BANK RUN

Anche nel 2008 era cominciata in sordina: Lehman Brothers era forse la più piccola tra le grandi banche d’affari americane ma la sua caduta è stata sufficiente a innescare la percezione di un forte rischio sistemico. Stavolta è capitata alla regina delle banche che finanziavano le Startup della Sylicon Valley (la SVB) ma è già partita la corsa agli sportelli per ritirare i depositi e ci si può scommettere sul fatto che non si fermerà ad un caso isolato. Che peraltro sono già due: durante il fine settimana è circolata la notizia che è già fallita una seconda banca californiana: la Signature Bank!

 


Sul mercato lo scorso venerdì il tonfo maggiore poi non lo ha procurato la SVB con i suoi 10 miliardi di dollari di capitalizzazione bruciati per il solo fatto di aver annunciato una perdita straordinaria di meno di 2 miliardi di dollari: ad esempio la caduta del 5,4% della capitalizzazione di JP Morgan ha bruciato da sola quasi 22 miliardi di dollari! Mediamente alla vigilia del fine settimana le quotazioni delle grandi banche sono scese del 5% e quelle delle piccole e medie del 15-20%!

Era già capitato con le piattaforme di trading delle Criptovalute (ad esempio la Silvergate), che sono di fatto delle banche in altra forma, dal momento che raccolgono denaro per investimenti: la loro crisi ha generato un clima di sfiducia generale su tutto il comparto. Ma stavolta torniamo a parlare di banche vere e proprie, vigilate e con obblighi patrimoniali sotto gli occhi di tutti.


Il problema delle banche nasce con le otto “strette” di tassi e liquidità che la banca centrale americana ha già attuato a partire dall’anno scorso, che hanno determinato ovvie minusvalenze sui titoli a reddito fisso e sugli investimenti a lungo termine, tra i quali sicuramente i mutui casa. In generale molti operatori, riducendo l’investimento delle proprie riserve obbligatorie nel comparto azionario, hanno incrementato l’acquisto di titoli a reddito fisso, accumulando negli ultimi mesi importanti minusvalenze. Questo ha spinto le banche a proporre tassi più vantaggiosi sui depositi, salvo poi realizzare anch’esse perdite in conto capitale sul portafoglio titoli.

All’inizio il miglioramento dei margini di interesse legato a tassi più alti aveva addirittura fatto avanzare le valutazioni dei titoli azionari quotati delle banche, ma non ci si era resi conto -collettivamente- del fatto che difficilmente la miglior redditività riesce a compensare le perdite in conto capitale. Dunque il problema che ha investito le prime due banche della vallata delle tecnologie americane rischia di non restare affatto un caso isolato.

Il problema è anche legato al fatto che l’economia americana va meglio di quanto si sarebbe pensato e che di conseguenza l’inflazione “core” (cioè quella non legata agli alti e bassi dell’energia) non è mai scesa davvero. Per questo motivo la banca centrale ha dovuto dichiarare che non potrà che continuare a calcare la mano sui rialzi dei tassi d’interesse, nel prossimo futuro, almeno sino a quando l’inflazione non darà segni di flessione significativa. Ma tecnicamente ciò potrà avvenire soltanto quando i consumi dovessero iniziare a flettere, cioè quando la gente avrà finito i quattrini. Tecnicamente cioè quando la crescita economica cederà il passo ad una decrescita, cioè a una recessione. Che adesso tutti si aspettano!


Quando la scorsa settimana il discorso del governatore della Federal Reserve Bank of America lo ha chiarito, si sono aperte le cateratte, generando un clima di sfiducia che dalle borse si è propagato a tutti i comparti dei mercati finanziari. Adesso gli analisti si aspettano che i tassi d’interesse americani arrivino anche oltre il 6% a fine anno e il dollaro di conseguenza si mosso decisamente al rialzo contro tutte le altre valute. Dunque se così fosse non soltanto non si vedrebbe presto quel “pivot” (picco) negli aumenti dei tassi che potrebbe preludere ad una nuova fase espansiva, ma c’è da attendersi che anche le altre banche centrali saranno costrette a ruota a proseguire sul rialzo dei tassi.

Ora poi la “curva dei rendimenti” (cioè l’andamento dei tassi a partire da quelli a breve fino a quelli a lungo termine) è inclinata in modo fortemente negativo (la differenza tra i tassi d’interesse a 2 anni e quelli a 10 anni supera il punto percentuale a favore dei primi) e questo è considerato deciso presagio di una nuova forte recessione. Laddove infatti si è verificata in passato una tale congiuntura si è poi sempre arrivati -in un tempo tecnico che va dal trimestre all’anno- ad una vera e propria recessione.

La prospettiva di una prossima recessione -sino a ieri soltanto ipotizzata- ovviamente non aiuta gli investimenti a lungo termine sulle nuove tecnologie, che avevano prosperato quando i tassi erano bassi e la liquidità abbondava. Dunque l’America rischia di farsi male da sola proprio nel comparto che più l’ha aiutata ad avere superiorità militari e ad attrarre capitali e cervelli. E il governo americano potrà intervenire a sostegno del sistema bancario soltanto fino a un certo punto, dal momento che è di nuovo molto vicino al limite di debito posto dalla legge.

Senza contare il fatto che ad essere sotto osservazione sono ora soprattutto le banche di piccola e media dimensione, meno capitalizzate rispetto ai grandi colossi ma essenziali per supportare le aziende di piccola e media taglia, che da sempre hanno costituito il polmone tecnologico dell’America. Se altre di queste banche dovessero saltare, salterebbe del tutto anche la fiducia degli operatori economici e si ridurrebbe il moltiplicatore del credito, che contribuisce a formare la base monetaria del sistema americano, con ovvie conseguenze in tutto l’Occidente.

È anche per questo motivo che le valutazioni delle aziende appartenenti al settore delle banche ha subìto un tracollo lo scorso venerdì quasi in tutto il resto del mondo. In Europa i listini lo scorso venerdì hanno chiuso presto, arginando la discesa dei titoli bancari a qualche punto percentuale, ma nessuno sa cosa potrà succedere stamane: al momento in Asia le borse stanno scendendo!

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 22 – sabato 11 marzo 2023

Acquistati martedì 7 marzo 2023 5 micro apr gold fut a 1840, che da lu 13.3 avranno stop loss a 1840 ( in pari )

GOLD APR 23

Nella N.21 avevo scritto : “………….. GOLD CASH ha segnato 1804.70 la scorsa settimana ed è risalito immediatamente quasi il 40 % della discesa da 1960 a 1804. In soli tre giorni. Sembra quindi un mercato molto forte. Non mi convince.”

Effettivamente l’ennesima esternazione del presidente della FED J. POWELL ha spinto in giù GOLD fino ad azzerare ( quasi ) la violenta salita di cui sopra, sfiorando lo stop loss stabilito nella N.21 ( 1813,40 il minimo toccato dal future aprile merc. 8 marzo ) per poi risalire sopra il prezzo di acquisto di 1840 apr fut

Che fortuna. Oppure lo stop loss era piazzato con accuratezza.

Questo doppio minimo crescente, anche se molto ravvicinato nei tempi, spero recluterà qualche altro investitore alla mia visione, che punta a proseguire qualche gg questa salita, ma non oltre il top dell’anno 2011 ( 1919, ovviamente cash )

Non oltre, nell’ àmbito di questa prima gamba in su.

Poi si vedrà.

Nella speranza che la salita possa proseguire 3 – 5 gg, da lu 13.3 inserirò il seguente ordine :

vendere 5 micro apr gold fut a 1840 stop loss valido da lu 13.3 e la seguente modifica da giovedì 16.3 : alzare lo stop loss al minimo dei due gg precedenti

Per la prima volta la Lettera prova a ovviare alla periodicità settimanale.

BTP FUT MARZO 2023

Le banche dati hanno iniziato a fare roll over dal contratto marzo 23 a quello giugno 23, con conseguente gap di prezzo; nuovamente il roll over “rovina“ la fruibilità dei grafici in mio possesso.

Eliminerò questo mercato.

DOW JONES INDU CASH

Brutta settimana

La N. 21 ha subito il più dannoso stop loss dal suo esordio, pari a USD 3000 (circa euro 2830 ) in seguito all’acquisto del future DOW JONES a 33100 durante POWELL’S speech di martedì 7 marzo, poi stoppato a 32500 gio 9.3, dopo la notizia delle difficoltà di una banca che finanziava in prevalenza le start up.

Quando ho scritto la N.21 una settimana fa, DOW JONES apr fut era a 33400 circa e misi enfasi nel fatto che l’ingresso eventuale, se DJ fosse sceso a 33100, comportava uno stop loss molto costoso a 32500, oltre i miei parametri, tanto che avevo stabilito di alzarlo, ove fosse stato rotto il massimo del giorno di ipotetico acquisto,evento non verificatosi.

Mart. 7.3 durante il discorso di POWELL, che ha ribadito che i tassi resteranno alti a lungo e saliranno, se necessario, il mercato ha perso circa 600 punti, eseguendo l’acquisto a 33100, con successiva discesa fino a 32626 ( lo stop loss era a 32500 ) il successivo merc 8.3, per poi rompere gio 9.3 il top del giorno precedente.

Lo stop loss era stato avvicinato, ma non raggiunto, vale a dire : pareva ben piazzato.

Qui arriva l’imprevedibile : la SVB – SILICON VALLEY BANK, non paragonabile a LEHMAN BROS, ma di rilievo in quanto pare che abbia venduto in fretta e furia attivi allibrati a 21 billions, sopportando una perdita di 2 billions, così scendendo sotto i parametri patrimoniali, annuncia la necessità di raccogliere oltre 2 billions; immediatamente perde in quotazione il 60 % e crea molta apprensione.

DOW JONES, che aveva retto alle parole poco accomodanti di POWELL, rompe il livello 32500 di stop loss e accelera fino a 31787 il giorno successivo.

Quei cari ( sembrerebbe più bravi di me ) amici, che ipotizzavano la rottura di 32500 piuttosto che di 34350, hanno gentilmente telefonato per commentare.

Non voglio annoiarvi, ma credo poco ad un eventuale crollo del DOW JONES sulla notizia; tuttavia temo che non vi siano molti gg di tempo per ritornare sopra 32500, se non si vuole che un incidente si trasformi in una tragedia.

Sembra purtroppo che altre banche del pianeta vedano gli attivi costituiti in parte non irrilevante da bond di durata ben oltre i 12 mesi, iscritti a costi di acquisto antecedenti l’estate 2021, vale a dire a prezzi di affezione.

Il verde è per la speranza.
(Che non vi debbano essere altre vendite urgenti )

Allego il consueto grafico giornaliero del DOW JONES nel quale ho aggiunto alla linea che partiva dal minimo del 13 ott 2022 a 28660 un’altra con la stessa origine, ma pendenza dimezzata; essa ci offre un possibile supporto, proprio intorno ai minimi di ieri ven. 10.3.

Come annunciato, allego infine un grafico intraday che evidenzia che DJ, dopo le parole di POWELL di martedì, era risalito da 32626 fino a 33002, vicino al prezzo di ingresso, ma il crash di SVB di gio 9.3 ha innescato una discesa di oltre 1200 punti da 33002 a 31787, in meno di un giorno.

Dopo uno stop loss, la lettera non inserisce ordini per una settimana.

Leonardo Bodini





 

 

 




DECOUPLING

Il termine tecnico significa “disaccoppiamento”, sfasatura (quella dei mercati finanziari rispetto all’andamento dell’economia). Il significato pratico è facilmente intuibile: nel mese appena trascorso i segnali macroeconomici sono sembrati inequivocabilmente negativi ma i mercati finanziari hanno vagheggiato non poco, arrivando a sostenere quasi i massimi raggiunti all’inizio di Febbraio e infischiandomene della pioggia di pessime notizie che ha investito l’economia reale. Perché? E soprattutto: da adesso in poi cosa succederà? La verità è che non lo sa (quasi) nessuno. Ma forse noi si. Volete scoprirlo? Metteteci alla prova leggendo quanto segue!

 

Per rispondere bisognerà necessariamente ripercorrere i fatti salienti, a partire dai più recenti:

  • L’inflazione è risalita a Febbraio. Sono ancora le prime letture e bisogna confermarlo, ma quantomeno non è scesa. La notizia è pessima a causa della reazione che adesso avranno le banche centrali: non soltanto hanno alzato in pochi mesi i tassi del 3%, ma ora affermano di voler proseguire con i rialzi dei tassi d’interesse almeno fino ad estate inoltrata e comunque di voler arrivare oltre il 5% in America (qualcuno dice già 6%) e tra il 4% e il 5% in Europa.
  • Ma la notizia può essere interpretata persino positivamente: a fronte di consumatori che non smettono di acquistare c’è probabilmente un’economia che non è davvero andata in declino. E che permette loro di disporre di risorse aggiuntive rispetto a quelle di sussistenza.
  • È possibile che la corsa al riarmo di mezzo mondo e la necessità di investimenti che -quasi inevitabilmente- tra qualche mese costeranno più cari abbia aggiunto stimoli all’economia e alle esportazioni occidentali, così come è possibile che l’espansione della base monetaria cinese, giapponese e indiana abbia compensato la riduzione di quella americana ed europea, riequilibrando i mercati finanziari.
  • In effetti sinanco la fiducia degli operatori economici sembra essere in lieve risalita, come dimostrano gli andamenti dell’indice della fiducia dei responsabili degli acquisti delle imprese manifatturiere per le varie regioni del mondo:

  • Era però successa la stessa cosa un anno fa, e poi il fenomeno si era presto riassorbito. Dunque non è possibile dedurne qualcosa di concreto, se non che l’incertezza è nell’aria.
    Nemmeno i profitti delle principali grandi imprese quotate sono ancora andati in vero declino. Un esempio fra tutti è Tesla, grandissima azienda che vende beni di consumo durevole a quasi tutto il mondo: le vendite del primo trimestre 2023 pare stiano ]: andando benissimo! Certo, con i tassi d’interesse cresciuti di 300 punti base le valutazioni aziendali sembrano comunque un po’ gonfiate, indipendentemente dai profitti. Ma evidentemente il rialzo dei tassi d’interesse operato dalle banche centrali non ha ancora prodotto effetti tangibili nell’economia reale, altrimenti i consumi sarebbero scesi e i profitti aziendali sarebbero cresciuti.
  • La disoccupazione non cresce. Nello stranissimo momento in cui stiamo vivendo il mondo occidentale, dopo aver fatto nascere pochissimi figli, si è accorto che gli mancano molte risorse umane, soprattutto quelle più o meno qualificate. Dunque la disoccupazione, che nei decenni passati era un concetto associato con le recessioni, oggi tende a non esserlo più. Ciò non di meno la recessione potrebbe arrivare ugualmente, soprattutto in Europa dove le condizioni di vita non sono quelle americane e anche a causa del fatto che il maggior costo delle risorse umane appesantirà ulteriormente i conti economici delle imprese.

Morale: c’è molta confusione in giro, cosa che rende difficilmente intelligibili le tendenze di fondo dell’economia, ma la più probabile delle spiegazioni per l’andamento incerto delle borse e dell’economia è che i rialzi dei tassi d’interesse operati dalle banche centrali genereranno soltanto più avanti una recessione, sebbene questa potrebbe non dare affatto luogo ad una vera e propria ondata di disoccupazione. Semplicemente non è ancora successo.

E cosa può succedere quando c’è confusione sui mercati? Che la volatilità -sino ad oggi scesa ai minimi- ora può spiccare il volo. Prima di calare inesorabilmente, i mercati potrebbero prendere andamenti irregolari e oscillare parecchio. Soprattutto quando la liquidità in circolazione non sembra davvero diminuita. Dunque nell’ambito di una maggior volatilità attesa le borse potrebbero agitarsi, prima di arrivare a riflettere un quadro economico peggiorativo.

Ciò può indurre nella falsa sensazione di ottimismo. Ma bisogna stare parecchio in guardia: la tendenza di fondo al momento non può essere positiva. Quantomeno sintanto che la guerra andrà avanti e l’inflazione non scenderà in modo significativo.

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 21 – sabato 4 marzo 2023

Nessuna operazione in essere

GOLD APR 23

Dopo una pausa conseguente allo stop loss, sembra che sia stato sufficiente il più alto ( 1808 – top agosto 2022) dei due livelli ragionevoli di acquisto ( vi rammento l’altro 1735 – top settembre 2022 ) per invertire GOLD

In particolare GOLD CASH ha segnato 1804.70 la scorsa settimana ed è risalito immediatamente quasi il 40 % della discesa da 1960 a 1804. In soli tre giorni.

Sembra quindi un mercato molto forte.

Non mi convince.

Da lu 6 marzo inserirò :

acquisto di 5 micro future APR GOLD a 1840 con stop loss a 1810

BTP FUT MARZO 2023

E’ riuscito a scendere nella zona 112 – 110 che aspettavo da oltre un mese, segnando un minimo a 111.02.

Potrei tentare un acquisto a 110 con stop loss a 108, ma ancora non lo inserisco. Andrebbe gestito in funzione della dinamica giornaliera del prezzo e non è fattibile con una Lettera settimanale.

DOW JONES INDU CASH

DOW JONES sta delineando sempre più una fascia da 32500 a 34350 ( 1850 punti pari al 5,7 % ) che contiene tutti i prezzi segnati da Natale 2022 ad ora.

Ho pertanto ruotato questa fascia in giù sotto 32500, ottenendo la zona 30650 ed in su sopra 34350 ottenendo la zona 36500.

Allego pertanto due grafici, entrambi giornalieri, di cui il secondo è intitolato 2 IPOTESI, con indicazione delle due possibili uscite dall’invervallo in essere da Natale 2022.

Contro ogni opinione degli amici cari, ritengo più probabile la rottura di 34350, che rappresenta un triplo massimo visibile a chiunque e quindi molto solido, piuttosto che la rottura di 32500, che invece è un minimo singolo e, per di più, recente, quindi non ancora consolidato.

So perfettamente che il mio è un pensiero in solitudine, ma ho tre – quattro buone ragioni, delle quali la meno qualificata è come DOW JONES merc 1 marzo 2023 ha assaggiato solo per 20 minuti i prezzi sotto 32573 ( minimo di dic 2022 ) che rappresenta il mio benchmark per valutare la forza dell’ azionario americano.

Poi si è alzato con violenza.

Da lu 6 marzo inserirò :

acquisto 1 mini DOW JONES apr fut a 33100 con stop loss 32500

Purtroppo lo stop loss è molto ampio.

Questa lettera non è avvezza a stop loss che sfiorano il 2 %, quindi terrò la seguente strategia : eseguito l’eventuale acquisto, una volta rotto in su il top del giorno di acquisto, alzerò lo stop loss al minimo del medesimo giorno.

Stare sul mercato senza finire il denaro è sport per uno su dieci; questa lettera, con cinque profitti e cinque perdite, vanta un profitto di rilievo anche perché piazza con precisione ( fortuna ? ) gli stop loss.

Leonardo Bodini