LE DIVERGENZE DELL’OCCIDENTE

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I tassi d’interesse aumentano, l’economia rallenta, l’inflazione cala (ma non troppo), l’indebitamento continua a crescere e la guerra Ucraina rischia di allargarsi. Eppure le borse vanno alla grande e i mercati finanziari brindano: che succede? Dipende soltanto dal fatto che l’inflazione ha iniziato a calare? No,non solo. E quest’ultima non è detto sia ancora vinta..!

 

GLI EFFETTI DELL’ECCESSO DI CONCENTRAZIONE DELLA RICCHEZZA

Fior di studi sula concentrazione della ricchezza in poche potentissime mani hanno dimostrato che è una minaccia per la democrazia e il sistema di mercato che l’ha prodotta. Il rischio è quello di una progressiva inefficacia della politica a favore di chi esercita un potere finanziario o oligopolistico, arrivando a controllare le sorti di migliaia di posti di lavoro, il sistema sanitario, le risorse energetiche, le scelte delle amministrazioni locali e sinanco quelle dei parlamenti nazionali.

LA COMPAGNIA HOLDING SPACiò che però in queste ultime settimane stiamo sperimentando appare come una fase “nuova” dell’era “post-capitalistica”, in cui i mercati e i loro grandi protagonisti stanno mostrando la capacità di farsi un baffo non soltanto delle politiche economiche e fiscali delle nazioni, ma persino delle politiche monetarie, rendendole di fatto poco efficaci. Questa “novità” potrebbe aiutare a spiegare i rialzi azionari e il morbidissimo impatto dell’inflazione e delle misure messe in campo per contrastarla sui profitti delle grandi multinazionali.

LA COMPAGNIA HOLDING SPASP500 Corporate Earnings 12/2022

LA DISCUTIBILE “MANFRINA” DELLE BANCHE CENTRALI

Le banche centrali alzano i tassi d’interesse ben sapendo che poco saranno efficaci per combattere l’inflazione perché l’origine di quest’ultima non è il surriscaldamento dei consumi o l’eccesso di investimenti, bensì la scarsità di offerta di materie prime ed energia. Provocano non poco patimento alle piccole imprese, ai privati, e ai lavoratori autonomi che devono sobbarcarsi una spesa aggiuntiva fingendo che il rialzo dei tassi ridurrà l’inflazione.

Quegli aumenti colpiscono poi anche il costo del debito pubblico. I governi devono perciò stanziare maggiori risorse per il servizio del debito, distraendole dalla previdenza sociale, dall’assistenza sanitaria e dal rinnovo delle infrastrutture.

LA COMPAGNIA HOLDING SPAMa il calo della domanda di beni e servizi dei privati e delle piccole imprese appare -per la prima volta nella storia economica- poco percettibile nelle statistiche, fino a mettere in discussione il concetto stesso di “recessione”. Le grandi imprese, la grande finanza, i grandi oligopoli dell’energia, della farmaceutica, delle tecnologie e del commercio elettronico, ne risentono tutto sommato piuttosto poco, a causa delle enormi risorse a loro disposizione per contrastare i venti avversi.

E LE BORSE BRINDANO…

I listini azionari delle borse valori dipendono molto più dall’andamento dei titoli principali per ammontare di capitalizzazione che non da quello generalizzato dell’economia reale che condiziona quasi esclusivamente i profitti e le prospettive delle imprese minori. Ed è probabilmente questo il motivo principale per cui le borse occidentali stanno correndo a gonfie vele proprio da Ottobre, in strana coincidenza tanto con il picco dell’inflazione quanto con l’acuirsi del conflitto ucraino. Oggi la borsa americana delle tecnologie (il NASDAQ) è cresciuto del 20% dall’inizio dell’anno!

E’ quasi come se coesistessero due diverse economie nell’ambito delle stesse nazioni: quella dei grandi oligopoli e dei grandissimi investitori finanziari (che trae persino giovamento dai rialzi dei prezzi delle risorse naturali e dal rialzo dei tassi) e quella di tutti gli altri (che ne soffre).

LA “DIVERGENZA” TRA GRANDI E PICCOLI OPERATORI ECONOMICI

Si è creata insomma una situazione che viene alimentata dalle stesse istituzioni pubbliche (a partire dalle banche centrali) per cui se i tassi salgono e i debiti pubblici peggiorano aumenta anche la divergenza tra le due categorie di operatori: quelli della prima categoria ci guadagnano e quelli della seconda ci rimettono.

Difficile affermare che il panorama economico occidentale, rarefatto e fortemente polarizzato sui pochi grandissimi operatori economici del terzo millennio, sia ancora il medesimo del capitalismo storico, i cui valori erano: la concorrenza perfetta, la libera circolazione delle idee e del sapere scientifico, l’intervento dei comitati antitrust, l’innovazione e il pionierismo. Sembra di parlare di concetti relativi ad un’altra era geologica e invece si riferiscono soltanto all’altro ieri!

IL RIARMO FAVORISCE L’INFLAZIONE

Oggi poi l’Occidente propone attraverso i suoi mezzi di informazione di massa una “crociata” contro Russia e Cina (oltre che tutti gli altri stati accusati di “amicizia” con Russia e Cina), ree di non aver piegato la loro politica a questa nuova forma di “oligo-capitalismo” che rischia di sfociare in una sorta di dittatura occulta e globale. In nome di questa grande mobilitazione l’Occidente corre al riarmo, “sanziona” chi esprime “divergenza” e talvolta chiude sinanco alla libera circolazione delle idee, delle persone e delle merci.

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Finanziare il riarmo tuttavia comporta scelte importanti: la spesa pubblica cresce a scapito del “welfare” e accresce il debito pubblico. Al tempo stesso contrasta gli effetti restrittivi della politica monetaria delle banche centrali. Cioè favorisce l’inflazione.

 

 

 

IL RISCHIO DI UNA “SECONDA ONDATA”

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E le statistiche dicono che l’inflazione non è ancora vinta. Tutt’altro! Anzi il rischio è quello di vederne una “seconda ondata”! Ci sono per ora pochi segnali ma preoccupano non poco: se la discesa dell’inflazione in Occidente fosse già terminata non solo le borse non potrebbero che scendere bruscamente, ma le banche centrali sarebbero costrette a reagire bruscamente provocando, stavolta sì, una vera e propria recessione! Uno di questi segnali è il prezzo del rame, salito di circa il 30% dai minimi di Ottobre. Il rame è considerato un “anticipatore” dell’andamento degli altri prezzi delle altre materie prime, di solito di tre mesi.

LA COMPAGNIA HOLDING SPAAltri segnali da non sottovalutare riguardano l’inflazione “core”, cioè quella che non tiene conto dei prezzi energetici ed alimentari, in lieve salita in quasi tutti i paesi europei, e soprattutto gli aumenti salariali. Particolarmente accentuati negli Stati Uniti d’America, anche in Europa stanno arrivando un po’ dappertutto, con il rischio che possano innestare una spirale dei prezzi (soprattutto dei servizi) che si autoalimenta. D’altra parte è da considerarsi quasi fisiologico che, dopo una prima ondata di rialzo dei prezzi, ce ne siano di successive, così come accade per le pandemie. Una serie di “fattori di trascinamento” dell’inflazione appaiono inevitabili.

FANNO BENE LE BANCHE CENTRALI?

Fanno bene allora le banche centrali ad annunciare altri rialzi? Probabilmente no, dal momento che i tassi più elevati assai poco incidono sulle vere cause, fatto salvo il caso in cui esse riusciranno a “scatenare” una seria recessione economica e un rialzo della disoccupazione, due che però avrebbero anche molti effetti collaterali, tutt’altro che desiderabili. Ad esempio abbasserebbero il gettito fiscale, provocando nuove tasse o di mettere a rischio la sostenibilità dei debiti pubblici). Non solo: eventuali disagi sociali porterebbero quasi automaticamente i governi ad aumentare la spesa per il “welfare” (cn un effetto opposto sull’inflazione), proprio quando meno potrebbero permettersela!

LA “DIVERGENZA” TRA POLITICHE MONETARIE E FISCALI

C’è una seconda divergenza al riguardo: se le politiche fiscali restano espansive (a causa dell’incremento della spesa pubblica che deve finanziare il riarmo e che cerca di contrastare i problemi sociali generati dall’inflazione) a poco serve stringere sulle politiche monetarie!

LA COMPAGNIA HOLDING SPASenza pretendere di possedere la verità, in quest’ottica apparirebbe più corretta una manovra delle banche centrali coordinata con i governi per restringere la liquidità in circolazione senza alzare i tassi, onde riuscire a correggere i prezzi di materie prime ed energia, con la finalità di toccare le vere cause dell’inflazione degli altri prezzi ed evitare che il rialzo dei tassi provochi conseguenze spiacevoli.

Ma il rialzo dei tassi d’interesse (soprattutto se dovesse sortire un rialzo di quelli reali, cioè quelli al netto dell’inflazione) appare un toccasana per i bilanci di banche, finanziarie e holding di partecipazione. Con tassi reali più elevati le rendite finanziarie crescono, a scapito dell’industria e del commercio. Si può comprendere dunque che ci sono forti interessi in ballo!

COSA SUCCEDERÀ

Prima di lanciarsi nelle previsioni occorre ricordare l’andamento ciclico di quasi tutte le variabili economiche e finanziarie: è probabile che le borse non proseguano troppo a lungo nella risalita di cui hanno goduto negli ultimi mesi dal momento che l’economia globale rallenta, lievemente ma inesorabilmente. È inoltre possibile che l’inflazione arrivi a “rimbalzare”, seppur di poco, spingendo le banche centrali a ulteriori rialzi dei tassi, peraltro già ampiamente annunciati!

Tuttavia se il conflitto ucraino non si allargherà e se non si creerà un secondo fronte di scontro a Taiwan o in generale con la Cina, allora è possibile che il prezzo del petrolio e del gas continuerà a scendere, con un benefico effetto sull’economia mondiale e sull’inflazione dei prezzi. Ciò potrebbe permettere alle banche centrali di interrompere i rialzi dei tassi anche in presenza di piccoli rialzi dell’inflazione “core”. Il che darebbe manforte alle borse per toccare nuovi massimi.

LO SCENARIO PIÙ PROBABILE

Quello appena descritto non è tuttavia lo scenario più probabile. Il consenso di mercato attribuisce la probabilità più elevata ad una “lieve” recessione, forse confinata alle sole economie occidentali, che deprimerà la dinamica dei prezzi ma che scatenerà anche molta incertezza sui mercati finanziari, soprattutto se accompagnata da nuovi attacchi da entrambi i fronti in Ucraina. Provocando una discesa moderata delle borse.

E in tal caso gli scenari possibili sono almeno due: se i prossimi scontri in Ucraina saranno brevi ma intensi e lasceranno spazio a nuove trattative per la pace, l’effetto negativo sarà contenuto.

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Auspicando infine che l’ultimo scenario abbia la minima probabilità di verificarsi, c’è invece la teorica possibilità che gli scontri prossimi venturi siano pesanti e non consentano di “aprire” ad alcuna soluzione diplomatica. Anzi, se anche nei confronti della Cina dovessero aumentare le tensioni, allora l’inflazione potrebbe riprendere la sua corsa anche a causa dell’accresciuta necessità di materie prime ed energia, che porterebbe a rialzi dei prezzi in breve tempo generalizzati. In tutto il mondo forse. Con buona pace per il buonsenso!

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 17 – sabato 4 febbraio 2023

Operazioni in essere :

venduti 5 micro gold apr 23 a 1960, ora con stop loss 1940 ( vendita eseguita merc 1 feb durante riunione FEDERAL RESERVE )

venduti 5 micro gold apr23 a 1905, ora con stop loss 1905 ( vendita eseguita ve 3 feb )

Premessa :

la settimana da lu 30 gennaio a ven 3 febbraio ha dato a questa lettera un utile molto elevato, poco usuale.

Se si considera inoltre l’utile percentuale realizzato dal 1 ottobre ad oggi, qualche trader penserebbe di aver già “fatto l’anno”.

Senza farsi prendere dall’euforia, che combatto con ogni mezzo, proveremo a vivere altre settimane simili.

GOLD APR 23

Troppo bello, si tratta anche di fortuna.

Dopo due stop loss consecutivi, costati usd 1270 il 1 dic 2022 e usd 500 il 19 gennaio 2023, la vendita in forza eseguita dalla lettera N.16 a 1960 durante il discorso di Jerome Powell, con successiva salita a 1975,20 senza colpire lo stop loss di 1980, ci ripaga dello sforzo.

Vendere una terza volta dichiaratamente contro trend non è da consigliare a nessuno, ma ho affrontato il rischio per una serie di coincidenze, tra le quali, nella lettera precedente, avevo citato la presenza di un ciclo di 13 settimane dall’ultimo minimo, uguale ai due precedenti, ma dal quale era partito il violento rialzo.

L’enorme outside ribassista dell’ultima settimana è un compenso persino eccessivo anche per tale caparbietà.

Chiacchere a parte, ora la doppia vendita del gold ha un utile solo potenziale, perché la vendita eseguita a 1960 offre un margine di sicurezza, mentre la seconda vendita a 1905 appare a rischio di tornare in perdita, data l’ampiezza del ribasso e la conseguente probabilità di rimbalzi, anche ben oltre il prezzo di ingresso.

Se rileggete la N.16 di sa 28 gen, troverete la condizione per inserire la seconda vendita – avevo scritto :

“Solo se venisse eseguita la vendita e poi GOLD scendesse prima di stoppare, inserirei un secondo ordine di vendita di altri 5 apr fut micro gold a 1905 stop per provare una discesa fino a 1840 – 1820 fut ( 1823 – 1803 gold cash )”

Così, fortunatamente, è avvenuto.

Poiché abitualmente sacrifico i guadagni per non subire perdite, la seconda vendita avrà da lu 6 feb uno stop loss in pari a 1905, mentre rischierò di perdere gran parte dell’utile ora in essere sulla vendita a 1960, inserendo uno stop loss molto ampio a 1940.

L’obiettivo di queste vendite appare intorno a 1800 – 1820 gold cash ( 15 usd in più per gold aprile sul quale è in essere il trade )

Difficile scendere oltre, al primo tentativo.

Di conseguenza la strada già percorsa in discesa è molta rispetto a spazi limitati ulteriori.

BTP FUT MARZO 2023

Solo nell’area 111 – 110 si potrebbe acquistare con stop loss a 108,36 bottom del future marzo 2023, ma il prezzo è lontano e non inserirò alcun ordine. Non merita altre righe.

DOW JONES INDU CASH

La lettera N. 16 proponeva da lu 30.1.23 lo stop loss a 33.850, che è stato centrato già nella mattina di lunedì, registrando un utile di ( 33850 – 33100 = 750 punti ) x 5 usd = 3750 usd.

Sono molto contento.

Resta da capire cosa succederà se il Mercato si appoggerà una seconda volta sul segmento che ho colorato di giallo della linea che avevo tracciato sin nella N.11 di sab 10 dic 2022.

Quella linea ha caratteristiche per le quali può reggere anche due o tre volte, ma il comportamento del DOW JONES nel delineare un possibile doppio massimo in zona 34350 cash ( + 100 per il contratto mar 2023 ) statisticamente concede poco tempo per trovare sostegno nella zona gialla; se non riuscirà a chiudere almeno un giorno sopra 34500 fut, DOW JONES potrebbe fallire l’appoggio e scendere, anche di molto.

Inserirò per la settimana che inizierà lu 6 feb un acquisto di un mini contratto in rottura di 34.500 – top di gennaio, per riaprire la posizione.

Lo stop loss sarà il minimo registrato nella giornata in cui viene eseguito l’acquisto.

Valuterò durante la settimana 6 – 10 feb se inserire una vendita alla rottura del minimo della settimana scorsa ( 33550 circa di mar fut ), ma una simile operazione non può trovare spazio in una lettera che deve durare una settimana, senza possibilità di intervenire.

Felice dell’utile incassato sul DOW JONES e del profitto potenziale su GOLD, penserò come consolidarlo, senza fretta di chiudere.

Leonardo Bodini






ORA IL RISCHIO È “CREDIT CRUNCH”

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Se le borse brindano, i mercati applaudono e i banchieri centrali fanno ancora finta di fare il muso duro ma in realtà cercano soltanto di non perdere la faccia, è perché le notizie macroeconomiche delle ultime settimane appaiono piuttosto positive. L’inflazione cala mentre l’economia mondiale -contro tutti i pronostici- cresce ugualmente, seppur meno dello scorso anno. Altra sorpresa è la domanda di lavoro, che appare ancora frizzante nonostante molti licenziamenti, chiusure aziendali, fallimenti e ristrutturazioni. Insomma nonostante tutto la gente continua a spendere e investire, seppure in tono minore, in tutto l’Occidente. E questa -per assurdo- è una brutta notizia per i banchieri centrali perché significa che dovranno rimanere ancora in guardia sul fronte della lotta all’inflazione.

 

Ma l’inflazione, oramai lo sanno anche i bambini, non si è abbattuta come una scure sulla gente a causa dell’eccesso collettivo di consumi, bensì per fattori obbligati (la ripresa della domanda di beni e servizi dopo il lockdown ) e fattori totalmente discrezionali, quali la necessità di transizione energetica e il conseguente maggior costo dell’energia, i rincari delle materie prime e la scarsità di semilavorati. Ora che da alcuni mesi (più esattamente da Ottobre) i relativi prezzi hanno iniziato a flettere, gli operatori economici hanno riacquistato ottimismo.

ORA IL RISCHIO È “CREDIT CRUNCH”
IL DEBITO GLOBALE CONTINUA A CRESCERE

Ma c’è un dato che preoccupa un po’ tutti gli osservatori: la crescita spaventosa del debito (pubblico e privato) in giro per il mondo. Di per sé il dato potrebbe non essere del tutto negativo, dal momento che se c’è un soldo di debito esiste da qualche altra parte del mondo il medesimo soldo di credito, cioè qualcuno ha prestato quel denaro e lo riattende indietro. Il credito è inoltre un formidabile moltiplicatore della moneta circolante, dal momento che con il credito la moneta appare nella disponibilità (futura) tanto di chi dovrà riaverla, quanto in quella (attuale) di chi la riceve. E con quella moneta prestata si possono realizzare investimenti in grado di generare crescita economica e dunque reddito e ricchezza.

Ma i timori di un’inflazione fuori controllo hanno spinto le banche centrali a “stringere” la politica monetaria, cioè a ridurre la liquidità in circolazione e rialzare i tassi d’interesse, anche perché -con l’inflazione -i rendimenti finanziari in termini reali erano scesi sotto zero. E c’è un dato che -quando salgono i saggi d’interesse- va osservato con molta attenzione anche perché la sua misurazione è tutt’altro che banale: la sostenibilità del debito. Meno il debito è sostenibile e più danni può generare il suo ampliamento. Più lo è invece e meglio si trova l’economia di chi lo utilizza per investire nel futuro.

Indubbiamente con l’aumento dei tassi d’interesse la sostenibilità del debito rischia di venire compromessa, poiché cresce il saggio di rendimento da pagare e di conseguenza il costo di quel debito. Se sale troppo arriva ad azzerare il beneficio di averlo ricevuto come finanziamento. La domanda di case e beni di consumo durevole ad esempio è molto sensibile all’aumento del costo del loro finanziamento perché entra nel loro costo complessivo. Se i tassi continuano a crescere i mutui e il credito al consumo costano più cari e la gente frena la spesa perché teme di non farcela.

LA SOSTENIBILITÀ DEL DEBITO SI RIDUCE

Presumibilmente dunque la sostenibilità del debito (per una nazione, un’azienda o un individuo) scende al crescere del suo costo. Così come scendono i consumi al crescere del costo per interessi. In definitiva se l’ammontare del debito non è necessariamente un problema per l’economia mondiale, qualora essa si accompagni ad una decisa crescita del suo costo, il problema lo crea eccome, dal momento che, quando sale il costo del credito :

  • la spesa per impianti e macchinari tende a ridursi,
  • i consumi possono calare in termini reali
  • le scorte possono assottigliarsi perché detenerle costa di più
  • la liquidità complessiva può restringersi anche se aumenta la velocità di circolazione della moneta, perché il credito costa più caro e tutti cercano di scambiarla con beni il cui valore reale potrà preservarsi meglio nel tempo.

La sorpresa delle scorse settimane (il mancato raffreddamento dell’economia in Occidente) ha generato ottimismo e nuova fiducia nelle borse. Ma evidentemente la ripresa economica post-pandemica è stata tale da controbilanciare l’effetto-povertà generato dal rialzo dei prezzi. I sussidi pubblici hanno fatto il resto, così come la corsa ad accaparrarsi beni e servizi prima di vederne salire il costo. Ma può chiamarsi tutto questo sviluppo economico?

LA CRESCITA ECONOMICA È SOSTENIBILE ?

Bisogna infatti distinguere l’aspetto contingenziale della crescita economica (cioè quello che non dura) dall’aspetto strutturale (cioè i motivi per i quali lo sviluppo appare destinato a durare per tempo). Il rischio per gli osservatori è che abbia prevalso parecchio il primo, scarseggiando il secondo. E che dunque nei prossimi mesi probabilmente l’economia globale continuerà a correre (anche a causa dello sviluppo economico dei paesi emergenti), ma meno di prima.

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Ora, se coniughiamo il maggior rischio di sostenibilità del debito con la possibilità che consumi e investimenti continuino a ridursi, anche a causa del rialzo dei tassi d’interesse, le probabilità di una progressiva frenata dell’economia aumentano, e al tempo stesso si riduce la liquidità in circolazione, dunque anche la disponibilità di credito. Le banche hanno -giustamente- timore di insoluti, ma è un meccanismo che si avvita perché questi si generano anche a causa del maggior costo del denaro.

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In un mondo perfetto a tale rischio dovrebbe contrapporsi -per tempo- qualche organismo collettivo che a a cuore il benessere delle nazioni, fornendo risorse perché l’economia non collassi sotto il peso del debito e a causa della minor disponibilità finanziaria. Ma le banche centrali hanno ancora in animo la volontà di “stringere” ancora la politica monetaria, per eradicare l’inflazione. Storicamente (e deprecabilmente) ciò è stato fatto (soprattutto in America) a scapito del benessere economico, cioè scatenando una recessione.

OGGI C’È PIÙ BISOGNO DI FINANZA

Oggi tuttavia il mondo occidentale ha più bisogno che mai di abbondanza di risorse finanziarie per continuare a investire, finanziare i consumi durevoli, rinnovare le abitazioni e adeguare le tecnologie datate. E sopporta già il fardello del molto debito accumulato con la pandemia e la guerra. Non solo: la corsa al riarmo degli ultimi mesi genera altri forti esborsi, quasi tutti rigorosamente finanziati con nuovo debito, dal momento che non esistono quasi più nazioni con avanzi monetari. La spesa militare può generare ricerca tecnologica e crescita economica, ma se queste vengono finanziate tutte a debito il problema che si crea appare ben più grande dello stimolo allo sviluppo industriale.

E se il debito costerà sempre più caro e non sarà di conseguenza sostenibile molte imprese salteranno in aria e ciò può alimentare una recessione o un lungo periodo di stagnazione. Che potrebbe fare molto male all’economia moderna, ben più che negli anni passati. Come conciliare dunque l’esigenza di domare l’inflazione con quella di sostenere l’economia, se non evitando eccessi di rialzo dei tassi?

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COSA NE DISCENDE

Nessuno ha la risposta magica a tale domanda esiziale, ma qualche considerazione di buon senso occorre comunque farla:

  • quando il credito scarseggia vince sempre chi genera più cassa oppure ha più capitale, anche se la redditività in termini reali di quest’ultimo non può che assottigliarsi
  • quando i debiti pubblici appaiono meno sostenibili e il gettito fiscale tende a declinare, si determina un’accelerazione degli eventi dal momento che soltanto le innovazioni e lo sviluppo demografico possono controbilanciare la domanda calante
  • quando i tassi d’interesse salgono e -contemporaneamente- i listini azionari crescono di valore è la finanza a guadagnare a scapito dell’industria e del lavoro. E solitamente questo non è sostenibile nel lungo periodo, dunque comporta un impoverimento collettivo e il rischio di qualche scossone sui mercati
  • e mentre tutto ciò succede tornano prepotentemente alla ribalta la scienza, le nuove tecnologie, i tagli dei costi e l’automazione industriale, quali ovvi antidoti al saggio marginale decrescente di profitti e alla stagnazione dei consumi.

PREVEDIBILI CONSEGUENZE

Dunque è possibile che il prosieguo del “soft landing” dell’economia (come lo chiamano in Inglese) potrà vedere un’economia ancora abbastanza in salute, ma al tempo stesso è assai probabile che vedremo:

  • frenare le materie prime, l’energia e l’edilizia,
  • i servizi e i consumi discrezionali che si riducono
  • le tecnologie che tornano a dominare la scena
  • il private equity avrà buon gioco nello smembrare le aziende per ricombinarle con maggior efficienza
  • le banche ridurranno le erogazioni di credito
  • molte piccole imprese, di conseguenza, chiuderanno, o saranno cedute o si aggregheranno.

E tornerà alla ribalta la corsa ad accaparrarsi capitali di rischio, che in uno scenario di “credit crunch” saranno ovviamente molto più ambìti. Venture Capital, Private Equity, Private Debt e Borsa compresi. Sarà il trionfo delle banche, delle Fintech e degli Intermediari finanziari, sinché dura però!

Stefano di Tommaso




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N. 16 – sabato 28 gennaio 2023

Operazione in essere :

comperato giovedì 19 gennaio 1 mini Dow Jones mar 23 a 33.100

Il Dow Jones cortesemente vorrebbe restituirmi con gli interessi quanto investito nel secondo stop loss subito su GOLD.

Ringrazio e proseguo questo lavoro di penna.

GOLD APR 23

Da oggi lavorerò sul fut apr 2023 che , al momento in cui scrivo, vale 17 usd oltre GOLD CASH, sul cui grafico eseguo l’analisi.

Anche dopo lo stop loss a 1930, GOLD non ha accelerato con evidenza, ma, dopo il ven 20 gennaio, anche ve 27.1 continua a chiudere sopra 1919, che rappresenta la parte alta del mio range di vendita ( ricorderete 1872 – 1919 ) e quindi, ancora una volta, si dimostra molto forte.

La settimana che inizia lu 30.1.2023 è la tredicesima dall’ultimo minimo a 1616 ( livello fondamentale, in quanto assaggiato 3 volte ) dal quale GOLD è salito con violenza, senza dare occasioni di ingresso a rischio contenuto, salvo una volta a fine nov. 2022, con pull back sul top di sett 2022 ( 1735 cash )

Si tratta di un quarto di anno e quindi osserverò con speciale attenzione il comportamento di GOLD nelle 5 sedute.

Da fine novembre ad ora qualsiasi tentativo di short avrebbe subìto stop loss quasi istantaneo, quindi, con scarso entusiasmo, potrei valutare un terzo tentativo di ribasso, al solo fine di accumulare un profitto da reinvestire al più presto quale stop loss di un successivo acquisto.

Inserirò un ordine di vendita di 5 apr fut micro gold a 1960 con stop loss 1980, assumendo un rischio di 1000 usd.

Solo se venisse eseguita la vendita e poi GOLD scendesse prima di stoppare, inserirei un secondo ordine di vendita di altri 5 apr fut micro gold a 1905 stop per provare una discesa fino a 1840 – 1820 fut ( 1823 – 1803 gold cash )

E’ una strategia complessa e contro trend, quindi quasi ingestibile per una lettera che deve durare una settimana, per l’impossibilità di intervenire quotidianamente secondo la dinamica di mercato.

Mi cimento ugualmente, per provare lo stato di forma, in attesa di tempi che temo interessanti.

BTP FUT MARZO 2023

Attualmente non consente acquisti a basso rischio e non sono interessato a venderlo.

Solo nell’area 111 – 110 si potrebbe acquistare con stop loss a 108,36 bottom del future marzo 2023, ma il prezzo è lontano e non inserirò alcun ordine.

DOW JONES INDU CASH

Alzo da lu 30.1.23 lo stop loss a 33.850, per difendere una grande parte del profitto in essere.

Normalmente inserirei uno stop – loss molto più basso, intorno al pareggio ( 33.100 ) rischiando tutto il profitto, pur di cercare di restare nel trend, che già da giorni giudico al rialzo.

Ora invece mi attendo che questa salita possa fermarsi e far assaggiare una seconda volta il segmento che ho colorato di giallo della linea che avevo tracciato sin nella N.11 di sab 10 dic 2022.

Attribuisco alla settimana 16 – 20 gennaio un discreto significato dal punto di vista ciclico ed attendo con particolare attenzione l’uscita dal top di circa 34.500, non ancora verificatasi.

Quindi inserirò :

lo stop loss a 33.850 di 1 MARCH DJ MINI FUT per l’acquisto in essere.

Inserirò per la settimana che inizierà lu 30 gennaio un acquisto di un secondo mini contratto in rottura di 34.500 – top di gennaio, per raddoppiare la posizione, ma, anche se il prezzo è molto più vicino rispetto a 7 gg fa, mi pare prematura una rottura.

Nel caso in cui venga azionato lo stop loss a 33.850 fut, inserirò l’acquisto di 1 march DJ mini fut a 33.400 con stop loss a 33.000.

Lettera molto pesante da scrivere e, temo, da leggere.

Leonardo Bodini

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