PERCHÉ L’INFLAZIONE NON SCENDERÀ PRESTO

In un momento di grande incertezza generale gli analisti di tutto il mondo cercano di guardare più lontano, per comprendere i grandi bradisismi dell’economia e l’impatto avranno sui mercati finanziari. Ciascuno a modo suo, scrutando l’atteggiamento dei grandi gestori di patrimoni, quello delle banche centrali, o quello dei risparmiatori, l’andamento dei consumi e degli investimenti, le vicissitudini dei cambi valute e quelle dei metalli preziosi. E una delle lenti di ingrandimento più utili a scrutare nel futuro dei mercati è la prospettiva di inflazione. Vediamone il perché.

Nessuno può esibire certezze a proposito del futuro dei mercati finanziari, a causa della difficoltà di cogliere le determinanti fondamentali dell’economia mondiale e fino a quando l’immensa liquidità in circolazione alimenterà quotazioni estremamente elevate dei listini azionari e dei titoli a reddito fisso di lunga durata (nel grafico qui sotto l’andamento negli ultimi mesi dell’indice globale MSCI WORLD).

L’INFLAZIONE CALA FINCHÉ SCENDE IL PETROLIO

Una di tali determinanti, forse la più importante di questi tempi, è l’andamento dell’inflazione, sebbene a sua volta esso sia dipendente non solo e non tanto dalle politiche monetarie (come spesso banche banchieri vorrebbero farci credere), quanto piuttosto dall’andamento generale dell’economia, e soprattutto dalle condizioni di domanda e offerta dei principali beni e servizi. Riuscire dunque a prevedere l’andamento dell’inflazione può aiutare molto ad anticipare i movimenti dei mercati finanziari.


Nel grafico qui sopra riportato ad esempio si può vedere che la rilevazione finale dell’inflazione in Europa a fine Giugno costituisce la classica ”media del pollo” di Trilussa (se io ho 2 polli e tu nessuno, in “media” abbiamo un pollo a testa): il dato del 5,5% è tale perché il costo dell’energia è sceso. Ma se guardiamo cosa sta succedendo al costo del petrolio (nel grafico qui sotto l’andamento nell’ultimo anno delle quotazioni del “Brent Crude Oil”, che sembra proprio aver finito di scendere (anzi):

LA TRANSIZIONE VERDE GENERA INFLAZIONE

Un recente studio di Goldman Sachs esprime un certo ottimismo per l’economia americana, ma si pronuncia negativamente sull’inflazione, ricordando che le principali forze determinanti dell’inflazione dipendono dalle scelte politiche dell’Occidente: la transizione verde e la de-globalizzazione. Influiscono inoltre ad alimentare l’inflazione anche una serie di politiche fiscali espansive messe in atto dalla maggior parte dei paesi più sviluppati. La scelta cioè dei governi occidentali di sussidiare il rimpatrio industriale e le classi sociali piu svantaggiate dall’inflazione. Quasi sempre peraltro ciò viene fatto in deficit di bilancio, nonostante l’economia americana (e non solo) sia ancora in crescita e la disoccupazione sia più bassa della media storica.

La transizione verso fonti energetiche rinnovabili è quasi sempre originata da obblighi normativi e incentivi pubblici, i quali comportano indubbiamente maggiori costi, tanto per imprese e cittadini quanto per i governi. Maggiori costi che si sommano al cospicuo incremento dei costi di petrolio e gas che originatosi a causa della guerra in Ucraina e del blocco delle importazioni dalla Russia. Il buon senso avrebbe voluto che, a seguito di fatti avversi come questi, l’agenda della transizione verde venisse rinviata a tempi migliori, onde evitare che i maggiori costi energetici complessivi fossero tra le principali determinanti dei maggiori costi in capo all’industria e ai trasporti. Invece è proprio l’Unione europea la zona del mondo dove le scelte in termini di fissazione di una data (il 2035) per il bando ai carburanti fossili sono state più radicali, nonostante sia stata la più colpita dalla carenza di materie prime energetiche e la chiusura di quasi tutte le centrali nucleari.

ANCHE LA DE-GLOBALIZZAZIONE COSTA CARA

La de-globalizzazione in atto vede invece la sua principale ragione nell’accorciamento delle catene di fornitura non per ragioni economiche bensì per l’inasprimento delle relazioni internazionali tra l’Oriente e l’Occidente del mondo. Il processo è inflativo perché determina lo spostamento di molte produzioni da paesi caratterizzati da minori costi a quelli più sviluppati, ma anche perché comporta esborsi per nuovi e ulteriori investimenti produttivi realizzati spesso a debito a tassi ben più alti dei precedenti. Infine risulta inflativo anche a causa degli incentivi offerti dagli stati che ospitano le produzioni rimpatriate, assimilabili di fatto a ulteriori risorse pubbliche spese per sostenerli.

Le uniche possibilità perché il processo di “re-shoring” delle produzioni industriali possa risultare non inflativo risiedono: 1) nell’automazione industriale, che può comportare costi assimilabili o addirittura più bassi di quelli sostenuti nei paesi emergenti, a condizione però che non costi cara anch’essa la maggior energia consumata per produrre a casa propria e con una forte componente di automazione industriale; 2) nella possibilità di significativi risparmi nei costi di trasporto, ovviamente più probabili solo laddove le produzioni riguardino oggetti grandi e pesanti. Insomma, in molti casi l’accorciamento delle filiere produttive comporta costi maggiori, maggior consumo di energia e la riduzione del commercio globale, non necessariamente auspicabile per lo sviluppo economico dei paesi emergenti.

IL COSTO DEL LAVORO NON PUÒ CHE AUMENTARE

L’erosione del potere d’acquisto dei salari causato dall’inflazione inoltre non è ancora stata interamente compensata dall’incremento dei salari. Esiste un’ovvia sfasatura temporale tra l’incremento dei prezzi al consumo e l’incremento conseguente dei salari medesimi che ha nel frattempo indebolito la capacità delle classi più deboli di mantenere i medesimi consumi che aveva prima dell’arrivo dell’inflazione. Sfasatura temporale che fa sì che molti adeguamenti salariali sono ancora da realizzare e che rischia di trasmettere ai prezzi al consumo i relativi maggiori costi dei prodotti finiti ancora per parecchio tempo a venire.


COSTO DELL’ORA LAVORATA NEGLI USA A FINE GIUGNO 2023

Senza contare il fatto che l’invecchiamento generale della popolazione in tutto il mondo (man mano che il benessere si diffonde e la medicina fa progressi), unito al maggior grado di istruzione della forza lavoro, sono due fattori che generano significativi incrementI del relativo costo, in buona parte ancora da attuare. Dunque non foss’altro che per la scarsità di manodopera e per la necessità di una progressiva specializzazione, il costo del lavoro è inesorabilmente destinato ad accrescersi. Questo genera incrementi nei costi dei fattori di produzione che non possono non riflettersi sui prezzi al consumo, che quindi sono destinati ad aumentare.

SENZA CONCORRENZA I PREZZI NON SCENDONO

In molti casi poi le imprese hanno fatto fronte ai rincari dei costi di energie, materie prime, lavoro e servizi, incrementando a loro volta i prezzi di vendita, soprattutto in quei comparti industriali dove vige minore concorrenza e dove pertanto è più facile trasmettere a valle gli incrementi dei costi. In economie più flessibili e più soggette ad una agguerrita concorrenza (come quelle anglosassoni) ciò resta più difficile, mentre in molti settori soggetti di fatto ad oligopoli o a prezzi amministrati (come ad esempio le autostrade, la sanità privata o molti servizi pubblici) la trasmissione a valle dei maggiori costi genera a sua volta inflazione.

Senza contare il fatto che l’incremento dei tassi d’interesse stimolato dalle banche centrali ha un indubbio effetto dirompente sul servizio del debito a carico dei bilanci pubblici, costantemente alla ricerca di un equilibrio tra il maggior debito, l’incremento di tasse e imposte e la riduzione di altre spese pubbliche. L’effetto è ovviamente inflativo, dal momento che i percettori di rendite finanziarie vedono incrementare le loro entrate, mentre tutto ciò che non viene più pagato dallo stato deve essere a carico dei cittadini o ragione di nuove tasse.

INFLAZIONE COME NEGLI ANNI ‘70

Tutte queste considerazioni lasciano ritenere che la mitologia oggi diffusa di un ritorno rapido al calo dei prezzi di beni e servizi resti, in molti casi, una pia illusione. Che l’incremento di questi ultimi rischia di proseguire ancora per parecchio tempo e che, similmente a ciò che è accaduto negli anni ‘70 del secolo scorso, anche negli anni ’20 di questo secolo l’inflazione potrebbe assumere un andamento sinusoidale, scendendo ma poi risalendo ancora per qualche tempo, aumento sino a quando non si sarà decisamente ridotta.


E se l’inflazione non scenderà tanto in fretta come invece oggi molti affrettatamente presumono, è allora probabile che le banche centrali continueranno con la stretta monetaria sino a rischiare di provocare esse stesse una recessione globale, che non potrebbe che influire negativamente sui profitti delle imprese e, indirettamente, sulle loro valutazioni. Qualche avvisaglia nella riduzione dei profitti si sta già avvertendo a partire dalla metà dell’anno in corso e molti analisti, pur sostenendo la teoria del “soft landing”, continuano a prevedere una recessione economica sinanco per gli Stati Uniti d’America entro il prossimo anno. In Europa in declino siamo già caduti e il rischio, a fronte di un’aggressività insensata e da “primi della classe” della banca centrale europea, è di sprofondarci ancor più nei mesi autunnali, quelli peraltro in cui la maggior domanda di energia per uso termico rischia di provocare nuovi rincari e altra inflazione.

Negli USA invece non è arrivata una vera recessione (o quantomeno un significativo rallentamento della crescita) ma, per tutte le considerazioni sopra svolte, difficilmente l’inflazione tornerà al livello-obiettivo del 2% menzionato dalle banche centrali. E’ più probabile invece che ne resterà al di sopra, andando peraltro a compensare quell’eccesso di debito (pubblico e privato) che il mondo intero ha accumulato e che, senza un’adeguata inflazione dei prezzi, difficilmente potrà essere smaltito.


QUALI CONSEGUENZE PER I MERCATI ?

Senza dubbio l’inflazione sta favorendo, nel breve termine, i mercati azionari a scapito di quelli obbligazionari, dal momento che investire nelle aziende significa acquisire un’insieme di beni reali che difficilmente non si adeguano, in valore e nel reddito, alla svalutazione monetaria. Un effetto collaterale potrebbe tuttavia consistere nel rialzo dei tassi a medio-lungo termine, spesso rimasti al palo nell’aspettativa che la fiammata inflattiva fosse soltanto temporanea. Oggi che il mondo sta prendendo atto del contrario, è facile che molti titoli a reddito fisso possano scendere di valore. Ma nel lungo termine l’inflazione colpisce anche i valori dei titoli azionari, dal momento che deprime le prospettive di profitto delle imprese e fa crescere il saggio di sconto al quale vengono attualizzati i flussi di cassa netti futuri. Dunque l’inflazione non fa bene nemmeno alle borse valori.


Ma soprattutto il radicarsi dell’inflazione in un ciclo di diversi anni potrebbe determinare di nuovo un ampliamento del processo generale di “finanziarizzazione” dell’economia, proseguendo nel trasferimento di ricchezza dall’industria al grande capitale, alle banche e alle società finanziarie. Un processo di per sé auto-inflativo e, soprattutto, pericoloso per il benessere nel lungo termine dell’umanità. L’inflazione infatti può essere anche vista come un gigantesco fenomeno di redistribuzione della ricchezza, attuando un trasferimento netto da determinate categorie di imprese ad altre, dalle classi sociali più povere a quelle più benestanti, dalle fasce di popolazione più anziane a quelle più giovani, con una serie infinita di pericolosissime conseguenze di alterazione degli equilibri sociali.

Maggiori tassi d’interesse e maggiori costi del capitale infine riducono e scoraggiano gli investimenti strutturali e quelli produttivi, mentre incentivano la speculazione e l’uso improduttivo dei capitali. Più alti tassi d’interesse poi significano maggior costo dei debiti pubblici e richiedono incrementi dei gettiti fiscali o maggiori deficit delle nazioni, deprimendo in tal modo le prospettive di crescita economica e, soprattutto, alimentando ulteriori aspettative di rincari che rischiano di auto-alimentare l’inflazione. Difficile dunque attendersene una rapida eradicazione e difficile, in questa congiuntura, essere particolarmente ottimisti per i mercati finanziari!

 

Stefano di Tommaso

 




APPUNTI DI TRADING

N. 40 – sabato  22 lug 2023

Operazioni in essere :

– Lu 3 luglio al mattino comprato 2 AGO MICRO GOLD a 1924,50
– Gio 6 luglio comprato 2 AGO MICRO GOLD a 1910,00 ; entrambi gli acquisti verranno chiusi al meglio sin dal mattino di lunedì 24 luglio
– Gio 6 luglio comprato 1 SETT MINI DOW a 34200, che chiuderò al meglio sin dal mattino di lunedì 24 luglio

NOIOSA PREMESSA
– La Lettera , chiudendo tutte le operazioni in corso, salvo che nelle due notti che precedono lu 24.7 qualche fattore esogeno faccia crollare GOLD e DOW JONES, segnerà un nuovo HIGH WATERMARK, che manca, come alcuni lettori mi hanno garbatamente segnalato, dal TOP di euro 120418 risalente all’ormai lontano 20 marzo 2023 ( our writer lost his touch ????………….. ha ipotizzato un amico di stanza a Piccadilly, chattando con un mio vero amico) Bisogna avere tanti amici, così, se ne perdi uno, vivi ugualmente.
– Mentre GOLD ha perso quasi 30 usd in poche ore il 20-21 luglio e quindi è parecchio lontano dal mio primo target intorno a 1998 cash, DOW JONES è salito dritto dopo il mio acquisto a 34200, dopo aver sfiorato lo stop loss di 33800, fino a circa 35500 ove comincia un’ area non facile da oltrepassare, senza rischi di veloci storni.
– La Lettera, come ben sapete, è pubblicata all’interno de IL GIORNALE DELLA FINANZA, del collega Dott. Di Tommaso, che sta per vivere le meritate ferie e quindi mi dispiacerebbe che GOLD e DOW JONES, sui quali la Lettera ha maturato un profitto di rilievo, le rifilassero un downturn non gestito. Non sia mai. Il mio profilo di rischio resta quello del grande Trapattoni. Purtroppo il mio tedesco è decisamente peggiore.
– Infine anche chi scrive farà delle brevi ferie, in coda al Dott. Di Tommaso, che qui ringrazio per la lungimiranza ed il coraggio che ebbe l’estate scorsa nell’assegnarmi questo spazio, che sta avendo un esito persino migliore di quanto entrambi al tempo ci attendessimo.

GOLD OTT 23
Il future agosto sta andando in consegna con un profitto molto buono.

Riprenderò in settembre usando il future ottobre. Ringrazio GOLD, che mi accompagna da metà della vita e mi ha dato soddisfazioni.

Richiamo l’attenzione sul fatto che attribuirei importanza alla eventuale chiusura mensile del 31 luglio sopra 1998 ( rammento nuovamente che si tratta del top di aprile 2022, di notevole rilievo ciclico )
Nel caso si verificasse, potremmo assistere allo sfondamento del triplo massimo, con accelerazione difficile da stimare.

SILVER SETT 23

Avevo scritto : “Lo potrei solo comprare, errato venderlo e il movimento al rialzo da 22,11 sembra confermare la visione”

Non solo sta salendo, ma dimostra una maggiore forza rispetto a GOLD.

Ha raggiunto un ostacolo a 25,47 del future settembre e il prossimo sarà un doppio massimo con 26,13 cash.

Lo sto osservando. Non consente acquisti. Purtroppo avevo ( molta ) ragione a dire che si poteva solo comprarlo, ma è riuscito a stoppare la Lettera, che piazza stop loss molto stretti in % e poi è giustamente volato in cielo.

Devo studiarlo a fondo.

DOW JONES INDU CASH

L’acquisto a 34200 ha visto lo stop loss 33800 sfiorato a 33803. Grande fortuna, che mi compensa abbondantemente dei tentativi ( sfortunati ? ) di acquistare SILVER.

L’obiettivo era una salita del 4 – 5 %, ma certamente il rischio è molto alto, dopo una salita di 6000 punti da 28660 ( 13 ott 2022 ), quindi passo alla cassa e lo guarderò, anche se non vedo livelli di vendita in forza e una vendita in rottura attualmente richiederebbe uno stop loss incompatibile con il profilo di rischio che ho scelto per la Lettera sin dal 1 ottobre 2022.

Avevo scritto :

“Nelle ultime 15 sedute sembra disegnare una W che trovo un po’ troppo ben disegnata, direi da manuale. Vediamo chi vuole punire. Certo non starei al rialzo sotto l’eventuale rottura di 33610 cash.”

DOW JONES ha scelto di rompere la W verso l’alto, attribuendo ancor maggiore rilievo al livello di 33610 cash della sua base.

NASDAQ 100 CASH

Avevo scritto :

“Ho evidenziato nel grafico settimanale che da marzo 2023 ha già disegnato quattro outside settimanali, tutti al rialzo, quindi ha espulso dal mercato per quattro volte tutti gli operatori che usano stop loss settimanali, per poi volare via, senza di loro.

So che parlo del NAS 100 come di un animale scaltro, ma è una vera BELVA.

Il primo dei target “grafici” è stato raggiunto, con chiusura settimanale esattamente sul target – 15600 circa. Il prossimo obiettivo è 800 punti più in alto.

Se basta così , ce lo farà sapere.

Non entro al rialzo, se non fa una figura riconoscibile per me e non mi sogno di anticipare la svolta al ribasso, dopo 4 outside settimanali rialzisti in 4 mesi”

Segnalo che da lu 24 luglio a ve 4 agosto scade un ciclo di medio – alta importanza, che potrebbe completare la spinta rialzista in corso

Purtroppo le caratteristiche di violenta volatilità che NAS 100 assume in certi momenti, imprevedibili, già rende difficile una strategia che possa durare, senza mie correzioni e con mano libera degli Eventi, per una intera settimana, figuriamoci per 40 gg feriali.

Ugualmente nella N. 41 proverò a tracciare uno scenario e poi mi tufferò.

Se non mi mangerà uno squalo, sempre più presente nel caraibico Tirreno, la N. 42 sarà disponibile il secondo lunedì di settembre.

Leonardo Bodini

 

 




OSSERVARE I CICLI ECONOMICI

Cosa succede sui mercati finanziari? Molte informazioni appaiono fornire messaggi contrastanti. La recessione più annunciata della storia sembra non arrivare e le borse sembrano sconfiggere la legge di gravità. L’ottimismo dilaga anche laddove lo scontro geopolitico si intensifica. Il prezzo dell’energia sembra scendere nonostante gli annunci dell’OPEC e l’inflazione sembra magicamente e velocemente rientrare. Ma la produzione industriale langue e gli investimenti strumentali rallentano. Le banche centrali mantengono un atteggiamento aggressivo nonostante abbiano rialzato i tassi più che velocemente che mai nella storia. Esiste una chiave per interpretare gli scenari controversi come quello attuale: l’analisi delle tendenze di lungo termine. Per chi ha nervi saldi, però!

 

I CICLI ECONOMICI SONO SBILANCIATI E SFASATI

Ricordo un bellissimo saggio di René Guénon con il titolo “Forme Tradizionali e Cicli Cosmici”, relativo alle diverse interpretazioni che la cultura umana ha voluto dare nei millenni all’ovvia ma non scontata constatazione della ciclicità degli eventi umani e dei conseguenti corsi e ricorsi. Che esista una ciclicità anche in economia è sempre stato dato per scontato, addirittura fino a sostenere, con qualche presunzione, l’assoluto alternarsi di fasi espansive e recessive dello sviluppo economico, quasi al pari di un pendolo che non potrebbe che oscillare più o meno regolarmente.

L‘osservazione dell’attuale congiuntura economica tuttavia dovrebbe aiutare parecchio a spazzare via questa sorta di preconcetto relativo alla similitudine dei cicli economici con le fasi oscillatorie di un pendolo: sono anni che osserviamo eventi tutt’altro che ciclici e costanti, tanto in senso espansivo quanto recessivo. Lo sviluppo economico non rassomiglia affatto all’onda sinusoidale tracciata da un pendolo in relazione allo scorrere del tempo. Esistono cicli economici estremamente brevi e altri molto più lunghi, i quali peraltro si sovrappongono relativamente alle diverse zone geografiche dove abita l’umanità e tra queste ultime non vi è quasi mai sincronizzazione.

Eppure esiste ugualmente una ciclicità dell’andamento economico, così come delle sue principali manifestazioni: la creazione (e distruzione) di ricchezza conseguenti alle riprese economiche e al loro opposto: le recessioni, i saggi d’interesse, la velocità di circolazione della moneta, i tassi di cambio delle valute e le oscillazioni verso l’alto e verso il basso delle quotazioni nei diversi mercati finanziari. E’ una ciclicità non scontata e le cui variazioni sono a volte repentine e imprevedibili, ma che esista è innegabile.

I CONSIGLI DI HOWARD MARKS

Al riguardo mi è capitato di leggere un recentissimo saggio di Howard Marks, l’arcinoto co-fondatore del colosso finanziario americano Oaktree: ”Taking the Temperature”, nel quale egli ripercorre l’applicazione negli scorsi decenni di un brillante metodo di ragionamento che lo ha guidato nell’approcciare le opportunità di investimento offerte dai mercati finanziari. Secondo Marks è impossibile prevedere la tempistica degli eventi e dunque sperare di avere sempre fortuna nel navigare le onde dei mercati. E ciò nonostante esistono criteri di buon senso che devono guidare coloro che li osservano nell’investire e nel disinvestire, ovvero nello sfruttare determinate opportunità di mercato e nel ritirarsene, anche qualora la tempistica di tali considerazioni porti a perdere delle grandi opportunità momentanee.


Un ragionamento (relativo alla necessità che tutto ciò che sale al cielo dovrà prima poi tornare a terra) non troppo diverso da quello di Warren Buffett, che lo ha reso famoso nel diffidare di tutte le “mode” e delle bolle speculative che si sono create ogni volta che sui mercati succedeva qualcosa di importante.

Howard Marks (come Warren Buffett) è rimasto famoso per applicare i suoi rigidi criteri di razionalità alle situazioni di eccesso e, anche per questo, entrambi sono passati alla storia per aver saputo individuare le situazioni di rischio e le opportunità che si creavano di volta in volta, approfittandone anche laddove per un periodo di tempo estremamente lungo i fatti sembravano dar loro torto.


Ovviamente per poter decidere di abbandonare i cicli speculativi prima che si esauriscano e attendere che se ne generino degli altri ci vuole non soltanto rigore, ma anche una certa stabilità finanziaria per non farsi abbindolare dalle tendenze del momento, la cui intensità e durata è sempre impossibile da centrare tutte le volte. Anche laddove la tempistica delle scelte che derivano dalla pura razionalità è risultata in anticipo o in ritardo di anni rispetto a ciò che avveniva sui mercati, alla fine il tempo ha sempre dato a entrambi ragione delle scelte di carattere fondamentale perseguite.

Citando il famoso Rudyard Kipling nel saggio “IF” (”SE”) che è quasi un poema, Howard Marks ricorda che la chiave di tutto sta nel “tener fede alla razionalità anche quando tutti quelli intorno a te sembrano averla perduta” (“keep your head when all about you are losing theirs”). Come farlo?

Esaminando con umiltà gli eventi passati per riuscire a riconoscerne delle effettive “uniformità relative” (per citare il famoso economista Gino Zappa) e trarne degli insegnamenti, con i quali ragionare per il futuro non appena si possa riuscire a comprendere in quale situazione di mercato ci si trova davvero.

ANDARE CONTROCORRENTE

Più facile a dirsi, ovviamente, che a farsi. Per riuscirvi occorre (e in questo tornano ad essere utili gli insegnamenti di René Guénon) cogliere quasi esclusivamente le cause scatenanti dei grandi cicli di fondo dell’economia, abbandonando la speranza di anticipare qualsiasi oscillazione dei mercati. E una volta che le si siano identificate, riuscire ad agire in senso opposto per poter trarre beneficio dall’aggiustamento che -prima o poi- arriverà a seguito della correzione di ogni eccesso dei mercati, anche se spesso ciò può apparire “controintuitivo”.


Soltanto l’osservazione delle determinanti dei grandi cicli di fondo dell’economia può farci guidarci a considerazioni razionali che ci permettano di agire in modo contrario al pensiero comune. Soltanto le macrotendenze consentono grandi benefici, i quali più che compensano la perdita di occasioni di guadagno o le temporanee avversità dei mercati, dove gli investitori di lungo termine risultano talvolta perdenti. I grandi cicli economici invece sono certamente più difficili da identificare e meno facili da cavalcare.

LE INDICAZIONI CHE DISCENDONO DALL’ATTUALE CONGIUNTURA

Proviamo dunque (senza pretendere di sapere cosa succederà effettivamente, e soprattutto quando) ad applicare questo modo di ragionare suggerito da Howard Marks alla ricerca delle determinanti di fondo dell’attuale congiuntura economica:

 

  • Siamo passati improvvisamente dall’epoca in cui le banche centrali hanno affogato di liquidità i mercati e hanno abbassato al di sotto dello zero i tassi di interesse a breve termine ad una fase in cui sta avvenendo l’esatto opposto: l’inflazione che si è sviluppata (com’era ovvio che fosse a seguito di QE e ZIRP) spingerà probabilmente ancora a lungo le banche centrali a fare marcia indietro, riducendo la liquidità disponibile e rialzando i tassi d’interesse sino a quando l’inflazione-obiettivo (quel mitico 2%) non sarà (quasi) raggiunto;
  • Questo comportamento delle banche centrali occidentali (che prima o poi si propagherà anche a quelle orientali che oggi sembrano andare in direzione opposta) ha indubbiamente effetti recessivi. Anche qualora per molti mesi lo sviluppo economico proseguirà, è probabile che alla fine il mondo possa andare incontro ad una recessione, cioè a una riduzione della crescita o a una riduzione “tout court” dei prodotti interni lordi. Un contesto in cui i consumi non potranno che contrarsi, gli investimenti ridursi e la liquidità scarseggiare;
  • Ciò nonostante i mercati finanziari non si sono ancora adeguati alla nuova tendenza di fondo, arrivando i listini azionari a toccare massimi storici che non potranno essere sostenibili nel lungo termine. Dunque non sappiamo quando i le borse faranno marcia indietro (potrebbero passare mesi o anni, anzi nel breve termine sono tutti ottimisti) ma sappiamo che probabilmente succederà perché -a questi livelli di mercato- le valutazioni d’azienda sono divenute troppo “care”. Interessante per chi ha posizioni “lunghe” sui mercati finanziari e sta pensando di disinvestire mentre, viceversa, è preoccupante per chi pensava di raccogliere capitali dalla borsa, dal momento che attendere a farlo può risultare nel medio termine penalizzante;
  • Quanto sopra vale anche per le “fusioni e acquisizioni”: se le valutazioni d’azienda risultano troppo elevate (si vedano i primi due grafici qui sopra) in relazione al mutato scenario di fondo, agli accresciuti tassi d’interesse e alla potenziale riduzione dello sviluppo economico, allora prima o poi i multipli di valore scenderanno. Interessante per chi sta pensando di vendere la propria azienda (meglio prima che poi) e preoccupante per chi acquista a questi livelli di valutazione;
  • E vale per il reddito fisso come per il mercato del credito: se siamo passati da un’epoca di abbondante liquidità e credito relativamente “facile” ad una di politica monetaria restrittiva, è allora ancora un buon momento per acquisire risorse finanziarie a lungo termine (nonostante il costo ne sia cresciuto) ed è invece relativamente sfavorevole per chi intende prestare denaro, soprattutto se l’inflazione si rivelerà persistente. Interessante per chi emette bond ma non per chi li compera (vedi sopra il grafico: “US TREASURE AGG.NET SPEC.POSITION);
  • Così è possibile che l’inflazione (vedi grafico CPI sotto), apparentemente oggi già in forte discesa, non venga sconfitta così facilmente come sperano oggi gli speculatori e come vorrebbero gli imprenditori spaventati dalla risalita del costo del denaro: è sì probabile che essa scenda nel tempo ma è altrettanto possibile che ciò non accada linearmente, bensì secondo una “normale” sinusoide, che pertanto allungherà i tempi della sua debellazione. Una notizia positiva per tutti coloro che attendono di veder rivalutati i prezzi di beni immobili e di altri possedimenti “fisici” (che tendono ad adeguarsi lentamente) ma al tempo stesso negativa per chi spera che presto i tassi d’interesse sarebbero tornati a scendere. Positiva per i mercati azionari e negativa per i titoli obbligazionari.


MA NON È MAI COSÌ SEMPLICE

Ovviamente queste considerazioni prescindono totalmente dall’azzeccare la tempistica con la quale prendere atto delle tendenze di fondo, così come si applicano al mondo nella sua interezza prescindendo necessariamente da singoli fatti che possono accadere una singola regione economica. Il contenuto informativo pertanto di queste considerazioni appare necessariamente limitato. Quello speculativo quasi nullo.


Eppure i cicli economici esistono. Riuscire a distinguerli e a vincere la tentazione di assecondarli prendendo coscienza del fatto che quando si è giunti a determinati assoluti la tendenza non può che invertire, aiuta a mantenere una prospettiva lucida tanto per contestualizzare il macro-ambiente in cui si muovono (e si finanziano) le imprese, quanto a trarne profitto per l’investimento di lungo termine sui mercati.

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 39 – sabato 15 luglio 2023

Operazioni in essere :

– Lu 3 luglio al mattino comprato 2 AGO MICRO GOLD a 1924,50
– Gio 6 luglio comprato 2 AGO MICRO GOLD a 1910,00 , ora con stop loss per tutti a 1925
– Gio 6 luglio comprato 1 SETT MINI DOW a 34200, ora con stop loss in pareggio a 34200

Nella N. 38 avevo scritto :
“Troppi eseguiti in soli 5 gg ……… forse i prezzi di acquisto erano troppo generosi; ……….Vedremo.”
Non solo gli acquisti hanno avuto buon esito, ma una grande FORTUNA ha evitato per un soffio ( lu 10 luglio il bottom dj fut è stato 33803, mentre lo stop loss era 33800 ) di subire lo stop loss e poi veder salire il DOW con forza convincente. ( attenti, ora gli “esperti” sono tutti positivi, quando lo saranno anche i “nessuni”, dovrò esser pronto a servire il piatto freddo )
Anche il FUT GOLD, dopo un acquisto al meglio a 1924,50 – ha centrato anche l’acquisto a 1910, con discesa poco sopra 1900 ( stop loss 1895, nemmeno sfiorato )
Tanta fortuna, ma non darei per scontato un posizionamento casuale degli stop loss.
Altre volte, su SILVER FUTURE, altrettanta sfortuna……………
Se non si vuole subire stop loss, non bisogna metterli ( si fallisce ), oppure bisogna posizionarli ben larghi ( poche volte si verrà colpiti, ma sarà un affondamento ).
Spero di subire molti stop loss da pochi euro e di guadagnare poche volte………….tanti euro.

GOLD AGO 23

Alzo lo stop loss a sufficienza da non perdere su nessuno dei due prezzi di ingresso, non per analisi tecnica, ma per regola di money management.

Ritengo prematuro andare short in rottura di 1895, quindi : solo stop loss.

Il livello 1998 ( top aprile 2022 ) è solo un primo ostacolo, più volte ecceduto.

Osservate, sul grafico mensile allegato alla N. 37, che mai un mese ha chiuso sopra.

Ci sarà un perché. Quando dovesse succedere, sarò pronto a reagire.

Per la prima volta segnalo che ormai molti parlano di un TRIPLO MASSIMO in zona 2070 da usare per una vendita.
Questi “molti” mi sembrano troppi, non vorrei che fossero gli stessi che, nella salita da 1800 a 2060, invocavano ……….2500………3000.

In tal caso credo che, dopo una eventuale chiusura mensile sopra 1998 ( rammento nuovamente che si tratta del top di aprile 2022, di notevole rilievo ciclico ) potremmo assistere allo sfondamento del triplo massimo, con accelerazione difficile da stimare.

SILVER SETT 23

BRAVO !

Si è liberato degli investitori ed è volato via.

Avevo scritto : “Lo potrei solo comprare, errato venderlo e il movimento al rialzo da 22,11 sembra confermare la visione”

Non solo sta salendo, ma dimostra una maggiore forza rispetto a GOLD.

Ha raggiunto un ostacolo a 25 circa e il prossimo sarà un doppio massimo con 26,13

Ovviamente si tratta di un range, non di un punto.

L’ampiezza del recente movimento non consente ingressi, né al rialzo, né al ribasso.

DOW JONES INDU CASH

L’acquisto a 34200 ha visto lo stop loss 33800 sfiorato a 33803.

Grande fortuna, che mi compensa abbondantemente dei tentativi ( sfortunati ? ) di acquistare SILVER.

L’obiettivo è una salita del 4 – 5 %, ma certamente il rischio è molto alto, dopo una salita di 6000 punti da 28660 ( 13 ott 2022 )

Invito ad osservare come DOW CASH sta vicino alla trendline tracciata dal 13 ott 2022 ( 28660 )

Pare incollato. Un po’ sopra, un po’ sotto. Comunque sale e merita di non essere chiuso, ma di essere accompagnato con uno stop loss, che al momento posiziono a 34200, vale a dire sul punto di ingresso.

La mia speranza è che cammini ancora un po’.

So bene che presenta un utile già rilevante ( oltre 2000 usd per un solo mini future ), ma devo accettare l’eventuale stop in pari, se voglio vedere il gioco fino in fondo.

Nelle ultime 15 sedute sembra disegnare una W che trovo un po’ troppo ben disegnata, direi da manuale. Vediamo chi vuole punire. Certo non starei al rialzo sotto l’eventuale rottura di 33610 cash.

NASDAQ 100 CASH

Questa Lettera ha eseguito una sola operazione su NAS 100, che amo molto, ma non posso dimenticare che ha massacrato famosi asset manager.

L’operazione è recente, con grande profitto di usd 2260 su un infimo investimento di ( 13400 x usd 2 ) usd 26800.

Ho evidenziato nel grafico settimanale che da marzo 2023 ha già disegnato quattro outside settimanali, tutti al rialzo, quindi ha espulso dal mercato per quattro volte tutti gli operatori che usano stop loss settimanali, per poi volare via, senza di loro.

So che parlo del NAS 100 come di un animale scaltro, ma è una vera BELVA.

Segnalo che il primo dei target “grafici” è stato raggiunto, con chiusura settimanale esattamente sul target – 15600 circa

Il prossimo obiettivo è 800 punti più in alto.

Se basta così , ce lo farà sapere.

Non entro al rialzo se non fa una figura riconoscibile per me e non mi sogno di anticipare la svolta al ribasso, dopo 4 outside settimanali rialzisti in 4 mesi

Leonardo Bodini