TRADING: FEB 23 GOLD FUTURE

N.10 – 03/12/2022

Nessuna operazione in essere.

Il giorno gio 1 dic 2022 la lettera ha subito il primo stop loss.
Da lu 28 nov ogni giorno avevo inserito una vendita di 1 feb gold fut a 1790 con stop loss a 1805 ( sopra il top precedente ).
Merc 30 nov ha parlato il presidente della FED e il mercato è salito senza arrivare a 1790.
Il giorno dopo al mattino il mercato era poco oltre tale prezzo e quindi ho venduto a 1792,30 – nel pomeriggio il mercato è salito ancora centrando lo stop loss a 1805 con una perdita di usd 12,70 x 100 once ( 12,7/ 1790 = perdita del 0,71 % ) pari a un totale di usd 1.270.

Quando subisco uno stop loss analizzo i motivi; nel caso che ci occupa la causa è semplice.

Come scritto nella lettera N.9, l’outside mensile rialzista di novembre sopra il top di settembre di 1735 ha girato il trend, che era negativo sin dalla rottura del minimo di 1676, livello che aveva resistito per 17 mesi.
Non si va contro il trend, specialmente quando è appena girato, ma si deve attendere con pazienza un calo per acquistare, in accordo con il trend stesso.
Qualche trader diviene impaziente quando il mercato non offre ingressi a basso rischio e cerca di entrare comunque, ma la frequenza di stop loss sale.
Niente di rotto, la lettera mantiene un profitto complessivo.
Tuttavia, le mie regole impongono di non fare operazioni per almeno una settimana dopo uno stop loss, per non essere nemmeno sfiorato da desideri di rivincita, che portano altri danni.
Pertanto non inserirò alcun ordine tra lu 5 e ve 9 dic.
Segnalo che la salita in corso potrebbe avere come target di gold cash la fascia da 1872 ( minimo di aprile 2022, mese più importante di settembre ) a 1919 ( top dell’anno 2011, che ha resistito fino al COVID 19 nel 2020 ).
Poiché cerco un acquisto, sto analizzando la fascia da 1735 ( top di sett 2022 ) a 1676 ( minimo che ha retto a lungo e quindi resta un livello chiave )
Non opero e mi guardo attorno.
Continuo a monitorare il BTP FUTURE per il quale dovrò passare alla scadenza marzo 2023 in quanto il 7 dic 2022 il contratto dic 2022 cessa le contrattazioni.

Allego un grafico settimanale che evidenzia il livello di 118 circa, al quale il BTP sta mostrando di essere sensibile e una trendline discendente dal massimo storico di 155,71 che disegna l’andamento degli ultimi top con precisione eccessiva.
Vedremo se il top di ve 2 dic pari a 121,81 potrà reggere o se questa trendline verrà sfondata al rialzo.
In tal caso potrebbe accelerare con violenza.

A presto.

Leonardo Bodini




IL RALLY DELL’ORSO

Il recente e un po’ improvvisato ottimismo delle borse valori ha riaperto più che mai il dibattito sugli scenari economici che si profilano per l’anno a venire, iniziando a mettere in discussione la narrativa prevalente secondo la quale il mondo andrebbe diritto incontro alla recessione. Anzi: proprio a proposito dei cicli economici si sono scomodati i più illuminati pensatori dell’Occidente per cercare di comprendere quale futuro ci attende, pur senza concludere su nulla di sicuro, se non nel prendere atto del fatto che l’economia globale non si limita mai soltanto ad oscillare tra riprese e recessioni, bensì ad ogni ciclo intervengono numerosi fattori di novità che stravolgono le previsioni più scontate per dare spazio a nuove e inconsuete prospettive. E questa fine d’anno difficilmente farà eccezione.

(nel grafico l’andamento nell’ultimo anno del più diffuso indice azionario a Wall Street)


NESSUNA CERTEZZA

Dunque il dibattito tra gli osservatori è acceso, e di certezze ce ne sono sempre meno: da un lato si scommette sul fatto che il rialzo dei listini azionari cui stiamo assistendo oramai da più di un mese potrebbe non essere altre che un “bear market rally” ovvero un rimbalzo nell’ambito di un mercato “orso” cioè ancora in discesa. A suggerire questa sensazione sono soprattutto i dati macroeconomici che sembrano proprio indicare una recessione in arrivo, con la conseguenza più ovvia che, in caso di recessione, i profitti aziendali dovrebbero necessariamente ridursi, e con essi anche le valutazioni delle società quotate.

Però, al di là delle oscillazioni giornaliere, nessuno può esibire certezze al riguardo, dal momento che ancora una volta al momento l’economia americana sembra reggere benissimo ai venti di crisi. E a certificarlo interviene il dato sulle vendite al dettaglio realizzate durante il cosiddetto “Black Friday” (cioè le promozioni di fine novembre): ben 9,1 miliardi di Dollari: un vero e proprio record! D’altra parte la disoccupazione americana stenta ad aumentare e la situazione politica sembra essersi stabilizzata. Dunque può davvero succedere di tutto nel 2023.

L’economia europea dal canto suo sembra essere meno in forma ma al tempo stesso le borse europee (che erano cadute di più) a partire da Ottobre sono rimbalzate di più, come si può vedere nel grafico qui sotto riportato, sulla scia della ripresa di un qual certo ottimismo sul prezzo dell’energia, che incombe come una mannaia sull’economia del vecchio continente.


Il prezzo dell’energia infatti, insieme alle quotazioni di petrolio e gas, continua a scendere nonostante tutto, portandosi dietro la speranza di una cospicua riduzione dell’inflazione, che per ora però si è vista soltanto negli Stati Uniti d’America. Ora ci si aspetta che possa propagarsi presto anche all’Europa, e ciò accade proprio quando poteva invece arrivare il peggio: cioè quando potevano avviarsi meccanismi perversi di inseguimento da parte dei salari, dei servizi e dei prezzi al consumo ai rialzi nella prima parte dell’anno delle materie prime e dei semilavorati.

GLI INDICATORI ECONOMICI NON AIUTANO L’OTTIMISMO

Fattori che in passato hanno propagato indiscriminatamente il fenomeno inflattivo e che invece -almeno in Europa- negli ultimi mesi non si sono quasi mossi al rialzo. Anche perché il rallentamento complessivo della crescita dell’economia reale c’è comunque stato (in tutto il mondo, sinanco nell’estremo oriente) e il rischio di chiusure aziendali e fallimenti incombe ancora più che mai.


L’INCOGNITA DEL DOLLARO FORTE

Un altro fattore che ha aiutato -sino ad oggi- ad evitare il peggio nel rialzo dei prezzi al consumo è stato sicuramente il rallentamento della corsa del Dollaro americano, sebbene non si possa parlare di una vera e propria inversione di tendenza. Questo (così come il ribasso di petrolio e gas) ha contribuito a calmierare il rialzo dei prezzi alla produzione per il resto del mondo, fornendo prospettive migliori per scongiurare l’aggressività futura delle banche centrali, alle prese con uno spiazzamento che non si ricordava dagli anni ‘70 (sono cioè rimaste così indietro rispetto al rialzo dei tassi che hanno iniziato a scatenarsi con rialzi repentini senza precedenti sino ad oggi, che però il mercato finanziario oggi stima non potranno continuare indiscriminatamente).

L’AGGRESSIVITÀ DELLA FED

E se le banche centrali alla fine ridurranno la pressione al rialzo dei tassi d’interesse le quotazioni azionarie ne potranno ricevere ulteriore impulso. E’ stata in particolare quella americana a mostrare la peggiore aggressività, con una serie di bruschi rialzi (e l’annuncio di voler proseguire senza meno anche nel prossimo anno) che non hanno precedenti nella storia. Anche per questo motivo la tendenza di fondo del biglietto verde resta al rialzo.

Nel grafico che segue si può vedere chiaramente non soltanto la proiezione a breve termine verso la soglia psicologica del 5% per i tassi federali di rifinanziamento delle banche americane, ma anche la possibilità che arrivino a toccare il precedente picco del 7% un quarto di secolo addietro! Non tutti quindi concordano con l’ottimismo mostrato nelle settimane dagli investitori sui listini azionari.


I RISCHI LEGATI ALLA GUERRA

Per esempio secondo l’ufficio studi del Crédit Suisse i mercati non stanno tenendo conto delle incognite legate alla guerra, per ora assai fredda da parte dell’America nei confronti della Cina (con la quale evita uno scontro diretto ma continua a impedire all’intero Occidente di esportarvi tecnologia). Guerra invece assolutamente calda dell’intero Occidente nei confronti della Federazione Russa, attraverso i numerosi supporti forniti all’esercito ucraino e attraverso le innumerevoli sanzioni che continuano a venire deliberate, soprattutto alla Commissione Europea, nonostante gli inviti ufficiali di Biden a Zelenski a sedersi presto al tavolo della pace.

E se la guerra dovesse continuare oltre la fine del presente anno diverrebbe chiaro che l’ottimismo di queste settimane risulterebbe mal riposto, con il rischio di tramutarsi in fretta in un nuovo pessimismo, e la conseguenza ulteriore che anche i ribassi nelle quotazioni di petrolio e gas potrebbero terminare (e l’inflazione riprendere la sua corsa).

QUANTO SALIRANNO I TASSI D’INTERESSE?

L’altra grande incognita sono -come già scritto- saranno i tassi d’interesse: se l’economia globale non entrerà in recessione sarà più probabile che le banche centrali proseguano nel rialzo dei tassi, anche ben oltre quel 5% che al momento appare l’obiettivo più probabile. E le banche centrali -se dovessero eccedere nell’ austerità- avrebbero da sole il potere di spedire l’economia dell’intero pianeta in recessione e questo senza dubbio farebbe ancora più male al mercato azionario.

Se ciò accadesse tra l’altro, sarebbe la prima volta che ci troveremmo di fronte ad una recessione con ben pochi strumenti di politica economica ancora utilizzabili per venirne fuori, dato il livello già elevatissimo di indebitamento pubblico e la grande quantità di titoli ancora in portafoglio delle banche centrali. E come se non bastasse bisogna tenere conto del fatto che tassi d’interesse troppo elevati danneggerebbero inevitabilmente la fiducia nella sostenibilità dei debiti pubblici dell’intero Occidente e prima di tutto metterebbero a rischio la tenuta della divisa unica europea, stante la situazione critica di paesi come l’Italia, la Grecia e il Portogallo.

QUANTO DIPENDE L’INFLAZIONE DAI CONSUMI?

Non solo: il capo economista di Moody’s Analytics Mark Zandi ha calcolato che quasi il 60% dell’attuale inflazione americana è imputabile a strozzature dell’offerta di beni più che all’eccesso di domanda, la quale a suo avviso non supera il 28% delle cause dell’inflazione. Se ciò corrispondesse a verità ci sarebbe il serio rischio che gli aumenti del costo del denaro andrebbero a limare soltanto quel 28% di fattori che determinano il rialzo dei prezzi, mentre rischierebbero di risultare quale ulteriore causa dell’aumento dei prezzi a causa del rialzo conseguente del costo del denaro che andrebbe ad aggiungersi ai costi di produzione. Insomma un vero e proprio autogol! E se questo vale per gli USA figuriamoci per l’Europa, dove i consumi sono storicamente molto più deboli.


Nessuno dunque può affermare alcuna previsione al momento senza rischiare di cadere presto nel ridicolo: non c’è chiarezza tra gli accademici circa le manovre più opportune per combattere l’inflazione così come non c’è nemmeno chiarezza circa l’andamento effettivo del ciclo economico: siamo sulla china di una brutta recessione o alla vigilia di una sorprendente ripresa? Se si guarda alla spettacolare inversione della curva dei tassi in Germania (che da sola conta per quasi un quarto dell’eurozona), la risposta appare purtroppo quasi scontata:

L’OCCIDENTE RISCHIA, L’ESTREMO ORIENTE CORRE

E soprattutto quella sincronizzazione dell’andamento economico che aveva caratterizzato il periodo precedente all’arrivo della pandemia oggi sembra essere perduta: c’è chi si arrischia a prevedere che quest’anno in arrivo l’economia della Cina crescerà addirittura del 5,5%, contro una previsione di crescita economica europea poco sopra lo zero assoluto e di crescita per l’intero pianeta, paesi emergenti compresi, di un mero 2,7%. Potremmo assistere dunque a cicli economici quasi inversi da una parte all’altra del pianeta.

Dunque il 2023 rischia di passare agli annali come l’anno della riscossa del continente asiatico, nonostante i boicottaggi americani e nonostante le tensioni geopolitiche alle stelle. Se però il continente asiatico dovesse assicurare all’economia globale un valido supporto sinanco le previsioni nere che riguardano l’Europa potrebbero essere riviste, non solo a causa di probabili maggiori esportazioni da parte del vecchio continente ma anche perché la liquidità in eccesso che si genererà in Asia andrà inevitabilmente a corroborare quella che mancherà invece in Occidente (favorendo indubbiamente i mercati finanziari). La banca centrale cinese insomma potrebbe arrivare a prendere il posto di quella americana quale punto di riferimento nel mondo!


E in un mondo che sembra correre a due diverse velocità, il blocco occidentale rischia di seppellirsi da solo dietro ad una retorica oltranzista anti-russa. Mentre quello asiatico potrebbe trarne il massimo profitto. Il che non appare esattamente come un buon presagio per le borse occidentali.

Stefano di Tommaso




TRADING: FEB 23 GOLD FUTURE

N.9 – 26/11/2022

Nessuna operazione in essere.

Il contratto dec 2022 va in scadenza e quindi scelgo di iniziare le prossime operazioni sul contratto feb 2023 – La scadenza gennaio 2023 è poco liquida e quindi non mi interessa.

Riflessione preliminare :
– in novembre GOLD ha generato un outside rialzista mensile in quanto prima ha rotto marginalmente al ribasso il minimo di ottobre, subito dopo ha percorso tutta la barra di ottobre, rompendo il max di ottobre e salendo altri 58 usd, dimostrazione di grande forza
– normalmente imposterei solo operazioni di acquisto nel caso di ritorno nella fascia 1705 – 1676 cash e, in mancanza di tale pull – back, mi limiterei ad osservare il mercato, ma sembra che a qualche lettore prudano le mani e quindi ho cercato anche una operazione, purtroppo ad alto rischio in quanto sarebbe contro il trend, che senza dubbio si è girato al rialzo dalla rottura di 1735 cash, che fu il top di settembre, mese piuttosto importante.

Segnalo infine che, mentre il contratto di dicembre che è in scadenza valeva ormai come il metallo cash, il contratto febb 2023 costa 15 usd in più e il trading sarà eseguito sul feb 2023.

DEC BTP FUTURE

Dalla lettera n. 5 di sabato 29 ott ho inserito brevi cenni su altri mercati, in particolare sul FUTURE BTP e anche oggi segnalo che il livello di acquisto non si può alzare dalla fascia indicata sa 29 ott 2022 a 112-111 mentre il BTP era a 117 – 118.
Il successivo mart 8 nov il BTP registrò un minimo a 112,45 salendo violentemente fino a questi gg con un top di 121,67.
Si può usare il contratto dicembre 2022 fino al 7.12.2022, poi passerò al marzo 2023.

Ciò premesso, da lu 28 nov 2022 inserirò i seguenti ordini :
-vendo 1 feb gold fut a 1790 con stop loss 1805 ( sopra il top del contratto feb 2023 )
-compero 1 feb gold fut a 1710 con stop loss a 1630
Non inserirò ordini sul DEC BTP FUTURE in quanto il prezzo è troppo lontano dai livelli che ho indicato.

Da lu 5 dic 2022 valuterò il comportamento del BTP nella settimana da lu 28 nov a ven 2 dic per inserire eventualmente una vendita, contro trend, allo scopo di finanziare l’acquisto del BTP, che ritengo preferibile.

Allego i grafici che evidenziano i punti chiave:




Leonardo Bodini




NORMALIZZAZIONE

Nelle ultime settimane c’è stato molto fermento in giro per il mondo: non soltanto le consultazioni elettorali di un certo numero di paesi occidentali (le quali hanno senza dubbio espresso taluni cambi di orientamento), ma anche il G-20 e le consultazioni bilaterali a tutto campo. La sensazione è che i cambiamenti in corso abbiano portato i governi (e sinanco la Commissione Europea) ad una fase di stabilizzazione in cui ci si assesta e si tenta di prendere atto di una “nuova normalità”.

 

UNA NUOVA NORMALITÀ

La presidenza degli USA è ridimensionata nelle sue ambizioni dopo la parziale sconfitta delle elezioni parlamentari e dopo aver preso atto che -nonostante il cospicuo investimento finanziario- la guerra in Ucraina non può portare nessuna delle parti ad una vittoria totale. I nuovi vertici britannico e italiano sono costretti a prendere atto di limitati spazi finanziari di manovra per stimolare l’economia, ma sono costretti alla moderazione anche i vertici francese e tedesco.

Persino in Sud America, dove ha vinto di misura di nuovo la sinistra di Ignacio Lula da Silva spodestando Bolsonaro in Brasile, ci si rende conto del fatto che circa metà del paese è avverso ai nuovi vertici e che si rischia la sommossa.

LA TRANSIZIONE

Potremmo dunque tentare di definire quello che stiamo vivendo in queste settimane come un periodo di “sutura” tra due diverse epoche: sino a ieri quella di una globalizzazione pervasiva ma disordinata, la cui parte finale è stata caratterizzata da fortissimi rincari dei prezzi delle materie prime e dell’energia, da tensioni sempre più evidenti tra Oriente e Occidente, dall’iper-inflazione e da rialzi dei tassi d’interesse senza precedenti storici; e forse da domani (difficile però stabilire esattamente da quando) quella di una “diverso ordine mondiale”, probabilmente basato sul consolidamento di due o più diverse sfere di influenza globali.


Se così fosse, potremmo trovarci alla vigilia di una nuova epoca, nella quale i capitali e forse persino le competenze tecnologiche è possibile che circoleranno meno tra i diversi “blocchi politici”, molte produzioni verranno rimpatriate, molte risorse verranno dirottate a scopi di intelligence o militari e dunque il controllo delle risorse naturali potrebbe costituire causa di crescenti tensioni geopolitiche per riuscire ad accaparrarsele.

Ovviamente è solo una congettura, assai sintetica e grossolana, ma forse utile a cercare di inquadrare il momento storico di apparente incertezza che caratterizza l’andamento congiunturale (cosa si prospetta nel 2023: recessione, stagnazione o sviluppo economico?) e più o meno di conseguenza l’andamento dei mercati finanziari. Proviamo dunque a sviluppare meglio il ragionamento.

L’IPER-INFLAZIONE STA TERMINANDO?


Se fosse infatti vero che la fase di iper-inflazione sta terminando, anche a causa di un più che probabile rallentamento della crescita economica globale grazie al quale si riduce la domanda di materie prime, di energia e di prodotti finiti (guarda caso non soltanto si riducono le quotazioni di gas naturale, ma scende anche il prezzo del petrolio) allora sarebbe giustificata la prosecuzione dell’attuale rimbalzo delle quotazioni azionarie, perché potrebbe significare che le banche centrali inizieranno a tirare il freno nel loro programma di inasprimento della politica monetaria, evitando che i tassi d’interesse arrivino a strangolare l’economia. A quale livello si fermeranno? Oggi si discute tra gli economisti di un intervallo tra il 5% ed il 7%.


Soprattutto se ci si fermasse al 5%, la scommessa dei mercati borsistici apparirebbe più che corretta: nessuno si aspetta di nuovo un roboante sviluppo della ricchezza ma nemmeno una pesante recessione.

L’EUROPA FANALINO DI CODA

Lo stop alla crescita economica sarebbe peraltro localizzato principalmente in Europa e deriverebbe decisamente dalle sanzioni imposte all’interscambio con la Federazione Russa, che ha ridotto drasticamente la disponibilità a buon mercato di energia e materie prime. Il mondo intero si avvia dunque verso un duopolio costituito dagli Stati Uniti d’America che controllano (direttamente o indirettamente) il mercato dell’energia e dalla Cina che si avvia a controllare (anche per conto della Russia) quello delle materie prime e di molti semilavorati. Nel grafico qui riportato l’indice della volatilità (Vix Index riferito alle quotazioni di Wall Street).


La fine di questo periodo di “sutura” tra il vecchio e il nuovo assetto politico globale potrebbe dunque arrivare quando si fosse completato l’attuale nuovo allineamento, ma nemmeno questa fine è dietro l’angolo: la Germania sta cercando un compromesso nel dialogo con la Cina; Russia e Ucraina proveranno a muovere le diplomazie ma non ci riusciranno tanto in fretta, la Commissione Europea ha dovuto prendere atto del disagio espressa dalle nuove leadership nei confronti di diktat troppo filo-americani e troppo a favore dei paesi del nord-Europa. La leadership del partito conservatore in Gran Bretagna traballa e suggerisce al nuovo premier (dopo la fine ingloriosa di chi l’ha preceduto) maggiore prudenza, soprattutto nelle relazioni internazionali. Sinanco il presidente democratico degli USA dovrà innanzitutto riuscire a domare l’inflazione prima della fine del suo mandato (tra un anno e mezzo) e perciò proverà a spingere sulla leva fiscale e a non esagerare con quella monetaria.

LA NORMALIZZAZIONE NON DURERÀ POCO

Insomma sembra proprio di vedere avviata una fase di “normalizzazione”, e c’è il rischio che non durerà poco. I tassi d’interesse perciò -al di là della retorica che le banche centrali “devono” mostrare per recuperare un minimo di credibilità- non potranno ragionevolmente continuare a crescere al ritmo preannunciato. Ci sarà con ogni probabilità un periodo caratterizzato da una graduale convergenza tra il tasso d’inflazione dei prezzi al consumo e quello di rifinanziamento da parte delle banche centrali. Ma dovrà tenere conto della necessità delle imprese di finanziare gli investimenti nell’efficientamento e nella crescita della produttività del lavoro, altrimenti il rischio di nuove tensioni sociali sarà elevato.


È peraltro più probabile che sia l’Europa a mostrare più moderazione al riguardo dei rialzi dei tassi e che dunque il Dollaro possa rimanere intorno ai massimi raggiunti. Questo fatto non favorisce certo Wall Street ma nemmeno la deprime. Le borse europee potranno restare a galla, ma difficilmente potranno salire molto, data la precarietà dell’economia.

ASIA E ORO SUPERSTAR

Chi potrebbe perciò guadagnarci sono piuttosto i paesi emergenti e, segnatamente, quelli asiatici, per i quali lo sviluppo economico e demografico sembra proseguire. Ma il timore di nuove tensioni geopolitiche potrebbe favorire l’esodo di altri capitali da Oriente e dunque nemmeno da questi mercati dovrebbe provenire una tumultuosa crescita delle quotazioni azionarie. Questo fenomeno potrebbe peraltro favorire l’oro e altri beni-rifugio.


La “normalizzazione” generalizzata perciò potrebbe riguardare anche i mercati finanziari. E non è detto che sia un male, considerando l’alternativa!

 

Stefano di Tommaso