVER CASH scende in zona 22 e questo segnala alto rischio di una rottura e forte discesa, che eventualmente proverò a sfruttare con posizioni al ribasso, la cui apertura deve essere decisa intraday e quindi con modalità non compatibile con una Lettera che esce solo una volta alla settimana, il lunedì mattina.

Allego un grafico giornaliero, per evidenziare il pattern.

Come ho fatto raramente, allego infine un grafico intraday per evidenziare che ve 29 sett SILVER ha registrato un movimento anomalo : salita a 23,81 fino alle 15.20 ora italiana; dopo il dato dei direttori acquisti U.S.A. , ecco una discesa senza rimbalzi con un minimo a 22,328 nelle due ultime ore serali, sfiorando lo stop loss che la Lettera aveva fissato a 22,30. Il movimento giornaliero è quindi di oltre il 6 %, veramente raro e quindi ingestibile dal punto di vista statistico. ( è oltre la resa annuale di un bond )

Fortuna che non sia stato colpito lo stop loss a 22,30 ?

Vedremo.

Silver potrebbe anche aprire lu 2 ottobre in gap down e mandare la posizione in perdita ben oltre 22,30.

Chi vuole guadagnare, deve accettare stop loss e gap notturni.

Segnalo che la Lettera è basata sulla operatività di una SIM con orario dalle 8.15 del mattino alle 22.15 della serata e quindi eventuali crolli del SILVER nel mattino asiatico ( notte europea tra domenica e lunedì ) non sono protetti da stop loss.

Questo week end potrebbe essere quello giusto per subire un brutto gap down.

A naso.
…………………………. Ovviamente spero di no.

Comunque l’utile cumulato dal 1 ott 2022 è un incredibile 33 % e quindi sopravviverò.

 

DOW JONES INDU CASH

Ormai dal 14 agosto non riesce a toccare la trend line che avevo tracciato dal 13 ott 2022.

Appare debole rispetto al NAS 100.

La marginale rottura del minimo di agosto ( 300 punti su 33610, meno dell’uno per cento ) potrebbe essere un detonatore per il ribasso, ma mi sembra presto; gradirei che trascorresse un anno dal 13 ott 2022 e manca veramente poco.

Una discesa prima di allora sarebbe poco maneggevole per la Lettera.
Preferisco attendere un pull back almeno fino a 34500 DJ cash, a costo di perdere l’eventuale discesa.
Se vendessi ora in caduta, lo stop loss sarebbe troppo ampio, oltre i criteri che ho fissato per questa Lettera.

NASDAQ 100 CASH

Avevo scritto che diffido di movimenti direzionali prima che siano trascorse 52 settimane dal minimo del 13 ott 2022, punto che è visibile sui grafici anche ai meno attenti.

Mancano solo 10 sedute. Non voglio anticipare un giudizio su questo mercato, che molte volte ha punito gli investitori affrettati.

La settimana 25 – 29 sett era caratterizzata dalla scadenza di un ciclo di media importanza e verrà quindi controllata l’uscita di NAS 100 dal range di 14431 – 14905

Propendo per una risalita del prezzo, idealmente ancora una volta nella zona intorno a 15600, che è stata la resistenza che ha bloccato la salita.

Rammento che tale livello è stato generato nel gennaio 2022, quindi circa 20 mesi orsono.

Se eseguirò una vendita, non subito, attenderò che NAS 100 risalga almeno nel cono che ho tracciato in rosso e riempito di giallo nel grafico settimanale.

Meglio ancora sarebbe vendere sopra quel 15600 che ha bloccato la salita da tre mesi, con pochi eccessi.

Non ritengo di assumere posizioni, anche perché il capitale gestito dalla Lettera è impegnato su SILVER, con una alta probabilità di subire stop loss e non voglio mai alzare il profilo di rischio.

Per favorire la comprensione della Lettera, allego un numero insolito di grafici

Leonardo Bodini

 




L’INESORABILE DECLINO DEI VALORI IMMOBILIARI

È di qualche giorno fa l’annuncio della banca centrale americana, la FED (normalmente seguita a ruota dalla banca centrale europea e da quasi tutto il resto del mondo), che i tassi d’interesse potrebbero addirittura crescere ancora un po’ e che resteranno alti ancora a lungo (pare quantomeno per tutto il 2024). La causa principale è ovviamente l’inflazione, che a sua volta però è fortemente dipendente dall’andamento dei prezzi dell’energia e sono molti i segnali che provengono dall’economia reale che confermano che la crisi energetica non è transitoria, dato che era iniziata già prima del conflitto Russia – Ucraina per motivi legati ai prezzi dell’energia e alla transizione green

 

L’INFLAZIONE MORDE IL MATTONE
In effetti un recente studio statistico-storico compiuto dagli economisti di Deutsche Bank evidenzia che quando il tasso d’inflazione sale oltre il livello dell’8% ci vogliono in media due anni per farlo ridiscendere sotto il 6%. E in uno studio pubblicato recentemente dal governo tedesco sulle previsioni di crescita per il 2023 si evidenzia che, nonostante l’economia sarà in recessione, l‘inflazione resterà alta per tutto l’anno in corso.

Un’analisi comparata dell’andamento dell’inflazione attuale (tempo 0) e del 1920

 

Il rapido incremento dei tassi d’interesse operato dalle banche centrali di tutto l’Occidente sta facendo un’altra vittima: i valori immobiliari. Tutta una serie di circostanze congiunturali (inflazione, incremento dei tassi d’interesse dei mutui, aumento dei costi di ristrutturazione, nuove normative sull’efficienza energetica, blocco della liquidazione del 110% eccetera) stanno generando una situazione di calo generalizzato delle compravendite, soprattutto per gli immobili residenziali.

IL CALO DELLE VENDITE DI IMMOBILI

Tra aprile e giugno 2023 le vendite delle case sono scese del 16% in Italia, vale a dire ne sono state vendute 35mila in meno rispetto allo stesso trimestre del 2022. Maggiormente penalizzate sono state le grandi città, dove la flessione ha toccato il 17,2% mentre le vendite in provincia sono scese in media del 15,4%. I prezzi rispetto all’anno precedente sono per il momento rimasti in media invariati (+0,7%) ma evidentemente, al netto dell’inflazione.

Un calo reale di circa il 10% e la media dei prezzi comprende tanto i prezzi delle abitazioni nuove, già in regola con le recenti normative energetiche (e dunque più appetibili), quanto quelli delle case datate. Non per niente il mercato immobiliare a Roma, fatto principalmente di case con una certa vetustà, ha visto una discesa delle compravendite del 21,5% nel secondo trimestre 2023, come riportato in questo grafico:

VENDITE IMMOBILI A ROMA CALATE DEL 21,5% NEL SECONDO TRIMESTRE 2023

 

Anche un famosissimo economista premio Nobel, Robert Shiller, docente di Economia all’Università di Yale, USA, prevede che i prezzi delle abitazioni in America scenderanno di circa il 10% nel corso del 2024. E il valore dei titoli immobiliari nelle borse valori (soprattutto europee) riflette le prospettive poco esaltanti del settore immobiliare.
Ad esempio l’indice FTSE EPRA/NAREIT Europe ex UK Dividend replica le investment trust (REIT) e le società immobiliari quotate dei Paesi europei sviluppati ad esclusione del Regno Unito cioè un paniere di 59 titoli europei. Nonostante rendimenti da dividendo del 3,6% negli ultimi 12 mesi, nell’ultimo anno l’ETF ha perso oltre il 14%. Un bilancio ancora più negativo a distanza di 5 anni con un calo di oltre il 30%. Dal 2014 il guadagno total return è addirittura nullo, dividendi compresi.

 

IL RIALZO DEI TASSI REALI NON FA BENE AL SETTORE

L’inflazione sta togliendo “fiato” alle compravendite residenziali dal momento che strappa via potere d’acquisto ai salari e, con esso, anche la possibilità di investire in immobili, sono i tassi d’interesse reali, cioè quelli al netto dell’inflazione. Se infatti -al netto dell’inflazione- le attività finanziarie danno un rendimento positivo (come sta già accadendo in America e come tra poco sarà anche qui da noi), allora le rendite immobiliari risultano meno appetibili per gli investitori professionali. Esse devono infatti già confrontarsi con tutte le spese di manutenzione straordinaria (il cui costo è cresciuto) per poter risultare “nette”, e devono tenere conto delle attese di rivalutazione degli immobili: se -come in questo momento- queste ultime sono sparite, la resa dell’immobile deve infatti essere depurata anche del tasso d’inflazione.

Per completare il nostro ragionamento occorre notare che, nel lungo termine, l’inflazione normalmente i valori immobiliari si riallineano verso l’alto. Ma nel breve periodo e sintanto che perdura la situazione di crisi dei consumi e di recessione economica (attualmente in corso) l’inflazione toglie capacità di spesa ai consumatori e a coloro che devono sostenere i canoni di locazione.

IL CALO DEL POTERE D’ACQUISTO ERODE IL VALORE DELLE ABITAZIONI

Ho letto recentemente un articolo dove si faceva notare che negli anni ‘60 un operaio che guadagnava mediamente 50.000 lire al mese poteva permettersi di comperare casa, mediamente, dopo circa vent’anni di lavoro. Oggi invece, con uno stipendio mensile di 1300 euro non gli basterebbero nemmeno quarant’anni! Ecco esemplificato il primo effetto dell’inflazione dei prezzi: i salari fanno fatica ad adeguarsi ai rincari: lo fanno con lentezza e mai completamente. Per non parlare della crisi dei matrimoni e dell’elevato livello di disoccupazione giovanile: tutti elementi che incidono sulla minor domanda di abitazioni e di locali per gli esercizi commerciali.

TABELLE DELLE CATEGORIE CATASTALI

 

E con il calo del numero degli acquirenti, con la maggior difficoltà (e costo) a finanziarne l’acquisto e con l’aumento dei loro costi di ristrutturazione, ciò che deve succedere ai prezzi degli immobili è assai intuitivo: essi scenderanno perché l’offerta sul mercato supera la domanda. Per il momento i cali di valore appaiono poco significativi, ma tutto lascia immaginare che il rallentamento delle compravendite (sicuramente non imputabile a scarsità di immobili in vendita) sia principalmente dovuto ad una loro minore domanda sul mercato. Un certo numero di immobili resterà cioè invenduto sino a quando il loro prezzo non arriverà ad adeguarsi alla minor domanda. Cosa che necessita parecchio tempo e che lascia presagire che il processo di adeguamento risulti lento, in funzione di una decisa “vischiosità” del mercato immobiliare.

LA DIRETTIVA EUROPEA SUL’EFFICIENZA ENERGETICA

Un mercato decisamente colpito inoltre dalla direttiva europea sull’efficienza energetica degli immobili: in pratica se per poter risultare adeguati alla normativa e rientrare entro il 2033 nella classe “D” quasi tutti gli immobili necessitano di ingenti spese aggiuntive, che spesso vanno dedotte dal loro prezzo di vendita! Per non parlare della maggiore appetibilità degli immobili di nuova costruzione e concezione (e dunque più efficienti) rispetto a quelli datati, con il risultato che questi ultimi rimarranno più a lungo invenduti e a prezzi inferiori, dal momento che le ristrutturazioni portano con sé tempo e incertezze. Non soltanto: il contenuto di “impianti” sul valore complessivo degli immobili continua a crescere, man mano che il benessere ci spinge a desiderare ogni genere di confort (riscaldamento, condizionamento, ricambio d’aria, interconnessione, maggiore illuminazione e maggiori superfici vetrate, eccetera…). Ovviamente gli immobili più moderni ne incorporano già una buona parte e il costo all’ingrosso di tali accessori risulta molto minore di quello al dettaglio. Per poterli installare negli immobili più datati invece le spese crescono a dismisura, contribuendo a ridurne l’appetibilità.

Per quanto riguarda l’efficienza energetica in particolare, in Italia si stima che circa il 55% degli immobili sia in classe “G” (cioè l’ultima) e il 75% delle abitazioni sia in classi energetiche comprese tra la ”E” e la ”G”. E’ persino difficile calcolare cosa ne sarà del loro valore se non interverranno delle proroghe. Senza considerare il fatto che il prezzo dell’energia (Ivi compresa quella necessaria per riscaldare e raffreddare gli ambienti), anche laddove la normativa europea venisse accantonata, riduce la propensione all’utilizzo di maggiori spazi immobiliari e sospinge tutto il comparto del mattone ad una decisa razionalizzazione dei consumi energetici, spesso a scapito degli ampliamenti. Un recente studio di Casa.it su appartamenti trilocali residenziali mostra a quali differenze di valore si va incontro con le diverse classi energetiche: un trilocale di 80-100 mq in classe A costa mediamente il +68% rispetto ad un appartamento dello stesso taglio e metratura in classe G. A Torino e Palermo la differenza di prezzo tra i trilocali in vendita in classe A e quelli in classe G supera il +130%, il +148% a Palermo e il +134% a Torino. A Milano, dove i prezzi medi dei trilocali sono più alti, la differenza è del +38%, a Bologna del +25%, a Genova e a Firenze del +22% e a Roma del +14%.

IL PATRIMONIO RESIDENZIALE ITALIANO (2021)

 

Se pertanto la vischiosità del mercato immobiliare farà sì che i loro prezzi siano destinati a ridursi ancora per molto tempo a venire, allora agli attuali cali di prezzo ne seguiranno di ulteriori, almeno sino al momento in cui la congiuntura economica generale non sarà cambiata completamente di segno: cioè sino a quando l’economia e i consumi non torneranno a crescere e i tassi d’interesse reali invece a scendere. Nomisma calcola che la propensione all’acquisto di immobili per gli Italiani nei prossimi mesi possa scendere del 13,3%. Più in particolare se il numero delle transazioni immobiliari nel 2022 è stato pari a circa 784mila compravendite, si stima che nel 2024 possano scendere a 643mila (il 18% in meno). Il medesimo Istituto di ricerca prevede tra l’altro che, anche laddove il valore dei cespiti immobiliari non si fosse ridotto nel corso dell’ultimo anno o non si riducesse in quello a venire, a farne calare il valore reale ci penserebbe l’inflazione, nel biennio 2023-2024 almeno pari al 10% del valore reale precedente.

I RISCHI PER GLI ISTITUTI DI CREDITO

Nel frattempo tra l’altro la crisi dei valori immobiliari, così come è già accaduto in primavera negli U.S.A., rischia anche di guastare la festa alla solidità dei piccoli istituti bancari locali, quelli cioè per i quali il peso percentuale dei mutui ipotecari sul totale degli attivi risulta maggiore: se il valore delle garanzie acquisite scende, anche il valore di mercato dei prestiti erogati si adeguerà. E se il valore degli attivi bancari cala, anche il loro patrimonio ai fini di vigilanza ne risulterà danneggiato. Dunque il rialzo dei tassi d’interesse reali non soltanto danneggia i valori immobiliari ma rischia anche di provocare una serie di insolvenze dei piccoli istituti di credito regionali (di cui l’Italia è piena), che può provocare ulteriori esborsi per le finanze pubbliche per poterne attutire l’impatto sul grande pubblico.


Il nostro Paese peraltro è particolarmente ricco di seconde abitazioni (lungo il litorale o in località montane e lacustri) nonché di attività turistico-alberghiere nonché di ristorazione e intrattenimento. Se il valore immobiliare intrinseco di tutte queste attività cala, si genera un forte freno al loro sviluppo, al loro ampliamento, al loro ricondizionamento e alle ristrutturazioni, che per gli esercizi commerciali sono necessarie ben più frequentemente che non per le unità residenziali. In definitiva dunque anche per questo tramite il calo di valore degli immobili rischia di amplificare l’effetto recessivo che già il rialzo diretto dei tassi d’interesse sta provocando.

Senza considerare ancora un altro fattore: l’aumento dei costi di locazione immobiliare e la riduzione del reddito reale disponibile per i consumatori ne riduce spesso la solvibilità, con il risultato che il rischio di insolvenza nella riscossione dei canoni di affitto potrebbe risultare decisamente in aumento nei prossimi mesi. Altro elemento che di fatto riduce il reddito medio atteso netto degli immobili, indebolendone di conseguenza il valore in conto capitale.

ANALISI BANCA CENTRALE EUROPEA

 

Una volta l’investimento nel mattone era visto come qualcosa di stabile, da tramandare alle generazioni future e con una forte resilienza per le svalutazioni monetarie. Le considerazioni sopra esposte fanno pensare che tali assiomi siano di fatto tramontati, e che anzi l’investimento immobiliare, laddove non sia effettuato per godimento personale (e dunque rassomigli più ad un bene di consumo durevole come l’automobile o uno yacht che non a un’allocazione del risparmio), risulti in questo momento storico decisamente penalizzato in buona parte del mondo civilizzato!

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 44 – sabato 23 settembre 2023

 

Operazioni in essere :

comperato merc. 6.9 un DIC MINI SILVER a 23,50 con stop loss a 22,30


GOLD DIC 23

Nota bene : anche se non ritengo di prendere posizione su GOLD in questo periodo, indico che la scadenza su cui eventualmente lavorerò passa da ottobre a dicembre, che vale circa 20 USD più di GOLD CASH

Registra movimenti molto contenuti, che rendono impossibile guadagnare.

Segnalo un ciclo che pone due minimi evidenti ( 1893 cash e 1885 cash ) a 8 e 16 settimane dal top di 2060.

Il livello di 1885 quindi rappresenta un doppio minimo decrescente e la eventuale rottura potrebbe dare una discesa di rilievo, primo ostacolo circa 1800.

Sul lato opposto, richiamo ancora una volta l’attenzione sul fatto che attribuirei importanza alla eventuale chiusura di un qualsiasi mese sopra 1998 ( rammento che si tratta del top di aprile 2022, di notevole rilievo ciclico )

Nel caso si verificasse, potremmo assistere allo sfondamento del triplo massimo, con accelerazione difficile da stimare.

 

SILVER DIC 23

Resto positivo su SILVER, al punto che da 25.9 inserirò nuovamente il seguente ordine:

compero un DIC MINI SILVER a 22,80 con stop loss a 22,30 per entrambi i DIC MINI SILVER

Evidenzio che si sta creando un triplo minimo circa a 22,00 cash che, come detto spesso, costituirebbe una figura grafica molto forte.

Allego un grafico giornaliero, per evidenziare il pattern.

La eventuale, non creduta, rottura di 22,00 cash – oltre a rappresentare lo stop loss per le posizioni rialziste – forse meriterebbe uno short, ma non ho fretta.

Evidenzio che nella settimana 52 dal vistoso minimo di 17,56 SILVER ha segnato un top ed è sceso in modo evidente.

Si tratta di un ciclo da osservare, anche nel caso di successiva rottura al rialzo del livello di 25,01 cash. La rottura, oggi prematura, potrebbe dare una accelerazione verso l’alto, anche oltre il top di 26,13.

 

DOW JONES INDU CASH

Ormai dal 14 agosto non riesce a toccare la trend line che avevo tracciato dal 13 ott 2022.

Appare debole rispetto al NAS 100.

La marginale rottura del minimo di agosto potrebbe essere un detonatore per il ribasso, ma mi sembra presto; gradirei che trascorresse un anno dal 13 ott 2022 e manca veramente poco.

Una discesa prima di allora sarebbe poco maneggevole per la Lettera.

Preferisco attendere un pull back almeno fino a 34500 DJ cash, a costo di perdere l’eventuale discesa.
Se vendessi ora in caduta, lo stop loss sarebbe troppo ampio, oltre i criteri che ho fissato per questa Lettera.

NASDAQ 100 CASH ( quanto segue vale tutto il resto della Lettera )

Avevo scritto : “NAS 100 cash incontra ostacolo a 15600 ormai da 8 settimane ( ora 10 settimane ).

L’ostacolo di 15600, formatosi in gennaio del 2022, era stato indicato nel grafico allegato sin dalla N. 32 di sabato 27 maggio 2023, quando NAS 100 non aveva superato 14300…………………………….Segnalo infine che, non solo NAS 100 cash stenta a oltrepassare 15600, ma abbiamo un doppio inside settimanale e questo potrebbe rappresentare una grande incertezza con successiva accelerazione; devo capire da quale parte.”

Il NAS 100 sembra aver scelto di uscire al ribasso.

Qualcuno penserà che sono troppo prudente, vale a dire che NAS 100 ha rotto al ribasso e non si discute. Ma non credo che sia così.

Spiego meglio.

Avevo scritto che diffido di movimenti direzionali prima che siano trascorse 52 settimane dal minimo del 13 ott 2022, punto che è visibile sui grafici anche ai meno attenti.

Mancano circa 15 sedute. Non voglio anticipare un giudizio su questo mercato, che molte volte ha punito gli investitori affrettati.

Quindi la mia eventuale operatività sul lato short sarà solo in pull back.

In particolare, per affrontare il rischio di shortare il più forte Mercato esistente, pretendo un pull back all’interno del doppio inside settimanale che abbiamo avuto tra mart 5 sett e ven 15 sett, vale a dire nel range tra 15138 cash e 15556 cash ( aggiungerò circa 150 punti per calcolare il prezzo del DIC FUT sul quale inserirò il seguente ordine ) da lu 25 sett, sin dal mattino :

vendo 2 DIC MICRO NAS 100 a 15500 con stop loss 15800.

Per meglio illustrare l’intervallo in cui sono disposto ad aprire la vendita allego un grafico giornaliero con evidenza in giallo del range.

Come dico sempre quando si tratta del NASDAQ, la dose è omeopatica e speriamo bene.

Leonardo Bodini