FARE A MENO DELLE BANCHE

ARRIVA IL CREDIT CRUNCH

Se lo stato dell’economia globale appare (al momento) meno peggiore di ciò che si poteva temere, il cosiddetto “credit crunch” (la restrizione del credito) diviene tuttavia una prospettiva sempre più concreta per le imprese, soprattutto quelle italiane ed europee. L’inflazione infatti non tornerà presto ai livelli precedenti (addirittura persino il governo italiano ha pragmaticamente inserito nelle proprie previsioni che l’inflazione media del 2023 sarà del 6%) e conseguentemente le banche centrali proseguiranno -almeno per un po’- il loro percorso di “stretta” monetaria, basato sull’ulteriore innalzamento dei tassi d’interesse e sulla restrizione della liquidità disponibile sui mercati.

 

Fonte: Milano Finanza 13.4.2023

LE BANCHE CENTRALI ANDRANNO AVANTI

Che l’inflazione dipenda prevalentemente da cause esogene (guerra e petrolio, transizione energetica, materie prime, scarsità di risorse lavorative, siccità, inadeguatezza delle infrastrutture eccetera) piuttosto che dalla vivacità dei consumi apparentemente non interessa a nessuno. Né ai “media” né alle banche centrali. Anche se viene comunemente riconosciuto che sono proprio le cause esogene dell’inflazione quelle che determinano oggi la sua resistenza a scendere più velocemente. La sensazione è che le banche centrali perciò andranno avanti a “stringere” sin tanto che non avranno contribuito a provocare una forte frenata dello sviluppo economico, l’unico fattore che può davvero riportare l’inflazione al tasso/obiettivo del 2% .

I RISCHI PER IL SISTEMA

Che questo comportamento possa generare rischi per il sistema finanziario e per la salute delle banche è assolutamente evidente, come si è visto nei casi recenti di fallimento di colossi come il Crédit Suisse. Cosa che si spera di limitare attraverso una più severa regolamentazione e vigilanza sul sistema bancario. Ma ciò non potrà non influire sulla prudenza con la quale esso sarà disponibile a fare credito alle imprese.


Una disponibilità che dipende anche dall’andamento della raccolta di depositi e dalla capacità di collocare sul mercato emissioni azionarie ed obbligazionarie, ovviamente entrambe molto danneggiate dalle minori prospettive di profitto e dalla limitazione conseguente della fiducia dei risparmiatori.

E in periodo come questo si è già visto un forte deflusso di denaro dei risparmiatori dai depositi bancari ai fondi di mercato monetario oppure a investimenti alternativi capaci di proteggere dalla svalutazione, come l’oro e gli altri metalli preziosi.

LA CONSEGUENZA PRATICA: MENO CREDITO

Se perciò sembra evidente che la tenuta del sistema bancario sarà legata ad un deciso inasprimento delle politiche di erogazione del credito, soprattutto quello “commerciale”, cui sono legati i maggiori rischi per le banche, è relativamente facile di conseguenza prevedere che per le imprese clienti sarà più difficile andare avanti, soprattutto per quelle più piccole e meno capitalizzate, cioè più dipendenti dai rubinetti del credito. Se insomma in passato si parlava di un “rischio credit crunch” oggi esso sta divenendo una realtà con cui dover fare i conti, per tempo possibilmente!

PREVENIRE, PRIMA CHE CURARE:

Inutile quindi soffermarsi troppo sulle cause macroeconomiche di quel che accade, dal momento che non si tratta più di esplorare un possibile scenario bensì di prendere atto del fatto che esso si è tradotto in realtà e, casomai, chiedersi cosa ne discende in termini microeconomici e come confrontarvisi dal punto di vista delle imprese. A partire dall’individuazione di un nuovo e diverso equilibrio finanziario basato, appunto, sulla minor disponibilità di credito, soprattutto per le imprese meno capitalizzate. Queste ultime dovrebbero pertanto prenderne giusta nota senza sottovalutare il problema, arrivando a rivedere radicalmente la loro strategia di business, come vedremo più avanti.

1.RIDURRE GLI INVESTIMENTI PROGRAMMATI

Le esigenze finanziarie dipendono dall’equilibrio tra il denaro contante in entrata e quello in uscita. Se perciò erano previsti investimenti produttivi sulla cui finanziabilità si sarebbe potuto ragionare in termini opportunistici, alla luce del quadro macroeconomico che si profila all’orizzonte occorrerà condizionarli alla possibilità di riuscire a reperire le risorse necessarie. Non solo: anche dal punto di vista della loro convenienza occorrerà fare nuovamente di conto, dal momento che il maggior costo del denaro rischia di minarla alla radice.

2.RIDURRE IL CAPITALE CIRCOLANTE

Un altro fronte “caldo” sotto il profilo delle risorse finanziarie aziendali è ovviamente il capitale circolante netto (CCN), ovvero la somma algebrica delle risorse impiegate nel “magazzino” e nei crediti alla clientela, al netto di quelle indirettamente godute attraverso il credito di fornitura. Spesso il successo finanziario delle imprese si gioca proprio sulla capacità di controllare il CCN, soprattutto in tempi non favorevoli in termini di profitti netti (e cassa generata dai margini aziendali) e di credito disponibile.


Conviene pertanto ragionare in termini di manovre alternative alla riduzione dei finanziamenti che è possibile raccogliere sul mercato sebbene anche tali alternative normalmente incorporano un costo, che spesso non è facile stimare. Tali manovre passano innanzitutto dalla possibilità di ridurre il magazzino sino al limite del medesimo, dal momento che comporta immobilizzi finanziari. Così come dal concedere minor credito alla clientela, soprattutto se in parallelo accade ciò che è ovvio in questi casi: e cioè che anche le forniture andranno progressivamente pagate più in fretta, dal momento che probabilmente lo stessa esigenza è nutrita anche dalle imprese fornitrici.

3.RIVEDERE LA STRATEGIA DI MERCATO

Occorre poi riflettere sui possibili impatti di tali manovre sulle vendite e sui profitti, dal momento che spesso il minor credito alla clientela si traduce in una contrazione tanto del fatturato quanto dei margini di profitto. Così come una maggior cautela negli investimenti produttivi comporta un impatto pressoché ovvio sull’efficienza gestionale e sullo sviluppo del business. Entrambi fattori che normalmente determinano la necessità di ridurre allo stretto indispensabile i costi del personale (diretti e indiretti), di rinviare decisioni di spesa e ogni genere di allocazioni di capitale non strettamente produttrici di reddito, di ridurre ad esempio gli investimenti rivolti alla transizione energetica, di rivedere i programmi di spesa informatica e nella digitalizzazione nonché di selezionare diversamente la clientela, anche sulla base della tempistica di pagamento.


In termini macroeconomici perciò la riduzione di risorse finanziarie disponibili per le imprese ha sicuramente severi effetti recessivi e può addirittura contribuire ad alimentare l’inflazione dal momento che ha ricadute in termini di velocità di circolazione della moneta, che non può che aumentare quando le risorse finanziarie sono scarse e il ciclo dei pagamenti tende ad accelerare. Così come il maggior costo dei servizi finanziari non può che riflettersi nella necessità di incrementare i prezzi di vendita, talvolta anche per recuperare quei margini di profitto che sono rimasti compressi a causa dell’impossibilità di agire istantaneamente.

4.IL MODELLO DI BUSINESS VA RIVEDUTO

Ma è dal punto di vista strategico che la maggior vischiosità del credito può generare i problemi principali a livello nazionale, perché -come è ovvio- essa colpisce soprattutto le imprese più deboli, cioè meno capitalizzate, e quelle meno stabilizzate, ovvero quelle nate da poco che puntavano decisamente sullo sviluppo del business per trovare un miglior equilibrio. Anche laddove la maggior parte di quelle imprese venisse acquisita o passasse sotto il controllo (anche indiretto) delle imprese più grandi (e sappiamo invece che in molti casi non è così), il danno collettivo in termini di sviluppo e occupazione è praticamente assicurato. E viene del pari messa a rischio la sopravvivenza di quelle imprese che stavano nascendo o attraversando una crisi temporanea o un percorso di ristrutturazione aziendale.


È questo un tema di grande riflessione per l’industria, anche quella di maggiori dimensioni, dal momento che spesso essa basa il proprio modello di business su una miriade di micro-fornitori i quali, in caso di severa restrizione del credito, non possono sopravvivere oppure pretendono di essere pagati in anticipo per garantirsi un qualche equilibrio finanziario. L’intero comparto manifatturiero perciò ha molto da temere laddove il sistema finanziario arrivi a tirare decisamente i freni, ma soprattutto ha da rivisitare le filiere di approvvigionamento, il contesto competitivo e l’impostazione dei canali distributivi, dal momento che questo genere di cambiamenti genera ogni sorta di rischi e opportunità ma soprattutto punisce chi rimane immobile.

5.IL COSTO DEL CAPITALE SALE

In generale peraltro è intuitivo ragionare sulle conseguenze anche in termini di domanda dei capitali di rischio, che in questi casi non può che crescere proprio mentre la relativa offerta si assottiglia. Non può che derivarne un incremento del loro costo, così come una riduzione dei moltiplicatori di valore d’impresa, tanto nelle fusioni&acquisizioni quanto sui mercati borsistici, le cui valutazioni si basano quasi esclusivamente sull’attualizzazione dei profitti futuri. È chiaro che se i tassi di attualizzazione (soprattutto quelli in termini reali, cioè al netto dell’inflazione) crescono, le quotazioni azionarie non potranno che scendere.

È sulla base di queste considerazioni che, almeno nel contesto europeo, tendiamo ad essere prudenti circa le prospettive dei mercati, tanto azionari quanto obbligazionari. Anche per questi ultimi infatti, se i rischi di credito si impennano, le quotazioni finiranno con il risentirne, anche nei casi dei migliori rating aziendali. Ragione per la quale si accorciano le scadenze e si innalzano i rendimenti assoluti.


CONCLUSIONI

In definitiva le imprese possono sì “fare a meno delle banche” e, almeno in parte, ne saranno costrette, data la minor disponibilità di queste ultime ad erogare con la stessa facilità del passato. Ma tirare i cordoni della borsa non è mai facile e comporta una revisione integrale della strategia delle imprese che valutano di procedere in tal senso. Non basta infatti qualche razionalizzazione a sprechi e immobilizzi per evitare che la sopravvivenza stessa del business vada a rischio. In un contesto dove il credito costa più caro ed è meno facile da reperire è l’intera filiera produttiva che deve trovare un nuovo equilibrio, probabilmente passando per un allargamento della base azionaria, tanto per prudenza quanto per contrappeso al fisiologico incremento dei rischi che ciò comporta.

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 27 – giovedì 13 aprile 2023

Nessuna operazione in essere

Questa lettera ha un contenuto limitato in quanto scritta giovedì 13.4 in tarda sera

E’ unicamente un aggiornamento della precedente N.26

Dalla N. 28 riprenderà la redazione del fine settimana che beneficia dei dati di chiusura di ogni venerdì precedente

GOLD GIU 23

Il livello di 1998, corrispondente al top di aprile 2022, da possibile tetto, sembra diventato un pavimento.

Uso il condizionale perché la mia analisi tecnica si basa sui prezzi di GOLD in USD, ma il grafico è ben diverso se vedessimo un grafico di GOLD in EURO.

Segnalo che USD rispetto ad EURO è sceso in poco tempo da 1,055 a 1,105 e quindi bisogna capire quanto GOLD è salito per forza intrinseca e quanto è dovuto al cambio valutario.

Il grafico registra fino a gio 13 apr, in quanto mi sono assentato dallo studio in tale data

Allego un grafico mensile che evidenzia che siamo in zona triplo massimo mensile con i precedenti di 2075 ( Covid nell’anno 2020 ) e 2070 ( Ucraina nel 2022 )

Il triplo massimo è certamente una delle più potenti figure di vendita, nella analisi tecnica ed inoltre GOLD sta arrivando a questi prezzi in un clima nuvoloso, dal punto di vista della politica internazionale (guerra UCRAINA e rischi TAIWAN )

Mi limito volutamente all’analisi tecnica, non avendo capacità di previsione su questi fatti internazionali, ma osservo che GOLD sta giungendo per la terza volta nell’area 2070 e per la terza volta ci sono gravi preoccupazioni; comprerò malvolentieri la eventuale rottura di 2075.

Al momento non inserisco ordini, prima di vedere se GOLD ritorna sotto 1998 cash, in questi gg.

DOW JONES INDU CASH – NASDAQ 100 CASH

DOW JONES ha andamento ascendente, con forza relativa che si alterna di settimana in settimana rispetto al NAS 100.

Proseguo quindi l’analisi anche sul DOW, per capire ove mi converrà operare.

Ritengo che eventuali aperture di short siano meno convenienti di posizioni rialziste e quindi cercherò di capire quale dei due mercati USA sarà il più forte per aprire un LONG su di esso.

Veniamo ora al NASDAQ 100.

Il prezzo non molla mai ed evita di scendere a 12650 – 12200, per consentire un acquisto con risk-reward accettabile

Si mantiene quindi molto lontano dallo stop loss, che sbaglierei ad alzare da 11800 a suo tempo individuato.

Invito a controllare il livello di 12900 del FUT GIUGNO che mi sembra significativo, se rotto al ribasso.

Nel caso di rottura, tutta questa presunta forza potrebbe dissolversi e diverrebbe possibile un ritracciamento profondo, anche sotto 12200, molto comodo per comperare con stop loss accettabile

La Lettera da lu 17 aprile rinnoverà gli ordini scaduti gio 6 aprile e che, ritengo scadranno non eseguiti, ven 14 aprile:

compero 1 GIUGNO MICRO NASDAQ 100 a 12650 con stop loss 11800

compero 1 GIUGNO MICRO NASDAQ 100 a 12200 con stop loss 11800

Lo stop loss è già così molto ampio, ma ritengo che debba essere accettato per riuscire ad entrare nel volatile NAS 100 e segnalo che un rischio medio di 600 su 12000 circa corrisponde già al 5 %.

Ritengo obbligatorio quindi usare dosi minime, da incrementare solo sulle eventuali conferme di un trend rialzista, che sembra già avviato.

Leonardo Bodini




TRASLAZIONE LATERALE

Dopo mille domande e timori su inflazione, recessione, rialzi dei tassi e crisi bancarie, è difficile persino accettare l’idea che le borse non siano crollate e che la disoccupazione non sia (quasi) aumentata. Eppure è così: i mercati da un anno si muovono all’interno di un canale di oscillazione che non è cambiato, e questo accade mentre i tassi d’interesse salgono, l’economia rallenta, il credito bancario si fa sempre più raro e i consumi scendono in tutto l’Occidente. Ci sono spiegazioni razionali o siamo sull’orlo di un nuovo baratro?

 

Sembrerebbe che la risposta a tale domanda sia affermativa, anche se le previsioni -si sa- è sempre difficile farle, soprattutto quando riguardano il futuro (come affermava esattamente un secolo fa il nobel danese Niels Bohr). Esistono cioè delle risposte razionali che possano giustificare almeno in parte ciò che accade oggi e fornire altresì talune indicazioni sul prossimo futuro. Ma ci sono anche elementi che fanno dubitare che la narrativa oggi prevalente possa perdurare. Proviamo dunque ad esplorarle:

1. I tassi d’interesse:

Apparentemente l’inflazione dei prezzi al consumo scende ma, per comprendere meglio,

occorre distinguere tra le categorie di prezzi che muovono la statistica: i prezzi delle materie prime e quelli energetici vanno giù, ultimamente anche quelli dei servizi, ma, continua a salire il costo del lavoro, rischia di salire la pressione fiscale e crescono le spese sanitarie e previdenziali. Insomma, ci sono componenti dell’inflazione che non andranno giù facilmente e che rischiano di guastare la festa ai mercati finanziari che scontano già dei ribassi per i tassi d’interesse intorno a fine anno. Al momento infatti tanto la Federal Reserve (USA) quanto la BCE (Europa) stanno ancora pianificando uno o due ulteriori rialzi dei tassi. Oggi la risalita dei tassi d’interesse è considerata dai mercati temporanea, e il mercato dei titoli a reddito fisso sconta di conseguenza un ribasso nel giro di pochi mesi. Se questa narrativa dovesse venire ribaltata scorrerebbe nuovo sangue a Wall Street e in tutto il sistema bancario, la cui crisi è stata al momento coperta dalle rassicurazioni fornite da governi e autorità monetarie.


2. Le banche:

Le perdite accumulate dal settore creditizio e ancora oggi non evidenziate non potranno restare nascoste per sempre, mentre sarà sempre più difficile permettere loro di compensarle con altri profitti proprio a causa della normativa che si fa più stringente relativamente alle perdite su crediti e ai requisiti di capitalizzazione, che riducono le prospettive di profitto.

Al tempo stesso il settore è fortemente segmentato: da una parte ci sono i grandi istituti che sono sottoposti a controlli più stringenti, dall’altro ci sono quelli più piccoli, che rischiano di sparire come neve al sole e che non potranno essere tutti salvati da nuovi interventi pubblici. Insomma se i tassi d’interesse non riprenderanno a scendere presto l’economia reale sconterà quantomeno una minor capacità di credito al sistema delle imprese e forse altri fallimenti di banche. Se non ulteriori corse agli sportelli. In tutto il mondo. Il sistema insomma non è risanato e il contagio dei suoi virus all’economia reale non è affatto terminato. E le prospettive di profitto delle banche regionali tendono decisamente al ribasso. Come si può leggere dal grafico qui riportato:


C’è peraltro una variabile di cui al momento quasi nessuno tiene conto nell’equilibrio economico degli istituti di credito, che riguardano l’ampiezza ed il costo della raccolta dei depositi. Sino a ieri la liquidità messa in circolazione dalle banche centrali in qualche modo “percolava” fino ad alimentare i depositi bancari, ma il progressivo restringimento della massa monetaria (soprattutto in Occidente) rischia di generare l’effetto opposto, mentre la parte del leone nella raccolta dei risparmi la fanno quasi solo i “fondi di mercato monetario”, dal momento che i risparmiatori sono spaventati dalla prospettiva di perdere il denaro depositato nelle banche.

3. Le imprese e le borse:

Uno dei grandi temi di dibattito in questi giorni è la stima dei profitti aziendali che le imprese mostreranno per il primo trimestre dell’anno, soprattutto ai fini della tenuta delle loro quotazioni azionarie. Le previsioni per le prossime relazioni trimestrali sono piuttosto ottimistiche, come si può leggere dal grafico qui riportato:


Anche perché molte imprese sono riuscite addirittura a rialzare i loro margini unitari con l’inflazione, ma ovviamente molto dipenderà anche dall’andamento dei consumi, che invece appare decisamente riflessivo. Negli USA, dove questi ultimi contano molto sul totale del Prodotto Interno Lordo, stanno stimando le quantità anche in funzione del reddito disponibile, in calo nonostante i rialzi dei salari, decisamente più vivaci che in Europa. Ma il tesoretto di risparmi accumulati durante il periodo pandemico rischia di esaurirsi molto in fretta, come si può leggere dal grafico qui riportato, costringendo presto i consumi a flettere:


CHI HA RAGIONE ?

La recessione insomma è alle porte e la sensazione è che al momento ancora si preferisca esorcizzarla piuttosto che incorporarla nelle stime dei profitti aziendali dei prossimi mesi. Se la recessione morderà decisamente i consumi di beni e servizi, inevitabilmente anche i corsi dei titoli azionari dovranno riflettere prospettive meno rosee. Che potrebbero restare positive soltanto qualora si materializzassero ribassi dei tassi d’interesse proporzionalmente più ampi della discesa delle vendite. L’indice relativo all’ottimismo dei “purchasing managers” (il PMI) infatti è in discesa in tutto l’Occidente:


Insomma l’economia mondiale sembra essere giunta a un bivio relativo all’ampiezza e alle possibili conseguenze della prossima recessione e i mercati nel frattempo restano in attesa. In attesa non soltanto dei dati relativi ai profitti trimestrali, bensì soprattutto in attesa delle grandi notizie macroeconomiche che potrebbero esorcizzare i peggiori timori: quelli di un allargamento delle tensioni geopolitiche in corso, quelli (addirittura) di un potenziale rincaro dei costi energetici, e quelli di ulteriori danni allo sviluppo economico globale che potrebbero derivare da una riduzione più marcata del commercio internazionale.

LO SCENARIO MIGLIORE…

Se la recessione in arrivo durerà pochi mesi e non sarà accompagnata da ulteriori cadute della fiducia dei risparmiatori, le prospettive relative alla ripresa che dovrebbe svilupparsi nel 2024, insieme alle attese di una rapida inversione della tendenza dei tassi d’interesse potrebbero materializzare una tenuta dei mercati finanziari e una ripresa degli investimenti produttivi. La traslazione laterale in corso potrebbe dunque partorire intorno all’estate un’uscita verso l’alto delle borse dall’attuale canale di oscillazione. In tal caso la scommessa che molti stanno facendo sulle quotazioni dell’oro (oggi tornato ai massimi di oltre un decennio) potrebbe avere successo.


… E QUELLO PEGGIORE

Se invece qualche ulteriore elemento di disturbo arrecherà danni alla fiducia dei risparmiatori e alle prospettive delle imprese, allora la recessione che sta per arrivare in tutto l’Occidente potrebbe venire considerata tutt’altro che temporanea, e trascinare con se anche una serie di problemi relativi ai mercati finanziari, all’eccesso di indebitamento del sistema globale e alle borse, le quali finirebbero per incorporare prospettive ben peggiori di quelle oggi scontate.

Si rischia insomma in tal caso una nuova turbolenza, sinanco peggiore di quella occorsa esattamente quindici anni fa, nel 2008, quando il mondo peraltro scontava un minor debito globale rispetto ad oggi, minori problemi geopolitici e un sistema bancario più solido di quello attuale. Una turbolenza che -a ragion del vero- al momento non è incorporata in alcun dato di mercato, e speriamo a ragione!

Stefano di Tommaso

 




APPUNTI DI TRADING

N. 26 – sabato 8 aprile 2023

Nessuna operazione in essere

GOLD GIU 23

Dopo aver tentato per quasi due settimane di rompere 1998 senza mai chiudere sopra, martedì 4 aprile, alle 16.00 ora italiana, GOLD ha fatto un allungo poderoso con vendita a 2015 di 5 GIUGNO MICRO GOLD FUT centrando dopo pochi minuti lo stop loss a 2035, subendo uno stop loss di 20 punti x 50 usd = perdita usd 1000

Gold cash è poi salito fino a 2032 ( 2049 GOLD FUTURE GIUGNO )

Se il livello di 1998, corrispondente al top di aprile 2022, non verrà rapidamente attaccato dall’alto verso il basso, da possibile tetto, diventerà un pavimento e dovrò programmare acquisti e non più vendite.

Infatti, fino a prova contraria, GOLD ora è molto più forte e quindi cercherò acquisti in debolezza, come già fatto a 1840, evitando le vendite in forza, come fu prima eseguito a 1960.

Il grafico registra fino a gio 6 apr, in quanto le borse occidentali erano chiuse il Venerdì Santo.

Non inserisco ordini, prima di vedere se GOLD ritorna sotto 1998 cash, in questi gg.

DOW JONES INDU CASH – NASDAQ 100 CASH

DOW JONES ha andamento ascendente, ma con forza relativa minore del NAS 100

Poiché non sono interessato alle vendite, in quanto ritengo che ora sia meno rischioso comperare, tralascio il DOW per il mio trading e mi concentro sul NAS 100.

Proseguo ugualmente l’analisi sul DOW, per avere un “parametro di scenario”, che aiuta a capire il NAS 100 che, come ho sottolineato fino alla noia, è estremamente veloce e quindi pericoloso.

Veniamo ora al NASDAQ 100.

Come scrissi nella N. 25, il mercato non fa la cortesia di scendere a 12300, per consentire un acquisto con risk-reward accettabile e quindi si mantiene molto lontano dallo stop loss, che sbaglierei ad alzare da 11800 a suo tempo individuato.

E’ come se volesse costringere ad assumere un rischio oltre il 5-6 % a chi vuole entrare.

Non ci sto e non alzo i prezzi di acquisto, perché NAS 100 è furbo, ma la Lettera ormai ha la “pancia piena” e non ha senso alzare il profilo di rischio; se me lo danno, bene, sennò attendo.

La Lettera da lun 10 aprile rinnoverà gli ordini scaduti gio 6 aprile:

compero 1 GIUGNO MICRO NASDAQ 100 a 12600 con stop loss 11800

compero 1 GIUGNO MICRO NASDAQ 100 a 12200 con stop loss 11800

Lo stop loss è già così molto ampio, ma ritengo che debba essere accettato per riuscire ad entrare nel volatile NAS 100 e segnalo che un rischio medio di 600 su 12000 circa corrisponde già al 5 %.

Ritengo obbligatorio quindi usare dosi minime, da incrementare solo sulle eventuali conferme di un trend rialzista, che sembra già avviato.

Leonardo Bodini