BANCHE CENTRALI ALLA SVOLTA

Dopo i disastri degli ultimi dieci giorni i più hanno sperato che la tempesta che negli ultimi dieci giorni ha investito le banche occidentali fosse finalmente passata! I timori però sono ancora tutti vivi, non soltanto perché è fresco il ricordo di ciò che è successo quindici anni fa (nel 2008, con la crisi dei titoli “subprime” il sistema bancario globale era andato in crisi) ma anche perché è chiaro che le banche centrali per salvare le banche devono tornare a finanziarle e correre ad abbassare i tassi d’interesse: cioè l’esatto opposto di quel che stavano facendo. Col rischio di entrare in recessione con un’inflazione ancora alta, con un livello di indebitamento complessivo mai visto in precedenza e con un grande fardello di titoli (da svalutare) ancora nei loro bilanci. Cioè con le armi spuntate e con forti perdite in conto capitale!

 

UNA SETTIMANA DI PASSIONE

Nel frattempo qualche dato numerico può aiutare a comprendere qual è stata (sino allo scorso Venerdì) la portata della crisi di fiducia che si è generata nei confronti delle banche a causa dell’ottusità delle banche centrali e dell’eccessiva velocità delle loro manovre : il BTP a 10 anni ha superato il rendimento del 4%, il listino azionario della Borsa di Milanop ha perso quasi il 7% nel corso dell’ultima settimana, Madrid oltre il 6%, Londra il 5%, Francoforte e Parigi oltre il 4%. In media il settore bancario in Europa è sceso di oltre l’11%. La presa di coscienza del fatto che il rialzo dei tassi d’interesse ha deprezzato molte poste all’attivo dei bilanci delle banche quotate ha insomma limato non poco le valutazioni, facendole scendere al di sotto dei valori contabili del patrimonio netto (book value).

L’INTERVENTO DELLA FEDERAL RESERVE

Certamente stavolta le autorità monetarie americane hanno agito con solerzia nel fornire al mercato finanziario segnali rassicuranti: dopo il fallimento delle prime due banche (i cui depositi sono stati salvaguardati con una garanzia straordinaria del Governo degli Stati Uniti d’America onde evitare una nuova corsa generalizzata agli sportelli) è stata la volta del Crèdit Suisse, sostenuto con un prestito ponte da 50 miliardi di franchi svizzeri dalla banca centrale di Berna e infine incorporato da UBS.


Per evitare poi altri tracolli la Federal Reserve Bank of America (FED) ha girato alle banche che ne hanno fatto richiesta un supporto straordinario (discount window) di oltre 160 miliardi di dollari nel corso della sola ultima settimana! Ma non è bastato: per salvare un’altra banca in crisi di fiducia da parte del sistema (First Republic Bank) la FED ha dovuto convincere i principali istituti bancari del paese a prestare a quest’ultima altri 30 miliardi di dollari.

ADDIO AL TAPER TANTRUM

Ma l’intervento massiccio della banca centrale americana ha gettato un’ombra non irrilevante sulla possibilità pratica di proseguire il “taper tantrum” recentemente avviato (il programma di riduzione della liquidita disponibile che sarebbe servito, insieme ai rialzi dei tassi, a contrastare l’inflazione dei prezzi). La liquidità totale disponibile sul mercato peraltro non era affatto calata, non soltanto perché ci sono alcune banche centrali orientali, come quella di Pechino, che viceversa stavano pompano nuova liquidità, ma anche perché quasi tutti i governi occidentali stanno ancora intervenendo a livello di politica fiscale con programmi di sostegno alle imprese e ai cittadini è per evitare che i rialzi dei prezzi possano mettere in ginocchio le loro economie. Dunque se le banche centrali tolgono liquidità dal mercato ma poi i governi la immettono, il risultato combinato è nullo, ma il debito pubblico in compenso cresce.

Il punto però è che la principale arma nelle mani delle banche centrali per combattere l’inflazione: i rialzi dei tassi d’interesse, in tal modo serve a ben poco. Non a caso l’inflazione infatti fa fatica a scendere negli USA e soprattutto in Europa. Per contrastarla bisognerebbe provocare una vera e propria recessione, che in effetti sembra proprio essere in arrivo, ma che si sperava di poter “addolcire” con ammortizzatori sociali e sussidi alle imprese più colpite.

L’ECCESSIVO INDEBITAMENTO DEL SISTEMA

E sono proprio queste le difficoltà maggiori per le banche centrali: se il sostegno al sistema bancario renderà loro impossibile perseguire contemporaneamente un certo rigore nel combattere l’inflazione con gli strumenti a loro disposizione, è probabile che si entri in recessione non soltanto con un’inflazione troppo alta (soprattutto se paragonata a quella in essere nel 2008) ma anche con un eccesso di indebitamento del sistema finanziario, che nel 2008 era molto inferiore. Dunque con un forte rischio di tenuta del sistema finanziario!


Come detto non è possibile combattere l’inflazione con altri rialzi dei tassi d’interesse se l’indebitamento del sistema rischia di diventare insostenibile. Né con la riduzione della liquidità disponibile se significa far fallire le banche e affossare le borse valori. Si rischia cioè una crisi di fiducia sinanco peggiore di quella del 2008, e a seguito della quale potrebbero esserci problemi anche per le principali divise monetarie come il dollaro, la sterlina o l’euro. D’altra parte l’ovvia riduzione della disponibilità di credito per le imprese non potrà che accelerare l’entrata in recessione del mondo occidentale, costringendo queste ultime a ridurre le scorte e a rialzare i prezzi di vendita, cioè l’inflazione.

Per non parlare poi della possibilità che arrivino nuovi tagli dei posti di lavoro e nuovi fallimenti delle imprese che non trovano più supporto finanziario. Tutte cose che portano con sé un probabile calo significativo dei consumi e, di conseguenza, dei profitti delle imprese. Proprio quelli che erano stati sino ad oggi il puntello che ha sostenuto le quotazioni dei listini azionari, fornendo l’impressione che la recessione, se mai sarebbe arrivata davvero, non avrebbe colpito duramente i principali indici borsistici.


Si parla inoltre di una probabile “crisi di fiducia” perché se la sensazione di fragilità oggi percepita dagli operatori nei confronti del sistema bancario potrebbe estendersi a tutti gli altri comparti del mercato finanziario. In pochi giorni potrebbero dunque risultare spazzate via le speranze di pilotare l’economia verso un “atterraggio morbido” e la situazione di conseguenza potrebbe risultare “sfuggita di mano”, soprattutto se perdurasse la crisi di fiducia nel sistema finanziario.

L’INFLAZIONE POTREBBE “RIENTRARE” DA SOLA

Per onestà intellettuale bisogna tuttavia aggiungere che quest’ultima non è scontata. E che peraltro l’arrivo della recessione potrebbe contribuire a ridurre ulteriormente la domanda (e dunque i prezzi) delle materie prime e dell’energia, cioè di quelle due componenti che avevano provocato il forte rialzo anche di tutti gli altri prezzi un paio di anni fa. Sempre che non riprenda il tam-tam della transizione energetica verso le fonti rinnovabili, che in questo momento l’Occidente non può permettersi. Dunque si potrebbe sperare che almeno l’inflazione dei prezzi possa ridursi autonomamente, e lo stesso potrebbe valere per l’inflazione salariale, che inizierebbe a venire contrastata dalla ripresa della disoccupazione.


Dunque -se la crisi di fiducia non di propagherà- non si tratterebbe di che di una più brusca frenata dell’economia, cioè di un’accelerazione di quella che potevamo sperare fosse una transizione “morbida” verso la recessione. Un’ipotesi che potrebbe essere fondata, dal momento che abbiamo appena osservato che in circolazione c’è ancora molta liquidità e che dunque un crollo delle borse al momento non appare così probabile, soprattutto se si riuscirà a sostenere adeguatamente le banche e ad evitare di conseguenza il cosiddetto “credit crunch” (cioè il crollo della disponibilità di credito per le imprese). Ma per riuscirvi le banche centrali dovrebbero cambiare rotta in fretta, contraddicendosi pesantemente e riducendo i tassi d’interesse, a meno di non voler provocare un pesante crollo della sostenibilità dei debiti pubblici della maggior parte dei paesi occidentali (a partire dal nostro).


MA LE BANCHE CENTRALI HANNO SBAGLIATO TUTTO

Il re (le banche centrali) però è ora nudo! Ancora una volta le autorità monetarie hanno maneggiato così goffamente gli arnesi a loro disposizione da riuscire a provocare un’accelerazione degli eventi che potevamo francamente risparmiarci. Dapprima sottovalutando l’arrivo dell’inflazione. E poi rialzando i tassi d’interesse ad un ritmo mai visto in precedenza! E il colmo del loro discredito sarebbe assistere ad una discesa dell’inflazione proprio mentre i tassi d’interesse vengono fatti calare e il supporto finanziario alle banche viene rafforzato. Ma resterà senza dubbio un’opzione migliore della sua alternativa, e cioè di una nuova crisi di sistema. Che oggi -a differenza di 15 anni fa- metterebbe davvero in ginocchio l’intero sistema economico occidentale!

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 23 – sabato 18 marzo 2023

 

Acquistati martedì 7 marzo 2023 5 micro apr gold fut a 1840, che da lu 20.3 verranno venduti al meglio, al primo prezzo disponibile

GOLD APR 23 – GIU 23

Ovviamente sono molto contento, anche di aver sottostimato il possibile target della salita di GOLD, tuttora in corso, con una accelerazione insolita ven 17 marzo.

Il profitto, non ancora incassato, che si è formato dopo l’acquisto di GOLD apr fut eseguito il 7 marzo, è veramente speciale.

Figlio più delle difficoltà di CREDIT SUISSE che del fallimento di Silicon Valley Bank, di cui ormai pochi sembrano ricordarsi, dopo soli 6 gg di trading.

Normalmente questa Lettera lascia correre i profitti e taglia le perdite, come è testimoniato dalla forte differenza tra il profitto medio e la perdita media, ma una spinta così forte e per me forse eccessiva, mi fa passare alla cassa.

Ho in mente ben altro, dato lo sconvolgimento dello scenario, ma non voglio annoiare.

Mi limito a invitare tutti ad annotare che :

– il grafico GOLD CASH mensile evidenzia una spinta da Lehman Bros ( 686 ) al 2011 ( 1919 ) che è stata ritracciata oltre il 50%
– lo stesso grafico evidenzia che questo forte ritracciamento fu seguìto da 2016 – 2017 – 2018, triennio di “DEAD ZONE” in cui i massimi erano calanti ed i minimi erano crescenti ( quasi un megafono… , quasi )
– dall’ultimo minimo di 1160, dal quale è partita la grande salita a 2075 ( nel mezzo ci fu il COVID, ma GOLD era in altro occupato ) il range di 915 è stato ritracciato a 1614 ( 2075 – 1614 = 461 ) vale a dire la metà esatta, se mi scontate i decimali
– dopo una pericolosa indifferenza a qualsiasi evento ( Ucraina, rischio Taiwan………..) pare che qualcosa finalmente sia risultato indigesto.

Tutto ciò indurrebbe a pensare che per la Lettera sarebbe meglio lasciare correre il profitto del brillante acquisto di GOLD, ma il fatto che USD sia relativamente forte mi manda alla cassa per riscuotere; mi pentirò, pazienza.

Dopo la necessaria premessa, da lun 20 marzo inserirò :

– vendo a mercato ( al meglio ) tutti i 5 APR MICRO GOLD FUT a suo tempo acquistati a 1840
– a 1930 compero 5 GIUGNO MICRO GOLD FUT, con stop loss a 1900.

Devo passare al contratto giu 23 perché apr 23, che ha dato profitti elevati e difficilmente ripetibili, va in consegna prima di fine marzo.

DOW JONES INDU CASH – NASDAQ 100 CASH

Sono sufficienti poche righe per il DJ.

Basta osservare il comportamento di DJ CASH da quando ven 10 marzo ha raggiunto la riga che trovate sul grafico giornaliero per capire che questo mercato, con close giornalieri che si alternano sopra e sotto tale riga, sta cercando un punto di inversione al rialzo, ma in una forte incertezza.

Con i dubbi non si fanno i soldi, quindi soprassiedo fino alla ricomparsa di un trend.

Poiché qualcuno sta apprezzando queste lettere per motivi molto diversi, tra i quali :

– sembra si impari qualcosa,
– mettono in ROSSO evidente le perdite, rammentando a tutti che solo uno su dieci “ ce la farà “,
– esibiscono un certo coraggio, anche ad abbandonare un mercato se presenta risk – reward non favorevole,

per non smentirmi, passo alla peggior belva che solchi i mercati, quel “distruttore di mille per arrichirne uno” che si chiama NASDAQ 100.

Lo amo ? Lo odio ? Non ho ancora deciso, dopo tanto tempo.

Di certo è salito da Lehman Bros ( 1019 ) al nov 2022 ( 16764 ) di oltre 16 volte, per poi tritare i ritardatari fino a 10440 in pochi mesi.

Un vero mostro, anche per la dimensione; il MINI NAS 100 FUT vale USD 20 da moltiplicare la quotazione, quindi ora corrisponde a USD 250000 circa.

Userò pertanto il MICRO FUTURE ( corrisponde a 1/10 del MINI FUTURE, vale a dire solo USD 2 da moltiplicare per la quotazione )

Forse sarebbe meglio guardarlo con ammirata paura, tuttavia la Lettera da lu 20 marzo inserirà :

compero 2 GIUGNO MICRO NASDAQ 100 a 12300 con stop loss 11800

Vogliamo proprio vedere, insieme, come andrà a finire.

Leonardo Bodini

 

P.S.
Per chi proprio è incontentabile, o vuole entrare negli iniziati, invito a guardare il grafico settimanale ( solo le ultime 4 settimane )

Troverete tre outside consecutivi costituenti un embrione di megafono, vale a dire che NAS 100 ha stoppato tutti i traders in entrambe le direzioni, per quasi un mese.

Una macelleria finanziaria.

E’ quindi solo per spirito di servizio che esordisco nel momento meno performante possibile, in un mercato che credo di aver chiaramente definito venti righe sopra.







 

 

 

 




BANK RUN

Anche nel 2008 era cominciata in sordina: Lehman Brothers era forse la più piccola tra le grandi banche d’affari americane ma la sua caduta è stata sufficiente a innescare la percezione di un forte rischio sistemico. Stavolta è capitata alla regina delle banche che finanziavano le Startup della Sylicon Valley (la SVB) ma è già partita la corsa agli sportelli per ritirare i depositi e ci si può scommettere sul fatto che non si fermerà ad un caso isolato. Che peraltro sono già due: durante il fine settimana è circolata la notizia che è già fallita una seconda banca californiana: la Signature Bank!

 


Sul mercato lo scorso venerdì il tonfo maggiore poi non lo ha procurato la SVB con i suoi 10 miliardi di dollari di capitalizzazione bruciati per il solo fatto di aver annunciato una perdita straordinaria di meno di 2 miliardi di dollari: ad esempio la caduta del 5,4% della capitalizzazione di JP Morgan ha bruciato da sola quasi 22 miliardi di dollari! Mediamente alla vigilia del fine settimana le quotazioni delle grandi banche sono scese del 5% e quelle delle piccole e medie del 15-20%!

Era già capitato con le piattaforme di trading delle Criptovalute (ad esempio la Silvergate), che sono di fatto delle banche in altra forma, dal momento che raccolgono denaro per investimenti: la loro crisi ha generato un clima di sfiducia generale su tutto il comparto. Ma stavolta torniamo a parlare di banche vere e proprie, vigilate e con obblighi patrimoniali sotto gli occhi di tutti.


Il problema delle banche nasce con le otto “strette” di tassi e liquidità che la banca centrale americana ha già attuato a partire dall’anno scorso, che hanno determinato ovvie minusvalenze sui titoli a reddito fisso e sugli investimenti a lungo termine, tra i quali sicuramente i mutui casa. In generale molti operatori, riducendo l’investimento delle proprie riserve obbligatorie nel comparto azionario, hanno incrementato l’acquisto di titoli a reddito fisso, accumulando negli ultimi mesi importanti minusvalenze. Questo ha spinto le banche a proporre tassi più vantaggiosi sui depositi, salvo poi realizzare anch’esse perdite in conto capitale sul portafoglio titoli.

All’inizio il miglioramento dei margini di interesse legato a tassi più alti aveva addirittura fatto avanzare le valutazioni dei titoli azionari quotati delle banche, ma non ci si era resi conto -collettivamente- del fatto che difficilmente la miglior redditività riesce a compensare le perdite in conto capitale. Dunque il problema che ha investito le prime due banche della vallata delle tecnologie americane rischia di non restare affatto un caso isolato.

Il problema è anche legato al fatto che l’economia americana va meglio di quanto si sarebbe pensato e che di conseguenza l’inflazione “core” (cioè quella non legata agli alti e bassi dell’energia) non è mai scesa davvero. Per questo motivo la banca centrale ha dovuto dichiarare che non potrà che continuare a calcare la mano sui rialzi dei tassi d’interesse, nel prossimo futuro, almeno sino a quando l’inflazione non darà segni di flessione significativa. Ma tecnicamente ciò potrà avvenire soltanto quando i consumi dovessero iniziare a flettere, cioè quando la gente avrà finito i quattrini. Tecnicamente cioè quando la crescita economica cederà il passo ad una decrescita, cioè a una recessione. Che adesso tutti si aspettano!


Quando la scorsa settimana il discorso del governatore della Federal Reserve Bank of America lo ha chiarito, si sono aperte le cateratte, generando un clima di sfiducia che dalle borse si è propagato a tutti i comparti dei mercati finanziari. Adesso gli analisti si aspettano che i tassi d’interesse americani arrivino anche oltre il 6% a fine anno e il dollaro di conseguenza si mosso decisamente al rialzo contro tutte le altre valute. Dunque se così fosse non soltanto non si vedrebbe presto quel “pivot” (picco) negli aumenti dei tassi che potrebbe preludere ad una nuova fase espansiva, ma c’è da attendersi che anche le altre banche centrali saranno costrette a ruota a proseguire sul rialzo dei tassi.

Ora poi la “curva dei rendimenti” (cioè l’andamento dei tassi a partire da quelli a breve fino a quelli a lungo termine) è inclinata in modo fortemente negativo (la differenza tra i tassi d’interesse a 2 anni e quelli a 10 anni supera il punto percentuale a favore dei primi) e questo è considerato deciso presagio di una nuova forte recessione. Laddove infatti si è verificata in passato una tale congiuntura si è poi sempre arrivati -in un tempo tecnico che va dal trimestre all’anno- ad una vera e propria recessione.

La prospettiva di una prossima recessione -sino a ieri soltanto ipotizzata- ovviamente non aiuta gli investimenti a lungo termine sulle nuove tecnologie, che avevano prosperato quando i tassi erano bassi e la liquidità abbondava. Dunque l’America rischia di farsi male da sola proprio nel comparto che più l’ha aiutata ad avere superiorità militari e ad attrarre capitali e cervelli. E il governo americano potrà intervenire a sostegno del sistema bancario soltanto fino a un certo punto, dal momento che è di nuovo molto vicino al limite di debito posto dalla legge.

Senza contare il fatto che ad essere sotto osservazione sono ora soprattutto le banche di piccola e media dimensione, meno capitalizzate rispetto ai grandi colossi ma essenziali per supportare le aziende di piccola e media taglia, che da sempre hanno costituito il polmone tecnologico dell’America. Se altre di queste banche dovessero saltare, salterebbe del tutto anche la fiducia degli operatori economici e si ridurrebbe il moltiplicatore del credito, che contribuisce a formare la base monetaria del sistema americano, con ovvie conseguenze in tutto l’Occidente.

È anche per questo motivo che le valutazioni delle aziende appartenenti al settore delle banche ha subìto un tracollo lo scorso venerdì quasi in tutto il resto del mondo. In Europa i listini lo scorso venerdì hanno chiuso presto, arginando la discesa dei titoli bancari a qualche punto percentuale, ma nessuno sa cosa potrà succedere stamane: al momento in Asia le borse stanno scendendo!

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 22 – sabato 11 marzo 2023

Acquistati martedì 7 marzo 2023 5 micro apr gold fut a 1840, che da lu 13.3 avranno stop loss a 1840 ( in pari )

GOLD APR 23

Nella N.21 avevo scritto : “………….. GOLD CASH ha segnato 1804.70 la scorsa settimana ed è risalito immediatamente quasi il 40 % della discesa da 1960 a 1804. In soli tre giorni. Sembra quindi un mercato molto forte. Non mi convince.”

Effettivamente l’ennesima esternazione del presidente della FED J. POWELL ha spinto in giù GOLD fino ad azzerare ( quasi ) la violenta salita di cui sopra, sfiorando lo stop loss stabilito nella N.21 ( 1813,40 il minimo toccato dal future aprile merc. 8 marzo ) per poi risalire sopra il prezzo di acquisto di 1840 apr fut

Che fortuna. Oppure lo stop loss era piazzato con accuratezza.

Questo doppio minimo crescente, anche se molto ravvicinato nei tempi, spero recluterà qualche altro investitore alla mia visione, che punta a proseguire qualche gg questa salita, ma non oltre il top dell’anno 2011 ( 1919, ovviamente cash )

Non oltre, nell’ àmbito di questa prima gamba in su.

Poi si vedrà.

Nella speranza che la salita possa proseguire 3 – 5 gg, da lu 13.3 inserirò il seguente ordine :

vendere 5 micro apr gold fut a 1840 stop loss valido da lu 13.3 e la seguente modifica da giovedì 16.3 : alzare lo stop loss al minimo dei due gg precedenti

Per la prima volta la Lettera prova a ovviare alla periodicità settimanale.

BTP FUT MARZO 2023

Le banche dati hanno iniziato a fare roll over dal contratto marzo 23 a quello giugno 23, con conseguente gap di prezzo; nuovamente il roll over “rovina“ la fruibilità dei grafici in mio possesso.

Eliminerò questo mercato.

DOW JONES INDU CASH

Brutta settimana

La N. 21 ha subito il più dannoso stop loss dal suo esordio, pari a USD 3000 (circa euro 2830 ) in seguito all’acquisto del future DOW JONES a 33100 durante POWELL’S speech di martedì 7 marzo, poi stoppato a 32500 gio 9.3, dopo la notizia delle difficoltà di una banca che finanziava in prevalenza le start up.

Quando ho scritto la N.21 una settimana fa, DOW JONES apr fut era a 33400 circa e misi enfasi nel fatto che l’ingresso eventuale, se DJ fosse sceso a 33100, comportava uno stop loss molto costoso a 32500, oltre i miei parametri, tanto che avevo stabilito di alzarlo, ove fosse stato rotto il massimo del giorno di ipotetico acquisto,evento non verificatosi.

Mart. 7.3 durante il discorso di POWELL, che ha ribadito che i tassi resteranno alti a lungo e saliranno, se necessario, il mercato ha perso circa 600 punti, eseguendo l’acquisto a 33100, con successiva discesa fino a 32626 ( lo stop loss era a 32500 ) il successivo merc 8.3, per poi rompere gio 9.3 il top del giorno precedente.

Lo stop loss era stato avvicinato, ma non raggiunto, vale a dire : pareva ben piazzato.

Qui arriva l’imprevedibile : la SVB – SILICON VALLEY BANK, non paragonabile a LEHMAN BROS, ma di rilievo in quanto pare che abbia venduto in fretta e furia attivi allibrati a 21 billions, sopportando una perdita di 2 billions, così scendendo sotto i parametri patrimoniali, annuncia la necessità di raccogliere oltre 2 billions; immediatamente perde in quotazione il 60 % e crea molta apprensione.

DOW JONES, che aveva retto alle parole poco accomodanti di POWELL, rompe il livello 32500 di stop loss e accelera fino a 31787 il giorno successivo.

Quei cari ( sembrerebbe più bravi di me ) amici, che ipotizzavano la rottura di 32500 piuttosto che di 34350, hanno gentilmente telefonato per commentare.

Non voglio annoiarvi, ma credo poco ad un eventuale crollo del DOW JONES sulla notizia; tuttavia temo che non vi siano molti gg di tempo per ritornare sopra 32500, se non si vuole che un incidente si trasformi in una tragedia.

Sembra purtroppo che altre banche del pianeta vedano gli attivi costituiti in parte non irrilevante da bond di durata ben oltre i 12 mesi, iscritti a costi di acquisto antecedenti l’estate 2021, vale a dire a prezzi di affezione.

Il verde è per la speranza.
(Che non vi debbano essere altre vendite urgenti )

Allego il consueto grafico giornaliero del DOW JONES nel quale ho aggiunto alla linea che partiva dal minimo del 13 ott 2022 a 28660 un’altra con la stessa origine, ma pendenza dimezzata; essa ci offre un possibile supporto, proprio intorno ai minimi di ieri ven. 10.3.

Come annunciato, allego infine un grafico intraday che evidenzia che DJ, dopo le parole di POWELL di martedì, era risalito da 32626 fino a 33002, vicino al prezzo di ingresso, ma il crash di SVB di gio 9.3 ha innescato una discesa di oltre 1200 punti da 33002 a 31787, in meno di un giorno.

Dopo uno stop loss, la lettera non inserisce ordini per una settimana.

Leonardo Bodini