RISK ON

E’ un termine tecnico che viene usato in borsa quando gli investitori tendono a spostarsi verso attività finanziare con rendimenti e rischi attesi più elevati. Si dice in questi casi che la propensione al rischio degli investitori aumenta ovvero che si è in una fase di “Risk On”. Ma questa propensione è giustificata dai numeri e dalle attuali prospettive? La risposta che discende dalle considerazioni che seguono sembra negativa. Ma la storia recente delle borse valori dimostra che nessuno è davvero in grado di fare previsioni attendibili, nemmeno nel breve termine!

 

IN QUALE FASE DEL CICLO CI TROVIAMO?

Un paio di settimane fa vi avevo intrattenuti sui cicli economici: esistono ancora o sono morti e sepolti?L’approfondimento svolto in quella sede portava a confermare che essi esistono, ma che non è mai agevole coglierne l’ampiezza e dunque in quale fase ci si trova, se non a posteriori. Considerazioni importanti dal momento che neanche quest’anno la recessione economica più annunciata della storia moderna sembra essere in procinto di manifestarsi (a livello globale). Se recessione globale ci sarà, forse la si vedrà l’anno prossimo.


Quello in corso non sembra invece aver finito di stupirci: l’inflazione parrebbe essere rapidamente rinculata (ma sarà vero?), le banche centrali hanno alzato (parecchio) i tassi d’interesse ma non hanno ridotto a sufficienza la liquidità in circolazione e affermano oggi di navigare a vista, tra mille incertezze.

LA CORSA DELLE BORSE

Le quotazioni espresse dalle borse valori non sono mai state così in alto, non soltanto in assoluto, bensì anche nei multipli di valore! E se i tassi d’interesse sembrano puntare ancora una volta verso l’alto mentre i profitti paiono andare verso il basso (è vero che battono le stime degli analisti, ma anche perché questi ultimi li prevedevano più al ribasso di come sono andati), allora o le borse inizieranno a fare marcia indietro oppure i multipli impliciti di valore saranno ancora più elevati. Ma quanto può durare l’idillio?

Nel grafico qui sotto riportato si può leggere la performance di borsa -a livello globale- calcolata per i diversi settori industriali:


Porsi delle questioni sulla sostenibilità di queste performances sembra d’obbligo, dal momento che di certezze è difficile averne quando ci si trova in prossimità dei massimi storici, ma non è detto che essi corrispondano a un picco, oltre il quale inizi la discesa. E non soltanto siamo ai massimi dei listini azionari, bensì anche (forse) dei tassi d’interesse. Quantomeno di quelli a breve termine, perché per gli altri il discorso si fa molto più complesso.

La cosiddetta “curva dei rendimenti” (che dispone lungo la scala delle ordinate le diverse scadenze dei titoli a reddito fisso e i loro rendimenti su quella delle ascisse) vedrebbe, nella sua normalità, le scadenze più lunghe più in alto, in risposta ad un maggior premio di rendimento per attendere più a lungo la scadenza.


Quella attuale è viceversa inclinata negativamente, in risposta all’attesa (ancora oggi) del mercato di rendimenti a medio-lungo termine più bassi di quelli attuali a breve termine. Cioè in risposta ad una aspettativa di ridiscesa dei tassi d’interesse. Storicamente poi l’inversione della sua inclinazione ha pronosticato sempre l’arrivo di una recessione. Ma stavolta è invertita da parecchio tempo, e la recessione non si vede ancora.


In realtà i rendimenti a lungo termine (cioè quelli dai 10 anni in su) sembrerebbero aver imboccato una strada di crescita, soprattutto dopo che la Banca Centrale Giapponese, l’unica al mondo che manteneva il controllo dei rendimenti anche a lungo termine, (in Yen, ovviamente, ma così facendo dava il ”tono” a tutto il mercato, data l’ampiezza degli scambi di titoli a reddito fisso giapponesi) ha deciso di alzare l’asticella, lasciando presumere agli operatori che preso abbandonerà la sua pretesa di controllare la curva dei rendimenti. E se i rendimenti a lungo termine saliranno, allora sarà addirittura possibile che la curva dei rendimenti si riequilibri (e non solo in Yen). Nel grafico che segue appare evidente l’incremento del rendimento del Treasury Bond americano con scadenza decennale:

IL CASO DELLA BOJ

Per mantenere il controllo dei rendimenti a 10 anni allo 0,5% infatti la Bank of Japan (BOJ) comperava tutti i titoli che trovava sul mercato, soprattutto negli ultimi tempi, in cui il differenziale di tassi con le altre economie era cresciuto. Ciò facendo essa immetteva in circolazione nuova base monetaria, contribuendo al deprezzamento dello Yen ma anche a proseguire l’inondazione di liquidità sui mercati internazionali. La stessa cosa ha fatto sino ad oggi la banca centrale cinese (PBOC), concentrata a stimolare l’economia interna: ha immesso nuova base monetaria.


Il mancato coordinamento tra le banche centrali ha spinto quelle occidentali a continuare ad alzare l’asticella dei tassi, visto che non riuscivano a frenare la liquidità in circolazione. Ora che la BOJ ha ridotto il livello al quale interverrà, è possibile che si riduca anche l’immissione di nuova liquidità in circolazione. Anche perché anche la PBOC sembra meno motivata a proseguire con gli stimoli, dopo che è stata recentemente confermata la crescita tendenziale al 5% del Prodotto Interno Lordo nel 2023 (comunque il doppio di quella americana e anche di quella media globale attesa).

L’AMERICA CORRE, MA IL DEBITO AVANZA

Dunque la situazione è la seguente: lo sviluppo del prodotto interno lordo (PIL) americano è quasi al 2,5% e molto al di sopra delle attese. Il cambio del dollaro invece è in calo, cosa che normalmente spinge Wall Street al rialzo. Tutte le borse valori hanno superato i precedenti massimi storici. E i tassi a lungo termine sono previsti in salita più di quelli a breve termine (che dipendono dalle politiche monetarie delle banche centrali), mentre la liquidità in circolazione sui mercai potrebbe finalmente essere in riduzione, cosa che potrebbe evitare alle banche centrali di accrescere ulteriormente i tassi a breve termine. Uno scenario perfetto per pronosticare ulteriori rialzi dei listini di borsa, nonostante questi abbiano già superato i massimi di tutti i tempi.


Nel frattempo occorre notare che il debito americano è arrivato a toccare punte mai viste in precedenza (quasi 5 volte il PIL), mentre al contrario: l’indice della volatilità delle borse (il VIX, detto anche “indice della paura”) è sui minimi di tutti i tempi esprimendo in tal modo l’estremo ottimismo degli operatori. Uno scenario perfetto per pronosticare ulteriori rialzi dei listini di borsa, nonostante questi abbiano già superato i massimi di tutti i tempi.


Sarà, ma vige anche il principio che tutto ciò che ascende al cielo deve, prima o poi, ritornare sulla terra. Proviamo allora a guardare nel dettaglio l’andamento di Wall Street attraverso l’indice Standard & Poor’s 500: esso è composto per oltre il 25% della capitalizzazione di borsa dai primi 7 super-titoli azionari tecnologici: Apple, Amazon, Alphabet, Netflix, Microsoft, Tesla e Nvidia. Queste aziende vengono prezzate dal mercato poco meno di 40 volte gli utili futuri, contro le 17 volte di tutti gli altri titoli che compongono l’indice. Cioè esse esprimono multipli pari a più del doppio di tutti gli altri 493 titoli dell’indice. Qualcuno dice che ciò avviene a ragione, dal momento che i “magnifici sette” saranno anche i principali beneficiari degli extra-profitti attesi dalla diffusione dell’intelligenza artificiale (AI). Sarà, ma per adesso con l’AI essi perdono solo quattrini… Dunque il listino americano è ai massimi anche perché pesantemente influenzato da tale discrepanza nelle valutazioni.

In Europa non è così diverso: il posto dei titoli tecnologici lo prendono banche e società finanziarie, anche perché sono le vere beneficiarie del veloce e deciso rialzo dei tassi d’interesse a breve termine. Senza il loro contributo i listini nostrani sarebbero sicuramente molto meno “tonici”.

LE BORSE EUROPEE DROGATE DALLE BANCHE

Dunque i rialzi dei corsi azionari in Europa sono “drogati” dal settore finanziario che profitta delle politiche monetarie in corso.


Ma occorre precisare che è oggettivamente difficile prevedere che i tassi d’interesse a breve termine saranno innalzati ancora a lungo: la Germania resta in recessione ed esprime scarse prospettive per il prossimo futuro, la Francia sembra andare un po’ meglio ma ha al suo interno un dilagante e gravissimo conflitto sociale, l’Italia esprime ancora (ma quanto durerà?) una crescita del PIL a livello statistico, ma un’eventuale ripresa dell’inflazione potrebbe cambiarne radicalmente la tendenza, qualcuno dice drogata da un “deflattore” del P.I.L. molto più basso di quello corretto. In effetti in Italia l’inflazione del carrello della spesa raggiunge quasi il doppio di quella “media”.

Se i tassi a breve termine non saliranno più e invece i rendimenti a lungo termine proseguiranno la loro corsa, la situazione potrebbe rovesciarsi: banche e assicurazioni inizierebbero a fare i conti con le minusvalenze nel portafoglio di titoli a reddito fisso (se i tassi salgono le quotazioni dei titoli scendono). Dunque anche in Europa la musica potrebbe cambiare.


L’Eurozona resta la grande svantaggiata da questa strana congiuntura globale (forse con l’eccezione della Spagna, che continua a godere del suo rapporto privilegiato con il Sud America). Congiuntura che la vede in una situazione di bassa crescita, anche perché tagliata fuori da molti traffici con l’estremo oriente e troppo schierata con l’America per riuscire a rimanere neutrale negli eventuali sviluppi della guerra contro la Russia, che potrebbe presto estendersi alla Polonia.

Molti analisti imputano ai tagli delle relazioni d’affari con la Cina il principale fattore di raffreddamento dell’economia tedesca. E se l’estremo oriente dovesse mostrare in futuro qualche segno di cedimento nella crescita economica, ancora una volta le prime vittime sarebbero gli esportatori europei di macchinari e tecnologie. La seconda vittima sarebbero le quotazioni della moneta unica, oggi ancora in alto anche per l’avanzo della bilancia commerciale.


Lo scenario economico resta quindi più favorevole al continente americano, un po’ meno all’Asia e ancor meno all’Europa, che ha inoltre un piede dentro la fossa del conflitto dell’Ucraina con la Russia (dal momento che si è fatta coinvolgere non poco nello scontro) e ha al tempo stesso molte minori risorse naturali e riserve energetiche delle altre macro-regioni. Quanto basta per poter affermare che l’idillio delle borse europee con le banche centrali non potrà andare avanti in eterno. E dall’inizio dell’anno le borse continentali sono salite in percentuale più di Wall Street (il 25% contro il 20% in media). Per la borsa americana è più difficile fare pronostici, salvo che per il fatto che il divario tra i moltiplicatori di valore delle “big seven” e quelli del resto del listino azionario non potrà restare così elevato: se molte altre imprese non verranno rivalutate allora saranno le quotazioni delle prime sette dovranno ridimensionarsi, e con esse anche l’intero listino.

CAUTELA

Morale: occorrerà avere molta cautela negli investimenti per il prossimo futuro. Molti investitori saranno Infatti tentati di portare a casa i benefici sin qui ottenuti e andare in vacanza senza patemi d’animo. E poi per proseguire la loro corsa le borse (Wall Street compresa) dovrebbero tornare ad annoverare amplissimi profitti, mentre è più probabile che tutte le imprese dovranno fare i conti con un mercato del lavoro che risente dell’invecchiamento globale, e quindi della scarsità di manodopera qualificata (con conseguenti rialzi del costo del personale). I numerosi licenziamenti in corso poi potrebbero determinare una contrazione dei consumi, mentre a ridurre la spesa per investimenti produttivi ci pensano gli elevati oneri finanziari, circa i quali è difficile prevedere a breve termine una contrazione.


Insomma i cicli economici saranno pure non sincronizzati, asimmetrici, di lunghezze diverse e imprevedibili, ma non hanno quasi certamente smesso di esistere. E se le prospettive economiche globali sono attualmente ai massimi di sempre, è lecito prevedere che potranno più facilmente ridursi che migliorare. Chi investe oggi insomma non ha uno scenario così roseo davanti a sé, nè per le borse e nemmeno per il reddito fisso.

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 41 – sabato 29 luglio 2023

Operazioni in essere : NESSUNA, raggiunto un NEW HIGH WATERMARK: Euro 124037 = 24 %

I PAZIENTI LETTORI, CHE NELLA MAGGIOR PARTE CONTINUO A NON CONOSCERE, MI CONSENTANO UNA VIVA SODDISFAZIONE.

– Lu 3 luglio al mattino avevo comprato 2 AGO MICRO GOLD a 1924,50
– Gio 6 luglio avevo comprato 2 AGO MICRO GOLD a 1910,00 ; entrambi gli acquisti sono stati chiusi a 1962,5 al mattino di lunedì 24 luglio con un profitto di :
– 1962,5 X 2 – 1924,5 x 2 = USD 760 ed inoltre
– 1962,5 x 2 – 1910 x 2 = USD 1050 per un utile totale su GOLD di USD 1810 pari ad Euro 1630
(Ricordo a tutti che MICRO GOLD vale 10 once)
– Gio 6 luglio avevo comprato 1 SETT MINI DOW a 34200, che ho chiuso a 35385 al mattino di lunedì 24 luglio con un profitto di 35385 – 34200 = 1185 x USD 5 = USD 5925 pari ad Euro 5338
Dopo queste vendite vacanziere, GOLD si muove poco, DOW JONES ha proseguito la salita.
Pazienza.
Annoto che la “NOIOSA PREMESSA” che costituiva l’epigrafe della Lettera N. 40 pare aver, al contrario, divertito più d’uno.

GOLD OTT 23

Segna movimenti molto contenuti, che rendono impossibile guadagnare.

Resta il mio Mercato, tornerà a noi.

Richiamo ancora una volta l’attenzione sul fatto che attribuirei importanza alla eventuale chiusura mensile del 31 luglio sopra 1998 ( rammento che si tratta del top di aprile 2022, di notevole rilievo ciclico )

Nel caso si verificasse, potremmo assistere allo sfondamento del triplo massimo, con accelerazione difficile da stimare.

SILVER SETT 23

Avevo scritto : “Lo potrei solo comprare, errato venderlo e il movimento al rialzo da 22,11 sembra confermare la visione”
Anche ultimamente ha fatto movimenti veloci, talvolta feroci.

Trovo molto difficile scrivere una Lettera che “regga” per 5 gg su SILVER, figuriamoci per un mese abbondante che ci separerà.

Ugualmente provo.

Il mese di agosto ha un valore ciclico dubbio, ma intrigante.

Dopo il lu 21 ago, il contratto settembre andrà verso la scadenza e passerò al FUT DIC 2023, che quota molto più in alto. ( ora 24,86 contro 24,50 )

Ecco perché ripeto spesso che la mia analisi tecnica avviene su grafici di SILVER CASH.

Da lu 31 luglio inserirò i seguenti ordini :

Vendo 1 MINI SETT SILVER a 25,30 e un‘ altro a 26,30 ; lo stop loss sarà a 27,00 per entrambi; da lu 19 ago lo stop loss verrà abbassato sopra TOP delle due settimane precedenti, in seguito, scorrevoli.

Compero 1 MINI SETT SILVER a 23,00 e un altro a 22,50 con stop loss a 22,00; da lu 19 ago lo stop loss verrà alzato sotto il bottom delle due settimane precedenti, in seguito, scorrevoli.

Da lunedì 21 agosto eseguirò roll – over sulla scadenza dicembre al meglio, ovviamente anche adeguando i livelli di stop loss. (forse saranno 36 cent, come ora)

Preferisco decisamente comprare che vendere in questo agosto, ma non voglio farmi mancare nulla.

DOW JONES INDU CASH

Dopo GOLD, è uno dei miei mercati preferiti.

Ha dato lu 24.7 a questa Lettera un profitto veramente fantastico, tenuto conto che si è formato in 18 gg di calendario ( molti meno di trading ) tra il 6 e il 24 luglio.

Non sarà sempre festa.

Ormai da sette gg sta ben sopra la trend line che avevo tracciato dal 13 ott 2022.

Farà con me una meritata vacanza.

NASDAQ 100 CASH

Avevo scritto :
“Segnalo che da lu 24 luglio a ve 4 agosto scade un ciclo di medio – alta importanza, che potrebbe completare la spinta rialzista in corso”

Il grafico weekly che allego vale tutto il resto della Lettera.

Osservo che da marzo 2023 ( bottom 11695 ) a luglio 2023 ( top 15932 ) NAS 100 è salito del 36,23 % in soli quattro mesi.

Continuo a colorare di giallo i 4 outside rialzisti che ha fatto dal 17 marzo, massacrando chi usa lo stop loss settimanale e non si tratta di pochi operatori.

E’ già molto difficile fissare ex ante una strategia che “regga” 5 gg, senza possibilità di interventi correttivi, in un mercato siffatto.

Si rischia di essere stoppati al ribasso e poi che la Lettera debba guardare una salita imperiosa, senza poter “entrare” con un acquisto.

Proverò ugualmente a intraprendere una strategia che non mandi la Lettera in rovina, senza comunque poter coprire tutto il periodo di pausa editoriale.

Da lunedì 31 luglio inserirò i seguenti ordini :

1) Vendo 1 SETT MICRO NAS 100 a 16400 con stop loss a 16800 (vendita in forza)
2) Vendo 1 SETT MICRO NAS 100 a 15400 stop con stop loss a 16000 (vendita in eventuale caduta)

Da lunedì 7 agosto aggiungerò il seguente ordine :

3) Vendo 2 SETT MICRO NAS 100 a 15400 stop o, se più basso, sotto il minimo della settimana che inizia lu 31 luglio, con stop loss sopra il top che sarà stato registrato nelle due settimane tra lu 24 luglio e venerdì 4 agosto (ad ora sarebbe 16065 SETT FUT)

Durante il periodo di mancata pubblicazione ( sei settimane ) la Lettera abbasserà gli stop loss al massimo delle due settimane precedenti ad ogni settimana ( quindi scorrevoli ) Solo vendite, nessun acquisto. ( ci vuole coraggio, lo so )

Certamente non facile da leggere, figuratevi da concepire.

Sono giunto al limite delle capacità previsionali ed espositive.

Vediamo se ho osato troppo e la Lettera verrà punita.

Buone vacanze.


Leonardo Bodini




PERCHÉ L’INFLAZIONE NON SCENDERÀ PRESTO

In un momento di grande incertezza generale gli analisti di tutto il mondo cercano di guardare più lontano, per comprendere i grandi bradisismi dell’economia e l’impatto avranno sui mercati finanziari. Ciascuno a modo suo, scrutando l’atteggiamento dei grandi gestori di patrimoni, quello delle banche centrali, o quello dei risparmiatori, l’andamento dei consumi e degli investimenti, le vicissitudini dei cambi valute e quelle dei metalli preziosi. E una delle lenti di ingrandimento più utili a scrutare nel futuro dei mercati è la prospettiva di inflazione. Vediamone il perché.

Nessuno può esibire certezze a proposito del futuro dei mercati finanziari, a causa della difficoltà di cogliere le determinanti fondamentali dell’economia mondiale e fino a quando l’immensa liquidità in circolazione alimenterà quotazioni estremamente elevate dei listini azionari e dei titoli a reddito fisso di lunga durata (nel grafico qui sotto l’andamento negli ultimi mesi dell’indice globale MSCI WORLD).

L’INFLAZIONE CALA FINCHÉ SCENDE IL PETROLIO

Una di tali determinanti, forse la più importante di questi tempi, è l’andamento dell’inflazione, sebbene a sua volta esso sia dipendente non solo e non tanto dalle politiche monetarie (come spesso banche banchieri vorrebbero farci credere), quanto piuttosto dall’andamento generale dell’economia, e soprattutto dalle condizioni di domanda e offerta dei principali beni e servizi. Riuscire dunque a prevedere l’andamento dell’inflazione può aiutare molto ad anticipare i movimenti dei mercati finanziari.


Nel grafico qui sopra riportato ad esempio si può vedere che la rilevazione finale dell’inflazione in Europa a fine Giugno costituisce la classica ”media del pollo” di Trilussa (se io ho 2 polli e tu nessuno, in “media” abbiamo un pollo a testa): il dato del 5,5% è tale perché il costo dell’energia è sceso. Ma se guardiamo cosa sta succedendo al costo del petrolio (nel grafico qui sotto l’andamento nell’ultimo anno delle quotazioni del “Brent Crude Oil”, che sembra proprio aver finito di scendere (anzi):

LA TRANSIZIONE VERDE GENERA INFLAZIONE

Un recente studio di Goldman Sachs esprime un certo ottimismo per l’economia americana, ma si pronuncia negativamente sull’inflazione, ricordando che le principali forze determinanti dell’inflazione dipendono dalle scelte politiche dell’Occidente: la transizione verde e la de-globalizzazione. Influiscono inoltre ad alimentare l’inflazione anche una serie di politiche fiscali espansive messe in atto dalla maggior parte dei paesi più sviluppati. La scelta cioè dei governi occidentali di sussidiare il rimpatrio industriale e le classi sociali piu svantaggiate dall’inflazione. Quasi sempre peraltro ciò viene fatto in deficit di bilancio, nonostante l’economia americana (e non solo) sia ancora in crescita e la disoccupazione sia più bassa della media storica.

La transizione verso fonti energetiche rinnovabili è quasi sempre originata da obblighi normativi e incentivi pubblici, i quali comportano indubbiamente maggiori costi, tanto per imprese e cittadini quanto per i governi. Maggiori costi che si sommano al cospicuo incremento dei costi di petrolio e gas che originatosi a causa della guerra in Ucraina e del blocco delle importazioni dalla Russia. Il buon senso avrebbe voluto che, a seguito di fatti avversi come questi, l’agenda della transizione verde venisse rinviata a tempi migliori, onde evitare che i maggiori costi energetici complessivi fossero tra le principali determinanti dei maggiori costi in capo all’industria e ai trasporti. Invece è proprio l’Unione europea la zona del mondo dove le scelte in termini di fissazione di una data (il 2035) per il bando ai carburanti fossili sono state più radicali, nonostante sia stata la più colpita dalla carenza di materie prime energetiche e la chiusura di quasi tutte le centrali nucleari.

ANCHE LA DE-GLOBALIZZAZIONE COSTA CARA

La de-globalizzazione in atto vede invece la sua principale ragione nell’accorciamento delle catene di fornitura non per ragioni economiche bensì per l’inasprimento delle relazioni internazionali tra l’Oriente e l’Occidente del mondo. Il processo è inflativo perché determina lo spostamento di molte produzioni da paesi caratterizzati da minori costi a quelli più sviluppati, ma anche perché comporta esborsi per nuovi e ulteriori investimenti produttivi realizzati spesso a debito a tassi ben più alti dei precedenti. Infine risulta inflativo anche a causa degli incentivi offerti dagli stati che ospitano le produzioni rimpatriate, assimilabili di fatto a ulteriori risorse pubbliche spese per sostenerli.

Le uniche possibilità perché il processo di “re-shoring” delle produzioni industriali possa risultare non inflativo risiedono: 1) nell’automazione industriale, che può comportare costi assimilabili o addirittura più bassi di quelli sostenuti nei paesi emergenti, a condizione però che non costi cara anch’essa la maggior energia consumata per produrre a casa propria e con una forte componente di automazione industriale; 2) nella possibilità di significativi risparmi nei costi di trasporto, ovviamente più probabili solo laddove le produzioni riguardino oggetti grandi e pesanti. Insomma, in molti casi l’accorciamento delle filiere produttive comporta costi maggiori, maggior consumo di energia e la riduzione del commercio globale, non necessariamente auspicabile per lo sviluppo economico dei paesi emergenti.

IL COSTO DEL LAVORO NON PUÒ CHE AUMENTARE

L’erosione del potere d’acquisto dei salari causato dall’inflazione inoltre non è ancora stata interamente compensata dall’incremento dei salari. Esiste un’ovvia sfasatura temporale tra l’incremento dei prezzi al consumo e l’incremento conseguente dei salari medesimi che ha nel frattempo indebolito la capacità delle classi più deboli di mantenere i medesimi consumi che aveva prima dell’arrivo dell’inflazione. Sfasatura temporale che fa sì che molti adeguamenti salariali sono ancora da realizzare e che rischia di trasmettere ai prezzi al consumo i relativi maggiori costi dei prodotti finiti ancora per parecchio tempo a venire.


COSTO DELL’ORA LAVORATA NEGLI USA A FINE GIUGNO 2023

Senza contare il fatto che l’invecchiamento generale della popolazione in tutto il mondo (man mano che il benessere si diffonde e la medicina fa progressi), unito al maggior grado di istruzione della forza lavoro, sono due fattori che generano significativi incrementI del relativo costo, in buona parte ancora da attuare. Dunque non foss’altro che per la scarsità di manodopera e per la necessità di una progressiva specializzazione, il costo del lavoro è inesorabilmente destinato ad accrescersi. Questo genera incrementi nei costi dei fattori di produzione che non possono non riflettersi sui prezzi al consumo, che quindi sono destinati ad aumentare.

SENZA CONCORRENZA I PREZZI NON SCENDONO

In molti casi poi le imprese hanno fatto fronte ai rincari dei costi di energie, materie prime, lavoro e servizi, incrementando a loro volta i prezzi di vendita, soprattutto in quei comparti industriali dove vige minore concorrenza e dove pertanto è più facile trasmettere a valle gli incrementi dei costi. In economie più flessibili e più soggette ad una agguerrita concorrenza (come quelle anglosassoni) ciò resta più difficile, mentre in molti settori soggetti di fatto ad oligopoli o a prezzi amministrati (come ad esempio le autostrade, la sanità privata o molti servizi pubblici) la trasmissione a valle dei maggiori costi genera a sua volta inflazione.

Senza contare il fatto che l’incremento dei tassi d’interesse stimolato dalle banche centrali ha un indubbio effetto dirompente sul servizio del debito a carico dei bilanci pubblici, costantemente alla ricerca di un equilibrio tra il maggior debito, l’incremento di tasse e imposte e la riduzione di altre spese pubbliche. L’effetto è ovviamente inflativo, dal momento che i percettori di rendite finanziarie vedono incrementare le loro entrate, mentre tutto ciò che non viene più pagato dallo stato deve essere a carico dei cittadini o ragione di nuove tasse.

INFLAZIONE COME NEGLI ANNI ‘70

Tutte queste considerazioni lasciano ritenere che la mitologia oggi diffusa di un ritorno rapido al calo dei prezzi di beni e servizi resti, in molti casi, una pia illusione. Che l’incremento di questi ultimi rischia di proseguire ancora per parecchio tempo e che, similmente a ciò che è accaduto negli anni ‘70 del secolo scorso, anche negli anni ’20 di questo secolo l’inflazione potrebbe assumere un andamento sinusoidale, scendendo ma poi risalendo ancora per qualche tempo, aumento sino a quando non si sarà decisamente ridotta.


E se l’inflazione non scenderà tanto in fretta come invece oggi molti affrettatamente presumono, è allora probabile che le banche centrali continueranno con la stretta monetaria sino a rischiare di provocare esse stesse una recessione globale, che non potrebbe che influire negativamente sui profitti delle imprese e, indirettamente, sulle loro valutazioni. Qualche avvisaglia nella riduzione dei profitti si sta già avvertendo a partire dalla metà dell’anno in corso e molti analisti, pur sostenendo la teoria del “soft landing”, continuano a prevedere una recessione economica sinanco per gli Stati Uniti d’America entro il prossimo anno. In Europa in declino siamo già caduti e il rischio, a fronte di un’aggressività insensata e da “primi della classe” della banca centrale europea, è di sprofondarci ancor più nei mesi autunnali, quelli peraltro in cui la maggior domanda di energia per uso termico rischia di provocare nuovi rincari e altra inflazione.

Negli USA invece non è arrivata una vera recessione (o quantomeno un significativo rallentamento della crescita) ma, per tutte le considerazioni sopra svolte, difficilmente l’inflazione tornerà al livello-obiettivo del 2% menzionato dalle banche centrali. E’ più probabile invece che ne resterà al di sopra, andando peraltro a compensare quell’eccesso di debito (pubblico e privato) che il mondo intero ha accumulato e che, senza un’adeguata inflazione dei prezzi, difficilmente potrà essere smaltito.


QUALI CONSEGUENZE PER I MERCATI ?

Senza dubbio l’inflazione sta favorendo, nel breve termine, i mercati azionari a scapito di quelli obbligazionari, dal momento che investire nelle aziende significa acquisire un’insieme di beni reali che difficilmente non si adeguano, in valore e nel reddito, alla svalutazione monetaria. Un effetto collaterale potrebbe tuttavia consistere nel rialzo dei tassi a medio-lungo termine, spesso rimasti al palo nell’aspettativa che la fiammata inflattiva fosse soltanto temporanea. Oggi che il mondo sta prendendo atto del contrario, è facile che molti titoli a reddito fisso possano scendere di valore. Ma nel lungo termine l’inflazione colpisce anche i valori dei titoli azionari, dal momento che deprime le prospettive di profitto delle imprese e fa crescere il saggio di sconto al quale vengono attualizzati i flussi di cassa netti futuri. Dunque l’inflazione non fa bene nemmeno alle borse valori.


Ma soprattutto il radicarsi dell’inflazione in un ciclo di diversi anni potrebbe determinare di nuovo un ampliamento del processo generale di “finanziarizzazione” dell’economia, proseguendo nel trasferimento di ricchezza dall’industria al grande capitale, alle banche e alle società finanziarie. Un processo di per sé auto-inflativo e, soprattutto, pericoloso per il benessere nel lungo termine dell’umanità. L’inflazione infatti può essere anche vista come un gigantesco fenomeno di redistribuzione della ricchezza, attuando un trasferimento netto da determinate categorie di imprese ad altre, dalle classi sociali più povere a quelle più benestanti, dalle fasce di popolazione più anziane a quelle più giovani, con una serie infinita di pericolosissime conseguenze di alterazione degli equilibri sociali.

Maggiori tassi d’interesse e maggiori costi del capitale infine riducono e scoraggiano gli investimenti strutturali e quelli produttivi, mentre incentivano la speculazione e l’uso improduttivo dei capitali. Più alti tassi d’interesse poi significano maggior costo dei debiti pubblici e richiedono incrementi dei gettiti fiscali o maggiori deficit delle nazioni, deprimendo in tal modo le prospettive di crescita economica e, soprattutto, alimentando ulteriori aspettative di rincari che rischiano di auto-alimentare l’inflazione. Difficile dunque attendersene una rapida eradicazione e difficile, in questa congiuntura, essere particolarmente ottimisti per i mercati finanziari!

 

Stefano di Tommaso

 




APPUNTI DI TRADING

N. 40 – sabato  22 lug 2023

Operazioni in essere :

– Lu 3 luglio al mattino comprato 2 AGO MICRO GOLD a 1924,50
– Gio 6 luglio comprato 2 AGO MICRO GOLD a 1910,00 ; entrambi gli acquisti verranno chiusi al meglio sin dal mattino di lunedì 24 luglio
– Gio 6 luglio comprato 1 SETT MINI DOW a 34200, che chiuderò al meglio sin dal mattino di lunedì 24 luglio

NOIOSA PREMESSA
– La Lettera , chiudendo tutte le operazioni in corso, salvo che nelle due notti che precedono lu 24.7 qualche fattore esogeno faccia crollare GOLD e DOW JONES, segnerà un nuovo HIGH WATERMARK, che manca, come alcuni lettori mi hanno garbatamente segnalato, dal TOP di euro 120418 risalente all’ormai lontano 20 marzo 2023 ( our writer lost his touch ????………….. ha ipotizzato un amico di stanza a Piccadilly, chattando con un mio vero amico) Bisogna avere tanti amici, così, se ne perdi uno, vivi ugualmente.
– Mentre GOLD ha perso quasi 30 usd in poche ore il 20-21 luglio e quindi è parecchio lontano dal mio primo target intorno a 1998 cash, DOW JONES è salito dritto dopo il mio acquisto a 34200, dopo aver sfiorato lo stop loss di 33800, fino a circa 35500 ove comincia un’ area non facile da oltrepassare, senza rischi di veloci storni.
– La Lettera, come ben sapete, è pubblicata all’interno de IL GIORNALE DELLA FINANZA, del collega Dott. Di Tommaso, che sta per vivere le meritate ferie e quindi mi dispiacerebbe che GOLD e DOW JONES, sui quali la Lettera ha maturato un profitto di rilievo, le rifilassero un downturn non gestito. Non sia mai. Il mio profilo di rischio resta quello del grande Trapattoni. Purtroppo il mio tedesco è decisamente peggiore.
– Infine anche chi scrive farà delle brevi ferie, in coda al Dott. Di Tommaso, che qui ringrazio per la lungimiranza ed il coraggio che ebbe l’estate scorsa nell’assegnarmi questo spazio, che sta avendo un esito persino migliore di quanto entrambi al tempo ci attendessimo.

GOLD OTT 23
Il future agosto sta andando in consegna con un profitto molto buono.

Riprenderò in settembre usando il future ottobre. Ringrazio GOLD, che mi accompagna da metà della vita e mi ha dato soddisfazioni.

Richiamo l’attenzione sul fatto che attribuirei importanza alla eventuale chiusura mensile del 31 luglio sopra 1998 ( rammento nuovamente che si tratta del top di aprile 2022, di notevole rilievo ciclico )
Nel caso si verificasse, potremmo assistere allo sfondamento del triplo massimo, con accelerazione difficile da stimare.

SILVER SETT 23

Avevo scritto : “Lo potrei solo comprare, errato venderlo e il movimento al rialzo da 22,11 sembra confermare la visione”

Non solo sta salendo, ma dimostra una maggiore forza rispetto a GOLD.

Ha raggiunto un ostacolo a 25,47 del future settembre e il prossimo sarà un doppio massimo con 26,13 cash.

Lo sto osservando. Non consente acquisti. Purtroppo avevo ( molta ) ragione a dire che si poteva solo comprarlo, ma è riuscito a stoppare la Lettera, che piazza stop loss molto stretti in % e poi è giustamente volato in cielo.

Devo studiarlo a fondo.

DOW JONES INDU CASH

L’acquisto a 34200 ha visto lo stop loss 33800 sfiorato a 33803. Grande fortuna, che mi compensa abbondantemente dei tentativi ( sfortunati ? ) di acquistare SILVER.

L’obiettivo era una salita del 4 – 5 %, ma certamente il rischio è molto alto, dopo una salita di 6000 punti da 28660 ( 13 ott 2022 ), quindi passo alla cassa e lo guarderò, anche se non vedo livelli di vendita in forza e una vendita in rottura attualmente richiederebbe uno stop loss incompatibile con il profilo di rischio che ho scelto per la Lettera sin dal 1 ottobre 2022.

Avevo scritto :

“Nelle ultime 15 sedute sembra disegnare una W che trovo un po’ troppo ben disegnata, direi da manuale. Vediamo chi vuole punire. Certo non starei al rialzo sotto l’eventuale rottura di 33610 cash.”

DOW JONES ha scelto di rompere la W verso l’alto, attribuendo ancor maggiore rilievo al livello di 33610 cash della sua base.

NASDAQ 100 CASH

Avevo scritto :

“Ho evidenziato nel grafico settimanale che da marzo 2023 ha già disegnato quattro outside settimanali, tutti al rialzo, quindi ha espulso dal mercato per quattro volte tutti gli operatori che usano stop loss settimanali, per poi volare via, senza di loro.

So che parlo del NAS 100 come di un animale scaltro, ma è una vera BELVA.

Il primo dei target “grafici” è stato raggiunto, con chiusura settimanale esattamente sul target – 15600 circa. Il prossimo obiettivo è 800 punti più in alto.

Se basta così , ce lo farà sapere.

Non entro al rialzo, se non fa una figura riconoscibile per me e non mi sogno di anticipare la svolta al ribasso, dopo 4 outside settimanali rialzisti in 4 mesi”

Segnalo che da lu 24 luglio a ve 4 agosto scade un ciclo di medio – alta importanza, che potrebbe completare la spinta rialzista in corso

Purtroppo le caratteristiche di violenta volatilità che NAS 100 assume in certi momenti, imprevedibili, già rende difficile una strategia che possa durare, senza mie correzioni e con mano libera degli Eventi, per una intera settimana, figuriamoci per 40 gg feriali.

Ugualmente nella N. 41 proverò a tracciare uno scenario e poi mi tufferò.

Se non mi mangerà uno squalo, sempre più presente nel caraibico Tirreno, la N. 42 sarà disponibile il secondo lunedì di settembre.

Leonardo Bodini