L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE MUOVE LE BORSE

IL “CASUS BELLI “ : META PLATFORMS
È stata la miracolosa ripresa delle quotazioni di Meta a WALL Street. Dopo essere sceso da 360 dollari a 80, venerdì è tornato a superare i 240. Il titolo è sugli scudi non soltanto per i risultati positivi della trimestrale, ma anche e soprattutto a causa dei cospicui investimenti nel settore dell’intelligenza artificiale che non soltanto li hanno consentiti nonostante una cospicua riduzione del personale, ma promettono anche ulteriori avanzamenti.
LE “BIG TECH” GUIDANO IL LISTINO AMERICANO
Con differenti sfumature la stessa narrazione riguarda sostanzialmente anche tutti gli altri principali titoli quotati delle grandi multinazionali della tecnologia. Responsabili del 53% dell’apprezzamento del listino americano dall’inizio dell’anno ad oggi (+8%) sono infatti soltanto sei società: Microsoft Alphabet (Google), Amazon, Meta Platforms (Facebook, Instagram e Whatsapp), Nvidia e Salesforce. E le prime dieci società (per capitalizzazione) quotate a Wall Street non sono mai state così preponderanti sull’andamento dell’indice Standar/Poor’s 500. Si calcola che i soli investimenti in ”chatbot” (robot che rispondono al telefono a ogni genere di domanda) abbiano incrementato il valore di capitalizzazione della borsa americana di quasi un miliardo e mezzo di Dollari nei primi quattro mesi di quest’anno.
Ma soprattutto le grandi imprese multinazionali sono state quasi le uniche a rivalutarsi, mentre il resto delle imprese quotate (che comunque a Wall Street non sono mai troppo piccole) si è addirittura svalutato per via del rallentamento dell’economia reale.
LA RAGIONE? LE PROSPETTIVE DI PROFITTO
A fare la differenza però non sono soltanto le preferenze degli investitori verso i grandi gruppi della tecnologia, e nemmeno le forti razionalizzazioni di costo che queste società hanno avviato negli ultimi mesi (anticipando quasi tutti gli altri settori industriali, tanto nelle spese generali quanto nella riduzione del personale), bensì le prospettive di profitto (e di minor necessità di manodopera specializzata) che derivano dall’impiego estensivo dei nuovi strumenti di intelligenza artificiale. Una tecnologia che ovviamente ha molte più probabilità di essere impiegata dalle Big Tech come NVIDIA (giunta a quasi 650 miliardi di Dollari di capitalizzazione di Borsa) o ALPHABET che non dalle altre grandi quotate.
Nonostante dunque l’America si avvii verso una probabile recessione o quantomeno verso una forte frenata dello sviluppo economico, sui mercati finanziari imperversa già la febbre da intelligenza artificiale, con l’aspettativa di ulteriori apprezzamenti per i gruppi economici che prima degli altri riusciranno a stabilire una leadership.
UN CAMBIO DI PARADIGMA

L’intelligenza artificiale (AI) peraltro -non soltanto appare destinata a cambiare il mondo- ma è essa stessa un mondo tutto nuovo e ancora da scoprire, dal momento che sta iniziando a diventare chiaro sia che si tratta di una tecnologia ancora ai primordi (e dunque suscettibile di un enorme sviluppo, man mano che viene affinata) sia anche che potrà presto essere applicata in qualsiasi campo, dalle armi intelligenti alla guida autonoma, alla gestione della produzione industriale, ai servizi domestici, alla sanità, ai servizi avanzati, fino all’ingegneria, all’alta finanza e alla consulenza. Praticamente non ci sarà alcun settore che non verrà rivoluzionato dai chip che divengono capaci di apprendere e di conseguenza di reagire autonomamente agli stimoli che vengono loro posti. Si inizia anche a parlare di AI nel mondo dello spettacolo, delle arti figurative e della cucina.

La corsa all’oro che sta per partire dunque non soltanto rivoluzionerà le nostre abitudini e renderà obsoleto praticamente qualsiasi strumento di cui disponiamo, ma sta già determinando importanti scelte da parte degli investitori i quali sono tornati a privilegiare i giganti della tecnologia a scapito delle industrie più tradizionali, soprattutto quei giganti che risultano in migliore posizione per poterne trarre profitto. Ad esempio coloro che hanno sviluppato le soluzioni informatiche migliori, o i produttori di microchip di ultima generazione o ancora i produttori di autoveicoli che riusciranno per primi a beneficiare del cambiamento di paradigma dell’industria.
LE RICADUTE MACROECONOMICHE
Guardando in prospettiva ciò che sta per succedere si potrebbe sperare in una nuova fase della crescita di benessere per l’umanità, dal momento che lo sviluppo di nuovi prodotti, servizi e soluzioni basate sull’intelligenza delle macchine dovrebbe provocare ingenti investimenti, dunque nuovo sviluppo economico e nuova occupazione. È successo nei primi anni del nuovo millennio, con l’avvento della digitalizzazione, peraltro tutt’ora in corso. È successo, in minor misura, anche con il lancio della cosiddetta “transizione ecologica” e lo sviluppo dei titoli che potevano vantare caratteristiche “ESG” (Environment, Social, Governance). Può succedere dunque anche con la diffusione di prodotti e servizi collegati a sistemi di intelligenza artificiale. Anzi: è proprio questo che accende la fantasia degli investitori!

Ma la festa potrebbe risultare assai poco amena sin dal suo inizio se le cose andranno come si può vedere al momento: per ora infatti chi ne sta beneficiando sono quasi esclusivamente i grandi conglomerati globali, i loro grandi azionisti e i detentori delle tecnologie più avanzate. Addirittura a spese della maggior parte delle attività tradizionali. Senza contare inoltre il fatto che la situazione di grande disordine geopolitico globale potrebbe confiscare le tecnologie più avanzate a servizio del loro impiego militare, negli armamenti o nei sistemi di spionaggio. Resta da considerare inoltre la più bassa attrattiva degli investimenti necessari in un regime di tassi d’interesse elevati e di rischi di recessione.
OGGI L’A.I. E’ “CAPITAL INTENSIVE”
Perché l’avvento di questa nuova tecnologia possa generare benessere diffuso inoltre sarà necessario che essa sia resa accessibile ai più, alle startup, ai giovani e alle imprese tradizionali, che in tal modo potranno modernizzarsi, in definitiva a tutti coloro che potranno farne uso per sviluppare nuovi prodotti e servizi. La qual cosa non è così semplice poiché al momento, per sviluppare sistemi di intelligenza artificiale o anche soltanto per adattarli ad esigenze specifiche, occorrono fortissimi investimenti, alla portata dunque di pochi grandi operatori.

I RISCHI DI CREARE DISTOPIE
Qualcuno fa anche osservare i giganteschi rischi che possono celarsi dietro il passaggio delle comunità umane ad un’automazione sempre più spinta di ogni genere di attività materiali e commerciali. Attività che prima venivano svolte dall’uomo e che oggi rischiano di svolgersi perdendo completamente di vista gli aspetti soggettivi, psicologici e umanitari. Generando dunque indirettamente malessere a vantaggio del controllo dei costi e del monopolio di fatto di numerosi settori.
Soprattutto nei primi tempi: sin tanto infatti che la tecnologia non farà un nuovo grande passo in avanti per tenere conto di tutti quegli aspetti umani (oltre cioè la pura e immediata convenienza) che oggi non sono ancora contemplati nei software che sviluppano ragionamenti induttivi quasi esclusivamente nell’ambito dell’elaborazione di vaste serie di dati statistici. Nell’ambito dei rapporti bancari, ad esempio, dove il digital banking è già oggi divenuto prevalente nelle attività creditizie ed in quelle di investimento, l’assenza di considerazioni generali può generare molte incomprensioni.
MA LE BORSE CI CREDONO

Le borse mostrano di volerci credere. E ci stanno scommettendo, sia pure limitatamente ai pochi grandi operatori (quotati quasi solo a Wall Street) che ci si sono buttati e i cui titoli oggi sono i preferiti dei grandi investitori istituzionali, i quali scommettono quindi su ulteriori rialzi. Se poi anche l’economia reale ne trarrà giovamento è presto per dirlo, anche se nel medio termine è piuttosto probabile.
Stefano di Tommaso







Pochi giorni fa il novantaduenne Warren Buffett, in un’intervista alla CNBC aveva espresso un’opinione significativa riguardo alla Apple, società di cui la sua Berkshire Hathaway detiene una quota importante: “se sei loro cliente e ti offrono 10mila Dollari a condizione che non potrai mai più comprare un Iphone, forse non accetterai quella somma. Ma se vuoi acquistare una Ford e ti danno 10k$ per non farlo, allora è invece piuttosto probabile che la accetterai e che comprerai qualcos’altro”. Si può non essere d’accordo con lui (per noi 10mila Dollari sono infatti una bella cifra) ma fa riflettere: ci sono aziende, come la Apple che in più di un ventennio hanno sviluppato nella propria clientela un granitico rapporto di fiducia e fedeltà, difficile da scalfire. Un patrimonio di credibilità che può essere travasato anche in altri settori.
Al contrario il sistema bancario ha oramai eroso buona parte della fedeltà dei propri clienti: dopo quindici anni di forte instabilità (cioè a partire dalla crisi di fiducia del 2008, derivata dalla crisi dei mutui “subprime”, passando dalle nostre parti dalle crisi delle Casse di Risparmio e delle Banche Popolari, fino ad arrivare alla caduta di credibilità delle scorse settimane, seguita al fallimento di alcune importanti banche americane e all’insolvenza del Crédit Suisse). Oggi la gente (soprattutto in Europa) non si fida più nemmeno dell’assicurazione pubblica sui depositi, complice anche la direttiva sul bail-in, parola che in Italia poi evoca anche un noto termine dialettale genovese con il medesimo significato di “fregatura”!
Il momento per l’intero settore bancario delle principali economie occidentali è insomma particolarmente delicato, vuoi per l’ennesima “stretta” sulle normative a tutela della sua solidità (che però di fatto ne ingessano l’operatività), vuoi per l’esplicita volontà delle banche centrali di proseguire nella restrizione delle politiche monetarie per combattere l’inflazione, che rischia di generare ulteriori problemi ad un sistema bancario che ha visto, sì, incrementare la forbice dei tassi d’interesse, ma deve anche sopravvivere ad una situazione di grande restrizione della liquidità disponibile sui mercati, che ne limita fortemente la capacità di raccolta di risparmi sui conti correnti. Dallo scorso Marzo la clientela ha prelevato dai propri conti presso banche commerciali americane la bellezza di quasi un trilione di Dollari, per timore di vederli perduti!
È in questo contesto di grande fermento e instabilità diffusa del sistema finanziario che si inserisce la mossa, geniale e assassina al tempo stesso, da parte del colosso dell’investment banking Goldman Sachs: quella di accendere una singolare “joint venture” con Apple nel settore dei servizi finanziari evoluti. Apple non è nuova a questo settore, dove aveva da tempo sviluppato tanto una propria carta di credito (Apple Card)basata sui propri telefoni cellulari nonché un importante sistema di pagamento basato su di esso (Apple Pay). Ora lo ha anche implementato con l’arrivo dei servizi di pagamento rateale (Apple Pay Later). Gli strabilianti numeri delle proprie vendite in tutto il mondo e l‘entusiastica fedeltà della propria clientela ne hanno immediatamente decretato il successo anche nel settore finanziario.
LA FIDUCIA DELLA CLIENTELA
Uno





