TASSARE I PROFITTI DELLE BANCHE

Giorgia Meloni decide di tassare al 40% gli “extra-profitti” delle banche e se ne accolla l’intera responsabilità. Anche se poi accetta di limitare l’ammontare massimo della tassa allo 0,1% delle masse dei depositi e (a quanto pare) anche di rendere questa tassa deducibile dal reddito delle banche. Apriti cielo! Tutti giù a commentare quanto il nostro paese sia “indietro” dal punto di vista della libera impresa, e nessuno a dire che la Spagna l’aveva già fatto da tempo, nel silenzio stampa più totale.

I RIALZI DEI TASSI SCONTENTANO TUTTI TRANNE LE BANCHE

D’altra parte la Banca Centrale Europea (BCE) continua ad alzare i tassi d’interesse e di conseguenza sono scattate le tagliole dei rincari dei prestiti alle imprese, ai consumatori, delle rate dei mutui e dei noleggi di macchine e impianti. Ovviamente La cosa crea scompiglio tra la gente, soprattutto i piccoli operatori economici che hanno debiti indicizzati, quelli che devono effettuare investimenti e i privati che pagano più caro il credito o il noleggio di un’autovettura, per non parlare dei poveretti che hanno contratto mutui a tasso variabile e che fino a ieri contavano su un certo equilibrio tra incassi e spese al netto di quanto pagavano per la rata del mutuo.

Oggi che la rata è mediamente raddoppiata quell’equilibrio è saltato e questi ovviamente cercano soluzioni e sussidi pubblici, nonchè rivalse. Non stupisce che il governo si senta in dovere di fare qualcosa! Quando il denaro costa più caro nessuno è felice, tranne le banche, cioè quei soggetti che si trovano ad impiegare a tassi più elevati depositi che non remunerano meglio più di prima, perché è da un bel po’ di tempo che non sono più in concorrenza tra loro.

 

 

PIÙ CHE ALTRO UN GESTO SIMBOLICO
Inutile dire che la situazione di grande vantaggio per gli istituti di credito creata con il rialzo dei tassi d’interesse non poteva che provocare reazioni politiche, e il governo, oberato da debiti crescenti, deficit di bilancio, pressioni da tutte le parti (compresa la forte spesa per il riarmo e i “doni” all’Ucraina) ha colto la palla al balzo: oltre a generare un po’ di consenso politico questa mossa della tassazione dei cosiddetti “extra-profitti” delle banche appare destinata a portare a casa un po’ di risorse, che non poteva cercare altrove (si stima saranno tuttavia non molti: circa 2 miliardi di euro, e soltanto nel 2024, dopo che le banche avranno pubblicato i bilanci del 2023).

La commissione europea guarda caso tace. Sapere che in Italia faremo un po’ meno deficit di bilancio non la disturba, anzi! E nemmeno le banche hanno alzato troppo la voce con il governo, non soltanto perché a fare “lobbying” c’è già l’Associazione Bancaria Italiana, ma anche perché hanno fatto quattro conti e hanno capito che alla fine all’incirca mancherà all’appello il 10% dei profitti netti, soprattutto se passerà la loro richiesta -silenziosa ma concreta- di rendere deducibile dai redditi d’impresa questa tassazione “extra”.

Le banche hanno inoltre ben chiaro che protestare non avrebbe fatto altro che sollevare un polverone sulle loro condotte anti-concorrenziali, sulle quali evidentemente fino ad oggi chi doveva intervenire non l’ha fatto, in nome della ricerca di una maggior solidità del sistema finanziario domestico. E poiché l’argomento potrebbe rivelarsi spinoso, forse allora è meglio abbozzare.

 

I VERI MARGINI STANNO NELLE COMMISSIONI
D’altra parte la situazione per le banche è così rosea che il problema appare oggettivamente “minore” rispetto a tanti altri che affliggono il nostro paese. Quest’anno le banche stanno accumulando (e nascondendo come possono) davvero tanti profitti, e non soltanto perché i tassi attivi sono stati fatti crescere: in realtà la situazione di oligopolio nella quale esse lavorano consente loro di imporre costi, commissioni e balzelli su qualsiasi attività finanziaria che passi tra le loro grinfie.


Dai ricavi commissionali infatti proviene oltre il 50% dei ricavi delle banche, ricavi che in una situazione di maggior concorrenza forse avrebbero decisamente ridotto. Ora, in presenza di una tassa che colpisce il margine di interesse ma non i ricavi commissionali, le banche tenderanno ad accrescere ancora questi ultimi. Insomma lo status quo (di non concorrenza) conviene così tanto alle banche che esso “val bene una tassa”.

LA DESTRA SPIAZZA LA SINISTRA
Al governo in carica invece ha soprattutto fatto comodo l’annuncio: sebbene la sostanza dell’iniziativa porti ricavi pari ad un quinto di quanto stanziato per l’alluvione dell’Emilia-Romagna (in Spagna è il 50% in più: 3 miliardi), il tam-tam mediatico e i titoloni sui giornali hanno contribuito a far percepire alla gente il fatto che questo governo è sensibile alle problematiche della gente comune, cioè a spiazzare la sinistra che si arrogava il monopolio di tali manovre politiche.

 

IN BORSA LE BANCHE STANNO GIÀ RISALENDO

E questo tam-tam ha indubbiamente creato qualche problema alle quotazioni in borsa dei titoli azionari riferiti alle principali banche. Il nostro listino è gonfio di titoli azionari emessi da banche e finanziarie, e guarda caso poco prima dell’annuncio l’indice più diffuso (il MIBTEL) relativo alla Borsa Italiana era asceso ai massimi storici di sempre. Ma dopo qualche giorno dall’annuncio la caduta dei corsi azionari delle banche si è già parecchio ridimensionata (si è quasi dimezzata) e ancora oggi sta di fatto riducendosi ulteriormente.

Non a caso gli indici borsistici sono scesi anche negli altri paesi europei dove non è intervenuto alcun annuncio di nuove tassazioni, semplicemente per il fatto che le borse fino alla settimana precedente a quella scorsa erano salite troppo. Dunque nessun serio allarme, a parte qualche presa di profitto relativa all’ovvia considerazione del fatto che le banche, nel nostro paese dove hanno un ruolo di rilievo in tutto ciò che è il sistema finanziario, non possono aspirare a guadagnare “troppo”, perché il resto del Paese se ne lamenterebbe. Insomma ha avuto senso per gli investitori alleggerire un po’ le loro posizioni, per realizzare le plusvalenze accumulate. E potrà aver senso, nel prossimo futuro, lasciare che i titoli azionari delle banche italiane recuperino quasi tutto, se le borse riprenderanno a correre.

PER L’ITALIA I PROBLEMI SONO ALTRI

Se così fosse la “telenovela” dei profitti delle banche potrebbe tranquillamente andare in archivio, anche perché i veri problemi del nostro Paese sono altri : ad esempio i crediti insoluti e l’eccesso di indebitamento pubblico. E’su quest’ultimo argomento anzi che si potrebbe concentrare la speculazione nel prossimo futuro, man mano che ci avvicineremo alle elezioni europee, circa le quali i partiti (anche quelli al governo) vantano posizioni molto differenziate e potrebbero nei prossimi mesi scatenare di nuovo dei sentimenti antieuropei da parte della cittadinanza, rendendo la vita più difficile a chi al governo deve mediare sulle varie questioni all’ordine del giorno. Difficile quindi dare torto a chi è sotto la pressione tanto per il deficit di bilancio quanto per l’approssimarsi del nuovo appuntamento elettorale.

Il malcontento popolare per i rialzi prima dei prezzi al consumo e poi dei tassi d’interesse rischia infatti di aprire un varco dal quale potrebbero passare le opposizioni per riguadagnare terreno politico e mettere in cattiva luce questo governo nei confronti dei vari organismi sovra-nazionali, con la possibilità che questo lasci spazio alla speculazione sul debito pubblico italiano. Il quale oggi è ben peggiore di quando, una dozzina d’anni fa, Mario Draghi pronunciò le famose parole di sostegno (“whatever it takes”) che impedirono all’Italia di scivolare come successe poi alla Grecia.

IL BEL PAESE PUÒ ATTENDERE
La Meloni sa insomma che, al di là dell’avvio della campagna elettorale per il rinnovo del parlamento europeo, con il tam-tam mediatico degli “extra-profitti”, lei può fare in realtà ben poco, e cerca dunque di giocare bene le sue carte, soprattutto quando può non pagarne un vero costo “politico”. Le borse, d’altro canto, sembrano volgere ancora una volta al rialzo, nonostante gli indicatori dell’economia reale segnalino da tempo più di qualche problema. E del fatto che in Italia il denaro continua a costare decisamente più che in tutto il resto dell’Unione in realtà interessa davvero a poca gente. Che al momento si gode le ferie di Ferragosto e alle banche pensa poco. Per affrontare i suoi veri problemi evidentemente il Bel Paese può attendere…

Stefano di Tommaso




ALLARME DEBITO!

Fitch (una delle maggiori agenzie di rating americane) coglie la finestra temporale dei primi giorni di Agosto per abbassare il suo voto sul merito di credito degli Stati Uniti d’America ed è subito allarme. Non tanto per il prezzo dei Treasuries americani, che già scontavano da tempo questa possibilità, bensì per l’allerta lanciata che riguarda la sostenibilità del debito di tutto il mondo, e dunque il fatto che a essere in gioco a questo punto è la stabilità finanziaria, che può allarmare i mercati, soprattutto dopo che questi ultimi si erano recentemente lasciati andare all’ottimismo più sfrenato…


SE I TASSI SALGONO IL DEBITO GLOBALE NON È PIÙ SOSTENIBILE

Il totale dei debito nel mondo ha superato a fine 2022 nel mondo la strabiliante somma di 305 triliardi di dollari ed è, per diversi motivi, in rapida ascesa nel corso di quest’anno. Per comprendere la portata del problema che affligge l’umanità bisogna tuttavia ricordare che il prodotto globale lordo nel mondo intero (cioè la somma di tutti i Prodotti Interni Lordi -PIL- di tutte le nazioni) a fine 2022 è stato soltanto pari a 104 triliardi di dollari, cioè circa un terzo dell’indebitamento complessivo mondiale.

Un numero poco inferiore a quello del prodotto globale lordo a fine 2022 è inoltre il totale dei debiti pubblici nel mondo, anch’esso giunto quasi alla soglia dei 100 triliardi di dollari (l’annuncio da parte delle Nazioni Unite è di pochi giorni fa: il contatore globale delle emissioni pubbliche in essere ha superato i 92 triliardi).

 

 

 

 

IL DECLASSAMENTO DEL RATING AMERICANO

Tuttavia l’enormità dell’indebitamento appena citato -riferito al 31 dicembre 2022- era oramai noto da molti mesi e fino allo scorso mese di Luglio non aveva fatto ancora scattare alcun allarme. L’allarme vero e proprio invece arriva soltanto adesso, con il recente declassamento del debito pubblico americano da parte di una delle prime Agenzie di Rating globali (Fitch), per tre importantissimi motivi:

  • Lo stock di debito pubblico complessivo americano ha superato a fine Giugno per la prima volta i 32 triliardi di dollari (l’ultima stima del prodotto interno lordo americano ammonta a 20,4 triliardi), cioè oltre il 150% del prodotto interno lordo e circa 100mila dollari pro-capite;
  • L’evoluzione del debito pubblico americano è in rapido deterioramento perché la spesa pubblica sta salendo mentre il gettito fiscale molto meno;
  • La crescita dei tassi d’interesse americani (che determina il costo del servizio del debito pubblico) si inizia a comprendere soltanto oggi che non è né terminata né temporanea e nemmeno limitata ai tassi di breve termine.

IL PROBLEMA SI SPOSTA SUI PAESI EMERGENTI

La perdita dello status di solvibilità massima (la tripla A) da parte del debito pubblico americano (cioè la perdita della certezza di capacità di rimborso dei titoli emessi dalla maggiore potenza economica e militare del pianeta Terra) apparentemente non ha fatto tremare quasi nessuno, perché era cosa già ampiamente scontata ed è quindi un annuncio arrivato in ritardo. Tuttavia l’apparenza può ingannare, perché non soltanto le borse di tutto il mondo hanno accusato il colpo, ma soprattutto perché è stato un vero e proprio campanello d’allarme per l’indebitamento globale.


Il problema infatti si porrà presto per lo più nei confronti delle economie più indebitate della Terra, come la nostra, ad esempio, che dovranno fronteggiare una spesa per interessi non preventivata, ben sapendo che il gettito fiscale non riuscirà ad essere incrementato. E non solo: i paesi in via di sviluppo infatti pagano mediamente il debito quattro volte di più degli U.S.A. I loro governi spendono mediamente più per interessi che per sanità e istruzione. Il 40% di essi è in grave difficoltà di indebitamento. E in totale detengono inoltre una quota rilevante del debito globale: circa il 30%. Come dire che quasi un terzo del debito complessivo globale rischia di non essere ripagata.

LA POSSIBILE ONDA D’URTO SULLA STABILITÀ FINANZIARIA

Questo problema, fortemente acuito dall’ascesa dei tassi d’interesse, può dunque determinare una notevole onda d’urto, che arrivi ad affliggere la stabilità finanziaria globale, per i medesimi meccanismi che hanno determinato il downgrading del debito pubblico americano la scorsa settimana (cioè la perdita di certezza di rimborso da parte dei sottoscrittori del debito): l’evoluzione prospettica del debito (in ascesa verticale) e il suo costo, lievitato di alcune grandezze in un solo biennio, dopo che l’epoca dei tassi d’interesse a zero ne aveva fatto scomparire il timore di mancato rimborso.

Sono infatti soprattutto le prospettive per la fine dell’anno in corso e per quello prossimo a preoccupare le agenzie di rating internazionali (peraltro quasi tutte americane). La spesa pubblica in molti paesi del mondo (spesso in deficit) viene oggi comunemente utilizzata per controbilanciare gli effetti negativi dell’accresciuto peso del debito sulle singole economie nazionali. Ma in tal modo (politiche fiscali espansive) si annullano o si riducono gli effetti desiderati delle politiche monetarie restrittive praticate dalle banche centrali, creando i presupposti perché l’inflazione permanga e i tassi d’interesse crescano ancora.

SE I TASSI D’INTERESSE SALIRANNO ANCORA SARÀ RECESSIONE

E se i tassi d’interesse non smetteranno di lievitare, è giocoforza che i debiti pubblici appaiano sempre meno sostenibili in prospettiva, tanto meno se le aspettative per la congiuntura economica per il prossimo sono quelle di una probabile recessione globale (cioè decrescita dei Prodotti Interni Lordi).


Alle soglie di un problematico ferragosto in cui le borse di tutto il mondo, dopo che hanno battuto ogni record in termini di crescita del valore dei listini azionari, rischiano di fare marcia indietro, e rischiano di farla alla stessa velocità con la quale sono saliti, il vero assillo per gli analisti che cercano di interpretare la possibile evoluzione dell’economia globale non è tuttavia la recessione (che prima o poi dovrà arrivare, ma sempre più in ritardo), bensì la possibilità che il mondo intero arrivi a ristrutturare il proprio debito, in particolare alla luce del suo accresciuto costo.

E SE IL PETROLIO SALE ANCHE L’INFLAZIONE PUÒ RISALIRE

Il momento è particolarmente delicato, poiché i paesi aderenti al cartello dei grandi estrattori di petrolio (l’OPEC) da diversi mesi stanno facendo di tutto affinché il prezzo di quest’ultimo riprenda a crescere, determinando un inevitabile innalzamento del costo dell’energia, a sua volta l’anno scorso visto come il principale responsabile dell’ondata inflazionistica che ha colto l’intero pianeta decisamente impreparato ad affrontarla.

 

 

 

 

 

La traballante stabilità finanziaria (soprattutto dopo essere ascesa fino a Luglio scorso ai massimi di tutti i tempi) non può inoltre che andare di pari passo con quella monetaria, basata oggi sull’assoluta predominanza di una valuta su tutte le altre: il Dollaro americano. Una parte intera del pianeta sta lavorando per mettere da parte la supremazia di quest’ultimo, ma certamente -se quel tentativo dovesse avere successo- il problema della perdita di valore del dollaro si ripercuoterebbe inevitabilmente su tutti gli altri comparti dei mercati finanziari, provocando un vero e proprio scossone.


IL RISCHIO ITALIA

L’Italia in particolare sta da tempo alzando la voce nei confronti della Banca Centrale Europea, colpevole per il nostro governo di alzare indiscriminatamente i tassi d’interesse senza preoccuparsi di prendere una pausa per osservare gli effetti nel tempo delle restrizioni già praticate alla politica monetaria. Ma a quanto pare non viene ascoltata, mentre per una serie di concause anche lo sviluppo economico svanisce nell’ultimo trimestre. Il rischio dunque di ritrovarsi come nel 2011 a confrontarsi con una crisi di sfiducia (come accadde pochi anni fa in Grecia) nei confronti della solvibilità del nostro Paese si fa piuttosto elevato.

Ma nell’antica Grecia si diceva che se Atene piange, Sparta (cioè la città-stato sua più acerrima rivale) non ride. E così come allora nemmeno oggi si dovrebbe cadere nella trappola della Schadenfreude (la gioia per le disgrazie altrui). Farebbe male due volte..!

 

Stefano di Tommaso

 

 

 

 




RISK ON

E’ un termine tecnico che viene usato in borsa quando gli investitori tendono a spostarsi verso attività finanziare con rendimenti e rischi attesi più elevati. Si dice in questi casi che la propensione al rischio degli investitori aumenta ovvero che si è in una fase di “Risk On”. Ma questa propensione è giustificata dai numeri e dalle attuali prospettive? La risposta che discende dalle considerazioni che seguono sembra negativa. Ma la storia recente delle borse valori dimostra che nessuno è davvero in grado di fare previsioni attendibili, nemmeno nel breve termine!

 

IN QUALE FASE DEL CICLO CI TROVIAMO?

Un paio di settimane fa vi avevo intrattenuti sui cicli economici: esistono ancora o sono morti e sepolti?L’approfondimento svolto in quella sede portava a confermare che essi esistono, ma che non è mai agevole coglierne l’ampiezza e dunque in quale fase ci si trova, se non a posteriori. Considerazioni importanti dal momento che neanche quest’anno la recessione economica più annunciata della storia moderna sembra essere in procinto di manifestarsi (a livello globale). Se recessione globale ci sarà, forse la si vedrà l’anno prossimo.


Quello in corso non sembra invece aver finito di stupirci: l’inflazione parrebbe essere rapidamente rinculata (ma sarà vero?), le banche centrali hanno alzato (parecchio) i tassi d’interesse ma non hanno ridotto a sufficienza la liquidità in circolazione e affermano oggi di navigare a vista, tra mille incertezze.

LA CORSA DELLE BORSE

Le quotazioni espresse dalle borse valori non sono mai state così in alto, non soltanto in assoluto, bensì anche nei multipli di valore! E se i tassi d’interesse sembrano puntare ancora una volta verso l’alto mentre i profitti paiono andare verso il basso (è vero che battono le stime degli analisti, ma anche perché questi ultimi li prevedevano più al ribasso di come sono andati), allora o le borse inizieranno a fare marcia indietro oppure i multipli impliciti di valore saranno ancora più elevati. Ma quanto può durare l’idillio?

Nel grafico qui sotto riportato si può leggere la performance di borsa -a livello globale- calcolata per i diversi settori industriali:


Porsi delle questioni sulla sostenibilità di queste performances sembra d’obbligo, dal momento che di certezze è difficile averne quando ci si trova in prossimità dei massimi storici, ma non è detto che essi corrispondano a un picco, oltre il quale inizi la discesa. E non soltanto siamo ai massimi dei listini azionari, bensì anche (forse) dei tassi d’interesse. Quantomeno di quelli a breve termine, perché per gli altri il discorso si fa molto più complesso.

La cosiddetta “curva dei rendimenti” (che dispone lungo la scala delle ordinate le diverse scadenze dei titoli a reddito fisso e i loro rendimenti su quella delle ascisse) vedrebbe, nella sua normalità, le scadenze più lunghe più in alto, in risposta ad un maggior premio di rendimento per attendere più a lungo la scadenza.


Quella attuale è viceversa inclinata negativamente, in risposta all’attesa (ancora oggi) del mercato di rendimenti a medio-lungo termine più bassi di quelli attuali a breve termine. Cioè in risposta ad una aspettativa di ridiscesa dei tassi d’interesse. Storicamente poi l’inversione della sua inclinazione ha pronosticato sempre l’arrivo di una recessione. Ma stavolta è invertita da parecchio tempo, e la recessione non si vede ancora.


In realtà i rendimenti a lungo termine (cioè quelli dai 10 anni in su) sembrerebbero aver imboccato una strada di crescita, soprattutto dopo che la Banca Centrale Giapponese, l’unica al mondo che manteneva il controllo dei rendimenti anche a lungo termine, (in Yen, ovviamente, ma così facendo dava il ”tono” a tutto il mercato, data l’ampiezza degli scambi di titoli a reddito fisso giapponesi) ha deciso di alzare l’asticella, lasciando presumere agli operatori che preso abbandonerà la sua pretesa di controllare la curva dei rendimenti. E se i rendimenti a lungo termine saliranno, allora sarà addirittura possibile che la curva dei rendimenti si riequilibri (e non solo in Yen). Nel grafico che segue appare evidente l’incremento del rendimento del Treasury Bond americano con scadenza decennale:

IL CASO DELLA BOJ

Per mantenere il controllo dei rendimenti a 10 anni allo 0,5% infatti la Bank of Japan (BOJ) comperava tutti i titoli che trovava sul mercato, soprattutto negli ultimi tempi, in cui il differenziale di tassi con le altre economie era cresciuto. Ciò facendo essa immetteva in circolazione nuova base monetaria, contribuendo al deprezzamento dello Yen ma anche a proseguire l’inondazione di liquidità sui mercati internazionali. La stessa cosa ha fatto sino ad oggi la banca centrale cinese (PBOC), concentrata a stimolare l’economia interna: ha immesso nuova base monetaria.


Il mancato coordinamento tra le banche centrali ha spinto quelle occidentali a continuare ad alzare l’asticella dei tassi, visto che non riuscivano a frenare la liquidità in circolazione. Ora che la BOJ ha ridotto il livello al quale interverrà, è possibile che si riduca anche l’immissione di nuova liquidità in circolazione. Anche perché anche la PBOC sembra meno motivata a proseguire con gli stimoli, dopo che è stata recentemente confermata la crescita tendenziale al 5% del Prodotto Interno Lordo nel 2023 (comunque il doppio di quella americana e anche di quella media globale attesa).

L’AMERICA CORRE, MA IL DEBITO AVANZA

Dunque la situazione è la seguente: lo sviluppo del prodotto interno lordo (PIL) americano è quasi al 2,5% e molto al di sopra delle attese. Il cambio del dollaro invece è in calo, cosa che normalmente spinge Wall Street al rialzo. Tutte le borse valori hanno superato i precedenti massimi storici. E i tassi a lungo termine sono previsti in salita più di quelli a breve termine (che dipendono dalle politiche monetarie delle banche centrali), mentre la liquidità in circolazione sui mercai potrebbe finalmente essere in riduzione, cosa che potrebbe evitare alle banche centrali di accrescere ulteriormente i tassi a breve termine. Uno scenario perfetto per pronosticare ulteriori rialzi dei listini di borsa, nonostante questi abbiano già superato i massimi di tutti i tempi.


Nel frattempo occorre notare che il debito americano è arrivato a toccare punte mai viste in precedenza (quasi 5 volte il PIL), mentre al contrario: l’indice della volatilità delle borse (il VIX, detto anche “indice della paura”) è sui minimi di tutti i tempi esprimendo in tal modo l’estremo ottimismo degli operatori. Uno scenario perfetto per pronosticare ulteriori rialzi dei listini di borsa, nonostante questi abbiano già superato i massimi di tutti i tempi.


Sarà, ma vige anche il principio che tutto ciò che ascende al cielo deve, prima o poi, ritornare sulla terra. Proviamo allora a guardare nel dettaglio l’andamento di Wall Street attraverso l’indice Standard & Poor’s 500: esso è composto per oltre il 25% della capitalizzazione di borsa dai primi 7 super-titoli azionari tecnologici: Apple, Amazon, Alphabet, Netflix, Microsoft, Tesla e Nvidia. Queste aziende vengono prezzate dal mercato poco meno di 40 volte gli utili futuri, contro le 17 volte di tutti gli altri titoli che compongono l’indice. Cioè esse esprimono multipli pari a più del doppio di tutti gli altri 493 titoli dell’indice. Qualcuno dice che ciò avviene a ragione, dal momento che i “magnifici sette” saranno anche i principali beneficiari degli extra-profitti attesi dalla diffusione dell’intelligenza artificiale (AI). Sarà, ma per adesso con l’AI essi perdono solo quattrini… Dunque il listino americano è ai massimi anche perché pesantemente influenzato da tale discrepanza nelle valutazioni.

In Europa non è così diverso: il posto dei titoli tecnologici lo prendono banche e società finanziarie, anche perché sono le vere beneficiarie del veloce e deciso rialzo dei tassi d’interesse a breve termine. Senza il loro contributo i listini nostrani sarebbero sicuramente molto meno “tonici”.

LE BORSE EUROPEE DROGATE DALLE BANCHE

Dunque i rialzi dei corsi azionari in Europa sono “drogati” dal settore finanziario che profitta delle politiche monetarie in corso.


Ma occorre precisare che è oggettivamente difficile prevedere che i tassi d’interesse a breve termine saranno innalzati ancora a lungo: la Germania resta in recessione ed esprime scarse prospettive per il prossimo futuro, la Francia sembra andare un po’ meglio ma ha al suo interno un dilagante e gravissimo conflitto sociale, l’Italia esprime ancora (ma quanto durerà?) una crescita del PIL a livello statistico, ma un’eventuale ripresa dell’inflazione potrebbe cambiarne radicalmente la tendenza, qualcuno dice drogata da un “deflattore” del P.I.L. molto più basso di quello corretto. In effetti in Italia l’inflazione del carrello della spesa raggiunge quasi il doppio di quella “media”.

Se i tassi a breve termine non saliranno più e invece i rendimenti a lungo termine proseguiranno la loro corsa, la situazione potrebbe rovesciarsi: banche e assicurazioni inizierebbero a fare i conti con le minusvalenze nel portafoglio di titoli a reddito fisso (se i tassi salgono le quotazioni dei titoli scendono). Dunque anche in Europa la musica potrebbe cambiare.


L’Eurozona resta la grande svantaggiata da questa strana congiuntura globale (forse con l’eccezione della Spagna, che continua a godere del suo rapporto privilegiato con il Sud America). Congiuntura che la vede in una situazione di bassa crescita, anche perché tagliata fuori da molti traffici con l’estremo oriente e troppo schierata con l’America per riuscire a rimanere neutrale negli eventuali sviluppi della guerra contro la Russia, che potrebbe presto estendersi alla Polonia.

Molti analisti imputano ai tagli delle relazioni d’affari con la Cina il principale fattore di raffreddamento dell’economia tedesca. E se l’estremo oriente dovesse mostrare in futuro qualche segno di cedimento nella crescita economica, ancora una volta le prime vittime sarebbero gli esportatori europei di macchinari e tecnologie. La seconda vittima sarebbero le quotazioni della moneta unica, oggi ancora in alto anche per l’avanzo della bilancia commerciale.


Lo scenario economico resta quindi più favorevole al continente americano, un po’ meno all’Asia e ancor meno all’Europa, che ha inoltre un piede dentro la fossa del conflitto dell’Ucraina con la Russia (dal momento che si è fatta coinvolgere non poco nello scontro) e ha al tempo stesso molte minori risorse naturali e riserve energetiche delle altre macro-regioni. Quanto basta per poter affermare che l’idillio delle borse europee con le banche centrali non potrà andare avanti in eterno. E dall’inizio dell’anno le borse continentali sono salite in percentuale più di Wall Street (il 25% contro il 20% in media). Per la borsa americana è più difficile fare pronostici, salvo che per il fatto che il divario tra i moltiplicatori di valore delle “big seven” e quelli del resto del listino azionario non potrà restare così elevato: se molte altre imprese non verranno rivalutate allora saranno le quotazioni delle prime sette dovranno ridimensionarsi, e con esse anche l’intero listino.

CAUTELA

Morale: occorrerà avere molta cautela negli investimenti per il prossimo futuro. Molti investitori saranno Infatti tentati di portare a casa i benefici sin qui ottenuti e andare in vacanza senza patemi d’animo. E poi per proseguire la loro corsa le borse (Wall Street compresa) dovrebbero tornare ad annoverare amplissimi profitti, mentre è più probabile che tutte le imprese dovranno fare i conti con un mercato del lavoro che risente dell’invecchiamento globale, e quindi della scarsità di manodopera qualificata (con conseguenti rialzi del costo del personale). I numerosi licenziamenti in corso poi potrebbero determinare una contrazione dei consumi, mentre a ridurre la spesa per investimenti produttivi ci pensano gli elevati oneri finanziari, circa i quali è difficile prevedere a breve termine una contrazione.


Insomma i cicli economici saranno pure non sincronizzati, asimmetrici, di lunghezze diverse e imprevedibili, ma non hanno quasi certamente smesso di esistere. E se le prospettive economiche globali sono attualmente ai massimi di sempre, è lecito prevedere che potranno più facilmente ridursi che migliorare. Chi investe oggi insomma non ha uno scenario così roseo davanti a sé, nè per le borse e nemmeno per il reddito fisso.

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 41 – sabato 29 luglio 2023

Operazioni in essere : NESSUNA, raggiunto un NEW HIGH WATERMARK: Euro 124037 = 24 %

I PAZIENTI LETTORI, CHE NELLA MAGGIOR PARTE CONTINUO A NON CONOSCERE, MI CONSENTANO UNA VIVA SODDISFAZIONE.

– Lu 3 luglio al mattino avevo comprato 2 AGO MICRO GOLD a 1924,50
– Gio 6 luglio avevo comprato 2 AGO MICRO GOLD a 1910,00 ; entrambi gli acquisti sono stati chiusi a 1962,5 al mattino di lunedì 24 luglio con un profitto di :
– 1962,5 X 2 – 1924,5 x 2 = USD 760 ed inoltre
– 1962,5 x 2 – 1910 x 2 = USD 1050 per un utile totale su GOLD di USD 1810 pari ad Euro 1630
(Ricordo a tutti che MICRO GOLD vale 10 once)
– Gio 6 luglio avevo comprato 1 SETT MINI DOW a 34200, che ho chiuso a 35385 al mattino di lunedì 24 luglio con un profitto di 35385 – 34200 = 1185 x USD 5 = USD 5925 pari ad Euro 5338
Dopo queste vendite vacanziere, GOLD si muove poco, DOW JONES ha proseguito la salita.
Pazienza.
Annoto che la “NOIOSA PREMESSA” che costituiva l’epigrafe della Lettera N. 40 pare aver, al contrario, divertito più d’uno.

GOLD OTT 23

Segna movimenti molto contenuti, che rendono impossibile guadagnare.

Resta il mio Mercato, tornerà a noi.

Richiamo ancora una volta l’attenzione sul fatto che attribuirei importanza alla eventuale chiusura mensile del 31 luglio sopra 1998 ( rammento che si tratta del top di aprile 2022, di notevole rilievo ciclico )

Nel caso si verificasse, potremmo assistere allo sfondamento del triplo massimo, con accelerazione difficile da stimare.

SILVER SETT 23

Avevo scritto : “Lo potrei solo comprare, errato venderlo e il movimento al rialzo da 22,11 sembra confermare la visione”
Anche ultimamente ha fatto movimenti veloci, talvolta feroci.

Trovo molto difficile scrivere una Lettera che “regga” per 5 gg su SILVER, figuriamoci per un mese abbondante che ci separerà.

Ugualmente provo.

Il mese di agosto ha un valore ciclico dubbio, ma intrigante.

Dopo il lu 21 ago, il contratto settembre andrà verso la scadenza e passerò al FUT DIC 2023, che quota molto più in alto. ( ora 24,86 contro 24,50 )

Ecco perché ripeto spesso che la mia analisi tecnica avviene su grafici di SILVER CASH.

Da lu 31 luglio inserirò i seguenti ordini :

Vendo 1 MINI SETT SILVER a 25,30 e un‘ altro a 26,30 ; lo stop loss sarà a 27,00 per entrambi; da lu 19 ago lo stop loss verrà abbassato sopra TOP delle due settimane precedenti, in seguito, scorrevoli.

Compero 1 MINI SETT SILVER a 23,00 e un altro a 22,50 con stop loss a 22,00; da lu 19 ago lo stop loss verrà alzato sotto il bottom delle due settimane precedenti, in seguito, scorrevoli.

Da lunedì 21 agosto eseguirò roll – over sulla scadenza dicembre al meglio, ovviamente anche adeguando i livelli di stop loss. (forse saranno 36 cent, come ora)

Preferisco decisamente comprare che vendere in questo agosto, ma non voglio farmi mancare nulla.

DOW JONES INDU CASH

Dopo GOLD, è uno dei miei mercati preferiti.

Ha dato lu 24.7 a questa Lettera un profitto veramente fantastico, tenuto conto che si è formato in 18 gg di calendario ( molti meno di trading ) tra il 6 e il 24 luglio.

Non sarà sempre festa.

Ormai da sette gg sta ben sopra la trend line che avevo tracciato dal 13 ott 2022.

Farà con me una meritata vacanza.

NASDAQ 100 CASH

Avevo scritto :
“Segnalo che da lu 24 luglio a ve 4 agosto scade un ciclo di medio – alta importanza, che potrebbe completare la spinta rialzista in corso”

Il grafico weekly che allego vale tutto il resto della Lettera.

Osservo che da marzo 2023 ( bottom 11695 ) a luglio 2023 ( top 15932 ) NAS 100 è salito del 36,23 % in soli quattro mesi.

Continuo a colorare di giallo i 4 outside rialzisti che ha fatto dal 17 marzo, massacrando chi usa lo stop loss settimanale e non si tratta di pochi operatori.

E’ già molto difficile fissare ex ante una strategia che “regga” 5 gg, senza possibilità di interventi correttivi, in un mercato siffatto.

Si rischia di essere stoppati al ribasso e poi che la Lettera debba guardare una salita imperiosa, senza poter “entrare” con un acquisto.

Proverò ugualmente a intraprendere una strategia che non mandi la Lettera in rovina, senza comunque poter coprire tutto il periodo di pausa editoriale.

Da lunedì 31 luglio inserirò i seguenti ordini :

1) Vendo 1 SETT MICRO NAS 100 a 16400 con stop loss a 16800 (vendita in forza)
2) Vendo 1 SETT MICRO NAS 100 a 15400 stop con stop loss a 16000 (vendita in eventuale caduta)

Da lunedì 7 agosto aggiungerò il seguente ordine :

3) Vendo 2 SETT MICRO NAS 100 a 15400 stop o, se più basso, sotto il minimo della settimana che inizia lu 31 luglio, con stop loss sopra il top che sarà stato registrato nelle due settimane tra lu 24 luglio e venerdì 4 agosto (ad ora sarebbe 16065 SETT FUT)

Durante il periodo di mancata pubblicazione ( sei settimane ) la Lettera abbasserà gli stop loss al massimo delle due settimane precedenti ad ogni settimana ( quindi scorrevoli ) Solo vendite, nessun acquisto. ( ci vuole coraggio, lo so )

Certamente non facile da leggere, figuratevi da concepire.

Sono giunto al limite delle capacità previsionali ed espositive.

Vediamo se ho osato troppo e la Lettera verrà punita.

Buone vacanze.


Leonardo Bodini