comperato merc. 6.9 un DIC MINI SILVER a 23,50 con stop loss a 22,30
GOLD OTT 23
Registra movimenti molto contenuti, che rendono impossibile guadagnare.
Segnalo un ciclo che pone due minimi evidenti ( 1893 cash e 1885 cash ) a 8 e 16 settimane dal top di 2060.
Il livello di 1885 quindi rappresenta un doppio minimo decrescente e la eventuale rottura potrebbe dare una discesa di rilievo, primo ostacolo circa 1800.
Sul lato opposto, richiamo ancora una volta l’attenzione sul fatto che attribuirei importanza alla eventuale chiusura di un qualsiasi mese sopra 1998 ( rammento che si tratta del top di aprile 2022, di notevole rilievo ciclico )
Nel caso si verificasse, potremmo assistere allo sfondamento del triplo massimo, con accelerazione difficile da stimare.
SILVER DIC 23
Un lettore, che mi conosce per la mia professione, mi ha espresso il suo entusiasmo nei confronti di SILVER, chiedendo se si possa dare più spazio a questo Mercato.
Purtroppo no.
Rammento che scrissi : “Ha dato un utile enorme in un lampo, ma le svolte sono violente, poco adatte ad una Lettera che deve durare tutta la settimana e che si è data un profilo di rischio contenuto. Grande profitto, ma presenterà il conto”.
Resto positivo su SILVER, al punto che da lunedì 18.9 inserirò il seguente ordine:
compero un DIC MINI SILVER a 22,80 con stop loss a 22,30 per entrambi i DIC MINI SILVER
Evidenzio che potrebbe crearsi un triplo minimo circa a 22,00 cash che, come detto spesso, costituirebbe una figura grafica molto forte.
La eventuale, non creduta, rottura di 22,00 cash – oltre a rappresentare lo stop loss per le posizioni rialziste – forse meriterebbe uno short, ma non ho fretta.
Evidenzio che nella settimana 52 dal vistoso minimo di 17,56 SILVER ha segnato un top ed è sceso in modo evidente.
Si tratta di un ciclo da osservare, anche nel caso di successiva rottura al rialzo del livello di 25,01 cash. La rottura, oggi prematura, potrebbe dare una accelerazione verso l’alto, anche oltre il top di 26,13.
DOW JONES INDU CASH
Ormai dal 14 agosto non riesce a toccare la trend line che avevo tracciato dal 13 ott 2022.
Appare debole rispetto al NAS 100
L’eventuale rottura del minimo di agosto potrebbe già essere un detonatore per il ribasso, ma mi sembra presto; gradirei che trascorresse un anno dal 13 ott 2022 e manca veramente poco.
Una discesa prima di allora sarebbe poco maneggevole per la Lettera.
NASDAQ 100 CASH
NAS 100 cash incontra ostacolo a 15600 ormai da 8 settimane.
L’ostacolo di 15600, formatosi in gennaio del 2022, era stato indicato nel grafico allegato sin dalla N. 32 di sabato 27 maggio 2023, quando NAS 100 non aveva superato 14300.
Quel prezzo ha tenuto sino ad ora, con eccessi di pochi gg.
Comincio a ritenere possibile che NAS 100 romperà questo livello al rialzo, poi dovrò stare molto attento a possibili, violenti, reversal.
Sto valutando un acquisto a circa 15000 cash ( 15200 dic fut ), ma non ora.
Segnalo infine che, non solo NAS 100 cash stenta a oltrepassare 15600, ma abbiamo un doppio inside settimanale e questo potrebbe rappresentare una grande incertezza con successiva accelerazione; devo capire da quale parte.
Leonardo Bodini
CICLO ECONOMICO: DOVE SIAMO?
Cosa succederà nelle prossime settimane alle principali variabili macroeconomiche? Come influenzeranno il nostro reddito, i nostri affari, la nostra sicurezza? Le risposte a queste domande stanno sicuramente nella “congiuntura” che – essendo difficile- va meticolosamente analizzata, ma spesso tendono ad essere prevedibili sulla base dei cosiddetti cicli economici, che pur con una tempistica assolutamente difficile da prevedere, rispondono più o meno sempre alla sinusoide mostrata nell’immagine di copertina. Ne discendono due possibili scenari…
MOLTE VARIABILI SI COMPORTANO IN FUNZIONE DEL CICLO
In funzione del punto in cui ci si trova nell’andamento della sinusoide del ciclo economico (all’inizio di una recessione, alla sua fine, ovvero al culmine di un’espansione o ancora nella fase declinante della medesima) molte variabili tendono a comportarsi di conseguenza, perché parallelamente a ciascuna di queste fasi è probabile che si sviluppi una deflazione (cioè uno sgonfiamento) dei prezzi, ovvero un’inflazione dei medesimi (cioè un loro rigonfiamento che comporta la svalutazione della divisa monetaria) o ancora un periodo di stagnazione nel corso del quale c’è tuttavia ancora inflazione.
E se arriva l’inflazione dei prezzi allora i beni reali e le materie prime rincareranno e conviene accumularle (ivi compresi i metalli preziosi e i beni d’investimento come gli immobili ad esempio), mentre se si approssima un periodo di deflazione essi (in termini relativi alle altre variabili) scenderanno di valore. Gli immobili tenderanno a svalutarsi perché ci sarà più offerta che domanda e le materie prime saranno più a buon mercato.
In funzione del punto del ciclo economico in cui ci si trova possono quindi convenire gli investimenti in titoli a reddito fisso, che si rivalutano quando i tassi d’interesse scendono, o quelli azionari, che rappresentano quote di possesso di attività reali (quelle delle aziende), molto spesso preferibili alle obbligazioni in caso di rialzi dei tassi d’interesse.
A CHE PUNTO CI TROVIAMO?
Come si vede, i cicli economici esistono ed esisteranno sempre, anche se non è mai facile comprendere in quale fase dei medesimi ci si trova perché molte variabili possono congiurare per allungarli o accorciarli (ad esempio l’eccezionale stop all’economia e la conseguente ripresa della medesima conseguenti alla pandemia hanno stravolto la normalità dei cicli economici disturbandone -ma non annullandone- l’andamento). Di conseguenza la domanda “a che punto ci troviamo” non è così teorica come può sembrare: le conseguenze pratiche di ciascuna fase del ciclo economico possono essere importanti e prevedibili.
Secondo molti osservatori il ciclo economico che si è sviluppato negli ultimi anni, dopo la grande recessione che ha colpito l’Occidente a partire dal 2009, è durato straordinariamente più del previsto e ha comportato una lunga fase di crescita conseguente ad una profondissima crisi in cui eravamo caduti, per poi sviluppare -dopo l’espansione- una fase inflazionistica che non è ancora affatto detto si sia esaurita. Se così fosse il ciclo, vecchio oramai di quattordici anni, potrebbe trovarsi in una delle sue ultime due fasi, qualora il periodo di reflazione dei prezzi si fosse esaurito in soli due anni.
Il punto è che l’economia delle varie regioni del mondo, per certi versi sempre più interdipendenti, risulta questa volta particolarmente ”sfasata” tra le une e le altre. Dunque non è facile parlare di un unico ciclo economico ma dobbiamo necessariamente riferirci a quello dell’Occidente. E pure in tal caso occorre osservare che l’economia dell’Eurozona si sta comportando piuttosto diversamente da quella americana, seppur con molte similitudini con l’economia britannica. E quando la crescita (o la decrescita) non sono sincronizzate le borse tendono ad una certa sfiducia.
DUE SCENARI POSSIBILI
Dunque potremmo trovarci nel caso in cui il ciclo economico volga già verso una fase finale, dunque di stagnazione, sia pur condita ancora da inflazione, prima di riabbracciare la crescita, ma potrebbe invece essere il caso che, dopo uno sviluppo così lungo della fase precedente di espansione, il periodo di reflazione dei prezzi arrivi anch’esso durare ben più a lungo del paio d’anni che abbiamo già sperimentato e che in tal caso il periodo di crescita economica, seppure inflazionistica, non sia affatto esaurito. Ci troveremmo allora oggi soltanto nella fase 4 del nostro ciclo economico, cioè poco oltre l’inizio della seconda metà dell’intero ciclo economico.
In tal caso saremmo in una fase che è ancora probabilmente di una qualche crescita economica, ma in cui i prezzi potrebbero continuare a salire più che proporzionalmente, e non per poco tempo. Se infatti le tre fasi precedenti (sia pur comprendendo i due-tre anni di disturbo del Covid) sono durate dodici anni, quelle successive potrebbero durarne quasi una decina. Cioè sia pure iniziando a contare dalla fine del 2021, per arrivare alla fase di deflazione si dovrebbe aspettare ancora a lungo e per giungere alla fine del ciclo si arriverebbe addirittura al 2030 o oltre.
IN UNO DEGLI SCENARI L’INFLAZIONE POTREBBE CONTINUARE
In effetti Larry Summers (uno dei maggiori economisti viventi, tra l’altro ex rettore della Harvard University ed ex consigliere economico del governo americano) fa notare in un suo Twit che ha fatto il giro del mondo, che negli anni’70 la fase inflazionistica si era sviluppata per ondate successive e che dunque quella che abbiamo vissuto (e che sembra volgere alla sua conclusione) potrebbe corrispondere solo alla prima di una serie di due-tre ondate. Si tratta di un grafico che io ho già pubblicato la settimana scorsa ma che qui ripropongo perché deve far riflettere: l’andamento dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) nel periodo 1966-1975 è stato finora praticamente speculare a quello del periodo 2013-2023:
Perciò, se il calcolo spannometrico che ho proposto più sopra circa la durata dell’attuale ciclo economico fosse realistico, ci aspetterebbe ancora un buon lustro di inflazione (cioè di svalutazione), addirittura con punte superiori a quelle raggiunte lo scorso anno.
Proviamo di conseguenza ad osservare cosa succederebbe in entrambi gli scenari economici. Cioè quello -che chiameremo scenario di base- in cui ci troveremmo alla fine della fase 5 del grafico di copertina oppure quello -che chiameremo scenario estremo- in cui (come scrive Larry Summers) ci troveremmo ancora in piena fase 4:
A: SCENARIO DI BASE
Laddove ci trovassimo alla fine del periodo di inflazione sarebbe relativamente normale sperimentare una coda di quest’ultima, sia pur in presenza di un cospicuo rallentamento dell’economia, cioè di una fase in cui la crescita del prodotto interno lordo delle principali nazioni si sta interrompendo. E’ ciò che gli economisti chiamano “deflazione”, in cui i prezzi delle materie prime scendono perché la loro domanda si indebolisce in funzione del calo del reddito disponibile per i consumi.
In effetti In tale scenario l’inflazione ha eroso una parte del potere d’acquisto di salari e stipendi, che però fanno fatica ad adeguarsi ai prezzi accresciuti perché intervengono licenziamenti e tagli dei costi, necessari per far fronte al calo dei consumi. Sarebbe una fase in cui anche i prezzi degli immobili volgeranno al ribasso per il medesimo motivo: il calo della capacità di reddito media e l’offerta che eccede la domanda.
E’ ancora una fase in cui l’investimento azionario continua a convenire (ma sempre meno) rispetto a quello in titoli a reddito fisso, che assicurano una cedola (a differenza dei titoli azionari, i quali pagano dividendi soltanto se ci sono abbastanza profitti e questi non devono essere tutti reinvestiti nelle innovazioni). I titoli a reddito fisso potrebbero addirittura rivalutarsi in un prossimo futuro in cui i tassi scenderanno, ma evidentemente deve essersi verificata prima la condizione che le banche centrali abbiano finito la stretta antinflazionistica che riduce la liquidità (cosa tutt’altro che scontata al momento attuale). Viceversa il valore capitale delle obbligazioni scenderebbe per adeguarsi ad ulteriori crescite dei tassi d’interesse.
B: SCENARIO ESTREMO
E’ quello in cui l’ampia durata del ciclo economico comporterebbe una fase inflazionistica finale tutt’altro che esaurita. Laddove infatti ci fossero nuovi rincari del costo delle materie prime (e ad esempio al momento attuale stiamo sperimentando un rincaro dei costi energetici) l’inflazione potrebbe riservarci nuove sorprese, soprattutto se l’economia occidentale non avesse smesso di crescere (e in effetti l’economia americana marcia ancora al ritmo del +2,5% al netto dell’inflazione quest’anno).
In tal caso l’investimento azionario sarebbe ancora relativamente conveniente (soprattutto per gli investimenti in tecnologia e per le “cash cow” cioè per le imprese capaci di produrre generosi dividendi) e invece l’investimento obbligazionario riserverebbe di nuovo brutte sorprese.
In realtà i tassi a lungo termine (che sono quelli di riferimento per i titoli di stato e obbligazionari) potrebbero continuare a salire di livello anche per un altro motivo: la legge della domanda e dell’offerta. Se l’offerta di titoli a reddito fisso (cioè la ricerca di finanziamenti) dovesse continuare a superare la domanda (cioè l’ammontare dell’investimento complessivo nei medesimi titoli) ecco allora che il valore in conto capitale scenderebbe, e i tassi relativi si accrescerebbero. Ora, poiché il debito pubblico dell’intero Occidente continua ad aumentare e le banche centrali continuano con la stretta monetaria, è chiaro che il rischio che ciò accada è piuttosto concreto.
CONCLUSIONI
E’ relativamente probabile che l’inflazione non abbia ancora finito di mordere, quantomeno per i problemi geopolitici che a loro volta tengono alto il prezzo dell’energia (in primis petrolio e gas). Che questa situazione danneggi l’Europa è assolutamente evidente, mentre per l’economia americana, esportatrice netta tanto di tecnologie quanto di energia, la situazione e più complessa da analizzare.
Difficile spingersi oltre, se non per riassumere tutte le indicazioni emerse con un invito maggiore del solito all’investimento mobiliare.
In Italia peraltro fanno eccezione le PMI che si quotano in borsa, tanto per le basse valutazioni che il mercato riserva loro e che possono far sperare in apprezzamenti successivi dei titoli, quanto per l’indubbia selezione che il mercato è costretto a fare tra le migliori aziende per poterle accettare al listino di borsa. I titoli obbligazionari restano invece decisamente speculativi, soprattutto in questa fase e sino a quando l’Unione Europea non avrà fatto qualche altro passo avanti verso un effettivo consolidamento.
Stefano di Tommaso
APPUNTI DI TRADING
N. 42 – sabato 9 settembre 2023 ( la Lettera ritrova i grafici e quindi si merita una numerazione intera )
Operazioni in essere :
comperato merc. 6.9 un DIC MINI SILVER a 23,50 con stop loss a 22,30
GOLD OTT 23
Registra movimenti molto contenuti, che rendono impossibile guadagnare. Segnalo un ciclo che pone due minimi evidenti ( 1893 cash e 1885 cash ) a 8 e 16 settimane dal top di 2060.
Il livello di 1885 quindi rappresenta un doppio minimo decrescente e la eventuale rottura potrebbe dare una discesa di rilievo, primo ostacolo circa 1800.
Sul lato opposto, richiamo ancora una volta l’attenzione sul fatto che attribuirei importanza alla eventuale chiusura di un qualsiasi mese sopra 1998 ( rammento che si tratta del top di aprile 2022, di notevole rilievo ciclico )
Nel caso si verificasse, potremmo assistere allo sfondamento del triplo massimo, con accelerazione difficile da stimare.
SILVER DIC 23
Ha dato un utile enorme in un lampo, ma le svolte sono violente, poco adatte ad una Lettera che deve durare tutta la settimana e che si è data un profilo di rischio contenuto.
Grande profitto, ma presenterà il conto.
La Lettera 41 e tre quarti ha comprato a 23,50 , ma la discesa non si è fermata.
Cancello il secondo acquisto a 23,00 e attendo sviluppi.
Ovviamente lo stop loss resta a 22,30 e potrà solo salire.
La eventuale, non creduta, rottura di 22,00 cash – oltre a rappresentare lo stop loss per le posizioni rialziste – forse meriterebbe uno short, ma non ho fretta.
DOW JONES INDU CASH
Ormai dal 14 agosto non riesce a toccare la trend line che avevo tracciato dal 13 ott 2022.
Appare debole rispetto al NAS 100
La eventuale rottura del minimo di agosto potrebbe già essere un detonatore per il ribasso, ma mi sembra presto; gradirei che trascorresse un anno dal 13 ott 2022 e manca veramente poco.
Una discesa prima di allora sarebbe poco maneggevole per la Lettera.
NASDAQ 100 CASH
Avevo scritto :
“Segnalo che da lu 24 luglio a ve 4 agosto scade un ciclo di medio – alta importanza, che potrebbe completare la spinta rialzista in corso”
La discesa è stata modesta e ha dato un profitto limitato, rispetto al rischio rappresentato dal cavalcare un Mercato capace di movimenti violenti.
Per fortuna ho scritto la ( non programmata ) N. 41 e mezzo, nella quale ho chiuso i ribassi; diversamente tutto il profitto sarebbe stato riassorbito in pochi gg, convertendosi in una perdita.
Cancello gli ordini che avevo inserito, rimasti non eseguiti.
La Lettera ricomincerà con il contratto dicembre, il settembre scade ven. 15.9
Con un certo orgoglio sottolineo :
– osservate quale difficoltà NAS 100 cash incontra a 15600 ormai da 8 settimane.
– l’ostacolo di 15600, formatosi in gennaio del 2022, era stato indicato nel grafico allegato sin dalla N. 32 di sabato 27 maggio 2023, quando NAS 100 non aveva superato 14300.
Quel prezzo ha tenuto sino ad ora, con eccessi di pochi gg.
Mi piacerebbe che, infine, NAS 100 rompesse questo livello al rialzo, prima di punire duramente i rialzisti.
Continuo a colorare di giallo i 4 outside rialzisti che ha fatto dal 17 marzo, per ricordare di cosa è capace NAS 100
Leonardo Bodini
EUROPA IN STAGFLAZIONE
Quali scenari si aprono alle porte dell’Autunno? Le prospettive non sembrano favorevoli allo sviluppo economico e, con lo spettro della sostenibilità dei maggiori oneri sui debiti pubblici, anche la stabilità finanziaria dell’intero Occidente sembra a rischio. Le borse tuttavia sembrano restare bene impostate e, in funzione della liquidità in circolazione (necessaria affinché siano assicurati i rinnovi dei titoli di stato in collocamento) e non è così scontato che possano subire le conseguenze della recessione europea in corso. I tassi però continuano a salire, anche quelli a lungo termine, sulla base dei quali vengono attualizzati flussi di cassa prospettici delle aziende, al fine di stimarne il valore attuale netto. E se così sarà anche le quotazioni borsistiche saranno destinate a ridimensionarsi…
I DEBITI PUBBLICI POTRANNO SOLO ESSERE “MONETIZZATI”
L’intero Occidente continua ad avere deficit pubblici “strutturali” (cioè irrinunciabili) e alimenta in tal modo l’ampliamento costante del più grande debito pubblico della storia dell’umanità. La cosa è arcinota ma negli ultimi tempi, dopo i repentini incrementi dei tassi d’interesse praticati dalle banche centrali occidentali per combattere l’inflazione, sta tornando alla ribalta della cronaca il dibattito sulla sostenibilità del debito pubblico, con i rischi che ne conseguono per la stabilità finanziaria globale.
Con i probabili ulteriori aumenti dei tassi che si prospettano il rischio insomma non è soltanto che qualche altra banca possa “saltare” per aria, ma anche che i mercati perdano fiducia nella capacità dei governi occidentali di fare fronte alle loro scadenze di ripagamento di capitali e interessi. Un rischio che sospinge al rialzo i rendimenti dei titoli di stato (anche quelli a lungo termine) e che può comportare un ridimensionamento anche delle valutazioni aziendali implicite nei livelli di quotazioni dei listini delle borse.
L’AMERICA SE LA CAVA ATTIRANDO CAPITALI
Il problema non è soltanto la necessità di trovare (o stampare) il denaro per i debiti pubblici che ogni mese si aggiungono al totale esistente, ma anche quello di rifinanziare i debiti contratti in precedenza, che arrivano alla loro naturale scadenza. Chi esagera al riguardo è l’America che con soltanto il 4% della popolazione mondiale raggiunge il 40% del totale di tutti i deficit pubblici del mondo e il 60% della somma di tutti i deficit delle partite correnti. In pratica ogni mese il tesoro americano deve sperare che arrivino sempre più quattrini dal resto del mondo -oltre che dai risparmiatori americani- a finanziare l’allargamento del debito pubblico e il rinnovo delle sue scadenze. Oltre a sperare che la bilancia dei pagamenti (ove le partite correnti sono “strutturalmente” in deficit) venga riequilibrata dagli influssi di capitali che affluiscono sui mercati finanziari.
In effetti sino ad oggi il meccanismo ha funzionato molto bene e i risparmi privati di tutto il mondo hanno continuato ad affluire in quantità consistenti verso i mercati finanziari americani. Ma cosa permette all’America di restare così attrattiva? Il Dollaro, ovviamente. Senza la libertà di stampare una grande quantità di banconote aggiuntive che finiscono puntualmente nelle mani di qualche straniero la banca centrale americana (la Federal Reserve Bank of America, altrimenti nota come FED) non potrebbe aiutare il Tesoro federale americano a sostenere il gioco.
IL DOLLARO ASSICURA I MIGLIORI RENDIMENTI
E il dollaro resta una valuta attrattiva non soltanto perché da esso passa circa il 84% di tutti gli scambi commerciali internazionali, ma anche perché offre rendimenti “reali” (cioè al netto dell’inflazione) di tutto rispetto: circa il 2,2% al momento, mentre l’Euro non soltanto offre rendimenti nominali a breve termine più bassi (il 4% invece del 5,5% americano) ma porta anche anche con sé il virus di un’inflazione “core” (cioè al netto dei costi energetici e per le materie prime) ben più alta di quella americana (circa il 6% medio contro il 3,3% americano).
L’ANDAMENTO DELL’INFLAZIONE “CORE” NEI PRINCIPALI PAESI
Neanche nel resto del mondo si trovano rendimenti reali così interessanti come quelli sul Dollaro, ma con la differenza che, ad eccezione della Banca d’Inghilterra, le banche centrali delle altre maggiori economie globali non sono così dipendenti da quella americana come lo è la nostra. Il problema è che la nostra economia “corre” molto meno di quella americana, che quindi può molto più tranquillamente della nostra sopportare tassi d’interesse così elevati riuscendo ugualmente a generare una crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) e, più o meno conseguentemente, dei salari e stipendi.
L’EUROPA È GIÀ IN RECESSIONE
In Europa invece non solamente abbiamo le principali economie industriali (Germania, Italia e Francia) decisamente riflessive. La Francia tra l’altro non soltanto non cresce, ma deve anche gestire come può un malcontento sociale al di sopra di ogni precedente storico e in anticipo su quelli che si stima arriveranno presto (nell’autunno alle porte) nel resto del continente. In Italia ci sono le prime avvisaglie delle proteste popolari di chi con l’inflazione ha subìto una forte decurtazione del potere d’acquisto e, per quanto riguarda il PIL, ci stiamo appellando al fatto che l’ultima rilevazione, pur esprimendo una crescita negativa, è più alta rispetto a quella di un anno fa, ma sono soltanto manfrine politiche: la buona sintesi è che anche da noi c’è una recessione e per di più con la prospettiva di peggiorare, di conseguenza, il deficit del bilancio pubblico (si stima che arriverà a fine anno al 4% del PIL, cioè che le spese pubbliche eccederanno del 10% le entrate).
E tutto questo avviene mentre la banca centrale europea prosegue nella sua volontà-necessità di elevare i tassi d’interesse a breve termine, e mentre l’inflazione rallenta sì, ma molto meno che in America. La Divisa Comune peraltro, subisce ugualmente un leggero deprezzamento, cosa che ovviamente alimenta altra inflazione, “importata” appunto con la svalutazione del cambio. Gli incrementi futuri del tasso d’interesse europeo inoltre comporteranno per i Paesi dell’Unione, ulteriori restrizioni all’erogazione del credito e, in definitiva, ulteriori rallentamenti nello sviluppo economico.
L’INFLAZIONE PUÒ TORNARE A CRESCERE
Il problema vero che si prospetta a breve e che rischia di far saltare l’equilibrio attuale tuttavia è che i prezzi delle materie prime (che negli ultimi mesi sono addirittura arretrati rispetto a un anno fa) oggi rischiano di tornare a salire, mentre sta lentamente risalendo il costo dell’energia (soprattutto quello legato alla sua produzione bruciando petrolio e gas), con la possibilità che questi movimenti tornino a dare impulso all’inflazione, così come era avvenuto un anno fa.
L’ANDAMENTO DELL’INFLAZIONE NEGLI ANNI ‘60 E ‘70 É STATO IDENTICO A QUELLO DEGLI ANNI 2013-23. É DUNQUE PROBABILE ANCHE UNA RIPRESA DELL’INFLAZIONE DOPO IL PRIMO CALO QUEST’ANNO, COSÌ COME É SUCCESSO DAL 1976 IN POI.
Era già successo negli anni ‘70, quando l’inflazione era andata avanti piuttosto a lungo con il classico schema “a onde”, che rischia anche questa volta, mezzo secolo dopo, di ripetersi. Non tanto per l’America, che sembra più capace di reagire, quanto per l’Eurozona, a cavallo di numerosi problemi strutturali (un sistema industriale talvolta arretrato e molto legato a impiantistica e automotive di vecchia generazione) e sociali (con un welfare difficilmente sostenibile per i bilanci pubblici e al tempo stesso insufficiente per gli strati più deboli della popolazione).
IL PEGGIORE DEGLI SCENARI POSSIBILI: LA STAGFLAZIONE
Dunque la prospettiva di ulteriori rallentamenti dell’economia principalmente dovuti ai rialzi dei tassi d’interesse si sommerebbe a possibili nuove fiammate inflazionistiche, generando il peggiore degli scenari possibili. Non è affatto certo che ciò possa succedere, ma il solo fatto che la cosa desti allarme, per il gioco delle aspettative può deprimere le speranze (appena riaccese) dei mercati finanziari, i quali continuano a vedere nelle brutte notizie congiunturali delle buone notizie relative alla possibile futura discesa dei tassi d’interesse. Probabilmente illudendosi.
Le banche centrali infatti, anche quando hanno il solo obiettivo della stabilità dei prezzi (come la BCE), in realtà non possono prescindere dalla stabilità finanziaria, cioè dalla salute della banche di credito ordinario e del sistema dei pagamenti. Una crisi di fiducia nei debiti pubblici minerebbe alla radice anche il resto e questo le banche centrali non possono permetterselo.
I TASSI RESTERANNO ALTI, E A LUNGO
La ricetta dunque, per quanto poco confessabile, non potrà che essere quella di dare un colpo al cerchio (l’inflazione) e uno alla botte (l’acquisto -anche indiretto- dei titoli emessi dalle pubbliche amministrazioni). E la strada per farlo è soltanto una: alzare ancora i tassi d’interesse, anche per controbilanciare l’ulteriore liquidità che, acquistando o facendo acquistare titoli di stato, inevitabilmente metteranno in circolo.
Ne consegue una congiuntura probabile piuttosto tetra, in cui gli elevati tassi d’interesse non scalfiranno più di tanto l’inflazione (che tutto sommato appare come una manna per ridurre i problemi di sostenibilità dei debiti pubblici) che, se tornerà a salire lo farà soprattutto in funzione della scarsità di risorse energetiche a disposizione del vecchio continente, e che dunque rischia di essere poco correlata al livello dei tassi d’interesse. Quest’ultimo viceversa potrà avere effetti recessivi che si manifesteranno gradualmente nei prossimi mesi sino a mettere letteralmente in ginocchio l’economia europea. Meno per quella americana e assai poco per quella asiatica, dove i tassi non sono di fatto quasi stati rivisti.
MA LE BORSE NON DIPENDONO SOLO DALL’ECONOMIA EUROPEA
Le borse occidentali, pur in un momento di grazia non potranno non risentirne, così come le quotazioni dei titoli di Stato, che inevitabilmente incorporeranno il rialzo dei rendimenti attesi, ragione per la quale occorrerà molta prudenza sui mercati. Più difficile sarà quantificare la tempistica di questo possibile scenario, dal momento che il problema riguarderà soprattutto l’economia continentale, mentre il resto del mondo probabilmente non andrà in recessione oppure questa sarà molto lieve. I mercati finanziari sono sempre più globalizzati e dunque non è così scontato che possano risentire troppo dei problemi europei.
La situazione tuttavia non sarà facile nemmeno per gli USA, dove l’anno di campagna elettorale che si prospetta molto battagliata potrà riaccendere ancora una volta i fari sul merito di credito del debito pubblico americano, oggettivamente fuori di ogni controllo.se ciò accadesse inevitabilmente le borse ne risentirebbero.