IL “TRUMP TRADE” PRENDE UNA PAUSA

È già terminato il ciclo rialzista che ha seguito l’ascesa di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti d’America? È presto per dirlo ma ci sono segnali che fanno pensare quantomeno ad una “pausa tecnica”, alimentata dalla necessità di prendere profitto dalle posizioni sino ad oggi tenute nonché dai timori che anche l’economia reale possa subire qualche scossone. Ovviamente se fosse anche le altre borse occidentali sarebbero a rischio, tanto più che quelle europee erano salite parecchio nei giorni scorsi anche per aver anticipato il risultato di stabilità che è emerso dalle votazioni in Germania (il risultato anticipato dai sondaggi è sembrato piuttosto simile a quello finale) e oggi potrebbero prenderne profitto. Ma quanto a lungo? Dipende, come sempre, dalla crescita dei profitti netti che le imprese quotate esprimeranno. E anche su questo tema non vi sono affatto certezze…

 

WALL STREET SI RIDIMENSIONA

Lo scorso Venerdì le borse europee si sono profondamente differenziate da quelle americane: le prime hanno continuato la loro corsa, le seconde sono scese parecchio (il DJIA ha perso l’1,7% chiudendo a 43.428,02, l’S&P 500 è parimenti sceso dell’1,7% a 6.013,13, mentre addirittura il Nasdaq 100 ha subito un calo del 2% chiudendo a 21.614,08), anche a causa di una serie di scadenze tecniche relative alle opzioni in essere.


Anche l’indice delle imprese di minori dimensioni (il RUSSELL 2000) ha avuto un Venerdì molto pesante.


Difficile poter affermare che ciò dipende soltanto dalle prospettive macroeconomiche americane, dal momento che negli U.S.A. la crescita del Prodotto Interno Lordo americano seppur in lieve contenimento, viaggia per il momento intorno al 2,5% annuo:

PRODOTTO INTERNO LORDO U.S.A.

I TAGLI AI POSTI DI LAVORO DELL’AMMINISTRAZIONE FEDERALE

Anche se in realtà il clima economico americano sta iniziando a cambiare, in parte in funzione dei timori di ripresa dell’inflazione, e in parte a causa dei pesanti tagli alla spesa pubblica annunciati dal programma DOGE di Elon Musk. Ì trecentomila posti di lavoro federali già tagliati da Elon Musk sono una goccia nel mare dei 7 milioni di disoccupati americani e ancor meno importanti se si considera che negli U.S.A. lavorano all’incirca 160 milioni di individui. Ma comunque, considerando l’indotto della spesa pubblica a stelle e strisce, già quei trecentomila posti tagliati hanno probabilmente generato un calo dell’occupazione di circa 1 milione di posti di lavoro. L’impatto dunque non sarà irrilevante, soprattutto quando i tagli cresceranno, con il programma del DOGE (Department Of Government Efficiency) completamente a regime.

LE RICHIESTE AGLI UFFICI DEL LAVORO HANNO TOCCATO IL NUMERO DI 8 MILA DI RECENTE

Non per niente l’indice PMI relativo al settore dei servizi per il mese di Febbraio è in discesa ben oltre le attese, al di sotto della soglia psicologica di 50, che indica aspettative recessive:

INDICE DEI DIRETTORI DEGLI ACQUISTI RELATIVO AL SETTORE SERVIZI NEGLI U.S.A.

MA L’EUROPA VA MOLTO PEGGIO

Mentre per la crescita economica in Europa non è chiaro se siamo al di sopra o al di sotto dello zero assoluto, per di più con una significativa caduta degli indici relativi alla produzione industriale, come si può riscontrare dal grafico qui riportato:


Ma se negli USA si può comprendere che il mercato azionario, dopo tanto correre, voglia prendersi una pausa di riflessione, soprattutto in attesa di focalizzare meglio le tendenze di fondo dell’inflazione, della crescita e dei profitti, in Asia le borse corrono più che mai, come si può vedere ad esempio dall’andamento dell’intero primo scorcio del 2025 per la borsa di Hong Kong (indice Hang Seng):


Più difficile è invece spiegare come mai in Europa, nonostante prosegua il calo della produzione industriale, ci sia ancora tanto da festeggiare.

IN EUROPA È RIMASTO QUASI SOLO IL RISIKO BANCARIO AD ALIMENTARE LE BORSE

A meno di non ricordare che in Europa i principali titoli azionari scambiati in borsa sono quelli del settore bancario, sottoposto ai possibili effetti positivi di importanti offerte di pubblico acquisto e scambio, lanciate per alimentare un processo generalizzato di fusioni e acquisizioni da parte dei principali operatori.

I quali, come si può vedere dal grafico sotto riportato, stanno lavorando ad un ulteriore consolidamento del settore bancario in poche grandi mani. E per farlo stanno proponendo offerte che dovranno in molti casi subire un ritocco verso l’alto a causa della cauta risposta dei mercati, come peraltro si può leggere dal grafico sotto riportato:


È chiaro però che, se oltre oceano l’ondata di ribassi delle borse dovesse proseguire, anche le borse europee finiranno per esserne travolte.

LA STAGIONALITÀ DELLE BORSE

Anche perché esiste un innegabile fattore stagionale dedotto dalle statistiche di molti anni precedenti che indicano, nel periodo in arrivo, una maggior debolezza dei listini principalmente dovuta a fattori stagionali, come si può vedere da questo grafico elaborato sull’andamento stagionale del principale indice a Wall Street, da quale si evince chiaramente che le tre settimane a venire potrebbero essere caratterizzate da una relativa debolezza dell’indice Standard & Poor 500:


Ma la fine (o la pausa?) del “Trump Trade” comporta anche una rotazione dei portafogli verso una maggior cautela da parte dei gestori dei patrimoni. Gli investitori professionali stanno ragionando sulla sostituzione di buona parte degli investimenti azionari dalle grandi tecnologie verso titoli azionari emessi da aziende appartenenti a settori “difensivi”, cioè verso imprese grandi e capaci di pagare dividendi robusti, della “old economy” e con bassa volatilità dei corsi.

E LA VOLATILITÀ CRESCE

La volatilità dei titoli azionari a Wall Street infatti negli ultimi giorni sembra molto accresciuta, come risulta dal grafico qui sotto:


Ovviamente molto dipenderà dall’evoluzione nei prossimi mesi dei profitti netti che le imprese quotate riusciranno ad esibire.

LE ATTESE PER I PROFITTI NETTI RISTAGNANO

L’attesa -almeno per Wall Street- è per un consolidamento degli stessi, non per ulteriori crescite, come si può leggere dalla tabella qui sotto riportata, relativa all’indice SP500:


Non stupisce dunque che le borse americane abbiano mostrato una flessione, e non stupirebbe l’eventuale sequela che le borse europee potrebbero mostrare a partire dalla settimana prossima. Questo ovviamente non significa che da adesso in avanti le borse valori occidentali dovranno mostrare un andamento riflessivo, ma soltanto che, probabilmente, l’eventuale prosecuzione del trend rialzista che abbiamo visto sino ad oggi potrebbe riprendere soltanto a partire dalla metà di Marzo.

UN CONSOLIDAMENTO DELLE BORSE NON SIGNIFICA UN LORO CROLLO

Cosa che peraltro non è necessariamente negativa per l’economia reale, dal momento che un’eventuale fase di consolidamento delle borse occidentali potrebbe aiutare a far crescere i corsi della maggior parte dei titoli a reddito fisso e dunque a far scendere i tassi d’interesse a lungo termine, fattore essenziale per far scendere il costo del debito per le imprese nonché per creare le condizioni perché le banche centrali possano proseguire la discesa dei tassi di sconto. Elemento essenziale a sua volta per far ripartire la corsa dei listini. Molti se l’aspettano a partire dalla Primavera.

Stefano di Tommaso




I DAZI DI TRUMP: TRE POSSIBILI SPIEGAZIONI

Tutti i “media” hanno abbondantemente parlato di ciò che il Presidente degli Stati Uniti d’America ha annunciato con molta enfasi appena insediato alla Casa Bianca: di voler imporre dazi a tutti i partner commerciali dell’America, pur sapendo benissimo che è altamente possibile che il resto del mondo risponda con reciprocità. Con le sue dichiarazioni Trump ha dunque inscenato un gigantesco spettacolo in mondovisione, generando dibattiti e contro-dichiarazioni a non finire. Perché? Vuole davvero scatenare guerre commerciali globali? I mercati non lo credono, e forse a buona ragione. Ma se l’annuncio dei dazi può essere considerato uno strumento di politica internazionale nelle mani di Trump, allora potrebbero esserci anche altri risvolti…

 

UNA STRATEGIA ALLARGATA E COMPOSITA

Evidentemente il nuovo Presidente, nell’affermare una strategia molto più allargata rispetto a quella che aveva dichiarato in campagna elettorale (di voler adottare cioè solo specifiche iniziative a favore dei settori più in difficoltà negli U.S.A. come alluminio e acciaio, microchip, automobili e prodotti farmaceutici) sembra essere deciso a creare molto scompiglio e parrebbe anche esserci riuscito: con la sua dichiarazione di voler adottare dazi e tariffe indiscriminatamente per tutti, i commentatori dell’intero pianeta hanno iniziato a chiedersi cosa succederà al commercio mondiale e se l’’iniziativa potrà ravvivare l’inflazione.

ANDAMENTO (in volume) DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

E Trump -per dimostrare che non stava scherzando- ha esplicitamente ammesso di essere perfettamente cosciente del fatto che il rischio di una tale manovra è il possibile aumento generalizzato dei prezzi delle merci importate negli U.S.A. Una dichiarazione forte perché al momento c’è un certo allarme per l’evoluzione dell’inflazione. E dalla sua evoluzione dipenderà anche la politica monetaria.

ANDAMENTO INFLAZIONE NEGLI U.S.A.

MA I MERCATI RIMANGONO INDIFFERENTI

Dunque, con le sue parole, il neo-Presidente americano è riuscito nel generare una parata di giganteschi fuochi d’artificio. Ma dietro a questa geniale cortina fumogena qualcuno ha fatto notare che Trump si è limitato agli annunci, non avendo ancora diramato alcuno degli ordini esecutivi. Un particolare non da poco, dal momento che i mercati finanziari, i quali evidentemente ne hanno preso buona nota, invece di reagire male a tali dichiarazioni fragorose e agli scenari apocalittici tratteggiati dai solo i di turno, hanno invece iniziato a dare segni evidenti di ottimismo: la volatilità azionaria è diminuita, i principali indici delle Borse e del Reddito Fisso sono saliti e il Dollaro è crollato. Cioè l’opposto di quanto ci si poteva attendere.

TASSI D’INTERESSE A LUNGO (linea blu) E A BREVE TERMINE (linea grigia)

Giusto il prezzo dell’oro (il bene-rifugio per eccellenza) è inizialmente cresciuto, lasciando adito a timori di maggior inflazione, per poi scendere. Però, oro a parte, il cui prezzo è spesso determinato dalle banche centrali con giganteschi movimenti di compravendita, l’interpretazione che sembrano aver dato i mercati finanziari è che il Presidente alla fine intenda utilizzare i Dazi alle importazioni come strumenti di politica economica. E come argomenti per dialogare con le singole altre nazioni, spezzando i legami che le tengono oggi legate alle alleanze preesistenti .


I rendimenti impliciti dei titoli obbligazionari quotati sono infatti in calo (dunque i corsi dei titoli salgono) e questo potrebbe far pensare che molto dipenderà dall’indice PCE (quello preferito dalla banca centrale americana per misurare l’inflazione, in alternativa al PCI) in uscita la prossima settimana.

DIFFERENZE NEL PANIERE DEI BENI TRA I DUE INDICI DELL’INFLAZIONE IN U.S.A.

Ma anche le borse valori dopo l’annuncio del Presidente sono andate su. E questo nonostante il possibile aumento dei costi di produzione in caso di guerre commerciali, che evidentemente ridurrebbe i margini delle imprese. Evidentemente i mercati si attendono un generale beneficio dalle iniziative del Presidente.


MSCI WORLD INDEX
Si potrebbe anche pensare -invece- che la buona notizia è soltanto che l’applicazione di tariffe e dazi non risulti imminente, in pratica la Casa Bianca potrebbe aver fatto la voce grossa ma poi starebbe dando alle sue controparti internazionali il tempo di trovare degli accettabili compromessi. È anche possibile sostenere che l’intera faccenda arrivi prima del previsto a mancare di credibilità. Paradossalmente le imprese che avrebbero più da perdere con i dazi e le guerre commerciali sono state quelle che hanno guadagnato di più. Le Magnificent Seven ad esempio sono molto globalizzate e, nonostante i timori di nuove guerre commerciali, le loro quotazioni (che scontano lauti profitti futuri ancora per molti anni a venire) sono tornate vicino ai massimi storici. Dunque probabilmente la percezione degli investitori va ben oltre il fatto momentaneo.

I TITOLI AZIONARI CHE HANNO PIÙ GUADAGNATO DALL’INIZIO DEL 2025

Le aziende le cui vendite sono incentrate sul mercato interno americano avrebbero invece dovuto sovra-performare con i timori di guerre commerciali, ma le loro quotazioni sono rimaste invece tra le più arretrate.


DOPO GLI ANNUNCI DI TRUMP IL DOLLARO SCENDE

Certo: il dollaro ora più debole farà sembrare migliori i guadagni all’estero delle multinazionali americane. Ma occorre chiedersi perché il Dollaro americano si è deprezzato. Teoricamente l’avvio di dazi e tariffe dovrebbe ridurre l’offerta di Dollari fuori dei confini americani e quindi vederlo apprezzarsi. Se è andata al contrario siamo di nuovo di fronte ad un inequivocabile segnale di tranquilla da parte dei mercati finanziari.

IL CAMBIO EURO/DOLLARO

Come spiegare questa contraddittoria reazione dei mercati? Per tutte le minacce che ha avanzato, Trump sta chiaramente cercando di spaventare le controparti commerciali degli americani per riuscire ad ottenere concessioni da parte loro senza nemmeno aver davvero applicato le tariffe annunciate alle importazioni. Se invece avesse davvero voluto andare avanti a imitare il suo predecessore William McKinley il quale era riuscito a finanziare il Tesoro americano con i dazi, avrebbe potuto farlo subito, ma al momento egli sta scegliendo di non farlo. Ed è forse per questo che i mercati finanziari stanno reagendo positivamente: se Trump otterrà concessioni senza colpo ferire il commercio internazionale ne verrà addirittura esaltato!

Il futuro però rimane assai incerto e, dal momento che il prevedere che alla fine Trump non farà null’altro che strillare potrebbe risultare come una lettura semplicistica, si è allora tentati di approfondire l’analisi.

DOPO GLI ANNUNCI DUE POSSIBILI ESITI ESTREMI

Innanzitutto con il prevedere due possibili esiti estremi e assai alternativi tra loro:

  • il primo è quello che preconizza un Trump che riuscirà a manipolare la percezione della realtà pur non facendo ancora niente di concreto, allo scopo di ottenere consistenti concessioni dalle altre nazioni (le quali evidentemente fanno bene al business americano);
  • il secondo, all’opposto, è quello che Trump sia in realtà in procinto di stupire ancora una volta tutti i commentatori, lanciando una tra le peggiori serie di guerre commerciali della storia economica. Una scelta che tuttavia potrebbe far parte di una complessa strategia volta a conseguire l’importante obiettivo di ridurre il deficit del bilancio federale americano (l’altra parte di questa strategia sarebbero i giganteschi tagli alle spese non necessarie annunciati e già avviati da Elon Musk con il suo gruppo DOGE cioè: Department of Government Efficiency).

La realtà però si trova probabilmente da qualche parte in mezzo ai due opposti scenari. Ed è proprio in mezzo che ci sono molti soldi da fare per la speculazione.


Dunque i detrattori (e gli oppositori politici) del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America battono la grancassa dipingendo scenari catastrofici relativi ad un arretramento dell’intera economia mondiale dovuto all’avvio a catena di guerre e ritorsioni commerciali, mentre viceversa la scommessa silenziosa dei mercati finanziari al momento consiste nell’esatto opposto: cioè che Trump riuscirà a ottenere concessioni significative dal resto del mondo senza affossare l’economia interna, anzi fornendole beneficio.

NON SOLTANTO OBIETTIVI COMMERCIALI

(a parte gli speculatori che su questa divergenza stanno facendo fortuna)? E’ noto che anche i mercati -talvolta- si sbagliano. Probabilmente la risposta dipenderà non soltanto dalle altre mosse di Trump bensì anche dall’atteggiamento che mostreranno le controparti degli Stati Uniti d’America: se reagiranno biecamente e violentemente a tali annunci è possibile che l’unico modo che avrà Trump di restare convincente per ottenere i suoi obiettivi sia quello di mettere in pratica quanto annunciato. Se invece accetteranno di entrare in sofisticati colloqui negoziali, è possibile che lo sconvolgimento preconizzato si trasformi addirittura in un vero e proprio efficientamento del commercio internazionale.

Ma Trump non ha soltanto obiettivi di bilancia commerciale. I suoi sembrano innanzitutto obiettivi geo-politici. Ed è noto a tutti che egli sia un ottimo giocatore di poker! Pronto al bluff ma anche all’azione. Il mondo infatti oggi contempla numerosi teatri di guerra, fredda e calda, commerciale o convenzionale. Di seguito una mappa relativamente aggiornata:


UN POSSIBILE TERZO, FORMIDABILE OBIETTIVO

A guardar bene, potrebbero dunque esserci anche altre spiegazioni riguardo al fine ultimo del gran trambusto orchestrato sino ad oggi: se Trump -appena eletto- avesse voluto iniziare immediatamente una campagna di dialogo e pacificazione dei diversi focolai di guerra sopra riportati, avrebbe corso il rischio di risultare tormentato, come nel suo precedente mandato, da accuse di ingerenze straniere nella politica degli Stati Uniti d’America.

Anche stavolta molti a casa sua lo potrebbero accusare di sacrificare la sicurezza nazionale in cambio di accordi e strette di mano commerciali, esattamente così come è avvenuto durante l’intero quadriennio del suo precedente mandato con l’accusa di collaborare con la Russia di Putin (e addirittura di ingerenza di quest’ultimo nel processo elettorale americano: il cosiddetto “RussiaGate”).

Accusa evidentemente infondata ma che ciò nonostante è riuscita a guadagnare per quasi quattro anni le prime pagine di tutti i “media”, cioè per l’intera durata della sua presidenza.


Se invece egli volesse addivenire ad accordi internazionali attraverso delle credibili preventive minacce, ecco che dopo tutta la baruffa sui dazi egli potrebbe trovarsi ad operare molto più liberamente poiché il dividendo di tali possibili dialoghi verrebbe inevitabilmente “arricchito” da qualche concessione commerciale portata a casa a favore dell’intera economia americana. Contro i quali benefici evidentemente nessuno oserebbe alzare un dito di protesta!

I VERI INTERESSI DELL’AMERICA DI TRUMP

In fondo Trump si è sempre ripromesso di ridurre il costo implicito dell’inflazione, che erode i risparmi e danneggia le classi più deboli. E per farlo occorre innanzitutto riuscire a far scendere il costo dell’energia, cioè in primis quello del petrolio, dal momento che la massima parte della produzione globale di pannelli fotovoltaici è in Cina, la quale resta il maggior rivale commerciale. Per far scendere il prezzo del petrolio Trump deve inevitabilmente riuscire a risolvere i maggiori conflitti armati, a partire da quello con la Russia in Ucraina. E questo accade nonostante gli U.S.A. siano uno dei maggiori estrattori di petrolio al mondo. Accade perché in realtà, ciò che crea un vero vantaggio competitivo all’America è invece la tecnologia, la quale necessita di poter contare, per svilupparsi, di grandi quantità di energia ad un costo accettabile.


Non solo: l’America di oggi giorno potrebbe risultare particolarmente sensibile alla riduzione dell’inflazione (o comunque dei tassi d’interesse) dal momento che l’enorme debito pubblico genera al momento una mole di interessi da pagare ai sottoscrittori dei titoli di stato tale da dimezzare le entrate fiscali nette. Impossibile dunque risanare il bilancio federale americano senza trovare il modo di ridurre l’immenso onere per interessi. Trump questo lo sa bene e sa anche che a poco varrebbe la giustificazione (molto in voga a casa nostra) secondo la quale lui ha solo ereditato quel problema dai suoi predecessori.

L’ANDAMENTO DEL DEFICIT PUBBLICO FINO ALL’AMMINISTRAZIONE BIDEN

In questo gli U.S.A. mostrano interessi economici sostanzialmente opposti a quelli del Regno Unito, che esporta petrolio e che intendeva mettere le mani su buona parte delle risorse naturali dell’Ucraina, se la guerra non fosse andata così male. Se dunque la gigantesca parata sui dazi nascondesse l’intento di un dialogo più serrato con i BRICS di quanto si potrebbe sospettare (i quali, occorre ricordarlo, rappresentano un mercato potenziale per le merci americane costituito da più di 5 miliardi di individui), ecco che chi ci rimetterebbe di più sarebbero soprattutto le medie potenze europee, che rimarrebbero fuori da quei dialoghi.

Ma sopra ogni altro obiettivo Trump ha già dichiarato la sua volontà di dialogare “singolarmente” con gli altri Paesi del mondo, a prescindere dagli Organismi Internazionali o dalle alleanze che li legano gli uni agli altri. E, indubbiamente, il mettere a rischio le interazioni di ciascun Paese con l’America rappresenta una minaccia credibile che può spingerli a dialogare in ordine sparso.


In un mondo rappacificato invece, con i costi di energia e materie prime ai minimi termini e con il conseguente sviluppo della domanda di tecnologia, probabilmente l’America riuscirebbe a mantenere la sua leadership globale senza vessare nessuno e riscoprendo i valori umani più profondi sul rispetto dei quali si erano basati i suoi fondatori.

È soltanto una delle possibili altre spiegazioni. Come detto ciò che succederà dipenderà anche da altri fattori. Ma come Sir Arthur Conan Doyle faceva dire a Sherlock Holmes: “una volta eliminato tutto l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità”…

 

Stefano di Tommaso




I TASSI D’INTERESSE STANNO SCENDENDO

Le ultime rilevazioni potrebbero timidamente indicare una tendenza alla discesa dei tassi d’interesse da entrambe le sponde dell’Atlantico, cosa che alimenterebbe tanto una sana ripresa degli investimenti quanto nuovi possibili spunti per i listini delle borse valori. Ovviamente la volatilità che sta caratterizzando l’inizio del nuovo anno non aiuta a comprendere quanto ne sia concreta la speranza.

Il tasso d’interesse determina il costo di un prestito o il rendimento di un investimento. Quando esso aumenta il denaro in prestito diventa più costoso e scoraggia gli investimenti. Divengono meno attraenti le cedole fisse dei bond esistenti, facendoli scendere di prezzo. Così come aumenta il costo dei mutui, riducendo la domanda di case e quindi il loro prezzo. Tassi d’interesse maggiori in certe nazioni rendono più attraente investire nella loro divisa valutaria, provocandone un apprezzamento. Quando i tassi scendono, gli effetti sono invertiti.

 

I TASSI A LUNGO TERMINE CALANO ANCHE IN AMERICA

Negli USA i rendimenti impliciti dei Treasury Bond a 10 anni sono oggi molto più elevati che in Europa (e infatti il cambio del dollaro è decisamente salito) anche se la scorsa settimana sono discesi al 4,48%, in flessione rispetto al 4,57% del precedente venerdì (con una tendenza al ribasso, come si può notare dai tre massimi progressivamente decrescenti evidenziati nella linea superiore del grafico qui sotto riportato):

La linea rosa del grafico qui sopra (il prezzo del petrolio) mostra anch’essa una tendenziale riduzione e, se la discesa dell’oro nero dovesse proseguire al ribasso, anche i tassi potrebbero seguire. Come è possibile leggere dalle linee di tendenza delineate nel grafico sopra riportato, se l’andamento dei i tassi a lungo termine dovesse allinearsi (come è sempre stato negli ultimi anni) a quello del petrolio, potrebbero scendere al di sotto del 3%.

Però occorre ricordare che in America, con l’economia che corre e con la grande quantità di titoli del debito pubblico da rifinanziare, i tassi non possono scendere tanto quanto in Europa. E con i consumi che crescono e la disoccupazione tornata a scendere al 4%, i timori di ripresa dell’inflazione restano vivi. Anche per questo i futures delle quotazioni dell’oro restano attorno ai massimi storici a ridosso dei 2900 dollari l’oncia. La Federal Reserve Bank of America infatti ha già dichiarato che non taglierà i tassi (quelli che lei controlla, cioè i tassi a breve termine) per l’intero primo semestre del 2025. Lo stesso accade con il Bitcoin (oggi utilizzato spesso come bene-rifugio), giunto di nuovo a ridosso della soglia psicologica dei 100.000 dollari:

LE POLITICHE DI TRUMP POSSONO FAR BENE AI MERCATI

Tuttavia l‘amministrazione Trump non resta a guardare: l’aspettativa del mercato è che il nuovo presidente riuscirà a ottenere maggiori entrate fiscali derivanti dai dazi alle importazioni (il 10% già imposto alle merci in arrivo dalla Cina conta parecchio in America) e in parallelo le drastiche misure di taglio della spesa pubblica che Elon Musk ha promesso a Trump potranno avere un effetto calmieratore tanto sui redditi quanto sui consumi.

Se ciò accadesse allora è probabile che il calo dei tassi a lungo termine e la concretizzazione dei tagli alla spesa pubblica lascino spazio anche ad un taglio alle imposte e la cosa potrebbe evidentemente generare una buona boccata d’aria fresca per l’intero mercato finanziario. Poiché al momento Trump e Musk appaiono piuttosto credibili nel mantenere le loro promesse, gli investitori restano cautamente ottimisti e i listini azionari rimangono vicini ai loro massimi di sempre. La possibilità che i tassi a lungo termine scendano in America è infatti una buona notizia anche per il mercato obbligazionario, per il Tesoro e per la Borsa, dal momento che i flussi di cassa futuri che le società quotate promettono, vengono attualizzati al tasso dei Treasury.

E poi, qualora calasse ancora il prezzo del petrolio e sempre che non si manifestino altre spinte inflazionistiche, la Federal Reserve, non potrebbe rimanere ferma troppo a lungo. Come si può leggere nel grafico qui sotto riportato, la tendenza al ribasso dei tassi praticati dalle due principali banche centrali appare infatti soltanto appena iniziata:

L’EUROPA TAGLIERÀ ANCORA I TASSI

In Europa invece oggi non c’è alcuna crescita economica e l’erosione dei salari reali derivante dall’inflazione ha portato al ribasso consumi e investimenti. L’economia debole dell’Eurozona (a prescindere dal prezzo del petrolio) spinge dunque le aspettative relative all’inflazione verso una sua ulteriore riduzione al tasso-obiettivo del 2%. Questo giustifica l’attesa di ulteriori tagli dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale.

Ma la vera notizia positiva è che al momento anche a casa nostra i tassi a lungo termine sembrano muoversi in discesa, come mostra il grafico sotto riportato relativo ai tassi impliciti espressi dal mercato per il BTP a 10 anni:

Ovviamente il limite sotto al quale il tasso di sconto della BCE farà fatica a scendere è rappresentato dal cosiddetto “tasso neutrale”, cioè quel tasso di rifinanziamento degli intermediari finanziari che non rappresenta né uno stimolo né un freno all’inflazione o allo sviluppo dell’economia. Come si può vedere dal grafico qui sotto riportato, il mercato sconta altri tagli per i prossimi mesi ma comunque ipotizza un tasso minimo del 2% intorno a fine 2025, oltre il quale potrebbe anche risalire.

La Bce ha citato nuovamente lo scorso venerdì l’intervallo entro cui dovrebbe collocarsi il discusso “tasso neutrale”indicandolo in una forchetta compresa tra l’1,75% e il 2,25%. Il nuovo range, più ristretto rispetto a quello precedentemente indicato, potrebbe segnalare che c’è ancora spazio per due o tre nuovi tagli prima di raggiungere il livello di tassi in cui la politica monetaria non stimola né frena l’economia.

Ma l’utilità dell’indicatore è messa in dubbio dagli stessi esponenti della Bce, sostenendo che non tratta di uno strumento di politica monetaria, poiché non può essere misurata con precisione e i modelli che lo stimano comportano un “grado molto elevato” di incertezza. Negli ultimi mesi, il tasso neutrale è stato nei giorni scorsi al centro delle discussioni, poiché secondo diversi banchieri costituirebbe il prossimo obiettivo. Non per niente il consiglio Bce ha eliminato dal comunicato emesso lo scorso venerdì sui tassi, il riferimento al mantenere una politica monetaria “restrittiva”.

DOVE SI COLLOCHERÀ IL “TASSO NEUTRALE” ?

Il tasso neutrale è un concetto teorico, che risulterebbe determinato dall’incontro della domanda e dell’offerta di risparmio. Con i cambiamenti nell’economia globale legati alla decarbonizzazione, alla demografia e alla deglobalizzazione, possiamo osservare come si sia recentemente invertita la recente “congestione dei risparmi” ovvero l’eccesso di offerta di risparmio, che aveva contribuito alla discesa del tasso neutrale. Con la globalizzazione all’apice e la Cina che trasferiva i proventi della sua crescita delle esportazioni in Occidente, questi era inondato di risparmio.

Negli ultimi anni la maggiore produttività legata all’Intelligenza Artificiale ed investimenti nella transizione energetica sostenuti da sussidi statali potrebbero ulteriormente incrementare la domanda di risparmi/investimenti e portare ad un tasso neutrale più alto. È dunque un tasso convenzionale di equilibrio. È anche per questo che la sua definizione poggia non solo sulle decisioni contingenti delle Banche Centrali, ma anche su quelle attese dagli operatori per il futuro.

NONOSTANTE LA VOLATILITÀ LE BORSE POTREBBERO RESTARE TONICHE

La cosa interessante però è che la possibilità che i tassi d’interesse scendano ancora può adombrare quella che le quotazioni delle borse -nonostante siano vicine ai massimi storici- trovino una motivazione in più per crescere ancora o, quantomeno, restino elevate, per tutto l’anno in corso, sebbene la volatilità attesa dei corsi potrà forse risultare molto maggiore di quella dell’anno precedente (si veda il grafico qui riportato):

Di seguito invece il grafico che riporta l’andamento ancora positivo dell’indice MSCI relativo ai titoli azionari di tutto il mondo:

 

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 109 – sa 8 feb 2025

Operazioni in essere : nessuna

GOLD APR 25

Sta dimostrando grande forza.

Quando è scaduto la volta precedente il ciclo di tempo che ha interessato gennaio 2025, GOLD ha chiuso alto il mese caratterizzato dal segnale, lo ha ecceduto del 4 % il mese successivo e poi si è impantanato in un movimento laterale – negativo per circa due anni.

Ben comprendete quindi che il comportamento deve essere attentamente osservato quanto meno anche nel presente febbraio.

Il fatto oggettivo rimane comunque che GOLD, non solo è andato oltre il livello di 2790, che era la mia area di vendita, ma ha chiuso gennaio, mese di scadenza del segnale, sopra tale prezzo.

Su GOLD sto cercando una operazione strategica e, mediamente, un Mercato, per concedere di sfruttare poi un vero trend, richiede stop loss più ampi dello standard nella fase di apertura delle operazioni.

Dopo che GOLD CASH è salito fino a 2886, è impensabile attendere la rottura del minimo di gennaio ( 2614 ) per aprire un ribasso.

Lo stop loss da piazzare sopra 2886 sarebbe insostenibile.

SILVER MARZO 25

Sta assumendo sempre maggiore importanza il doppio minimo a 28,75.

Vedremo insieme se sarà utilizzabile prima come stop loss per un acquisto e, possibilmente, poi per una vendita in rottura.

SILVER è salito a 32,50 che era il livello minimo per analizzare una vendita.

Segnalo sin da ora che in marzo 2025 scadrà un ciclo temporale di medio – alto rilievo, soprattutto se si trattasse di un minimo che si manifestasse tra il top di marzo 2024 ( 25,77 ) e il top di febbraio 2024 ( 23,50 )

Sono livelli talmente lontani che, più che un auspicio, pare una provocazione.

Ma non è così.

DOW JONES INDU CASH

Siamo pienamente nel bimestre che attendevo da tempo per apertura di ribasso su DOW JONES

Senza fretta, visto che il segnale coinvolge gennaio, ma anche febbraio, cerco di vendere nelle prossime settimane sopra la trend line in essere dal lontano ott 2022 ( da 28660 )

Ho segnato in giallo l’area preferita di vendita.

Il doppio massimo di 45054 contro 45073 di dicembre prova a respingere questo treno in corsa.

Nella N. 108 avevo allegato anche un grafico mensile per evidenziare che in novembre, dicembre e gennaio ci sono stati tre massimi uguali ( 45071 – 45073 – 45054 ) e due minimi molto vicini ( 41647 TRUMP e 41845, più recente ) tanto che i 90 gg costituiscono un BLOCCO UNICO.

Febbraio, dal punto di vista ciclico, è la fine della spinta da ott 2022 ( 28660 citato molte volte ) e ott 2023 ( 32327, per me meno importante )

Vedremo insieme se la scadenza del tempo produce una inversione.

Purtroppo febbraio deve ancora svilupparsi e DOW JONES si trova già nel range tra 44000 e 45073 dove ho progettato di venderlo, ma ovviamente non è semplice, essendoci 20 gg di calendario e 15 gg di borsa aperta in cui gestire l’eventuale apertura dello short.

Segnalo inoltre che è il secondo lunedì che porta enorme volatilità.

Dopo l’effetto DEEPSEEK di lu 27.1, abbiamo avuto lu 3.2 un minimo marginalmente più basso a 43879 DJ CASH per i dazi annunciati nel week end a mercati chiusi, salvo poi risalire quasi a 45000.

I dazi erano ampiamente attesi, ma la certezza della loro introduzione ha avuto impatto, ad ora, da confermare nel tempo.

Da 13 sedute DOW JONES si muove tra 43900 e 45050, su e giù a stoppare qualsiasi iniziativa.

Sembra che voglia ipnotizzare in febbraio, per poi prendere un nuovo trend.

Immagino al ribasso, ma è pericoloso anticipare.

NASDAQ 100 CASH

Nulla di nuovo.

Mi è stato chiesto se anche NAS 100 sia caratterizzato da un segnale temporale in febbraio 2025.

Non mi risulta, mentre vi è stato in gennaio ( ma di rango ben inferiore a quello che caratterizza DOW JONES in gennaio – febbraio ) e ciò attribuisce un certo significato alla eventuale rottura di 20538 NAS 100 CASH, minimo di gennaio.

Quindi una vendita a rottura di 20538 potrebbe essere l’unico modo di vendere NAS 100 con un qualche fondamento, senza dover attendere il minimo di TRUMP a 19880.

NAS 100 è l’ indice sul quale incidono in misura estrema i titoli che nella realtà ( ancor più nell’immaginazione ) trovano nella connessione all’intelligenza artificiale ciò che rende sopportabili dei P/E d’affezione.

Solo un vago dubbio che gli oligopolisti U.S.A. possano trovare un competitor in Asia è bastato a generare cali del 5 – 10 e oltre %.

In febbraio immagino che sceglierò DJ per aprire uno short, ma da dicembre i due indici azionari hanno un comportamento insolitamente simile.

Leonardo Bodini