UN MONDO SEMPRE PIÙ DIVISO

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Le agenzie di rating stanno sottolineando oggi ciò che su queste colonne scriviamo da mesi: il mondo occidentale sembra avviarsi verso una recessione feroce, provocata da inflazione e guerra e acuita dall’approccio da falco delle banche centrali che hanno provocato a loro volta anche un terremoto valutario. Le speranze di una ripresa dei mercati si assottigliano di conseguenza e una serie di fratture si evidenziano non soltanto fra Oriente e Occidente, ma anche tra le singole economie.

 

Lo scenario al momento si fa decisamente grigio, tanto per l’industria quanto per la finanza, oltre che profondamente diviso: da una parte dell’Occidente ci sono gli Stati Uniti d’America, non soltanto protagonisti tanto dell’oltranzismo in guerra quanto delle sanzioni alla Russia ma anche speculatori sui mercati energetici e degli armamenti, e dall’altra parte ci sono in ordine sparso gli stati europei, oramai frammentati sino quasi a dimenticare che dovrebbe esistere una Commissione Europea a coordinarli.

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Oltre “cortina” ci sono Russia, Cina e India, le quali -forti di tendenze demografiche positive- stanno approfittando della stasi europea per guadagnare posizioni e spazi economici nel rapporto con numerosi paesi emergenti i quali non possono che fare le spese di un dollaro troppo forte e tassi d’interesse che rendono insostenibili i debiti contratti per le infrastrutture. L’India prevede di chiudere il 2022 con una crescita del 6,8% del P.I.L. mentre per il 2023 prevede una crescita del 6,1%. La Cina passerà dal 3,2% del 2022 al 4,4% l’anno prossimo. Il confronto con l’Occidente è feroce: gli USA passeranno dall’1,6% del 2022 all’1% nel 2023, l’Unione Europea dal 3,1% del 2022 allo 0,5% del 2023. (qui sotto il grafico dell’indice composito MSCI dell’andamento borse appartenenti alle economie emergenti, sceso vistosamente nell’ultimo anno e mezzo)

LA COMPAGNIA HOLDINGMa nemmeno i Paesi Emergenti fanno blocco unico, anzi! Al vertice di Samarcanda della SCO (Shangai Cooperation Organization) c’erano rappresentanti di Cina, Russia, India, Iran, Pakistan, Kazakistan, Kirghizistan e molti altri. Vorrebbe entrare a farne parte anche la Turchia, ma sarebbe il primo paese NATO a farlo. Oltre 3 miliardi di persone sono rappresentate in quella sede, ma le economie emergenti oggi restano ancora sostanzialmente ognuna per sé, con il rischio che non arrivino a fare fronte comune per creare valide alternative alle istituzioni occidentali e per supportare lo sviluppo economico. Ognuna sembra avere ottime ragioni andare soltanto per la sua strada, senza alcuna strategia di lungo termine. E quando succede questo lo sviluppo economico non avanza.

Il risultato di questo bel coagulo di veleni è una previsione decisamente negativa per l’anno a venire, innanzitutto per l’economia europea, gravata dal doppio problema dell’assenza improvvisa delle forniture energetiche della Federazione Russa e dell’incremento formidabile nei costi delle materie prime, dovuto tanto all’inflazione quanto al cambio sfavorevole con il Dollaro.

LA COMPAGNIA HOLDINGSe ci aggiungiamo che, con uno scenario siffatto non sarebbe da stupirsi più di tanto se a questo punto arrivassero ulteriori problemi anche dai mercati finanziari, in lenta ma costante disfatta, e ci aggiungiamo anche che l’Europa è in prima linea negli aiuti all’Ucraina (e dunque nel confronto militare quasi diretto oramai con la Russia) ecco che le condizioni appaiono tutte sul tavolo per avviarsi a scatenare un bel putiferio.

Non si può poi considerare a quali danni va incontro anche il resto del mondo con il perdurare dell’inflazione dei prezzi e della scarsità di numerosi fattori di produzione: l’industria è costretta a ridurre le proprie produzioni e a rialzare i prezzi di vendita pur senza riuscire a mantenere i margini di guadagno ai livelli precedenti, mentre i consumatori frenano in tutte le direzioni perché impoveriti improvvisamente e preoccupati dalla forte riduzione delle risorse a favore della previdenza sociale. L’eccesso di debiti pubblici infatti sconsiglia di proseguire sulla strada dei sussidi ai consumi e riducono la capacità di fornire adeguato welfare alle classi più deboli della popolazione. Il risultato è pertanto anche quello di una prospettiva di profonde spaccature sociali.

Anche questo fatto sta provocando uno spostamento verso destra nelle preferenze degli elettori europei (e non solo) e, soprattutto, sta facendo più danni al processo di convergenza europeo di quanti ne abbia fatti il successo dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Cosa che fa prevedere ulteriori problemi tanto nel governo della medesima quanto nelle manovre della Banca Centrale Europea, paralizzata dalle divergenze.

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Senza contare il fatto che anche l’atlantismo sfegatato di politici e governanti cui abbiamo assistito sino ad oggi in tutta Europa non potrà non subire una pausa di riflessione dal momento che è sotto gli occhi di tutti chi guadagna e chi perde da questa situazione. Guadagnano gli americani a scapito degli europei, ma guadagnano anche le banche (prima di contare le ulteriori perdite sugli attivi in portafoglio, però) a scapito di chi deve pagare più cari i propri debiti. Guadagnano le grandi industrie a scapito di quelle piccole e medie.

LA COMPAGNIA HOLDINGCi guadagnano i grandi esportatori di petrolio, gas e altre risorse naturali a scapito di quelli che devono importarli, guadagnano i paesi più attivi con l‘energia prodotta dalle centrali elettriche nucleari e da quelle a carbone, guadagnano i produttori di armi e quelli di prodotti chimici e farmaceutici. Guadagnano gli speculatori al ribasso sulle borse, sui preziosi e sulle valute e guadagnano le imprese più innovative, capaci di cavalcare l’accelerazione nel cambiamento del paradigma industriale pregresso, mentre perdono margini di profitto l’industria tradizionale, quella alimentare e quasi tutte le “public utilities”.

Resta ovviamente sullo sfondo la possibilità che ai margini del prossimo G-20 si delineino le condizioni per anche soltanto una tregua nel conflitto in Ucraina. Cosa che potrebbe far flettere tanto le aspettative di persistenza dell’inflazione quanto il prezzo dell’energia. Anche il cambio del Dollaro potrebbe invertire la rotta se ciò avvenisse e le borse potrebbero riprendere vigore, prima che si materializzino altri importanti smottamenti nella fiducia degli investitori. Anzi, paradossalmente, le chances di uno scenario del genere sono oggi più elevate anche a causa dell’evidenza della drammaticità dell’alternativa.

Una profonda frattura però si è prodotta tra Oriente e Occidente, tra paesi più sviluppati ed economie emergenti, tra i paesi membri dell’Unione Europea, tra la stessa America e il Regno Unito e, nell’ambito di quest’ultimo, tra la Gran Bretagna e il resto dei paesi del Commonwealth, sempre più desiderosi di svincolarsi. Persino nell’ambito del medio oriente ritornano prepotentemente le divisioni tra i paesi arabi nonché tra i musulmani sunniti e quelli sciiti.

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Ma non finisce qui: altrettante fratture è possibile osservare tra le classi sociali e tra le fazioni politiche del mondo occidentale. Così come sempre meno fiducia tendono a nutrire gli investitori nei confronti dell’industria e delle innovazioni tecnologiche, riducendo l’importo degli investimenti proiettati al lontano futuro e riducendo lo spazio di crescita delle vere innovazioni. Cosa che non lascia molto spazio all’ottimismo persino nello scenario più positivo dell’avvio di solide trattative per una pace duratura in Est Europa.

Un bel passo indietro nel progresso dell’umanità si potrebbe dire sintetizzando al massimo. Se anche le prospettive di pace con un graduale ritorno alla cooperazione e agli scambi internazionali riusciranno a sventare il pericolo di una nuova profonda recessione globale (sulle certezze dell’avvento della quale nessuno è in grado di affermare previsioni affidabili), il mondo resterà profondamente ferito dalla tragicità degli eventi che stanno accadendo in queste settimane. E le conseguenze di ciò non potranno che farsi sentire a lungo nel prossimo futuro. Le borse difficilmente torneranno presto a toccare nuovi massimi, i tassi d’interesse difficilmente scenderanno in fretta, i prestiti bancari difficilmente saranno di nuovo elargiti a mani basse per chissà quanto tempo ancora.

Stefano di Tommaso




TRADING: GOLD FUTURE DICEMBRE

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– N. 3 – 15/10/2022

 

La posizione di short 1720 del dec. gold future è stata chiusa giovedì 13 ott. a 1660 dopo i dati inflazione U.S.A.

Il prezzo era già inserito da lunedì 10 ott

Il dec gold fut è sceso fino a 1648 per poi risalire in giornata a 1679 e ridiscendere venerdì 14 ott a 1646

Ora il mercato, dopo movimenti intraday piuttosto ampi, consente di assumere posizioni solo a patto di accettare stop loss percentualmente maggiori, che possono essere non compatibili con il profilo di rischio di molti traders

Avevo indicato nella lettera n.1 del 1 ottobre che la settimana del 24-28 ott poteva vedere targets fino a 1800 circa

Ora, dopo la recente discesa da 1739 a 1646 ( 93 USD, veramente troppo per pochi gg di trading ), aggiungo che l’altro possibile obiettivo per il 24-28 ott è 1550

Quindi, entro due settimane, possiamo indifferentemente spaziare nel range tra 1550 e 1800 circa

Non avendo la sfera di cristallo, segnalo che si tratta di un range con estremi possibili, non probabili.

Il range è talmente ampio che la strategia è quasi impossibile da anticipare di una settimana; andrebbe invece rivista dopo ogni movimento di 40-60 usd, ma provo ugualmente ad ipotizzare un comportamento con rischi sopportabili.
Poiché attribuisco al minimo di settembre 2022 un forte significato, possiamo usarlo come stop loss e quindi :

  • comprerò a 1630 – 1640 con stop loss 1618 dec gold future
  • poiché la giornata di gio 13 ott è stata carica di emotività (lo stato d’animo che questa lettera cerca di limitare) comprerò a rottura del top ( 1690 dec gold fut ) con stop loss pari al minimo dei gg precedenti ( attualmente sarebbe 1646 – bottom ve 14 ott)
  •  non so ancora decidere se vendere gold alla rottura del minimo di sett 2022 ( 1618 dec fut – 1614 cash ) per il risk reward poco favorevole e quindi alieno dai principi che mi sono dato.
    Ci penserò con calma.

Operazioni chiuse

Vendita di un dec gold future il 4 ottobre a 1720 con sl 1747 ( top settembre)
Acquisto per chiudere il 13 ottobre a 1660 ( nell’intervallo di 1680 – 1650 ) con profitto di 60/1720 = 3,48 %

Nessuna posizione in essere

Ricordo a tutti che comperare e vendere è la stessa cosa, se il mercato è liquido.

Se non è molto liquido, provare a ricomprare un bene sul quale si è short può essere una esperienza spiacevole.

Opero solo su mercati molto liquidi, nei quali anche somme ben maggiori di quelle che posso permettermi devono essere ininfluenti sulla quotazione.

Chi ritiene di influenzare un mercato sottile, non troverà alcun giovamento da queste righe.

Leonardo Bodini




E SE SCOPPIASSE LA PACE ?

La congiuntura mondiale appare così grigia da lasciar pensare che qualcosa di eclatante potrebbe accadere nei prossimi giorni, capace di ribaltare in positivo le terribili prospettive economiche e finanziarie che si stanno concretizzando. D’altra parte l’imminenza delle elezioni in America può spingere verso la riapertura delle trattative per la pace anche perché il mondo occidentale non sarebbe davvero pronto ad uno scontro bellico globale. Ma se così fosse anche l’economia potrebbe beneficiarne, e l’inflazione potrebbe venirne stroncata.

 

Le elezioni di medio termine negli USA sono alle porte (manca un mese) e la situazione generale dell’economia occidentale è sempre più nera. La banca centrale americana (le cui mosse non potranno che essere seguite a ruota da tutte le altre con la situazione che si è creata sui cambi valute) ha reso chiaro a tutti che, nel suo sforzo di combattere l’inflazione, andrà avanti ad innalzare i tassi d’interesse fino a che la crescita economica non calerà fino al punto in cui i consumi inizieranno a raffreddarsi, e con essi i prezzi di beni e servizi. L’ascesa verticale dei tassi di interesse può però fare molto male tanto all’industria quanto al mercato dei capitali, che -in assenza di cambiamenti- prima o poi dovrà prendere atto del fatto che le prospettive di profitto delle imprese quotate sono inevitabilmente destinate al ribasso e che di conseguenza le quotazioni borsistiche diverrebbero sopravvalutate.


La Banca centrale americana (come si può vedere dal grafico) non ha mai alzato così velocemente i tassi d’interesse, promettendo al tempo stesso di continuare a farlo ancora a lungo. Ora il rischio (se non quasi la certezza) è che l’operazione non sia priva di conseguenze sull’economia reale. Ciò che ne può conseguire in parte rischia di diventare anche un problema americano sinanco in caso di forte rivalutazione del Dollaro, e ovviamente sarebbe ancor più serio e drammatico per il resto del mondo: una recessione profonda e un “grande reset” globale di cui in particolare rischia di fare le spese più di altri l’Europa, alleato storico e strategico degli USA, il cui peso morale e culturale sul resto del mondo per di più supera ampiamente i numeri bruti della sua economia.

D’altra parte se davvero si pensa di togliere di colpo e per intero all’Occidente le forniture di risorse naturali che ha sempre comperato a buon mercato dalla Federazione Russa, le conseguenze appaiono sempre più ovvie. Oltre a fare un bel grosso regalo alle economie di Cina e India, in questo momento non particolarmente vicine alle posizioni di Washington e molto felici di acquistare quelle risorse naturali a forte sconto.


Nemmeno all’interno degli Stati Uniti d’America ci sarebbe molto da brindare di fronte ad uno scenario del genere, dal momento che, con il costo delle materie prime che rischia di continuare indefinitamente a salire (si veda il taglio alla produzione stabilito dai paesi aderenti all’OPEC nell’ultimo consiglio), l’inflazione resterebbe insopportabilmente alta per un bel po’ di tempo, persino con l’arrivo di una recessine globale. L’escalation della guerra poi potrebbe fare il resto, rilanciando sino a livelli insostenibili tanto il caro-Dollaro quanto i prezzi dell’energia e facendo crollare gli investimenti privati. Bisogna inoltre ricordare che l’inflazione attuale nasce soprattutto dalle strozzature dell’offerta, più che dagli eccessi della domanda di beni e servizi. Dunque i rialzi dei tassi d’interesse della FED appaiono un’arma decisamente spuntata.


Da questo punto di vista il fattore che ha davvero scatenato l’apocalisse dei rincari è stata indubbiamente la guerra. Con essa e con le sanzioni alla Russia anche l’intera retorica sulla sostenibilità del pianeta sbandierata dai partiti democratici è andata letteralmente a farsi benedire. E dietro alle politiche per una urgente “transizione ecologica” c’erano inoltre molti interessi economici che oggi appaiono calpestati a causa dell’esigenza di reperire altre fonti energetiche, ragione per cui le centrali nucleari sono state rivalutate e quelle a carbone sono state riaperte. Uno smacco per Biden & C. da non poco conto.

Viene perciò da chiedersi se a Washington sono tutti masochisti o se c’è qualcosa che nel frattempo potrebbe succedere. Qualche colpo di scena potrebbe infatti essere nell’aria perché la recessione potrebbe amplificare il malcontento interno all’America e, di questo passo, la disfatta del partito democratico che esprime il governo a stelle e strisce apparirebbe scontata, con la conseguenza che l’elite politica che ci sta dietro rischierebbe di venire letteralmente asfaltata. Ciò è oggettivamente poco probabile: troppi interessi di lobby di ogni genere (e non soltanto quelle dell’energia e degli armamenti) si celano (e neanche troppo) dietro i DEM americani al potere.


La storia recente poi ci insegna che, quando le tendenze dell’economia e della finanza appaiono troppo scontate, qualcosa succede sempre per ribaltarne il corso. E se così non fosse l’intera Europa potrebbe svoltare decisamente a destra iniziando a porre seri dubbi sulla sua inveterata adesione all’alleanza atlantica. Dunque qualche colpo di scena potrebbe essere finalmente nell’aria. E questo colpo di scena non potrebbe che riguardare che l’abbandono (o più probabilmente la momentanea sospensione) del clima di tensione che la situazione dell’Ucraina sta creando a livello globale. I due attentati alle infrastrutture strategiche della Russia nelle ultime due settimane da questo punto di vista appaiono come le gocce che rischiano di far traboccare il vaso della pazienza.


Convengo con i più scettici circa il fatto che esprimo idee parecchio fuori dal coro di tutti i commentatori che oggi compiono estrapolazioni della congiuntura globale, ma io vedo in quelle nere previsioni di una nuova crisi globale un forte iato: se anche una parte dei “poteri forti” desiderasse davvero l’avvento della prossima guerra mondiale, con la speranza di destabilizzare il governo della Russia e di tornare in tal modo a governare un mondo che inizia ad andare fuori controllo a causa del fattore demografico, non avrebbe comunque senso farlo così presto da riuscire -nelle prossime elezioni- a perdere il controllo della politica interna americana.

La Russia dal canto suo avrebbe tutto l’interesse nel trovare presto un punto di compromesso nello scacchiere ucraino, perché altrimenti sarebbe sospinta inesorabilmente verso la necessità di imporre il suo controllo anche su Kiev, e nel farlo ovviamente dovrebbe impiegare molte risorse e sacrificare molte vite umane. La partita perciò apparerebbe più vantaggioso giocarsela sui tavoli negoziali con l’Occidente che sul campo di battaglia. Anche perché né la Cina né tantomeno l’India potrebbero risultare così solidali quando la situazione dovesse incancrenirsi.

Non stupirebbe poi che ciò potesse passare sopra la testa di un pazzo guerrafondaio come Zelenski, che fino a ieri ha costruito una carriera politica sull’alleanza con i battaglioni nazisti e che oggi non trova niente di meglio che lanciare bombe all’interno dei confini russi. L’èlite USA ha quasi sempre “tradito” i propri fantocci usati per agitare temporaneamente le acque. Lo ha fatto ad esempio con Bin Laden. Lo ha fatto spesso in Sudamerica e in Africa. E lo ha fatto più recentemente con Letta, Macron, Markel, Boris Johnson e Shinzo Abe. Figuriamoci se avrebbe problemi a ribaltare Zelenski pur di rilanciare (almeno temporaneamente) lo slogan della pace nel mondo! Una linea di compromesso potrebbe riguardare l’autonomia linguistica e amministrativa delle repubbliche orientali dell’Ucraina, magari con un governo meno estremista a Kiev.

Persino Putin, oggi messo a dura prova dalle fronde interne che hanno mal digerito la chiamata alle armi di alcune centinaia di migliaia di “riservisti” (cioè di civili), potrebbe sbilanciarsi a favore della pace se sul piatto della bilancia comparisse la testa del presidente ucraino.


Le conseguenze in termini economici e finanziari di una apertura in grande stile di nuovi negoziati di pace non potrebbero essere più favorevoli: la fiducia degli operatori economici riprenderebbe decisamente quota e con essa gli investimenti produttivi, essenziali per ridurre le strozzature all’offerta di beni e servizi che hanno sospinto l’inflazione. Sinanco il prezzo del petrolio -di fronte ad uno scenario di pace- non potrebbe che scendere, costringendo gli economisti a migliorare le loro nere previsioni circa la crescita del prossimo anno.


Forse si tratta soltanto di una speranza, ma l’alternativa alla riapertura dei tavoli negoziali appare davvero truce. Mettere la Russia in un angolo con ulteriori provocazioni equivale infatti a spingerla ad iniziare ad usare il deterrente bellico verso l’America e il Regno Unito più che verso Kiev. Per sopprimere governo e parlamento ucraini basterebbe invece qualche razzo ben assestato di quelli ipersonici che si sono visti volare all’inizio del conflitto. L’Intera Europa rischierebbe di essere risucchiata in un tale conflitto per via delle numerose basi missilistiche nucleari NATO dislocate su tutto il suo territorio (soltanto in Italia pare se ne contino 29). Sarebbe l’inizio delle ostilità in grande stile, nonché il disastro delle prospettive economiche globali per il prossimo anno: non il migliore dei biglietti da visita per l’amministrazione Biden alle prossime elezioni!

Stefano di Tommaso




TRADING: GOLD FUTURE DICEMBRE

– N. 2 – 08/10/2022

  • Per chi ha venduto tra i 1700 e 1720, inserire stop – loss a 1747 top di settembre  1735 cash, 1747 dec. Future);
  • Dopo una salita così violenta, a 1680 – 1650 chiudere gli short, prendendo profitto;
  • Si valuterà un acquisto tra 1640 e 1630 (girando la posizione tra short e long) con stop loss a 1620.

A 1620 si pone in grande tema: sul Dec. Future si tratterebbe della rottura del minimo di settembre 2022, periodo che attendevo da tempo e che ha un significato notevole, ma il calcolo risk – reward non è favorevole ad uno short in rottura di 1620, nel mentre il primo target è già a 1550.

Il possibile target finale è molto più basso (1380 – 1350), ma è un prezzo molto ambizioso e quindi solo eventuale.

Essendo aperta una poszione short su GOLD, viene nuovamente allegato un grafico settimanale, mentre il grafico mensile, idoneo ad analisi di scenario, viene sostituito da un grafico giornaliero, più utile per il trading.

I grafici sono di GOLD CASH

La complessità della strategia delineata consegue a:

  • GOLD ha recentemente rotto il livello di 1676 che aveva retto molto a lungo e, lungi dall’offrire un pasto gratuito, deve rendere la vita dura agli short
  • E’ tassativo porre uno stop loss sopra il top di settembre (1747 dec. Future) perchè resta aperta la possibilità di salire a 1800- 1820, entro fine ottobre (nel caso lo stop loss sarà 1830 top di agosto 2022)

Posizioni aperte

4 ott. 2022 Venduto a 1 dec. Gold a 1720 per aprire poszione (inserito stop loss 1747)

Leonardo Bodini