L’INFLAZIONE NON SCENDE E L’ECONOMIA RALLENTA

|I numeri parlano chiaro: l’indice RTT (elaborato da CSC e Team System) segnala in Aprile una frenata nei fatturati di praticamente tutti i settori industriali italiani. Calano le esportazioni e gli investimenti languono a causa dei maggiori costi del debito di quest’anno. Ma quel che più conta è che la fiducia delle imprese scende parecchio, rivelando aspettative al ribasso che la stampa “ufficiale” non riporta.

 


Dunque, nonostante il calo significativo del prezzo del gas, l’economia italiana non “tira” e, pur tuttavia, l’inflazione persiste, come si può leggere dal grafico qui sotto riportato. Tira insomma una brutta aria! Tecnicamente, si chiama “stagflazione” (stagnazione + inflazione).

L’INFLAZIONE PERSISTE


Eppure le aspettative erano buone fino a ieri. Non soltanto il mercato finanziario, nelle pieghe dei contratti derivati, sosteneva a spada tratta la previsione di una discesa entro dell’inflazione e, in ultima analisi, anche dei tassi d’interesse. Ma anche la maggior parte dei commentatori proseguiva nella narrativa, sostenendo due argomenti principali: 1) che la politica monetaria restrittiva avrebbe aiutato a correggere al ribasso l’inflazione, 2) la fine del rialzo delle materie prime avrebbe spinto al ribasso i prezzi industriali e, con un po’ di ritardo, anche quelli al consumo.

LE PREVISIONI ERANO OTTIMISTICHE

Dunque l’inflazione, secondo gli osservatori di mezzo mondo, non poteva che scendere. Peccato sia sempre più evidente che l’unico modo in cui le politiche monetarie restrittive possono arginare l’inflazione sia quello di provocare forti recessioni e instabilità finanziaria (crollo delle borse, banche in crisi di liquidità, welfare insostenibile e debiti pubblici oltre ogni ragionevolezza). Così come è evidente che, nonostante i ribassi nei prezzi di energia, materie prime e persino alcune derrate alimentari, i prezzi industriali nel migliore dei casi non scendono e l’inflazione resta elevata. Dunque la narrativa da parte dei guru dell’economia va rivista.


È crollato poi sinanco l’ultimo “mantra”: quello che l’arrivo di una “dolce” recessione avrebbe aiutato a calmierare i prezzi.

LA GERMANIA È IN RECESSIONE

Al momento-almeno in Europa- la recessione è ufficialmente arrivata con la Germania che ha inanellato il secondo trimestre consecutivo di discesa del suo prodotto interno lordo (è vero che noi italiani abbiamo il turismo, ma con tutto il rispetto per il nostro istituto di statistica, io tendo a credere più a quello tedesco) e dell’inflazione dei prezzi non si vede la fine. Anzi, si teme, non la si vedrà nemmeno nell’immediato futuro. Qui sotto è riportato l’indice manifatturiero di Italia (in rosso) Francia (in verde) e Germania (in blu). È vero che siamo un filino sopra agli altri, ma con una tendenza alla discesa.


L’inflazione però, in tutta Europa resta elevata e tende ad autoalimentarsi, per una serie interminabile di motivi, tra i quali il fatto che -a causa della depressione salariale praticata silenziosamente ma assai efficacemente nei paesi periferici dell’Unione Europea- oggi che c’è più domanda che offerta di manodopera il suo costo sale, anche se i consumi scendono.

I CONSUMI SCENDONO, SALVO CHE PER LE AUTO

Sappiamo bene poi che l’inflazione a casa nostra non è mai dipesa dall’eccesso di consumi bensì da fattori strutturali, a partire dagli elevatissimi costi di energia e materie prime fino alla bolla che ha riguardato le ristrutturazioni edilizie (e che oggi rischia di lasciare sul campo morti e feriti). Anzi i consumi (con l’eccezione delle immatricolazioni di nuove auto) proseguono la discesa, così come si riducono i budget di spesa famigliare, come si può vedere dal grafico qui riportato:


La notizia della mancata discesa dell’inflazione peraltro non è del tutto negativa: se la recessione oggi mordesse di più l’inflazione probabilmente scenderebbe maggiormente, dal momento che è la componente dei servizi quella più importante oggi nei rincari generalizzati. Ma con l’arrivo di una recessione ci sarebbero al tempo stesso molti più licenziamenti, più fallimenti e maggiori insolvenze, che non è detto non ci saranno ugualmente nel prossimo futuro, ma al momento ancora ce li siamo risparmiati.

LE IMPRESE PAGANO CARO IL CREDITO

La situazione delle imprese italiane tuttavia non è rosea: il costo del credito cresce e i volumi erogati continuano a scendere, come si può vedere da questo grafico riportato dal Centro Studi Confindustria su dati Refinitiv e Banca d’Italia.


Oltreoceano la situazione è un po’ migliore, anche a causa della maggior incidenza -per l’America- della progettazione e produzione di nuove tecnologie, che sembrano essere tornate al traino dell’economia e anche delle borse valori.

IN AMERICA LE BIG TECH SONO AI MASSIMI

Le aziende che sono all’avanguardia tecnologica hanno mostrato margini che tornano a crescere e oggi sembrano essere entrate in piena bolla speculativa, parzialmente fondata su prospettive a dir poco rosee per l’intelligenza artificiale, gli armamenti e i veicoli di nuova generazione.


La parte meno fondata della bolla speculativa che sta investendo le borse internazionali dipende tuttavia dalla ben nota “congestione dei risparmi” (“savings’glut”) che riversa sui mercati finanziari più risorse di quante ne andrebbero correttamente allocate in un mondo ideale.

LA “CONGESTIONE DEI RISPARMI”

Essa deriva dall’entrata in pensione di buona parte della generazione che ha vissuto il boom delle nascite tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60, che spesso è ancora in ottima forma fisica ma oramai si allontana dal mercato del lavoro per dedicarsi ad investire i propri risparmi. Il risultato è una montagna di risparmi, che da qualche parte deve essere investita, come si può vedere da questo grafico:


Peraltro qualcuno fa correttamente notare che i titoli azionari sono sempre stati in posizione “rialzista” con l’inflazione poiché costituiscono frazioni di diritti di proprietà di attività “reali” (cioè le aziende) e dunque sono destinati naturalmente a rivalutarsi in presenza dell’inflazione dei prezzi. Quindi se da un lato i maggiori tassi d’interesse penalizzano le valutazioni aziendali perché scontano a tassi più elevati i flussi di cassa futuri, dall’altro lato il valore intrinseco delle imprese non può che riflettere i prezzi più alti. Ciò ovviamente vale soprattutto per i colossi multinazionali, che però costituiscono buona parte della capitalizzazione delle borse.

LE BORSE RESTANO ALTE

I listini quindi non hanno tutti i torti a galleggiare intorno ai massimi storici: in molti casi aziendali l’inflazione ha determinato una situazione in cui i margini di guadagno sono risaliti e, se la situazione generale non peggiorerà, la rivalutazione dei “real assets” delle aziende dovrebbe aiutare a sostenerne le quotazioni. Come si può vedere da questo grafico le valutazioni delle società quotate (espresse come multiplo degli utili attesi) restano relativamente elevate rispetto alle medie storiche:


Tutto bene dunque? Non proprio. La situazione generale è al momento quella di una pausa nei grandi movimenti, eccezion fatta per i grandi colossi globali delle tecnologie, che sono in grande spolvero nel progettare il proprio futuro. I timori -anche geopolitici- sono elevati ma le tecnologie avanzano e la recessione morde quasi soltanto l’Occidente.

I PAESI EMERGENTI “TENGONO BOTTA”

I Paesi Emergenti mantengono oggi una crescita economica che in molti casi giova a tamponare la situazione di quelli appartenenti all’OCSE, assillati da eccesso di debiti e tassi che rischiano di continuare a crescere minando alla radice la stabilità finanziaria. Ma quanto questi ultimi potranno continuare? Le ultime previsioni del Fondo Monetario Internazionale per l’anno in corso sono piuttosto magre, rinviando al 2024 (se Dio vorrà) le speranze di un rilancio delle economie:


Si parla di de-dollarizzazione ma certo questa non è ancora avvenuta. Oggi un eventuale peggioramento dell’andamento previsto dei Paesi OCSE potrebbe ancora influire non poco nel ridurre le speranze di crescita economica dei c.d. Paesi BRICS (Brasile, Russia, India Cina e Sud Africa), così pure come degli altri Paesi Asiatici, degli altri Paesi Africani e, quasi certamente dell’America Latina. Cosa che significherebbe che il mondo si indirizzerebbe verso una grande recessione, anche se ci starebbe andando più lentamente del solito.

Quante sono le probabilità che l’Occidente “inciampi” più seriamente di quanto si vede oggi? Probabilmente nessuno lo sa, ma che il rischio esista è evidente.

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 32 – sabato 27 maggio 2023

Operazioni in essere :

acquistato 1 GIU MICRO NAS 100 a 13400, ora con stop loss a 13550

GOLD AGO 23

Sembra in formazione un pericoloso TRIPLO MASSIMO in area 2070 – 2080, che, cerca conferme e quindi potrebbe invertire il mercato.

La caduta violenta da 2060 gold cash a 1936 ha realizzato un outside mensile, figura grafica ribassista e viene la tentazione di aprire degli short a qualsiasi prezzo, ma fare trading non è così semplice.

Per facilitare la comprensione di queste righe, ho allegato il grafico a barre mensili, nella speranza che tutti possano vedere con me la possibile formazione di un TRIPLO MASSIMO nel range 2070 – 2080.

Rammento che utilizzerò il contratto AGOSTO 2023 ( usd 19 più alto di gold cash ) in quanto il giugno è in consegna.

GOLD è sceso senza rimbalzi , quindi non ha consentito a questa Lettera di vendere in pull back, vicino ai massimi.

Cambio quindi strategia.

Utilizzo i recenti minimi per tentare una piccola posizione al rialzo, inizialmente solo allo scopo di finanziare lo stop loss della futura vendita, ma qualcosa non quadra nella discesa di cui ero piuttosto convinto.

E’ troppo lenta.

Pertanto da lu 29 maggio, sin dalla apertura del Mercato, inserirò il seguente ordine :

COMPERO 3 MICRO GOLD FUTURE AGOSTO a 1960 con stop loss a 1940

DOW JONES INDU CASH

DOW JONES continua ad esprimere una forza relativa modesta e sempre più modesta rispetto al NAS 100. Il Mercato non ha soldi per comprare entrambi, che sono comunque indici della borsa americana, ma ciò non sembra.

L’avevo visto da tempo e, forse troppe volte, lo avevo evidenziato.

In realtà merc. 24.5 DJ è sceso molto vicino al prezzo di 32500 ( DJ CASH ha toccato 32586 ) che attendevo da settimane, ma non ritengo di aprire una posizione al rialzo su un Mercato con forza relativa così modesta.

Quindi : analisi piuttosto precisa, ma niente profitti.

NASDAQ 100 CASH

Continuo a pensare che NAS 100 proseguirà la salita e pertanto lunedì 29.5 inserirò i seguenti ordini :

Compero 1 GIUGNO MICRO NASDAQ 100 a 13950 con stop loss 13550

Compero 1 GIUGNO MICRO NASDAQ 100 a 13700 con stop loss 13550

Si tratterebbe di raddoppiare o triplicare la posizione, infima, attualmente in essere, applicando uno stop loss relativamente contenuto.

In realtà la crescita è più veloce di quanto prevedevo e quindi sto rincorrendo il Mercato, per comperare le rate previste.

Pazienza.

La N. 31 aveva un ordine di acquisto di un secondo micro Nas 100 a 13500, il Mercato è sceso fino a 13566 e poi è schizzato via.

Mi ha visto e mi ha salutato.

Anch’io avevo visto Lui, diversamente non avrei sfiorato il prezzo.

Questa Lettera ha avuto fortuna qualche volta; non lo dimentico e resto a vedere.

Se la fretta mi dominasse, potrei comperare in qualsiasi istante di Mercato aperto, ma alzerei il prezzo medio ed il profilo di rischio, il che non mi va.

Guadagnerò poco, questa volta.

Ripeto che sento arrivare movimenti più ampi, che ritengo debbano essere affrontati con investimenti ridotti, pena friggere in padella.

Vale per GOLD e anche per NAS 100.

Leonardo Bodini




 

 

 

 




STORIA DI UN RATING ALL’ITALIANA

L’allarme relativo al giudizio sul merito di credito dello Stato italiano è magicamente rientrato qualche giorno fa e per di più senza alcun clamore sui “media” di tutto il mondo. Come si spiega? Era giustificato prima o è stato ignorato dopo? Proviamo a ricostruire i fatti…

 

TUTTO INIZIA CON IL “SUPERBONUS”

La storia inizia lo scorso 20 settembre con il primo consuntivo sul Superbonus (ai tempi c’era il governo Draghi). La capienza fiscale degli istituti di credito che avrebbero dovuto finanziarlo stava terminando (all’epoca il totale atteso era di 75 miliardi di crediti fiscali, tra accettati e in corso di valutazione), ma era in corso la campagna elettorale. Draghi aveva apertamente criticato il costo del Superbonus per lo Stato, ma nessun partito politico se la sentiva di affrontare l’argomento e tutti tacquero.

Senza porvi un freno tuttavia la situazione sarebbe divenuta insostenibile, così a fine febbraio 2023 è toccato al governo attuale prendere l’amara decisione di bloccare la cedibilità a terzi dei crediti fiscali accumulati, dopo che comunque gli istituti di credito avevano da tempo frenato sulla loro anticipazione.

Bisognava prendere atto del fatto che lo stock dei crediti superbonus era asceso a un totale di circa 120 miliardi di Euro: 71,7 miliardi per bonus edilizi, 19 miliardi per il bonus facciate e 28,9 miliardi per altri crediti fiscali legati all’edilizia. Ovviamente si tratta di debito ulteriore dello Stato, seppur dovuto ai soli cittadini che pagheranno le tasse, sotto forma di bonus fiscale, ma “pesa” anch’esso indirettamente sul calcolo del debito pubblico italiano.

L’ATTACCO DELLA GOLDMAN SACHS

Il capitolo successivo della saga è andato in scena tra il 23 e il 24 Aprile, quando la Goldman Sachs pubblicò una ricerca in cui suggeriva apertamente di vendere titoli pubblici italiani per comperare quelli spagnoli. Tra le motivazioni innanzitutto la forte impennata dei tassi d’interesse che provoca a uno stato super-indebitato come quello italiano un’importante maggior spesa per il servizio del debito e conseguente ulteriore deficit di bilancio.


La banca d’affari americana proseguiva citando una crescita economica storicamente limitata del nostro Paese, i ritardi delle riforme che hanno causato ritardi di oltre un mese nell’erogazione di 2 tranches dei fondi europei a sostegno del PNRR e il conseguente ridotto impatto sulla crescita dell’economia italiana. L’Italia è poi il paese con il più alto “tax rate” del mondo (la pressione fiscale), cosa che rende difficilmente aggiustabile il deficit pubblico con incrementi di imposte e tasse.

L’ANNUNCIO DI MOODY’S

Ovviamente la sequela di eventi non è passata inosservata da parte delle maggiori agenzie di rating, tra le quali Moody’s, da sempre la più severa con il nostro Paese, e lo ha apertamente posto in revisione per un possibile ribasso del rating (il giudizio sul merito di credito). Era il 25 aprile scorso (cioè il giorno dopo la pubblicazione della ricerca di Goldman Sachs): la divisione Emerging markets dell’agenzia di rating si lanciò in una previsione pessimistica relativa alla revisione del rating italiano attesa per il 19 maggio: “Crescita stagnante e aumento del costo del debito potrebbero ulteriormente indebolire le prospettive per l’economia italiana”.. Un annuncio pericoloso poiché Moody’s già collocava i titoli italiani soltanto un gradino al di sopra dello status di “titoli spazzatura“. Per fortuna e’ anche l’unica a farlo.

E SINANCO LA BCE GETTA BENZINA SUL FUOCO…

A complicare le cose ci si è poi messa la Banca Centrale Europea, che con il suo ultimo bollettino economico ha espresso previsioni di un futuro incerto per l’intera Eurozona e ha paventato la possibilità che l’Italia raggiunga presto un rapporto debito/prodotto interno lordo al 190% (alla data attuale si parla del 144%), precisando che il nostro Tesoro potrebbe dunque incontrare seri rischi nelle sottoscrizioni in rinnovo dei titoli pubblici in scadenza, anche in conseguenza del ridotto supporto fornito in tal senso dalla BCE stessa.

POI IL “MIRACOLO” !

Magicamente tuttavia, pochi giorni prima della scadenza del 19 Maggio, Moody’s “sospende” il suo giudizio sul rating pubblico italiano, rinviandolo addirittura di un semestre. Dunque l’agenzia di rating ci ha di fatto ripensato, tenendoci però in ostaggio fino a Novembre.

Certo, poco prima del “ripensamento” di Moody’s erano comparsi vari e ottimi dati macroeconomici relativi al nostro Paese: la crescita del fatturato dei servizi in aprile, sulla spinta del turismo, un ottima performance dell’export (si legga il grafico sotto riportato) con il conseguente surplus commerciale e soprattutto una previsione di crescita del P.I.L. italiano espressa da parte della Commissione Europea dell’1,2%, contro il dato medio dell’1,1% dell’eurozona e lo 0,2% della Germania (addirittura più alta della previsione del nostro governo, che si era limitata all’1%).

CHI AVEVA RAGIONE ?

La domanda che si sono posti in molti al riguardo è però la seguente: stavolta il giudizio dell’agenzia di rating si è finalmente basato sui dati macroeconomici fondamentali? Si perché se il PIL crescerà dell’1,2% dopo essere stato deflazionato di circa 7 punti percentuali, allora vuol dire che l’economia italiana nel 2023 potrebbe crescere di ben oltre l’8%, circa il doppio di quanto possa essere atteso il deficit pubblico. Il che vuol dire che il debito pubblico (che è espresso necessariamente in termini nominali e non al netto dell’inflazione) crescerà probabilmente meno di quanto crescerà il PIL, con una possibile riduzione dunque del rapporto percentuale tra l’uno e l’altro. Non un aumento. Di qui il rinvio di un intero semestre.

Probabilmente tuttavia non sono state le possibili considerazioni sui dati macro-economici a guidare l’agenzia di rating, bensì la lunga mano della geo-politica. Non è sfuggita a nessuno l’overdose di europeismo ed atlantismo esibita pubblicamente dal governo italiano nell’ultimo mese, a partire dalla tolleranza mostrata nei confronti degli sberleffi dei ministri francesi del governo Macron, per passare all’accoglienza a dir poco calorosa riservata a Zelensky, fino alla promessa -in sede di G7 a Hiroshima- di abbandonare l’accordo con la Cina per il programma di infrastrutture aero-portuali denominato “Belt&Road” sottoscritto ai tempi del governo Conte. E all’orizzonte ci sono altre importanti riforme promesse ai falchi di Nato e UE, ivi compresa la sottoscrizione del famigerato Meccanismo Europeo di Stabilità (il MES).

QUANTO È GRAVE LA SITUAZIONE?

Ma il debito pubblico italiano è davvero così preoccupante? La risposta ovviamente non è univoca. Da un lato ci sono gli elementi di oggettiva debolezza del Paese sopra richiamati, che rischiano seriamente di farlo crescere oltre ogni ragionevole attesa (tra le quali le esigenze di riforma della sanità pubblica evidenziate dal Covid, quelle riordino delle infrastrutture dopo i disastri delle Autostrade, la necessità di stimolare il mercato domestico dei capitali per arginare l’esodo delle imprese italiane, eccetera).


Dall’altro lato c’è appunto da considerare che ciò che conta davvero è il rapporto percentuale del debito pubblico nei confronti del Prodotto interno lordo. Se quest’ultimo promette di salire di più, va da sé che le preoccupazioni si riducono. Inoltre i dati relativi all’indebitamento del nostro Paese vanno letti tutti, e cioè non soltanto quelli relativi al debito dello Stato.

Ad esempio la ricchezza complessiva delle famiglie italiane (se si considerano anche gli immobili , al netto delle passività) supera i 10mila miliardi di euro (oltre 5 volte il debito pubblico). Nel corso del 2021 inoltre la ricchezza netta delle famiglie italiane è stata tra le più alte in Europa, pari a 8,7 volte il loro reddito disponibile (Francia: 8,6; Germania: 8,8). Il debito complessivo dell’Italia dunque, in Europa è più alto soltanto di quello tedesco, come si può leggere dal grafico qui riportato, al di sotto cioè di Francia e Spagna.

L’EUROPA CI GIOCA PESANTE

Dunque le politiche europee di convergenza sono attualmente troppo orientate al sol debito pubblico e non tengono conto del fatto che i dati fondamentali del nostro Paese sono ancora piuttosto sani. C’è probabilmente una spiegazione politica: l’Unione Europea (così come l’americana Moody’s) giocano su questi fattori per fare pressioni sulla politica italiana. Per carità, niente di nuovo sotto il sole: nel nostro Paese è andata così negli ultimi cinquant’anni.


Ma delle due l’una: o a fine Aprile Moody’s aveva scherzato e Goldman Sachs aveva giocato sulle emozioni per speculare al ribasso sul debito pubblico italiano, oppure è in atto una riforma forzosa del nostro Paese, mascherata da una lettura “partigiana” dei dati macroeconomici (che passa anche dal giudizio di rating) allo scopo di mantenere elevato lo “spread” tra il costo del debito pubblico italiano e quello degli altri principali paesi europei.

E IL BALLETTO NON È FINITO !

Ovviamente c’è da attendersi che i tassi europei continueranno ad aumentare nelle prossime settimane, nonostante che la Federal Reserve americana abbia annunciato di essere arrivata al capolinea e nonostante sia chiaro a tutti che in Europa la risalita dei tassi non produce alcun beneficio. Nemmeno sull’inflazione, dal momento che i consumi dei cittadini europei stanno calando ”a prescindere”e dal momento che una Divisa Unica che si rivaluta sul Dollaro non aiuta certo le esportazioni. Ma in tal modo le pressioni sui conti pubblici dei paesi periferici dell’Unione saranno da considerarsi tutt’altro che esaurite.

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 31 – sabato 20 maggio 2023

Operazioni in essere :

acquistato 1 GIU MICRO NAS 100 a 13400 con stop loss a 12970

GOLD GIU 23

Sembra in formazione un pericoloso TRIPLO MASSIMO in area 2070 – 2080, che, cerca conferme e quindi invertire il mercato.

La caduta violenta da 2060 gold cash a 1952 ha quasi realizzato un outside mensile ribassista, per conseguire il quale manca di rompere il minimo di aprile 2023 ( 1949 gold cash )

Vedremo se ci riesce.

Per facilitare la comprensione di queste righe, ho allegato il grafico a barre mensili, in luogo del settimanale, nella speranza che tutti possano vedere con me la possibile formazione di un TRIPLO MASSIMO nel range 2070 – 2080.

Devo utilizzare da lu 22 maggio il contratto AGOSTO 2023 ( usd 23 più alto di gold cash ) in quanto il giugno va in consegna a giorni.

Il contratto luglio 2023 esiste, ma è poco liquido e vi ricorderete tutti che evito mercati poco liquidi.

Nella N. 30 avevo scritto : Anche se sto andando contro il trend, che resta evidentemente al rialzo, proverò un secondo tentativo di vendita nell’ipotesi che si stia formando un triplo massimo, cercando di espormi ad uno stop loss molto limitato”.

Se il triplo massimo, che ipotizzo essere in formazione, trovasse altre conferme, potrebbe generare una spinta in giù anche di rilievo, perché molti “esperti” pare fossero pesantemente al rialzo e quindi il conto potrebbe essere salato.

Poiché siamo ancora molto vicini al top di 2060 gold cash, prudenza mi suggerisce di non vendere in caduta, ma di cercare la fascia 2030 – 2050 cash ( + usd 23 per GOLD AGO )

Pertanto da lun 22 maggio, sin dalla apertura del Mercato, inserirò il seguente ordine :

vendo 5 MICRO GOLD FUTURE GIUGNO a 2065 con stop loss a 2090

DOW JONES INDU CASH

Avevo scritto :

“Dopo un raro outside mensile compiuto in una sola settimana ed una successiva una settimana inside, DOW JONES sale, ma con forza relativa modesta rispetto al NAS 100”

L’avidità sta montando in groppa alla paura e quindi, ritenendo che non sia conveniente assumere posizioni al ribasso sull’azionario U.S.A., per andare al rialzo, mi accodo alla folla e abbandono il DJ.

NASDAQ 100 CASH

Più volte avevo scritto : “Ha un comportamento molto diverso dal DJ, così come denota il grafico.”

Continuo a pensare che NAS 100 può proseguire la salita dopo la rottura e pertanto lunedì 22.5 inserirò il seguente ordine :

Compero 1 GIUGNO MICRO NASDAQ 100 a 13500 con stop loss 12970

Si tratterebbe di raddoppiare la posizione, infima, attualmente in essere, applicando il medesimo livello di stop loss.

Qualcuno gentilmente mi ha chiesto quanto potrò mai guadagnare con un solo (e misero, …… visto che vale usd 2 x indice = circa 27600 usd ) MICRO NAS 100 all’opera; quasi nulla, rispondo, ma è una apertura di piano di accumulo, che è la tecnica che oggi scelgo per trattare un mercato come il NAS 100, sulla cui pericolosità mi sono già, forse troppo, dilungato.

Comprerò inoltre ogni giorno, senza poter inserire le informazioni nella tabella excel degli ordini inseriti e non ancora eseguiti, unicamente in quanto è una strategia che ogni giorno trae il prezzo da eseguire dal range del giorno precedente, 1 MICRO NAS 100 FUT GIUGNO a metà del range di ogni giorno precedente a quello e solo quello in cui viene superato il top del medesimo giorno precedente; lo stop loss sarà 12970 per tutti questi, eventuali, miei acquisti.

Ripeto che si tratta di una strategia complessa da capire, ma per nulla casuale, che tuttavia potrebbe portare ad una posizione molto spinta, in caso di continue rotture al rialzo.
Ecco perché l’operazione viene avviata con dose “omeopatica”.

Segnalo che sento arrivare movimenti più ampi, che ritengo debbano essere affrontati con investimenti ridotti, pena friggere in padella.

Vale per GOLD e anche per NAS 100.

Lo dico perché qualcuno ha ravvisato una eccessiva prudenza nei prezzi di acquisto e vendita che stanno caratterizzando gli ordini annunciati nelle lettere più recenti, accompagnando il commento con ipotesi di “pancia piena”.

Ai lettori attenti :

Sicuramente non cerco di evitare i profitti.

Neppure intendo “addormentarmi” sul + 17 % conseguito dal 1 ott 2022 ad oggi, che sta irritando qualcuno.

Se penso che vi saranno barre estese, lungi dall’aumentare la aggressività dell’approccio, cerco di non farmi sottrarre in poche sedute un risultato conseguito in quasi otto mesi.

Servirà lucidità e tanta pazienza.

Leonardo Bodini